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Autore: _ayachan_    24/10/2008    30 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 13
Capitolo tredicesimo

Arroganza




E' solo un bacio.
Non può essere così difficile, giusto?



Temari non aveva preso affatto bene l'idea che Chiharu fosse responsabile del piano di fuga e non volesse condividerlo con lei.
Per tutta la sera aveva provato a estorcerle informazioni con le buone e con le cattive, ma invano: Chiharu si era trincerata prima dietro vaghe risposte, poi in un silenzio inespugnabile fatto di grugniti ed espressioni di esasperazione. Alla fine, chiudendo lo zaino per l'indomani con uno strattone violento, si era voltata e aveva posto fine alla questione con uno stolido: «ho diciotto anni e l'autorizzazione dell'Hokage. Vado a dormire altrove.»
E lo aveva fatto davvero, sfruttando senza vergogna la sua nuova maggiore età e ignorando pericolosamente le minacce di Temari. Era uscita dalla porta con lo zaino in spalla, senza scucire una parola, senza augurare la buonanotte né salutare prima della partenza, ed era trottata via. Aveva fatto una cosa imprudente, considerati i rischi a cui andava incontro l'indomani. Ma aveva diciotto anni, si sentiva invincibile e non pensava affatto alla possibilità che qualcosa nella missione andasse male.
Prima di andare a bussare alle stanze di Gaara per supplicarlo di darle un letto, decise che le serviva una boccata d'aria. Tenendo stretto lo zaino e facendo attenzione a non incrociare nessuno dietro le curve dei corridoi raggiunse le scale. Risalì fino all'ultimo piano, un'ala in evidente stato di abbandono dove la polvere si radunava negli angoli male illuminati, e da lì arrivò alla porta che dava sul tetto. La trovò socchiusa.
Immediatamente allertò tutti i suoi riflessi, lasciando scivolare lo zaino a terra. Sapeva che durante la notte tutti gli accessi al palazzo venivano chiusi dall'interno; dubitava che qualcuno avesse sbadatamente scordato la porta sul tetto.
Accucciatasi contro il muro, socchiuse leggermente la porta per sbirciare fuori. La terrazza sembrava deserta. Con un po' meno cautela si sporse per aumentare il campo visivo...
«Che stai facendo?»
Per la sorpresa Chiharu trasalì e picchiò la testa contro lo stipite, che risuonò con un tintinnio metallico. Imprecando e massaggiandosi la fronte vide la porta che veniva aperta e la faccia pallida di Hitoshi che la scrutava preoccupato.
«Sto bene» assicurò rialzandosi.
«Sicura?»
«Che cazzo ci fai qua fuori?»
Hitoshi alzò la mano che stringeva la sigaretta, scrollando contemporaneamente la cenere. «Il solito. Tu?»
Chiharu avvicinò lo zaino con un piede. «Scappo da mia madre.»
«Avete retto solo una notte?»
Chiharu scrollò le spalle e si chinò per raccogliere lo zaino. La metteva a disagio trovarsi di nuovo sola con Hitoshi. Non voleva parlare con lui. «Ho visto la porta aperta e ho pensato di controllare, ma se è tutto a posto vado a cercare un letto.»
Hitoshi esitò per un istante. Ancora una volta erano lui e lei, senza Kotaro né qualcuno degli onnipresenti adulti. Non succedeva dalla sera della sbronza. Al ricordo il cuore fece una piccola capriola nel petto e piombò giù, al centro dello stomaco.
Ma lei lo aveva rifiutato, ricordò. O meglio, aveva finto malamente di non sapere nulla di quel che era successo, che era come rifiutarlo. Vigliaccamente e pure un po' da stronza. Il pensiero lo irritò.
«Davvero non ricordi niente della sera del ramen?»
Chiharu si pietrificò sulla soglia, e Hitoshi con lei. Ok, forse gli era sfuggito in maniera un po' impulsiva.
