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Autore: Mikayla    23/10/2008    5 recensioni
Un licantropo accucciato in un cantuccio della stanza, vicino alla scrivania. Una ragazzina assonnata che passa le proprie dita tremanti tra la folta e irsuta pelliccia.
Un'amore che non doveva nascere ad unirli.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi.
Beh, ripubblico la storia perché, non so come, sono riuscita a cancellarla. Nonostante premessi sul no si è completamente volatilizzata sotto i miei occhi.
Poco male: l'ho riletta e ho sistemato alcune cose, per il resto è proprio come in origine.
Buona lettura!



27/11/2006
Beta: questa storia non ha avuto un vero e propio Beta, ma è stata letta, corretta e controllata in equal misura da Kar85, Anachan, Mary (non Sue) e Harrydipendente. Grazie mille ragazze ^^
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia appartengono a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
Nota: In questa storia è presente un rapporto adulto/minore anche se non descritto in modo volgare e non sono presenti scene di sesso esplicite o implicite. Chiunque si possa ritenere offeso da ciò farebbe meglio a non leggere.
Dedica: una piccola One-shot scritta per la mia sorellona Mary (non Sue) perchè a lei piace questo paring. Lo so di non essere Nykyo, ne di aver scritto una romantragica come piacciono a te, ma ho fatto del mio meglio e spero ti piaccia.


For Love I Made The Best Of That Situation



Un lieve bussare alla porta, una pausa, un rumore, un altro lieve bussare.
L’uomo posò il libro sul tavolino con un sospiro seccato mentre il bussare si faceva sempre più forte ed insistente.
- So che sei lì, Remus. - disse l’uomo dall’altra parte della porta.
Ennesimo sospiro.
Lupin si alzò dalla poltrona e si avviò lentamente, strascicando un poco i piedi, alla porta.
L’aprì con uno scatto trovandosi faccia a faccia con il suo vecchio amico di scuola.
- La tua delicatezza e la tua pazienza, Sirius, sono sopraffine. Tua madre ne andrebbe veramente orgogliosa. - lo salutò freddamente il licantropo.
Black sorrise, quasi divertito. In quel momento sembrava che nulla potesse intaccare il suo buon umore.
- La vecchia Walburga ringrazia… e se non mi credi basta che scendi e apri le tende, di sicuro avrà voglia di fare qualche chiacchiera. - rispose Sirius fissandolo negli occhi senza mai smettere di sorridere.
Senza preavviso egli spostò il braccio teso del licantropo entrando con elegante prepotenza nella stanza. Si accomodò sulla poltrona ancora calda e si appropriò del tè posato sul tavolino assorbendolo con misurata tranquillità.
Lupin fissò ancora per un secondo la porta davanti a sé, lo sguardo perso, e poi la chiuse con uno scatto fragoroso.
Sirius, però, non si fece andare di traverso la bevanda calda come aveva programmato l’amico e così, contrariato, Remus avanzò verso il giaciglio che occupava precedentemente.
L’Animago notò lo sguardo dell’amico e, noncurante, gli fece cenno di sedersi sul puffo sistemato proprio davanti alla poltrona.
Storcendo il naso Lupin lo accontentò e prese posto incrociando braccia e gambe, mentre lanciava uno sguardo torvo a Black.
I due amici si squadrarono, quasi stessero giocando a quel gioco babbano di chi ride prima.
Nessuno dei due voleva cedere, nessuno voleva parlare; entrambi attendevano la prima mossa dell’altro.
Sirius non sembrava assolutamente intenzionato a motivare la sua visita improvvisa e continuava a sorbire amabilmente il tè di Remus; e come se quello non fosse stato già abbastanza, bevendolo aveva iniziato a produrre quegli orribili rumori di risucchio.
Infastidito a sufficienza Lupin decise di rompere quel silenzio assurdo.
- Buono il tè? - fu la prima cosa che gli uscì.
L’Animago sorrise tranquillo - Sì, ma io avrei messo un po’ meno zucchero.
Remus sbuffò soffiando via una ciocca di capelli da davanti gli occhi - È miele. - precisò pignolo.
Sirius lo fissò con sguardo indecifrabile - Tè alla cioccolata con il miele? - chiese con malcelato disgusto posando la tazza vuota sul tavolino - Mi hai fatto bere questa robaccia?
Il licantropo sospirò cercando di non vedere le smorfie irritanti dell’amico - Io non ti ho fatto bere il mio tè. - puntualizzò picco enfatizzando le parole sia con la voce che con il battito ritmico di un piede - TU ti sei precipitato nella stanza e ti sei messo a berlo - continuò puntandogli il dito contro - e ora dimmi cosa vuoi.
Si pentì d’averlo detto appena l’Animago fece balenare tra le mani un libro consunto.
I grigi occhi dell’amico brillarono di gioia all’espressione tormentata del licantropo.
Sembrava tornato il ragazzo di un tempo: gli occhi vivi e il sorriso smagliante dominavano sul suo viso.
Per un secondo Remus rimase interdetto scordandosi perfino del libricino che troneggiava tra loro.
Se non fosse stato per i solchi lasciati dalla prigionia, Lupin avrebbe giurato di trovarsi al suo terzo anno di scuola; quasi gli sembrava che da un momento all’altro dovessero entrare James e Peter con un ghigno, pronti a schernirlo perché quelle “erano cose da femmine”.
Ma si riscosse abbastanza in fretta da provare a riprendersi il libro con uno scatto.
Per sua sfortuna Sirius fu più veloce e sottrasse il libretto dalle grinfie dell’amico.
