Our Love is a mistakes
Capitolo
8
Collaborazione
con Angelo_Nero
Trent
emise un singhiozzo. Poi un
altro. E un altro ancora.
Pianse.
All’inizio erano lacrime
solitarie, piccole gocce di tristezza e disgusto, in seguito si
trasformarono
in una pioggia copiosa che andò a invadergli le gote
arrossate per le botte
della normale giornata di lavoro.
Sentì
la testa spinta contro la parete
ruvida del muro e una grande mano premere sulla sua schiena,
costringendolo in
una dolorosissima posizione. Il ginocchio del suo aguzzino si
sollevò, colpendo
con la rotula in mezzo le gambe e facendolo cadere direttamente in
ginocchio.
La
iena rise al suo pianto, sentendosi
bene non appena gli artigliò le mani con le unghie,
conficcandogliele nella
pelle e facendolo ansimare –Oggi non hai notato un
trattamento diverso, mh?- gli
morse l’orecchio,
svestendolo velocemente –Rispondi-
l’intimò e il cantautore strizzò gli
occhi,
piangendo più forte e gettando indietro la testa
involontariamente, sentendo
subito le labbra di Scott divorargli ogni centimetro di pelle
–Ho detto:
rispondi- mormorò con il tono un po’alterato,
fermandosi per qualche momento e
guardandolo serio –Sì…- concesse allora
l’altro, ricevendo un piccolo
sorrisetto beffardo come risposta. In effetti non aveva ricevuto
neppure una
bastonata, mentre Duncan, che era solito porsi tra lui e la frusta, era
stato
sottomesso con forza. Per tutto il tempo in cui erano stati segregati
in quel
posto, l’ex nazista aveva sviluppato una sorta
d’atteggiamento protettivo nei
confronti del suo amante e, per quanto fosse in grado di fare, cercava
di
donargli pace fisica in ogni momento dell’estenuante
giornata.
Ancora
una volta, era seminudo, sotto
il corpo di Scott e impreparato per subire tutte le umiliazioni che ne
sarebbero seguite. Si perse un attimo a guardare il soffitto. Se il
tempo si
fosse fermato anche solo… per un minuto… sarebbe
corso via, il tempo di
arrivare tra le braccia di Duncan e piangerci contro. Ce
l’avrebbe fatta? Se lo
chiedeva ogni santa volta, ogni notte che Scott usava quella violenza
distruttrice con il suo corpo, anche se sapeva la risposta: no. Il
rosso
l’avrebbe tenuto in vita fino a quando avrebbe voluto, e in
quel momento lo
voleva, eccome! Ucciderlo? Così velocemente, indolore? No,
non se ne parlava
proprio. Lui si divertiva a umiliarlo, a fargli del male, a ridurlo in
una
nullità ogni notte, a fargli provare il senso di colpa per
aver avuto un
rapporto con qualcuno che non fosse stato il suo amante. Fu impossibile
non
accorgersene: Scott lo voltò per l’ennesima volta,
sballottandolo con una serie
di calci contro il pavimento e ridendo di gusto. Premette il piede sul
suo
viso, facendolo scorrere sul collo e spingendo contro il mento.
Proseguì a
marcargli lo stomaco, spingendo la punta nell’interno per una
serie di volte,
fino ad arrivare a fargli tossire del sangue e a insultarlo per quello.
Non era
tanto virile da alzarsi e ribellarsi? Gli chiedeva a ogni insulto
corporale. In
realtà Trent non era mai stato molto forte e le mani,
proprio non le sapeva
usare, se non per suonare la sua chitarra o accarezzare il corpo di
Duncan.
C’era anche da dire che, se l’ex nazista si fosse
trovato in quella situazione,
per lo stress fisico non avrebbe risposto, ma non avrebbe neppure
pianto,
singhiozzato e sperato. Sarebbe stato di certo più uomo di
lui. E forse per
questo che Scott non gli faceva mai del male? Perché era
stato suo amico, o
perché infondo lo temeva? Temeva il suo sguardo, i suoi
giudizi, i suoi sorrisi
bastardi… quell’atteggiamento che continuava a
caratterizzarlo persino in
situazioni simili. Duncan era quello superiore, dentro di se il rosso
lo sapeva
e provava disagio. Al suo fianco, difronte gli altri, non voleva mai
farsi
vedere da piccolo. Magari perché Duncan possedeva
più freddezza persino all’età
giovane, perché non si fermava nelle scuderie ad accarezzare
i pony e a sognare
di cavalcarli, lui voleva già impugnare una pistola e far
saltare la testa a
tutti coloro che andavano contro la propria nazione. Era sempre stato
più
crudele di lui. Senza scrupoli, le lacrime della gente erano la sua
acqua,
rinfrescanti, ricostituenti, ci viveva. Ora era lui quello da temere.
Per
tutti, tranne per quel fratello deviato che si ritrovava.
