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Autore: B e l l e    07/11/2014    11 recensioni
Vanessa, dopo una vita passata sugli spalti dell'Olimpico, decide di non metterci più piede. Dopo tre anni è costretta a tornarci e, in un pomeriggio di settembre, il suo cuore si riempirà di emozioni vecchie e nuove. Vanessa ricomincerà a vivere.
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4° classificata al contest "La vita è una rete di piccoli, invisibili appuntamenti" sul forum di EFP
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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SUGLI SPALTI DI UNA VITA

 

Quello stupido ragazzino!
Vanessa era fuori di sé dalla rabbia e, anche se non lo avrebbe ammesso apertamente, dalla preoccupazione. Se avesse avuto voce in capitolo, suo fratello non sarebbe neanche uscito di casa in una giornata come quella. Ma no, figuriamoci! Il moccioso aveva compiuto diciotto anni e credeva di poter fare tutto ciò che voleva, credeva di poter conquistare il mondo intero. Peccato, però, che durante la scalata verso il successo, avesse lasciato il cervello ben nascosto sotto il letto di camera propria e il cellulare sul tavolo di cucina.
Inutile nasconderlo, la telefonata di Antonio l'aveva lasciata completamente immersa nel panico.
Era derby nella capitale. Quella domenica l'attenzione di ogni tifoso, più o meno sfegatato, era sul campo dello stadio Olimpico, sul televisore in salotto, sulla radiolina in macchina o in ufficio...
Ma Lazio-Roma non era solo questo. L'odio tra le due tifoserie era qualcosa di così forte che quasi non si poteva spiegare. L'aria di derby si respirava già una settimana prima, nella capitale – anche se la fiamma non si spengeva mai. Vanessa lo sapeva bene: era cresciuta in una famiglia di tifosi accaniti, lei stessa lo era. Sapeva perfettamente cosa voleva dire vincere o perdere un derby. Non solo in campo, anche sugli spalti. Sapeva cosa voleva dire 'guerriglia urbana', 'lacrimogeni negli occhi', 'manganelli contro le aste delle bandiere'. Aveva visto sciarpe prendere fuoco, risse a mani nude, sassi lanciati a caso contro la nebbia provocata dai fumogeni. In realtà, Vanessa non aveva solo visto...
Scosse la testa, non ci voleva pensare. Avrebbe raggiunto Antonio e lo avrebbe costretto ad andare a cercare suo fratello. Quel ragazzino non si rendeva conto, non capiva. D'altronde, lui non aveva vissuto ciò che aveva vissuto lei.
Vanessa si infilò instintivamente la felpa con il bavero rialzato, prese chiavi e cellulare ed uscì di casa, diretta allo stadio.
Fortunatamente, abitata vicino all'Olimpico, così in quindici minuti di camminata veloce, mossa dalla preoccupazione, arrivò davanti alla struttura. Tifosi di ogni età arrivavano da ogni parte, schiere di poliziotti armati di scudi e manganelli controllavano tutta l'area, cori di diversa natura echeggiavano da entrambe le curve.
Vanessa si guardò intorno, doveva trovare il suo amico che lavorava come steward all'ingresso della Tribuna Tevere. Si avvicinò ai cancelli, scrutando ogni ragazzo con il gilet giallo fotonico e, presto, individuò Antonio, intento a controllare il biglietto di un tifoso.
Quando lui alzò gli occhi, le fece cenno di spostarsi verso l'ultimo cancellino, quello chiuso, e lei si attaccò alle sbarre.
"Ciao Vané!" la salutò Antonio, sorridendo. "Che fai qua? Sei venuta a vedé er derby?"
"Mi telefoni dicendo che mio fratello è ubriaco fradicio e fa casino con gli amici suoi e hai anche il coraggio di chiedermi che faccio qua?" gli rispose Vanessa, con gli occhi blu che si facevano sempre più lucidi puntati su di lui.
"Dai Vané," esclamò lui, allargando il sorriso "t'ho chiamato più che altro per dirti che a tuo fratello è caduta la sciarpa. Non è la sciarpa che portava sempre Andrea, questa?" le porse il prezioso vessillo. La vecchia sciarpa di Andrea. Del suo Andrea. Il moccioso l'aveva rubata da camera sua. Ah, quando lo avrebbe preso, quante gliene avrebbe dette. Brutto bastardo, come osava prendere la sciarpa del suo ragazzo? E come aveva potuto lasciarla cadere così?