Un ghigno su quel viso scarno; Sirius aveva deciso di farlo impazzire, sospettò Remus seccato: non avrebbe mai potuto superarlo in velocità se lui non fosse stato debilitato dalla notte di luna piena avvenuta proprio il giorno prima.
L’aveva fatto apposta.
Sirius lo sapeva, sapeva che quel giorno sarebbe stato troppo debole per resistergli. Ma gliel’avrebbe fatta pagare, e con gli interessi!
- L’hai letto? - chiese il licantropo.
Sapeva che chiedere un normale e ragionevole “dove l’hai trovato” avrebbe portato alla solita discussione sul fatto che la casa era sua e che quindi non c’era motivo perché lui non potesse leggere le cose che trovava, eccetera, eccetera, eccetera.
In quel momento l’uomo non aveva voglia di sorbirsi quegli sproloqui che non avrebbero portato a nulla, e quindi aveva optato per ottenere direttamente ciò di cui aveva realmente bisogno di sentire.
Il ghigno di Black si allargò mentre si portava il libretto in grembo mettendosi ad accarezzarlo quasi fosse stato un gattino affettuoso.
Aveva in pugno l’amico.
Poteva chiedergli qualsiasi cosa, ormai lo aveva in pugno: Remus J. Lupin era rinchiuso in quel libretto rilegato in una livida pelle verde.
L’Animago non abbassò lo sguardo e parlò in tono provocante - Non hai imparato che non bisogna tenere un diario?
Se non avesse appena dovuto passare un'orribile nottata in forma di lupo Remus gli sarebbe volentieri saltato alla gola e lo avrebbe guardato morire soffocato con grandissima gioia.
Ma si trattenne: doveva sapere cos’aveva letto.
- L’hai letto? - chiese nuovamente ignorando di proposito l’intervento di Sirius.
La mano che accarezzava la pelle s'immobilizzò ed andò ad aprire il libro - Certo che l’ho letto, che domande fai? - rispose con il tono di chi riteneva la cosa più che ovvia.
Lupin si strinse le mani, non era stupito, no, come si poteva essere stupiti dopo aver convissuto con Sirius per sette anni ai tempi della scuola e quattro anni dopo?
No, Remus non era stupito, ma gli montava una rabbia cieca nel cuore.
Rabbia e paura.
Due sentimenti che non dovevano coesistere insieme per nessun motivo, non li poteva affrontare in quel momento.
Con compiacimento osservò l’espressione amareggiata che aveva sostituito il sorriso tronfio dell’amico.
Sirius aveva sperato di provocare una qualche reazione nel licantropo, di vederlo per una volta stupito, arrabbiato, offeso, seccato, infastidito.
Ma invece non aveva ottenuto nulla, il solito viso impassibile davanti a lui.
Era più seccato l’Animago del licantropo!
Ma forse poteva rimediare.
Sfogliò un paio di pagine e lesse - È così giovane, ma mi ha colpito subito. Una ragazzina. Una ragazzina ed io, come un’idiota, me ne sono innamorato. Lunastorta, Lunastorta, Lunastorta! Non sono cose da farsi. - lo prese in giro Sirius mentre il ghigno tornava sul suo viso.

Un lieve bussare alla porta, una pausa, un rumore, un altro lieve bussare.
- Avanti. - disse gentilmente l’uomo seduto dietro la scrivania osservando la porta che si apriva con uno scricchiolio.
Con un tuffo al cuore riconobbe la quattordicenne che aveva varcato la porta, l’aria timida, quasi avesse timore di trovarsi lì.
Da gentiluomo qual era si alzò ed indicò la sedia davanti a sé - Siediti pure, Hermione. Volevi dirmi qualcosa? - chiese gentilmente sorridendole per metterla a suo agio.
Cosa che invece sembrò innervosirla di più.
Lupin non sapeva più che fare e preferì evitare lo sguardo dell’alunna e tornare a sedersi alla scrivania, nella speranza di riuscire a riprendere il controllo di se stesso e della situazione.
Quando alzò gli occhi dal foglio che aveva davanti si perse ad osservare la ragazza che si lisciava con insistenza i capelli troppo crespi che le incorniciavano il viso.
Quel viso leggermente rosso per l’imbarazzo, gli occhi bassi a guardarsi la gonna.
Nemmeno a volerlo il cuore del licantropo mancò un battito quando i loro occhi s'incontrarono.
Remus le sorrise, nuovamente, gentile - Dimmi pure, Hermione, non avere paura.
Forse fu un’impressione del licantropo, ma vide una scintilla di coraggio negli occhi della ragazza.
Le labbra rosse si schiusero in un movimento sensuale e poi le parole gli arrivarono.
Rimase in silenzio, perso ad osservare quelle labbra che si piegarono in una linea triste, i denti a torturare il labbro mentre l’unico suo desiderio era sostituirsi a lei in quell'operazione.
- Professore? - chiese nuovamente la ragazza nella vana speranza di essere ascoltata e ricevere una risposta.
Lupin si riscosse brevemente per poi tornare alla ragazza, guardandola negli occhi questa volta.
- Scusa, mi sono distratto, dicevi? - le chiese invitante regalandole un sorriso che poteva far sciogliere anche i ghiacci.
Hermione non rispose, lo sorprese alzandosi dal posto e sporgendosi sopra la scrivania.
In un attimo, prima che Remus potesse fare nulla, le sue labbra, piccole, dolci e morbide si posarono su quelle di lui.
Un bacio.
Un bacio scomodo, impacciato, imprevisto, meraviglioso, benvenuto.
Un bacio… no, non UN bacio ma il SUO bacio.