«Assolutamente niente. Ubriaca marcia» assicurò lei senza guardarlo.
Lui si innervosì ancora di più. «Perché fingi di non ricordarlo? Dovremmo parlarne, invece...»
«Non sto fingendo proprio un tubo!» scattò Chiharu lanciandogli un'occhiata di fuoco. «Non c'è niente di cui parlare, perché non ricordo assolutamente niente di quella sera!»
«Se è questo il punto, posso spiegartelo io» sbottò Hitoshi stizzito.
Chiharu alzò una mano in segno di avvertimento. Lui resse ancora qualche secondo, poi fece un verso esasperato e distolse lo sguardo, aspirando una lunga boccata dalla sua sigaretta. Voleva davvero giocare a quel gioco? Beh, non sarebbe rimasto in silenzio a farsi massacrare. «Allora dimmi cosa c'entra Sai.»
Chiharu spalancò occhi e bocca, inorridita. Davvero aveva menzionato Sai? Era stata così assolutamente idiota da raccontare a Hitoshi quello che era successo con Sai?
«Non ci provare» disse l'Uchiha in fretta, vedendo che lei stava per negare qualunque coinvolgimento. «Hai smesso di baciarmi apposta per dire qualcosa su di lui.»
«Ba-Ba-Ba...?» balbettò Chiharu, lasciando cadere a terra lo zaino. Allora l'incubo non era solo un incubo. Era molto peggio.
«Baciarmi, sì. Hai presente? Quella cosa che succede quando due persone...»
«Ho presente!»
Entrambi tacquero, improvvisamente consapevoli del fatto che era successo: stavano infrangendo il patto più importante del gruppo sette, stavano parlando di qualcosa che non sarebbe mai e poi mai dovuto succedere. Chiharu aveva una vaga idea di quelli che erano i rapporti tra Hitoshi e Kotaro, anche se nessuno aveva mai scoperchiato il vaso di Pandora: discutere di ciò di cui stavano discutendo rischiava di ipotecare seriamente l'equilibrio del gruppo.
La faccia di Chiharu era abbastanza chiara al riguardo, e Hitoshi lo capì. Pensò a Kotaro e sentì una stilettata di vergogna piazzarsi nei visceri, insieme a una minuscola punta di trionfo. Chiharu gli sorrideva? Beh, lui la baciava, invece.
«Adesso ti ricordi?»
Chiharu mugolò qualcosa di indistinto. Spezzoni confusi di memoria si avvicendarono rapidamente, aumentando il disagio e facendola sentire sempre più fuori posto. Avrebbe tanto voluto che Hitoshi non fosse così cocciuto e se ne fosse rimasto zitto. Ma doveva scoprire se si era tradita su Sai. Era una cosa che poteva metterla in un mare di guai, nelle mani di Hitoshi. Dei, se solo pensava alla reazione di sua madre...
«Cosa hai detto che c'entrava Sai?» tentò.
«Non lo so, dimmelo tu» infastidito, Hitoshi lasciò cadere il mozzicone di sigaretta e lo spense con un piede. «Hai ancora quella stupida cotta per lui?»
«E tu che ne sai?»
«Lo sanno anche i sassi. E' per questo che ne hai parlato? Avresti preferito saltare addosso a lui, invece che a me?»
«Stai dando la colpa a me?»
«Hai iniziato tu! Io ti stavo portando a casa in maniera assolutamente innocente!»
«Cosa vuol dire che ho iniziato io?» sbottò lei.
«Che hai iniziato tu: di punto in bianco mi hai ficcato la lingua in bocca. Come lo definiresti?»
Chiharu si passò una mano sul viso, sognando che il pavimento si aprisse e la inghiottisse in un momento. Già era abbastanza umiliante che fosse successo qualcosa, figurarsi sapere che era anche stata una sua iniziativa.
«Senti... Ero ubriaca. Non sapevo cosa facevo...» farfugliò confusamente.