"Comunque, bastava che je facevi no squillo e je dicevi de dasse na regolata. Non è stupido Francesco!" concluse Antonio.
"Oh, e invece è proprio uno stupido. Ha lasciato il cellulare a casa. Perché non l'hai bloccato, eh Antò?" lo rimproverò lei.
"Te preoccupi troppo, Vané! Tu fratello aveva il biglietto, mica potevo dije 'no te nun entri'!"
Vanessa sbuffò.
"Senti," continuò lui "non sta a succede niente oggi, capito? Non ce so stati scontri rilevanti finora..."
"Rilevanti? RILEVANTI?" lo interruppe lei, alterandosi.
"Daje su, lo sai mejo de me che vor dì!" la zittì lui. "Se sei così tanto preoccupata, vai a cercarlo!" suggerì.
"Oh no, ci andrai tu!" ordinò lei. "Io non entro là dentro".
Antonio alzò un sopracciglio. "Non posso, lo sai. Sto a lavorà io!" rispose. "Vai dentro, lo cerchi, vedi che sta bene e, se proprio nun voi restà, te ne vai!" concluse.
Vanessa non voleva entrare. Erano tre anni che non ci metteva piede, né lì, né in nessun altro stadio. Però, non poteva neanche permettere che il moccioso rischiasse la vita. Suo padre e sua madre si erano raccomandati, prima di partire: doveva badare a lui, anche se ormai era maggiorenne.
"Non ho il biglietto!" protestò.
Antonio la guardò un attimo, poi scoppiò a ridere. "Come se ti fosse mai importato!" commentò ironico e le aprì il cancello. "Conosci la strada" aggiunse facendosi da parte.
Già, come se una volta entrata in curva, mio fratello apparisse davanti a me – pensò la ragazza. Fulminò Antonio e, senza aggiungere altro, si fece largo tra tifosi e polizia, eludendo la sorveglianza, e si infilò in un tornello, spintonando il ragazzo davanti a lei.
Si mise il cappuccio in testa e sgattaiolò su per le scale, fino agli spalti.
Si trovò di fronte ad una curva gremita: lo stadio Olimpico era pieno. Conosci la strada aveva detto Antonio. Certo, una strada ben indicata che non porta da nessuna parte. Come avrebbe fatto a trovare Francesco, in quel macello di gente? Come cercare un ago in un pagliaio.
Si guardò intorno: c'era davvero gente di tutte le età. Passò in rassegna più facce che poté, da lì dove si trovava, ma di suo fratello e del suo gruppetti di stupidi amici, nemmeno l'ombra.
Mancava poco al fischio d'inizio e, se non lo avesse trovato in quei minuti, sarebbe stato impossibile anche solo cercarlo, dopo, nel tumulto generale.
Si fece largo tra i tifosi, scendendo le scale, fin giù, nel centro del tifo, nella folla più accanita, fino ad arrivare alle vetrate. Suo fratello si sarebbe trovato, sicuramente, lì in mezzo. A cosa serve andare allo stadio, altrimenti? – lo aveva sempre detto anche lei. Si diede della stupida. Se non avesse cresciuto suo fratello con la mentalità ultras, non si sarebbe trovata in quella situazione.
Alzò gli occhi e rimase di stucco. Seduto sopra il cancello di vetro che dava sul campo, insieme ad altri due uomini che si preparavano a far cantare l'intera curva, c'era la riproduzione fedele del David di Michelangelo, ma placcata oro: infatti, l'abbronzatura di quel corpo statuario era di un colore così bello che sembrava dorato. Il ragazzo portava un paio di jeans a vita molto bassa – si notava l'elastico dei boxer – scarpe da tennis bianche e una sciarpa al collo. Nessuna maglietta.
Vanessa ci mise qualche momento per riuscire a staccare gli occhi da quei pettorali scolpiti, ma alla fine alzò lo sguardo sul viso di lui. Non la guardava, era rivolto al campo, ma lei poteva vedere i lineamenti quasi perfetti anche dal profilo. Proprio come la famosa statua, aveva il naso con un accenno di gobba, per il resto era la perfezione. Lei non aveva mai visto un ragazzo così bello. I ricci biondi, spettinati dal vento, gli ricadevano sugli occhi che – notò, quando il ragazzo si voltò a parlare con l'amico – erano di un azzurro cristallino; aveva una bella bocca carnosa e uno sguardo da furbo che lo rendeva davvero interessante.