Il bacio di quella ragazzina che l’aveva stregato, senza bisogno di filtri d’amore, sin dal loro incontro in treno.
Quella volta era stato fin troppo facile fingersi addormentato e origliare la loro conversazione.
Probabilmente fu per la sua intelligenza sopraffina, per l’intuito, per la sete di conoscenza… per tutte quelle piccole cose che gliela facevano sentire più vicina di chiunque altro.
Ma forse era solo perché al cuore non si comanda, per quanto avesse provato in quei tre mesi a farle solo da insegnante, tuttavia si era sempre ed immancabilmente ritrovato ad osservarla di nascosto.
Il professore non rispose al bacio, mai, nemmeno per un istante. Non si permise il lusso di lasciarsi andare.
Era lui l’adulto lì! Toccava a lui spiegare alla ragazza che quello era sbagliato, era compito suo troncare sul nascere false speranze di una possibile relazione: mai si sarebbe permesso di comprometterla in qualche modo. Mai.
Fu in ogni modo dura per lui lasciare che le labbra della ragazza si separassero dalle sue e non cedere all’impulso di scavalcare con un balzo quel fastidioso oggetto tra loro per riprendergliele e mordicchiargliele dolcemente.
La osservò allontanarsi e ricomporsi un poco, le guance arrossate, gli occhi che si aprivano piano sbattendo le ciglia, la lingua che passava sulle sue labbra per assaporare meglio il bacio, una visione sublime.
Non sapeva come comportarsi, non sapeva cosa fare o dire, ma gli fu risparmiato tale onere.
- Forse adesso mi ascolterete, professore - disse Hermione in un tono che aveva del malizioso - le dicevo… mi sono innamorata di lei.
Semplice, chiaro, conciso.
Non poteva dirlo in modo più diretto nemmeno se avesse voluto e se l’avesse messa con più fronzoli avrebbe perso uno spettacolo più impossibile che raro.
Aveva davanti a sé Lupin, un’espressione stupita e scioccata, e il viso che si arrossò non appena la mente collegò e capì le implicazioni di quelle parole.
Dopo quel bacio il licantropo sembrava totalmente prosciugato, in tilt, incapace di connettere.
Ma si sbloccò subito prendendo un cipiglio severo, quasi si apprestasse a sgridare una bimba piccola che restava sveglia fino a tardi disubbidendo ai genitori.
- Vedrai che quest’infatuazione ti passerà presto. - rispose sicuro di sé distogliendo lo sguardo dalla ragazza per qualche secondo.
Quando i loro sguardi s'incontrarono nuovamente Remus poté vedere l’ira sul viso della giovane.
Sapeva cosa voleva rispondergli. Quante volte l’aveva sentito in quegli stupidi film babbani? “Non è un’infatuazione! Io ti amo, ti amo davvero!”
Parole vuote e senza senso.
Non ci avrebbe creduto nemmeno un secondo che una ragazzina di appena quattordici anni potesse sapere cosa significava amare.
Non era un romantico illuso che pensava all’amore eterno ed idilliaco di cui leggeva nei libri. No, non era così.
Ma non poteva fare a meno di pensare ai tormenti interiori che dà l’amore vero e completo, quello ricambiato o no. Quei tormenti che sembravano affliggerlo da tre mesi a quella parte, quei tormenti che avrebbe voluto volentieri scordare per sempre.
Eppure guardare Hermione, lì con lui, il broncio quasi infantile sul viso e la consapevolezza che lei provava qualcosa per lui, fosse anche una sciocca infatuazione, gli provocò una stretta al cuore. Una stretta che non sapeva se dire fosse dolorosa o no.
- In più tu hai quattordici anni, io trentacinque. Io sono un professore e tu un allieva. - continuò ad elencare i fattori a sfavore di quella relazione - Devo continuare?
La ragazza passò una mano tra i capelli rilassandosi leggermente e sbollendo l’ira.
- Non la credevo un uomo tanto superficiale. - lo freddò la ragazza prima di uscire dall’ufficio.
Quello era stato un colpo basso, e Remus lo percepì proprio alla base dello stomaco, come avesse appena ricevuto un poderoso pugno.
“Che idiota! Mi sto facendo male da solo. Sono un emerito imbecille…” il licantropo si portò una mano al viso nascondendovisi dietro “Se James e Peter fossero qui mi prenderebbero in giro a vita! Ma almeno…”

- …almeno le ho tolto ogni possibile speranza. - finì di leggere la pagina Sirius - Lunastorta, spezzare così le speranze di un’incantevole fanciulla, no no no, no no! - disse accompagnando ogni no da un cenno di diniego del capo.
Lupin strinse i denti porgendo imperiosamente la mano all’amico - Dammi il diario.
Un ordine perentorio che fu puntualmente ignorato dall’Animago che, invece, riprese a leggere.
- Perchè le ragazze sono così testarde? Perchè devono giungere ad usare metodi così estremi? Perchè ti raggiungono nei momenti in cui sei più debole? Mah, sai, Lunastorta, le ragazze sono un pianeta complicato. Avresti dovuto chiedere a me o a James come ci si comportava con le ragazze! A cosa pensavi servisse la scuola?
Trattenersi dal rispondergli indietro e magari tiragli un pugno, solo per togliersi lo sfizio, fu una prova del suo proverbiale autocontrollo.

Ma quanto si era sbagliato?
Non che lo dimostrasse apertamente, ovvio, ma Remus sentiva l’inflessione particolare della voce che Hermione assumeva quando doveva chiamarlo per qualsiasi cosa.
C’era la possibilità che si sbagliasse, naturale, ma il suo istinto di lupo e il fatto che fosse davvero ossessionato da lei giocavano a suo favore percependo anche il minimo segnale.