«E non possiamo parlarne?» rispose lui, una minuscola scintilla di speranza che si accendeva in fondo al tunnel.
«Per dire cosa?»
Hitoshi deglutì una, due volte. Pensò a Kotaro, lo cancellò.
«Per esempio, per dire che si potrebbe rifare...»
Al diavolo Kotaro. Dopotutto lui era un Uchiha, e gli Uchiha hanno un solo gruppo: il clan.
Chiharu rialzò lo sguardo e fissò Hitoshi. «Sono sobria» gli fece notare nervosamente. Un fremito le fece pizzicare la punta delle dita.
«Appunto. Così potremmo... avere un'idea più precisa di come funziona...» Hitoshi si passò una mano tra i capelli, spostando il peso da un piede all'altro.
«Non credo che sia una buona idea» mormorò Chiharu, sfregando le dita tra loro.
«Non lo sai» Hitoshi fece un passo verso di lei, e lei arretrò, trovandosi il muro alle spalle.
«Non va bene, ne sei consapevole, vero?» sibilò Chiharu, premendosi contro il muro mentre il suo cuore accelerava come impazzito.
«Non ti sto mica chiedendo di sposarmi» replicò lui, ora abbastanza vicino da sentire il calore che emanava il suo corpo. E poi, con falsa arroganza, aggiunse: «è solo un bacio.»
Chiharu si trovò a corto di risposte. Tutto, tutto dentro di lei gridava che si stava infilando in una montagna di guai grossa come la Rupe degli Hokage. Non poteva lasciare che Hitoshi demolisse così spudoratamente il gruppo sette, non poteva permetterglielo. E allo stesso tempo una parte generosa del suo corpo ricordava con piacere la sera del ramen e reclamava una replica. Chiharu ricordava quel bacio, ricordava la sensazione delle labbra di Hitoshi contro le sue e delle sue mani che la accarezzavano. Qualcosa formicolava nei suoi visceri quando ci ripensava, e il profumo di Hitoshi, così vicino, così familiare, risvegliava le sensazioni di allora e le amplificava un milione di volte.
La carne è debole.
Hitoshi attese per almeno dieci secondi, sentendosi come il bersaglio di una gara di kunai. Era quasi certo che gli sarebbe arrivato un cazzotto, invece Chiharu rimase immobile, a fissarlo con gli occhi sbarrati. Allora lui si fece avanti.
Impacciato le sfiorò un braccio, perché non sapeva dove mettere le mani. La vide trasalire, ma non partirono shuriken. Con l'altra mano andò ad accarezzarle il collo, avvertendo il battito forsennato della carotide e la quasi familiare sensazione della sua pelle, infinitamente più morbida di qualunque altra. Posò il pollice sulla sua guancia, sfiorandola appena, e si chinò su di lei. Appena prima di baciarla gli sembrò che Chiharu alzasse il viso e si tendesse verso di lui, ma poi ci fu solo la strana morbidezza delle sue labbra, e tutto perse importanza.
Chiharu scoprì che dal vivo era meglio che in un ricordo sbiadito dall'ubriachezza. Non era proprio come il bacio che aveva dato a Sai: questo era il bacio di qualcuno che sta facendo di tutto per non mangiarti viva. Dischiuse le labbra e sentì il retrogusto di tabacco che aleggiava intorno a Hitoshi. Qualcosa, nemmeno lei sapeva cosa, balzò nella sua pancia e accese una scintilla. Prima di rendersi conto di cosa stava facendo, aveva circondato il collo di lui e lo aveva attirato contro il muro. Si ricordò di respirare quasi con un momento di ritardo. Hitoshi sfruttò la pausa per affondare il viso nel suo collo, e Chiharu non riuscì ad evitarlo: annaspò. Era una cosa che non aveva mai provato prima, un'ondata di sensazioni impossibile da arginare. Affondò le dita nella schiena di Hitoshi, lo strinse con più forza, cercò la sua bocca in un modo che non avrebbe mai creduto degno di lei.