Vanessa si riscosse da quei pensieri. Non era lì per fantasticare sul capo ultrà, ma per cercare suo fratello e dargli una serie di sberle che si sarebbe ricordato per il resto della vita. Magari, da lassù lo avrebbe individuato.
"A regazzì, che c'hai da guardà tanto?" la interpellò proprio quel ragazzo, perché lei non gli aveva ancora tolto gli occhi di dosso.
Che coatto – pensò Vanessa. Tanto valeva rispondergli per le rime.
"Senti a David, famme un po' salì!"
Il ragazzo scoppiò a ridere a quella richiesta.
"Aoh, poche storie, t'ho detto de famme salì. Io conosco mezza curva, me ce vole n'attimo a fatte sparì!" lo minacciò lei, alterata da quell'atteggiamento. Chi era quel novellino che si atteggiava a capo ultrà? A suoi tempi c'era gente più seria.
"Hai sentito, Tommà? La ragazza vòle salì". L'uomo a cui il ragazzo statuario si era rivolto scese dalle cancellate e aiutò Vanessa a issarsi su. La ragazza, con facilità, si mise a cavalcioni davanti al David. Non lo degnò di uno sguardo e squadrò la curva. Si soffermò su ogni viso giovane maschile, ma non riuscì a scovare Francesco.
"Beh? Che vòi fa qua?" chiese il ragazzo, un po' interdetto.
"Sto cercando mio fratello" rispose lei, senza smettere di setacciare gli spalti con gli occhi.
"E pensi de trovallo? Nun lo vedi quanta gente che ce sta?" chiese di nuovo lui, divertito.
"Senti, fatte l'affari tua, vabbeh?!" rispose Vanessa, questa volta fissandolo negli occhi.
Il ragazzo rimase in silenzio per un attimo, guardandola: era bellissima e nei suoi occhi si poteva leggere tutta la sua determinazione. Il suo atteggiamento cambiò un po'.
"Comunque, nun me chiamo Davide. So Valerio, piacere" le porse la mano.
"Vanessa" rispose lei, stringendogli la mano controvoglia.
"Com'è che conosci mezza curva? O me stavi a pià per culo?" chiese Valerio, guardandola sospettoso.
Madonna, che coatto – pensò di nuovo lei, ma si ostinò a rispondergli a tono.
"Conosco l'ambiente perché l'ho frequentato pe quasi vent'anni".
"Io nun t'ho mai vista!" ribatté lui.
"Manco da tre anni e ora non dovrei neanche essere qui. Me so imbucata pe cercà mi fratello" rispose lei seccata.
"Imbucata? AOH C'AVEMO N'IMBUCATA QUA!" gridò il ragazzo ridacchiando.
"Ma che te sei impazzito?" lo rimproverò Vanessa. "Devo trovà mi fratello. Invece de fa er cojone, perché nun me dai na mano?"
"A chicca, ndo lo voi trovà? Na curva ar derby è il posto ideale per nascondersi. Nun lo troverai mai. Daje rilassati. Te faccio vedé la partita da qua sopra, 'n sei contenta?"
"Tu... me faresti vedé la partita da qua sopra? Tesò, nun c'ho bisogno de te, sai?".
Il derby ebbe inizio e, a quel punto, cercare Francesco sarebbe stato inutile. Probabilmente aveva ragione quel bel fusto che aveva davanti: era fin troppo facile sparire dentro uno stadio pieno di gente, come avrebbe potuto trovarlo? Ormai si era imbucata, avrebbe aspettato almeno la fine del primo tempo.
Dal basso, la voce di tale 'Tommà' richiamò la sua attenzione, ed ebbe giusto il tempo di guardare in basso, prima che un oggetto le volasse tra le mani. "Sparatelo!" aveva esclamato l'uomo.
Vanessa sapeva esattamente cos'era. Un fumogeno. Quanti ne aveva accesi insieme al suo Andrea, quante partite... quante trasferte... quante emozioni sugli spalti d'Italia. Loro due e la loro squadra.
Presa dall'entusiasmo della curva che cantava e dei ricordi che invadevano la sua mente, si mise ad armeggiare con il fumogeno per spararlo. Alzò lo sguardo su Valerio e notò che anche lui si stava preparando ad accenderne un altro.
"Dovresti lasciare spazio ai professionisti" commentò il David di Michelangelo, guardando il fumogeno tra le sue mani. Vanessa inarcò un sopracciglio, lanciò il fumogeno acceso sulla pista d'atletica che circondava il campo di gioco e incrociò le braccia. "Stavo per dire la stessa cosa" gli rispose, ironica.
Il ragazzo la guardò con ammirazione. Non se ne vedeva tante in giro, di donne che sapessero maneggiare certe cose o che amassero lo stadio. Quella ragazza doveva essere la sua anima gemella.
"Perché mancavi da tre anni?" le chiese.
"Non sono affari tuoi!" gli rispose lei.