E non si sbagliava.
Quella volta però istinto e ossessione non lo aiutarono: Lupin dormiva steso sul letto, le coperte tirate fin sopra il naso, scosso da tremiti tanto forti che pure le molle del letto scricchiolavano.
Sembrava che quella ragazza avesse la capacità di coglierlo sempre impreparato: il licantropo si era già abbandonato alle carezze della mano tra i suoi capelli prima di capire chi fosse a coccolarlo.
Hermione però era maledettamente furba, e Remus particolarmente debole.
Prima che potesse anche solo provare a scostarsi da lei un secondo bacio lo raggiunse.
Un bacio molto meno delicato del primo: sembrava quasi che la ragazza chiedesse all’uomo di colmare un profondo vuoto dentro di lei.
Cosa che spaventò il professore dato che era esattamente quello che provava lui.
Ma la notte prima della luna piena porta sconsiglio: qualcosa dentro l’uomo spinse per uscire e mostrarsi alla ragazza.
Fu la cosa più naturale che esistesse nel mondo magico l’intrecciarsi delle lingue dei due che esploravano impavidi i palati l’uno dell’altro.
Ma per quanto quello fosse normale e meraviglioso, Remus fosse debole ed Hermione furba tutto finì.
Troppo in fretta secondo ambo le parti.
Troppo doloroso quel distacco, troppo… sbagliato.
Un alito caldo raggiunse l’orecchio del malato - Non riesco più a tenermelo dentro - rivelò Granger in un sussurro appena udibile - Ti amo, Remus.
Il suo nome, detto con reverenza da quella ragazza, gli provocò un brivido lungo la schiena ma riuscì comunque a mantenere il distacco.
Lentamente e con fatica si alzò dal letto portandosi alla distanza maggiore che potesse mettere tra sé e l’alunna permessa dalla scomoda posizione.
- Sono il tuo professore, Hermione - la rimproverò - e tale mi devi chiamare.
Di tutte le sciocchezze che avrebbe mai potuto dire quella fu in assoluto la più stupida.
Ma neppure nei suoi incubi più reconditi avrebbe prevedere quello che successe: lacrime perlate scivolarono sul viso della ragazza che di slancio si gettò sul letto abbracciando Lupin e posando il capo sul suo petto smunto.
Il primo istinto di Remus fu di abbracciarla e consolarla, da bravo amante, sussurrandole dolci parole all’orecchio mentre giacevano stretti l’uno all’altra con indosso solo la loro pelle.
Istinto di lupo.
Il secondo fu quello di prenderla per le spalle e scuoterla leggermente, porgerle un fazzolettino e liquidarla con un sorriso e due parole di conforto.
Istinto di Remus J. Lupin.
Il licantropo prese con delicatezza l’alunna per le spalle e la scosse leggermente sorridendole come solo un amante sa fare.
- Non mi allontanare, Remus. - lo supplicò lei umiliandosi più di quanto concesso ad una fiera ed intelligente Grifondoro come lei.
Ma lui non poteva sentirsi colpevole, non poteva provare rimorso, non poteva permettersi di amarla.
- Ti ricordo, per l’ultima volta che sono un tuo professore. - rispose con tono più seccato di quello che avrebbe voluto avere - In più è tardi, e dovresti già essere in dormitorio… con tutto quello che è successo in questo periodo, non è prudente uscire...
Nell’occhiata che gli lanciò la ragazza erano spariti amore e devozione lasciando il posto solo a tristezza, dispiacere e disprezzo.
Ricompostasi con difficoltà Hermione si alzò dal letto avvicinandosi alla porta, la mano sul pomello, ma non la aprì.
Voltò di poco il viso verso il professore così da osservarlo con la coda dell’occhio - Scusi, professore. - sussurrò calcando sull’ultima parola - Ma ha scordato di dire che lei è un lupo mannaro ed io un umana, per quanto lo reputi assurdo, è la differenza che dovrebbe darle maggior pensiero, non trova?
Il gelo scese sull’uomo che portò istintivamente le braccia al petto come a nascondersi da quella verità.
Mentre l’alunna usciva dalla stanza con un mesto sorriso sul volto il professore si accasciò sul suo letto tremante.
La notte successiva non l’avrebbe passata per niente bene, proprio no…
Era frustante.
Sì, essere ricattato da una quattordicenne, non una quattordicenne qualsiasi, ma la quattordicenne che lui amava svisceratamente era frustrante.
E in più Remus era malato.
Veramente malato per aver insistito a ripetere il numero degli anni della ragazza. O forse era stato un modo inconscio della sua mente per ricordargli la differenza, l’errore per quello che provava.
Si addormentò tormentato da quei pensieri mentre gustava segretamente il sapore di Hermione che portava ancora impresso sulle labbra.
Lo avvolse un sonno tranquillo come una tempesta subita in pieno oceano pacifico su una zattera mal costruita.
Mai fu più dolce il risveglio.
Per la prima volta Lupin fu felice di sentirsi scrollare con malagrazia da Piton e sentirsi ficcare tra le mani un calice fumante.
Intontito e assonnato impiegò una decina di secondi per capire cosa contenesse la coppa.
Vedendolo confuso e stupito Severus prese la parola - Ti sei dimenticato di venire a prenderti la pozione, Lupin. - lo rimproverò apertamente lanciandogli uno sguardo disgustato.
- Che ora è? - chiese Remus trangugiando quell’amara pozione con una smorfia.
Il collega si prese un po’ di tempo per rispondere - Quasi le undici.