Lui non lo disse, ma in realtà sapeva come sarebbe andata ancor prima di iniziare: altro che solo un bacio; non gli sarebbe bastato mai più. Premette il corpo contro il suo, intrufolando le mani sotto la maglietta, e percorse la pelle nuda della sua schiena con un brivido di trionfo. Sentì le dita di lei artigliargli la nuca, ma si staccò prima di andare troppo oltre. Il tetto era presumibilmente tenuto d'occhio dalle guardie di palazzo: la sua idea di intimità non era esattamente quella di fornire uno spettacolo straordinario agli Anbu della Sabbia, ma sapeva anche che gli attimi di grazia di Chiharu erano pericolosamente instabili.
Quasi non le lasciò capire cosa succedeva. La prese per un fianco, sospingendola verso le scale. Scese i primi gradini, la bloccò, la baciò di nuovo.
«Che diav...» tentò di dire lei, ma lui la fece scendere ancora, e ancora la fermò, ogni tre o quattro passi.
«Vieni con me» le sussurrò arrivati al piano, e la tenne per le mani mentre la conduceva lungo il corridoio e tentava di aprire una porta, depositando rapidi baci sul suo collo.
«Cosa vuoi fare?» chiese lei, un tremito nella voce di difficile definizione.
La prima maniglia cedette al tocco di Hitoshi, che cercò tentoni un interruttore per la luce. Quando lo trovò si rese conto di aver avuto una fortuna sfacciata: l'ala abbandonata un tempo era stata riservata agli ospiti, e quelle erano stanze con un letto e coperte un po' polverose.
Chiharu fissò la camera con un tuffo al cuore. Quello era un po' prematuro. Assolutamente fuori dai programmi. Fu presa dal panico.
Hitoshi la sentì irrigidirsi e le lasciò le mani, circondandole il viso per baciarla di nuovo.
«Non credo che...» iniziò lei, ma lui le morse le labbra e lei perse il filo del pensiero. Lasciò che la spingesse dentro, richiudendo la porta, e si lasciò portare fino al letto. Una parte della sua mente la stava sgridando, ma con voce lontana lontana. Un'altra parte, quasi fosse di nuovo ubriaca, le comunicava con urgenza che era molto fastidioso avere ancora addosso i vestiti.
Hitoshi tolse le coperte impolverate, la spinse sulle lenzuola e scivolò su di lei, ancora senza ricevere cazzotti. Immaginava che anche Chiharu avesse perso il timone delle proprie azioni, come stava succedendo a lui, ma la cosa lo rendeva leggero e felice come era stato poche altre volte in vita sua, invece di preoccuparlo. Il sospiro che le sfuggiva quando la mordeva appena sotto l'orecchio era inebriante; la sensazione delle sue mani che cercavano il margine della maglietta era esaltante, il fatto che lo attirasse a sé invece di respingerlo nuovo e incredibile. Davvero, onestamente non avrebbe scommesso mezzo ryo su quell'avvenimento se glielo avessero chiesto il giorno prima; invece era lì. E anche lei era lì, e non accennava a volersene andare.
Si spogliarono goffamente, perché fretta e inesperienza mal si combinano a diciotto anni. Per tutto il tempo Chiharu zittì la vocina interiore che tentava disperatamente di metterla in guardia, finché, arrivati al dunque, quella vocina ebbe uno scatto d'orgoglio e si fece sentire.
«Fermo» sussurrò lei piantandogli le mani sul petto.
«Che c'è?» ribatté lui tornando faticosamente alla lucidità.
«Non vorrai farlo così?»
«Così come?»
«Senza... Senza... Oh, hai capito: mia madre ha trentanove anni. Sono sicura che non voglia diventare nonna prima dei cinquanta.»