"Daje 'n po'!" sbuffò Valerio. "Se fa pe parlà!" insisté.
Vanessa valutò la situazione e si disse che, in effetti, non c'era niente di male a fare due parole.
"Il mio ragazzo è morto dopo una partita. Negli scontri con la polizia..." abbassò gli occhi, che si stavano riempiendo di lacrime. Strinse la sciarpa che suo fratello aveva incautamente lasciato cadere fuori dallo stadio "Questa era sua" concluse.
Valerio la guardò e si rabbuiò per un momento. Anche lui aveva visto tanta gente rischiare di morire allo stadio. Era l'altra terribile faccia della medaglia: da una parte, le risse lo facevano sentire vivo, dall'altra, c'era il rischio di perdere persone care o, peggio ancora, se stessi. Vanessa lo sapeva bene. Vanessa era presente, quando Andrea morì. Vanessa aveva giurato che non avrebbe mai più preso parte ad una cosa che, a quel punto, le sembrava così priva di senso, così orribile. Vanessa non avrebbe mai più partecipato ad uno scontro. Pensava che non sarebbe neanche più entrata in uno stadio, ma le circostanze l'avevano portata proprio lì, durante la partita più bella e più pericolosa del calcio italiano, probabilmente, proprio per evitare che suo fratello facesse la stessa fine di Andrea.
Una lacrima le rigò il viso, ma Valerio prontamente gliela asciugò con una carezza.
"Me dispiace, piccola!"
Nonostante il forte accento romano, con quel sorriso sincero e quel gesto consolatore, il ragazzo non sembrava più tanto coatto.
Durante il resto della partita, Valerio riuscì a farla divertire come non faceva da anni, a farla ridere come non era più riuscita a fare senza il suo ragazzo. Per quei novanta minuti, quasi si scordò di suo fratello e del proprio astio verso lo stadio. Quando la sua squadra segnò, a pochi minuti dalla fine, i due ragazzi si abbracciarono e quasi caddero dalle vetrate, dritti in campo.
Vincere il derby era una gioia così grande che, sommata al turbinio di emozioni che l'avevano stravolta quel pomeriggio d'inizio autunno, le fece sgorgare dagli occhi blu una fitta cascata di lacrime. Non sapeva più nemmeno lei se associarle alla gioia, al dolore, alla preoccupazione, alla rabbia. Sapeva solo che quello era uno sfogo necessario: se fosse per l'adrenalina della partita o per altro, non aveva più importanza.
"Aoh, sei bella come un goal al novantesimo, sotto la curva avversaria" esclamò Valerio tenendola stretta e le sfiorò le labbra con le proprie, sul fischio finale dell'arbitro. Vanessa ricambiò quel leggero bacio che piano piano si trasformò in qualcosa di più profondo, mentre la curva esplodeva di gioia per la vittoria.
Rimasero abbracciati ad aspettare che gli spalti si svuotassero un po', poi scesero e si diressero all'uscita.
"Francesco! Devo trovare Francesco. Quel moccioso non la passerà liscia!" esclamò Vanessa, tornata in sé e ricordatasi di suo fratello.
Valerio le mise un braccio intorno alle spalle. Non voleva lasciarla andare via: aveva trovato la sua anima gemella, ne era sicuro. Certo a volte il destino... quella ragazza si era imbucata per cercare il fratello e lui aveva avuto la fortuna di incontrarla. No, non l'avrebbe lasciata andare.
"Viè a prende 'na birra con me, vedrai che tu fratello torna a casa per primo" suggerì speranzoso.
"No Valè, lo devo trovare".
"La partita è finita, la gente se ne sta andando a casa... come non lo hai trovato finora, non lo troverai adesso. È il momento giusto per arrendersi e per venire con me. Poi, se quando arrivi a casa nun ce sta, te porto a cercallo pure tutta la notte, promesso!" concluse Valerio.
Vanessa sospirò; probabilmente, come diceva lui, era tempo di arrendersi. Non solo a proposito della ricerca di suo fratello. Era tempo di arrendersi al fatto che Andrea non sarebbe tornato mai più e lei doveva ricominciare a vivere. D'altronde, una birra cosa poteva farle? Quel ragazzo non le aveva mica chiesto di fare l'amore. Anche se...
Vanessa scosse la testa. Non voleva ammettere quanto quel ragazzo le piacesse e quanto quel bacio le avesse scosso l'anima.
"Va bene" gli rispose sorridendo.