Gli occhi ambrati si aprirono in un’espressione incredula - Ho dormito dodici ore? - si chiese stringendo le coperte con la mano libera.
- No. - lo contraddisse il collega - Sono le undici di sera, hai dormito sulle ventiquattro ore. Avresti dovuto ascoltare Silente e non fare di testa tua.
- Dovevo aiutare a sorvegliare la scuola. - rispose Lupin punto sul vivo.
Un sorriso sarcastico si allargò sul viso di Piton - Ti darei ragione se tu non avessi perso il sonno due giorni prima della luna piena. Ma forse è un bene, sarà più facile eliminarti nel caso ti aggirassi per la scuola.
“Tipico di Severus” pensò Remus “Vedere il lato positivo: stanco sono un licantropo meno pericoloso e più facile da uccidere. Mi chiedo perché non abbia già provato ad uccidermi con questa pozione, sarebbe facilissimo discolparsi…”
Infastidito da quel sorriso il licantropo restituì il calice al pozionista mormorando non molto convinto - Grazie di tutto, Severus.
Piton non era tipo da farsi liquidare così, ma stranamente sì voltò senza protestare ed uscì dalla stanza.
Lupin sospirò e si alzò per prepararsi alla trasformazione.
Solo quando fu in piedi notò il rigonfiamento ai pantaloni capendo immediatamente l’espressione del collega.
Chiedendosi mentalmente se avesse sognato di nuovo Hermione tutta la notte si avviò al bagno…
Dolore, tanto dolore.
Calore, quasi stesse bruciando.
Terrore, cosciente di ciò che succedeva.
E un’altra luna piena aveva finalmente compiuto il suo dovere trasformando il pacato Remus in un Lupo Mannaro reso innocuo solo dalla pozione.
Il licantropo si accucciò in un cantuccio della stanza ad attendere che arrivasse l’alba a riportarlo via con sé.
La lunga attesa nella notte era semplicemente insopportabile.
Dover restare immobile, rannicchiato in quel angolino, non era la cosa che il licantropo anelava a fare. Lui voleva correre per i prati e per i boschi, ululare alla luna e giocare al cacciatore con il topo, il cervo e il cane.
Ma non era possibile.
Il Lupo Mannaro soffriva tantissimo a sentire la coscienza di Remus contrapporsi alla sua, potenziata da quella pozione terribilmente disgustosa che lo narcotizzava rendendolo inutile.
Ma quella sera Lupin era più debole, e il licantropo lo sentiva.
Sarebbe riuscito a sopraffarlo, lo sentiva nell’aria, e la luna lo chiamava… sì, l’avrebbe sopraffatto perché l’uomo soffriva mentre la bestia scalpitava di energie.
Probabilmente la pozione non aveva ancora fatto effetto: solitamente Lupin la prendeva almeno cinque ore prima del sorgere della luna.
Questo avrebbe permesso al licantropo d’avere almeno altre tre o quattro ore di libertà, bastava non allarmare quell'infido uomo che, probabilmente, si sarebbe opposto permettendo alla pozione di fare effetto.
Il Lupo Mannaro sapeva che doveva procedere lentamente… e per quanto scalpitasse per correre libero in quel luogo pieno di ottime prede non aveva perso la testa: con pazienza iniziò a tormentarsi l’interno del palato mordicchiandolo con i denti aguzzi riempiendosi la bocca con il sapore del suo sangue.
Che dolcezza, che gusto inebriante!
Fu uno sforzo immane quello di resistere a staccarsi la propria lingua a morsi per poter gustare quella dolcezza squisita.
Così, mostrando un controllo degno dello stesso Remus, cercò d’abituarlo a quel sadico piacere senza allarmarlo. Un lavoro duro, del tutto contrario alla sua natura.
Ci mancò poco che si mettesse ad ululare alla luna rovinando così tutti i suoi sforzi.
Ma per fortuna, o sfortuna, era stato distratto dal cigolare della porta.
Alzò il muso in uno scatto degno di un gatto, pronto a percepire ogni singolo odore.
Gli arrivò profumo di fiori di campo, semplice e delicato, che gli fece storcere il naso in una smorfia disgustata e aguzzare gli occhi ambrati nel buio alla ricerca di colei che portava quella puzza con sé.
L’ignara vittima si tradì illuminando la punta della bacchetta che segnalò al cacciatore la sua preda.
Gli occhi color dell’oro brillarono alla piccola luce rivelando la posizione del mannaro.
Ma la preda non scappò.
Inaspettatamente essa gli si avvicinò, piccoli passi che dovevano costarle molta fatica e forza di volontà.
Il licantropo rimase immobile per scoprire le intenzioni di quel cibo dal cattivo odore, pronto a saltargli alla gola per mangiarselo.
Ed ecco che una mano gli si posò sulla pelliccia facendogli una piccola carezza tremula.
Mentre un ghigno gli deformava il viso lupesco la mascella fece uno schiocco: doveva sbrigarsi a mangiarsela o la pozione l’avrebbe reso del tutto inerte.
Che fastidio era avere il tempo calcolato!
Ma da bravo cacciatore avrebbe atteso il momento giusto.
Appena la mano scese ancora sulla pelliccia il mannaro fece uno scatto della testa snudando le zanne pronto ad affondarle nel tenero collo della vittima.
Per quanto i suoi movimenti fossero intorpiditi e resi al minimo il terrore della preda aveva giocato a suo favore avvantaggiandolo.
I denti sfiorarono il loro obiettivo mentre gli occhi del cacciatore e del cacciato s'incrociarono.
Hermione.
Mai in trent’anni il licantropo sentì così forte la coscienza di Remus.