Hitoshi si immobilizzò. Preservativi. Ma certo. Quale diciottenne non ha con sé un mucchio di preservativi, per ogni evenienza? Beh, i suoi erano in camera.
«Non ce li ho» fu costretto ad ammettere.
«Levati di dosso, allora.»
Chiharu fece per spingerlo via, ma lui non cedette. «Ci sto attento» assicurò, l'ansia che gorgogliava in fondo alla gola.
«Ah! Scommetto che sono state le ultime parole di mio padre, diciotto anni fa!» esclamò lei con una risata sprezzante e un po' spaventata. Avrebbe perso la scommessa, ma non poteva saperlo. «Te lo scordi.»
«Ma... Non puoi!» allibì Hitoshi. «E' inumano fermarmi a questo punto!»
«Lasciami alzare.»
«Ascolta, Chiharu... te lo giuro, ci sto attento.»
«Lasciami alzare!»
La voce di Chiharu si era fatta stridula, pericolosamente acuta. Hitoshi vide la paura in fondo ai suoi occhi, vide le arterie sul suo collo pulsare velocemente, e capì che stava per arrivare il cazzotto che aveva temuto per tutto il tempo.
«Vado a prenderli» si affrettò a dire allora.
«Cosa?»
«Mando una copia in camera. Tornerà in un minuto. Dico davvero.»
Chiharu ammutolì. I suoi ormoni si erano abbassati abbastanza da permettere alle prime avvisaglie del dubbio di farsi avanti. Per un momento si rese conto dell'enormità dell'errore che stavano per fare, poi Hitoshi ritornò a baciarla e il momento di lucidità si fece da parte, sostituito da un molto più triviale 'Sai, a questo giro vince lui'. Non era un pensiero particolarmente brillante, ma c'era molto poco in grado di pensare, in lei, a quel punto.
Hitoshi si staccò per creare una copia e mandarla fuori dalla stanza, operazione che non richiese più di un paio di secondi. Arrivato fin lì aveva capito che Chiharu aveva una resistenza di una decina di secondi, dopodiché iniziava a farsi venire mille dubbi e minacciarlo di piantarlo in asso sul più bello. Così non perse tempo, non lasciò nemmeno che si raffreddasse la pelle sulla sua pancia. Quasi prima che la copia avesse richiuso la porta, le sue labbra si trovarono a percorrere i contorni della cicatrice sul petto di Chiharu, e gli ultimi dubbi di lei si sfrangiarono delicatamente, facendo crollare le ultime resistenze.


Da molti – anzi da tutti – gli occhi di Kotaro erano definiti a palla. Quand’era nato c’erano stati orgoglio e gioia per Rock Lee e un filo di preoccupazione per Tenten. Fintanto che sono piccoli tutti i bambini sono brutti uguali, certo, ma il suo aveva proprio gli occhi rotondi.
Non che la cosa la turbasse. Cioè, non era una madre che voleva lanciare il figlio in televisione o vederlo fare strage di cuori, e se Rock Lee aveva trovato qualcuno con cui accoppiarsi anche Kotaro un giorno ce l’avrebbe fatta. Solo che prevedeva tempi duri per lui, così aveva velatamente cercato di spingerlo a evitare espressioni troppo sorprese e occhi eccessivamente sbarrati.
Se lo avesse visto fissare il soffitto in quell’afosa notte di Suna avrebbe dovuto rimproverarlo. Gli occhi di Kotaro non erano spalancati: trascendevano il concetto di occhi spalancati. Di profilo sarebbero stati tondi come quelli di un pesce, ma, estetica a parte, il problema era la domanda che li aveva originati.
Dov’era Hitoshi?