 

 

17 anni dopo

"David!" gridò Vanessa. "David, amore, sei pronto? Papà ci sta aspettando in macchina. Lo sai che al derby vuole arrivare presto, su!"
Un ragazzino di tredici anni, con i riccioli biondi e gli occhioni blu, corse verso sua madre, la sciarpa che era appartenuta ad Andrea al collo e un'enorme bandiera in mano.
Salirono in macchina e Vanessa stampò un bacio sulle labbra di Valerio. "Possiamo andare".
Mentre la macchina sfrecciava sulla Flaminia, diretta allo stadio Olimpico, l'uomo alla guida sorrise a sua moglie.
"Tesoro, mi ricordi come mai abbiamo chiamato er pischello David?" sghignazzò.
Vanessa sbuffò, tra il divertito e l'esasperato. "Perché la prima volta che ti vidi, a torso nudo su quella vetrata, ti scambiai per il David di Michelangelo. Quante volte te lo vuoi sentir dire, eh Narciso?".
"È lo stesso giorno che zio Francesco aveva perso la mia sciarpa?" chiese David, dal sedile posteriore, sporgendosi in avanti verso i genitori.
"Sì, e tu madre nun voleva uscì con me, per cercare tu zio e menaje!" ribatté Valerio, ridacchiando allegramente e facendo sbellicare suo figlio, che adorava quella storia.
"Beh, ti ho sposato alla fine, no?" brontolò bonariamente Vanessa.
"Già, me devo ricordà de ringrazià tu fratello, amò!" concluse l'uomo, parcheggiando.
Lo stadio si stagliava imponente sullo sfondo, mentre i loro cuori acceleravano i battiti. Quel luogo aveva dato origine alla loro meravigliosa famiglia.





 

Nome Account Forum e EFP: B e l l e
Titolo: Sugli spalti di una vita
Prompt:

  1. La riproduzione fedele del David di Michelangelo, ma placcata oro.

  2. “Dovresti lasciare spazio ai professionisti” “Stavo per dire la stessa cosa”

  3. Una sciarpa

  4. L'imbucato

  5. Il posto ideale per nascondersi

  6. Quello giusto per arrendersi

Più un accenno di: Una strada ben indicata che non porta da nessuna parte.
Rating: giallo
Introduzione: Vanessa, dopo una vita passata sugli spalti dell'Olimpico, decide di non metterci più piede. Dopo tre anni è costretta a tornarci e, in un pomeriggio di settembre, il suo cuore si riempirà di emozioni vecchie e nuove. Vanessa ricomincerà a vivere.
Note dell'autrice: non è stato affatto facile scrivere questa storia, ma l'idea mi piaceva tanto e, anche se non sono soddisfatta al cento per cento, sono contenta di averla portata a termine. Ho preso alla lettera questa frase: "Romantico non vuol dire romanticume."
In quasi tutti i dialoghi ho utilizzato delle forme dialettali del romanesco. Spero si capisca tutto. Lo specifico perché non vorrei che fossero presi per errori.
Non ho VOLUTAMENTE fatto capire per quale squadra tifano i protagonisti per evitare polemiche.
L'immagine doveva essere un'altra, ma non l'ho più trovata, quindi per ora c'è questa.
Spero di aver detto tutto.

   
 
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