Per un secondo ebbe paura che si liberasse di lui in qualche modo, che spezzasse la maledizione che lo incatenava, poi lo sentì placarsi.
Rabbioso il mannaro si sottomise alla pozione che lo sfinì definitivamente.
Aveva di nuovo vinto e lui sarebbe solo dovuto restare lì a guardare.
Così passò quell’insulsa notte, priva di caccia e piaceri, a farsi coccolare come un lurido cane da quella ragazzina dal pessimo odore di fiori.
Che serata orribile.

Sirius smise di leggere.
Remus alzò lo sguardo dalle sue mani per fissare l’amico negli occhi.
- Perché non me lo hai mai detto? - chiese Black con tono serio.
Il licantropo si passò una mano tra i capelli sbuffando - Da quando sei il mio confidente, Felpato? - ribattè sarcastico.
Era innaturale tutto quell’interesse da parte dell’Animago per la sua vita sentimentale.
Per tutti gli anni prima della sua prigionia non gli era mai importato se avesse o no la ragazza, se fosse innamorato, perché quel cambiamento?
Il fruscio delle pagine che girano riempì l’ambiente.
- Sono un tuo amico, pensavo ti fidassi. - disse piano, in tono offeso.
Quelle parole colpirono Remus come un pugno nello stomaco, stava per rispondergli qualcosa di immensamente sentimentale e melenso quando l’altro ruppe l’incanto continuando la sua lettura.
- Non mi ero mai svegliato felice, ma grazie a lei questo è successo. Sai, Lunastorta? Sei troppo sentimentale, nemmeno te l’avesse data!

Quando la mattina seguente alla luna piena Lupin si svegliò si trovò tutto indolenzito per l’aver dormito sul pavimento, e quando fece per alzarsi si trovò impacciato da qualcosa che teneva tra le braccia.
Riuscì a scostarsi abbastanza da vedere che cosa teneva abbracciato a sé con così tanta cura, quasi temesse di perderlo.
Hermione.
Il suo cuore mancò un battito costatando che teneva al petto la sua alunna profondamente addormentata.
Cosa doveva fare?
Di certo non poteva lasciarla lì sul pavimento.
In meno di un secondo decise che la cosa migliore era portarla sul letto, poi l’avrebbe fatta dormire con comodo: aveva la sensazione che quella ragazzina testarda l’avesse vegliato per tutta la notte.
Fu più complicato del previsto accomodarla sul grande letto a baldacchino vincendo la spossatezza, ma quando ci riuscì fu finalmente felice di lasciare il respiro.
Osservarla addormentata sul suo letto gli fece uno strano effetto: da una parte ne era felice, dall’altra aveva paura.
Non poteva trattenersi dal pensare di poterla vedere così ogni giorno, con l’unica differenza nell’abbigliamento che, nei suoi piani, non avrebbe dovuto assolutamente esserci.
Ma pensarlo gli faceva male sapendo che era impossibile succedesse.
Un altro sospiro e si voltò verso l’armadio; era necessario che si mettesse qualcosa addosso prima che lei si svegliasse o qualcuno avesse la malaugurata idea di entrare.
Giusto il tempo di mettersi i boxer che la voce dell’amata lo chiamò - Remus?
Indeciso se voltarsi o no, il professore optò per il mugugnare un sì come risposta, mentre prendeva un paio di pantaloni e se li infilava il più velocemente possibile.
Si trovò due braccia morbidissime a circondargli la vita mentre le mani andavano ad accarezzargli le cicatrici.
Una sua mano enorme si posò su quella di lei.
- Hermione, no. - non un ordine, ma una semplice richiesta.
Lei si scostò osservandolo mentre si infilava una camicia abbottonandola con cura, i suoi occhi non si staccarono neppure un secondo da quello che faceva l’uomo.
Quando Remus fu presentabile si voltò ad affrontarla.
- Avrei potuto ucciderti, lo sai vero? - fu la prima cosa che le chiese in un tono severo misto ad apprensione.
Per lui era fondamentale che lei capisse e sapesse.
Hermione annuì piano - L’ho visto. - confermò - Il lupo voleva mordermi, ma ho visto anche i tuoi occhi quando mi hai riconosciuta. - continuò con tono più sicuro - Ho visto il tuo sguardo e non posso essermi sbagliata! Tu provi qualcosa per me.
Silenzio.
Apprensione.
Silenzio.
- Ti amo. - ammise semplicemente il licantropo in tono sconsolato distogliendo lo sguardo mentre pronunciava la sua condanna.
Contro ogni sua previsione la ragazza non l’aveva abbracciato con trasporto dopo aver sentito di essere ricambiata e così Lupin si costrinse a guardarla.
Delle lacrime stavano scendendo sul suo viso perfetto.
Due lacrime che gli lacerarono il cuore.
Fece l’unica cosa sensata: ridusse la distanza tra loro con due grandi passi.
Con delicatezza le asciugò le lacrime sorridendole amorevolmente.
- Non piangere mai, Hermione.
Lei non chiese perché.
Non fece domande, né lui le fece a lei.
Si unirono in un bacio e tutto fu meraviglioso, sbagliato, ma splendido.

- Qui hai smesso di scrivere e poi quando riprendi chiedi scusa per il tanto tempo passato. - raccontò Sirius all’amico che lo ascoltava appena - Lo sai che è patetico, vero?
Gli occhi ambrati si accesero di fiamme infuocate - Ora che mi hai umiliato abbastanza mi restituisci il diario? - pretese Remus porgendo nuovamente la mano nella vana speranza che l’amico glielo restituisse.