Quasi le undici e non era ancora rientrato. Probabilmente stava rovinandosi i polmoni appollaiato su qualche tetto. O in un vicolo. O nelle fogne. A Kotaro sarebbe tanto piaciuto convincersene, soprattutto delle fogne. E invece aveva l’orribile presentimento che ci fosse un altro letto vuoto nel palazzo del Kazekage, e che fosse un letto che non avrebbe mai voluto sapere vuoto. Al solo pensiero sentiva il cuore esplodere e la voglia triviale e atavica di godersi il rumore delle ossa di Hitoshi che si spezzavano sotto le sue mani. Parlando con lui la sera prima si era sforzato di non mandare all'aria il loro equilibrio... Dio, che idiota! L’aveva soltanto provocato.
Strinse i pugni, rigido come un pezzo di legno.
Se non torna a dormire, domani non inizierà nessuna missione. Domani sarà morto, pensò, e non perse nemmeno tempo a stupirsi della propria veemenza.
Ma fu allora che la porta della stanza si aprì, facendolo trasalire, e sulla soglia si presentò esattamente Hitoshi, vestito, in ordine e avvolto da un penetrante alone di fumo.
«Sei ancora sveglio?» chiese vedendo Kotaro che scattava a sedere. «Dormi, che tra poche ore dobbiamo essere in piedi.»
«Dove sei stato?» replicò Kotaro al volo, gli occhi ancora spalancati. Sorpresa, speranza e rabbia si alternavano frenetiche nel suo petto.
«A fumare» rispose Hitoshi. «Dove sarei dovuto essere prima di una missione?»
Kotaro sentì il rumore della cerniera dello zaino che veniva aperta e il rumore discreto delle sigarette che tornavano nella tasca più nascosta, bene in fondo.
«Ah... Ho lasciato indietro l'accendino» borbottò Hitoshi rapidamente, rialzandosi per raggiungere la porta. «Torno subito. Domani abbiamo una tabella di marcia serratissima.»
E Kotaro, finalmente rassicurato, per il sollievo di sua madre smise di fissare il soffitto.


Soffitto che invece Chiharu si trovò a squadrare con infinita cura, anche se dopo aver spento la luce non riusciva a vederlo.
La copia di Hitoshi era tornata, poi era ripartita. Chiharu non aveva chiesto dove andasse perché a quel punto era stata impegnata nella parte più difficile delle operazioni con Hitoshi, ed era stato... complesso. Molto più complesso delle previsioni iniziali.
Lei e l’Uchiha avevano affrontato tante prime volte insieme, nel bene e nel male: la prima volta che avevano indossato un coprifronte, la prima volta che avevano ucciso un uomo, la prima volta che avevano fallito una missione, la prima volta che Naruto li aveva sgridati e quella in cui li aveva lodati. Non sapevano se il bacio fosse stato il primo per l’uno e per l’altra, ma erano certi che il momento presente fosse una novità assoluta, una specie di esclusiva mondiale. Avrebbero voluto cullarsi nella familiare sensazione del primato, ma le cose non erano andate esattamente lisce: l’inesperienza gioca brutti scherzi, soprattutto se mescolata a un orgoglio sfrenato, e loro erano completamente privi di precedenti, smodatamente imbevuti di tracotanza e ben determinati a nascondere il disagio e il senso di inadeguatezza.
In qualche modo se l’erano cavata, nonostante gli intoppi anatomici e i momenti di stizza nervosa, ma non era stato piacevole. In effetti, anche se non lo avrebbero mai ammesso a voce alta, era stato piuttosto deludente.
Solo ora che sentiva il respiro di Hitoshi contro una spalla e il suo braccio sull’addome, Chiharu, rigida e un po' intirizzita per il freddo, si concesse il pensiero di aver commesso la più colossale stronzata della sua vita, anche peggiore dell’avventura adolescenziale con le piantine allucinogene del nonno. Di tutte le persone con cui poteva esercitarsi, era andata a prendere quella che avrebbe portato alle conseguenze più disastrose di tutte.
Oh, non sarebbe mai dovuta crollare. Mai. Si vergognava di essere stata così stupida, e debole, e accecata dall'esaltazione del momento. Aveva sbagliato tutto, dall'istante in cui aveva negato quel bacio a quando aveva accettato di aspettare l'arrivo dei preservativi. E pensare che si credeva intelligente.