Black fece un cenno di diniego - Ti leggo l’ultimo passaggio. - annunciò solenne - Credo di star passando il momento migliore della mia vita. Nemmeno con James, Peter e Sirius mi sono mai trovato così bene. Mi basta un bacio e nulla più, abbiamo deciso di aspettare. In fin dei conti è ancora una ragazzina. Devi essere un santo, Lunastorta, nessuno avrebbe mai aspettato. - lo rimproverò - Non ti ho proprio insegnato niente nei lunghi anni di convivenza?

I mesi con lei trascorrevano veloci e più sereni.
Le lune piene con lei sembravano quasi romantiche.
La vita sembrava splendida quando incrociava i suoi occhi.
E il tutto era stato reso più eccitante dalla segretezza che i due dovevano mantenere in ogni momento, perché era in ballo molto di più di uno scandalo: sarebbe stato il loro amore a rimetterci.
Remus ricordava come se fosse stato il giorno prima quando la sua Hermione si era gettata allo sbaraglio nell’inseguire Sirius Black nella Stamberga Strillante.
Quella notte aveva temuto che il cuore gli si fermasse.
Come scordarsi d’averla praticamente tradita sotto i suoi occhi?
Riusciva ancora a vedere il suo viso scandalizzato e arrabbiato, la sua voce che balbettava accuse e lui che provava a spiegarle.
La cosa più difficile era stata fingere di non esserle stata vicino per tutto il tempo, mentre per lei era stato veramente facile cancellare quei momenti davanti al tradimento lampante.
E sentir pronunciare con quel tono astioso la sua perfida maledizione…
- È un Lupo Mannaro!
Dopo quella frase fu più facile fingere ed ingoiarsi i propri sentimenti per quanto facesse male.
Prima d’allora non gli era mai passato per la testa di chiederle come avesse fatto a scoprire che lui era un licantropo e proprio in quel momento la curiosità aveva preso il sopravvento.
Strano come certe cose ti vengano in mente nei momenti più impensabili.
A ricordarlo successivamente, poteva davvero sembrare che tra loro non ci fosse stato nulla più di un rapporto professionale.
Ma ancor più doloroso di quello fu osservarla mentre spiegava la sua, la loro storia.
Lo guardava come se fosse stato un pazzo furioso… forse lo era anche.
Eppure, alla fine, tutto si era aggiustato. Sempre se si escludeva il suo tentativo di uccidere tutti sotto forma di licantropo, ovviamente.
E se n'era andato.
Via, sparito.
L’ultimo addio: un bacio a fior di labbra.
Piccolo, dolce e delicato, perché altrimenti non se ne sarebbe andato mai.
Poi il nulla.
Un intero anno senza vederla fu la terapia più dolorosa che provò per guarirsi dalla sua ossessione, ma non funzionò.
Come poteva mai funzionare?
Come poteva la sola lontananza lenire i sentimenti che provava?
Voleva conservare nel suo cuore quegli attimi infiniti.
A nulla serviva dirsi che lei probabilmente l’aveva già dimenticato.
Ma lui li voleva con sé, per sempre.
Soffriva.
Si tormentava.
Soffriva.
Si odiava per averla lasciata, ma riteneva d’aver fatto la scelta giusta.
L’unica scelta possibile.
Quella corretta.
E poi, subito dopo il quarto anno della ragazza si erano trovati a vivere nella stessa casa sempre che lui non fosse in missione.
Ricordava con emozione quella notte in cui la sua porta si aprì silenziosa e le coperte si scostarono dal suo corpo per poi avvolgere Remus ed Hermione.
- Ti amo, sempre. - aveva sussurrato la ragazza all’uomo.
Lupin non aspettava altro per stringerla a sé donandole un bacio.
- Credevo avessi dimenticato. - fu la sua risposta.
- Mai. - disse decisa Granger stringendosi un po’ di più all’amante.

Sirius chiuse il diario con uno scatto deciso, si alzò dalla poltrona e lo mise tra le mani di Remus.
- Sei un idiota, non hai capito niente. - gli disse il moro voltandogli le spalle per dirigersi alla porta.
Lupin si alzò dal puffo facendo cadere il libretto con un tonfo ovattato dal tappeto.
- Avanti, professore, spiegamelo tu! - lo aggredì provocante.
Il suo limite di sopportazione era stato superato e il comportamento saccente di Sirius era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
L’Animago si girò verso il licantropo e lo squadrò.
- Tu le piaci, lei ti piace. Questo è l’importante. A nessuno interessa che sia più piccola di te. Ninfadora è una donna in gamba, se ha scelto te è perché ti ama.
Ninfadora?
Sembrava che il cuore del licantropo avesse messo le ali e preso il volo.
Ninfadora?
Remus sarebbe scoppiato in una risata liberatoria prendendo in giro l’amico per la sua brillante deduzione, se solo così non avesse compromesso tutto.
Sirius non aveva capito nulla, niente di niente. Complici la mancanza di date, di nomi, di riferimenti specifici.
Dopo l’ultima umiliazione Lupin aveva preferito la semplicità lineare, cosicché solo lui capisse di chi o cosa stesse parlando.
Scambiare la sua Hermione per Ninfadora era un insulto, vero, ma aveva avuto un suo vantaggio.
Hermione era salva, solo questo contava.
Per questo Lupin rimase serio e concentrato e così, senza attendere alcuna risposta, Black se ne andò, convinto d’aver sbloccato la situazione.
La porta si chiuse sotto gli occhi attenti del licantropo che finalmente poté lasciarsi andare alla sensazione di leggerezza che provava.