Tentò invano di riprendere sonno, ma si rivelò impossibile. Cambiò posizione più volte, cercò di sgusciare via dall'abbraccio di Hitoshi, ma la paura di svegliarlo ebbe la meglio e la tenne a letto. Quando le sembrò che fosse quasi ora di alzarsi, con infinita concentrazione spostò la mano di Hitoshi e scivolò lentamente fuori dalle lenzuola.
Si inginocchiò sul pavimento, cercando di ricordare dove erano finiti i suoi vestiti, ma si accorse con sgomento di non riuscire a capire le dimensioni solo con il tatto. Si lasciò scappare un’imprecazione smozzicata, mentre le sue mani finivano su quello che – grazie al cielo – sembrava un reggiseno, ma a quel punto si accese una luce.
«Che ore sono?» chiese la voce impastata di Hitoshi dal letto.
Chiharu afferrò la prima cosa che le capitò a tiro e se la infilò. Appena in tempo per vederlo girarsi sulla schiena, totalmente incurante dell’assenza di vestiti, e notare che si accigliava impercettibilmente.
«Che fai con la mia maglietta addosso?» domandò, strisciando sulla pancia fino al bordo del letto.
Merda, pensò Chiharu. Si sentì arrossire.
«Dov’è il mio elastico?» fu la cosa più intelligente che le uscì di bocca.
«Da qualche parte tra le lenzuola» sbadigliò Hitoshi. «Che ore sono?» ripeté.
«Ricordi? Abbiamo una missione» rispose lei nervosamente, scivolando con cautela alla ricerca dei pantaloni.
«Manca quasi un'ora alla partenza...» si lamentò lui con un'occhiata all'orologio. «Potevamo dormire ancora un po'.»
«Non ho più sonno.»
Hitoshi si lasciò andare a una smorfia ironica, che l’intera fauna femminile di Konoha avrebbe trovato assolutamente perfetta e che anche Chiharu dovette riconoscere come discretamente accattivante. «Chiharu Nara che non ha sonno? Pagherei per poterlo comunicare via radio» commentò sornione, sollevandosi sui gomiti.
Chiharu dovette costringersi con la forza a non abbassare lo sguardo dai suoi occhi al petto, e soprattutto a non ricordare come quel petto era caldo, e di come e perché lei lo aveva toccato, o baciato, o... Interruppe bruscamente il filo dei suoi pensieri.
«Non sei divertente» sibilò secca, afferrando un paio di pantaloni e scoprendo che erano di Hitoshi.
«Neanche tu» rispose lui sereno. Per una volta non sembrava irritato né nervoso o insofferente. Sembrava in pace con il mondo, cosa rara per un Uchiha.
Chiharu schivò i suoi occhi e sentì il cuore accelerare nel petto. Come poteva dire a un ragazzo che ha raggiunto la pace interiore ‘scusa sai, ma è stato tutto uno sbaglio’? Non poteva. Maledizione, non poteva. Ma non poteva nemmeno lasciare che continuasse ad avere stampato in faccia quel sorriso: era troppo palese, e anche molto irritante.
«Torna qui, invece di spulciare i vestiti» sbuffò Hitoshi, battendo una pacca sul lenzuolo caldo. «Dieci minuti.»
«Dobbiamo andare» sibilò lei nervosamente, dandogli la schiena.
«Non costringermi a venire lì...»
Chiharu arrossì e gli scoccò un’occhiata di fuoco. «Adesso non prenderti troppe libertà!» iniziò, tra i denti, ma l’attimo dopo dovette girare la testa tanto velocemente che sentì un crack preoccupante, perché Hitoshi si era alzato dal letto, così come Sakura l’aveva fatto, e aveva messo in atto la sua minaccia.