Infatti, svuotato d’energie e pensieri, Remus si lasciò cadere sulla poltrona portandosi le mani alle tempie per massaggiarsele mentre un sorriso malandrino non sembrava intenzionato cancellarsi dal suo viso.
Ma lui doveva riflettere, doveva pensare.
Tutto sembrava succedere così velocemente, e Lupin era sicuro ci fosse qualcosa che non andava.
Non riusciva a capire perché Sirius avesse pensato a Ninfadora. Aveva forse fatto qualcosa che aveva lasciato intendere un suo interessamento verso la giovane donna?
Eppure a lui era sembrato di trattarla come tutti gli altri.
Forse lo aveva detto per via del diario? No. No, Sirius aveva cercato il diario perché convinto d’avere una prova per dimostrare la sua tesi.
Ma allora perché?
Perché lui avrebbe dovuto interessarsi ad una donna dai capelli viola elettrico o rosa cicca invece di quelli castani della sua Hermione?
Certo, era sempre gentile e sorridente con Ninfadora, ma lo era anche con Molly, Hestia o Emmeline. Dove aveva visto attrazione?
Che forse avesse frainteso le loro “sedute” in biblioteca o il suo cercare d’aiutarla in qualsiasi modo? Forse faceva male a difenderla e a non badare alla sua goffaggine?
Poi un dubbio si fece pesante sul suo cuore: che anche Hermione la pensasse così?
Due morbide braccia gli strinsero piano il collo e tenere labbra gli schioccarono un bacio sulla guancia interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
- Hermione. - disse il licantropo soprappensiero.
Non l’aveva sentita entrare per colpa del rumore dei suoi pensieri, ma non si era spaventato. Lupin sapeva sempre quando la sua amata stava per arrivare o gli era accanto.
L’istinto di lupo non poteva essere ingannato anche se sopravviveva ad un livello subconscio.
La ragazza sorrise sul suo collo e poi, per tutta risposta, gli sedette sulle gambe cingendolo con le braccia e posando il capo sul suo petto.
La sentiva abbandonata tra le sue braccia, completamente rilassata.
Tutta quella fiducia lo fece tentennare.
Che cosa fare?
Aveva un solo punto certo: doveva salvarla.
Inconsciamente aveva spianato la strada a quel momento. Visto che se n'era accorto Sirius, probabilmente lo avevano visto anche tutti gli altri.
Quella era la via, quella e basta.
- Hermione - ripeté - ti lascio.
Semplice, chiaro, conciso.
La sentì irrigidirsi tra le sue braccia. Tutta la dolcezza e la fiducia erano sparite con quelle due semplici parole.
Quanto era semplice spazzare via la felicità di due persone!
La ragazza però non accennava a spostarsi, nonostante fosse tesa come una corda di cuore di drago attendeva.
Lui sapeva cosa, esattamente quello che avrebbe atteso lui in quella medesima situazione.
Le doveva una spiegazione.
Così gli venne l’idea; un'idea malvagia ed egoistica, ma esattamente quella giusta.
- Mi sono innamorato di Ninfadora. - mentì spudoratamente - Mi spiace, bambina.
Lo sdegno per essere stata chiamata così la fece saltare in piedi.
Guardava Remus con occhi fiammeggianti.
Poi parlò - Fortuna che era la mia a dover essere un’infatuazione! - disse maligna, con il solo intento di ferirlo nel profondo del cuore.
Intento che le riuscì alla perfezione.
Ma Lupin la capiva.
Soffriva, ma capiva perfettamente d’essere stato lui a spingerla a dire ciò.
Era stata tradita nel profondo, ma era meglio così.
Lo faceva per lei.
Lo faceva per amore suo.
Per amore sfruttava al meglio quella situazione.
Il licantropo aveva distolto lo sguardo per non vedere il viso dell’amata.
Era improbabile che trovasse segni di lacrime, ma sarebbe bastato una sola scia lucente per farlo crollare.
Così Remus non si accorse che Hermione l’aveva lasciato finché non sentì la porta sbattere dietro di sé.
Cos’aveva ottenuto? Nulla.
Doveva solo sacrificarsi, morire ogni volta in cui avrebbe incrociato il suo sguardo, rinascere ascoltando la sua voce, morire di nuovo sapendo che avrebbe rivolto parole d’amore ad un altro per poi lenire la solitudine illudendo un’altra donna.
Sì, perché sarebbe andato da Ninfadora, lo sapeva.
Hermione non si sarebbe fatta ingannare a lungo, e lui doveva rendere il più concreto possibile il sospetto di Sirius.
La Metamorfomaga non avrebbe fatto problemi, l’importante era non far sembrare il tutto troppo facile e affrettato o si sarebbe insospettita.
Non che la cosa si prospettasse difficile: era un bravo attore e poi nei suoi pensieri ci sarebbe sempre stata Hermione.
Non si sarebbe liberato così facilmente di quei ricordi.
Chissà se avrebbe ricordato il sapore delle labbra della ragazza quando avrebbe baciato Ninfadora? Forse… forse l’avrebbe convinta a portare, almeno una volta ogni tanto, i capelli crespi e castani?
Ma così si sarebbe fatto solo male e l’avrebbe insospettita.
Gli sembrava quasi di star programmando uno dei soliti piani per i malandrini.
Sospirò.
La vita era ingiusta, ma l’aveva scelta lui.
Non poteva essere sempre felice, ma se soffrendo lui avesse reso felici tre persone allora poteva soffrire.
Soffrire sapendo che Hermione avrebbe ritrovato la felicità, una felicità che era degna d’avere, che solo lei meritava di vivere.
- Addio, amore mio. - sussurrò il licantropo all’unica che avrebbe mai potuto realmente amare.
   
 
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