«Non pensavo che ti avrei mai vista imbarazzata» ridacchiò, inginocchiandosi dietro la sua schiena. Senza apparente sforzo la tirò indietro, facendola cadere tra le sue braccia, poi si alzò in piedi, novella divinità sorta dalle acque spumeggianti del mare, e la scaricò delicatamente sul letto.
«Senti, dobbiamo parlarne...» iniziò Chiharu, furente, confusa, imbarazzata, e maledizione, perché era così terribilmente perfetto senza vestiti? Lui naturalmente non la lasciò finire; dieci secondi e la raggiunse sopra le lenzuola, altri dieci e le chiuse la bocca con la sua, e ne bastarono solo due perché la sua mano corresse fino al comodino su cui erano posati i preservativi che quasi avevano mandato all'aria tutto. Era felice. Era tutto come doveva essere. Alle conseguenze avrebbe pensato più tardi, almeno dopo il sorgere del sole.

---

Era stato facile non insospettire Kotaro. Chiharu si era presentata appena fuori dalle mura alle tre e un quarto con i quindici minuti di ritardo di prassi, e aveva trovato ad attenderla sia il giovane Lee che la copia dell’Uchiha.
Alle domande di Kotaro aveva scrollato le spalle borbottando qualcosa su sua madre, al che lui si era limitato a mugugnare un po’ per il ritardo. Poi la copia di Hitoshi aveva buttato la sua sigaretta e aveva detto che prima di partire si sarebbe appartata per andare in bagno. Al suo ritorno non era più una copia.
La missione non sarebbe potuta partire sotto auspici migliori: Kotaro era sereno, efficiente come sempre, Hitoshi per una volta non era il nicotinomane nevrotico a cui erano abituati e Chiharu si sentiva decisamente parca di commenti, il che era positivo per l’umore generale.
Non era riuscita a parlare con Hitoshi. Si diceva che non ce n'era stato il tempo, che doveva elaborare un discorso efficace, ma la verità era che non sapeva da che parte cominciare. La seconda volta era stata un po' meglio della prima, doveva ammetterlo; ma non l'aveva cercata né voluta, semplicemente non era riuscita a dire di no: avere diciotto anni e il corpo pieno di ormoni poteva essere un brutto ostacolo per certe cose, tipo la razionalità.
Decise interiormente di posticipare il discorso alla fine della missione, per non rischiare intoppi. Hitoshi avrebbe fatto bene a fare finta di niente fino ad allora. Questo, ovviamente, significava che sarebbero stati sì vicinissimi, sì pieni di ormoni, ma impossibilitati a toccarsi - il che tornava tutto a suo vantaggio. Doveva solo tenere la testa sulle spalle per qualche giorno, poi avrebbe chiuso il discorso con Hitoshi ed eventualmente affrontato le conseguenze. Solo qualche giorno.
Cercò di darsi un tono, sollevando la testa con fiera arroganza mentre lasciavano Suna sgusciando di ombra in ombra.
Non può essere così difficile, giusto?







Secondo atto;
gli eventi precipitano.







* * *



Dal prossimo capitolo ci sarà un piccolo stacco.
Per dare a questa parte il peso che merita (?)
oggi aggiorno soltanto due capitoli,
non vogliatemene.

Dal prossimo aggiornamento, inoltre,
ci sarà il primo grosso cambiamento nella trama.
Finalmente cose nuove!

Nel frattempo vorrei ricordare ai detrattori di Chiharu
(la maggior parte di voi, in pratica)
che so che è odiosa.
E' una diciottenne saccente convinta di aver capito tutto della vita,
che invece non sa una mazza.
Ma visto che sono una brutta persona glielo faccio capire in maniera realistica,
cioè lunga e dolorosa.
Un po' come Sasuke in Sinners.
Tanto il mio unico preferito è sempre stato Naruto.
XD

Grazie a voi che continuate a leggere e a chi commenta.
A presto!


  
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