Scott
pensò per un attimo agli occhi
azzurri di Duncan, alla sua divisa pulita e al suo ghigno intimidatorio
e, per
un attimo che Trent colse subito, si perse. Il chitarrista
scivolò sotto il suo
piede, cercando di mettersi dritto e rannicchiandosi contro il muro
della sua
capanna. Fu questione di un minuto circa, che il più grande
restò in piedi a
torturarsi le labbra e a guardare il nulla, pensando, chissà
come, chissà
perché, quando quel suo amico di una vita lo copriva sempre.
Dalle sue
marachelle bambinesche fino ai suoi danni d’adulto
scellerato. Non ebbe
comunque pena per Trent, lui l’odiava. Se non fosse stato per
i suoi occhi da
Angelo –sì, perché persino quel nazista
crudele se ne era accorto- non avrebbe
mai conquistato né Duncan e, sotto sotto, né lui.
Trent
era dannatamente bello, di una
bellezza incredibile. Poi delicato, più di una farfalla,
più di un petalo di un
fiore. Silenzioso come l’aria. Era impossibile non essere
attratti da lui
nemmeno un po’, né uomini né donne
avrebbero potuto resistere a una tale
perfezione. Sembrava che il Signore, quello in cui Scott credeva con
assoluta
devozione, l’avesse creato a posta. Ma come si possono creare
a posta degli
sbagli? Se lo chiedeva mentre lo guardava severo, con la linea sottile
della
bocca curvata, i pugni chiusi e l’unghia del pollice a
graffiare le nocche. I
lineamenti del viso tesi, traditi dallo specchio di incertezza che
erano i suoi
occhi.
Come
poteva quel frocio bastardo porlo
in una situazione simile? Era capace di
questo e altro, Trent. Sembrava avere dei poteri soprannaturali a i
quali
nessuno poteva opporsi. Non l’aveva fatto Duncan e in quel
momento stava
cedendo anche Scott, non con meno titubanze del primo
-Alzati
e non fartelo ripetere più di
una volta- alludeva a quando, quasi con pazienza, doveva ripetergli i
comandi
più di due volte per la sua incapacità nel
comprendere, stordito dopo ore di
botte e violenze. La vittima fece pressione sulle gambe stanche e
magre,
cadendo sulle ginocchia poco dopo e implorando pietà con gli
occhi –A-l-z-a-t-i-
si appese alla maniglia dell’armadio a fianco a
sé, poi cedette di nuovo,
gemendo. Scott si abbassò, gli prese i capelli in un pugno e
gli alzò la testa
con uno scatto –Non capisci che devi obbedire?-
annuì singhiozzando e
riabbassando il capo –Non ce la faccio- sussurrò,
supplicando dentro di se di
non ricevere altri calci.
Se
poi Scott non era più in se, era tutto
da vedere. Trent dilatò le pupille
quando il tedesco lo prese in braccio, intimandogli di stare fermo e
stendendolo sulla sua branda mezza rotta. Perché tutti con
lui dovevano essere
così crudeli all’inizio e così gentili
alla fine di tutto? Era troppo da
accettare a prima vista? Strano, forse? Gliel’avrebbero
dovuto spiegare prima o
poi, perché quella sensazione di stupore la stava rivivendo
un’altra volta.
Lui
con i rimorsi, i suoi “non
importa”. Gli sguardi, tanta ovatta, garze, cerotti e
sangue… e poi? Poi un
bacio, così era successo con Duncan.
Stava
avendo un terribile déjà-vu.
Strizzò gli occhi, immaginandosi qualche schiaffo, o ancora
peggio, invece
nulla di tutto quello arrivò. La mano di Scott si mosse
verso di lui,
sfiorandogli il labbro martoriato dai morsi, per poi sfregarlo con
forza e
alzare gli occhi nei suoi. Non ci si fiondò dentro, come il
suo vecchio amico,
li guardò semplicemente. Non provò pena, solo una
grande attrazione per quello schifoso
essere. Perché attrazione? Era
bello, doveva affermare oggettivamente nella sua abituale
superficialità, però
possedeva un non so che di… strano. A vederlo
così, di prima vista, ti lasciava
il segno… ma se lo si osservava, con tempo e attenzione, ci
si accorgeva che
tutto in lui era speciale, stupendo e irripetibile. Sarà
stato per la diversità
dei tedeschi? I suoi occhi verdi, ma di diverse tonalità, le
sue labbra dolci,
il suo respiro sempre ben regolato, la voce fioca ma tenera…
cos’è che aveva
quel ragazzo? Se fosse davvero stato un angelo, proprio come diceva
Duncan?
Angelo, con la “A” maiuscola, perché
unico? In realtà era semplicemente lui. Un
semplice essere umano che sapeva scalfire il più duro dei
cuori, spodestare la
cattiveria con l’amore nell’animo delle persone.
Scott
si bloccò con le labbra sulle
sue, nel solito bacio derisorio, stringendogli una natica e
procurandogli
dolore. Quel corpo smunto, pallido e malnutrito era
l’incarnazione della
perfezione, non c’era nulla da fare.
Il
che lo notò anche Duncan.
Quella
notte, una delle tante, non
aveva dormito. Non per mancanza di stanchezza, anzi, quella
c’era sempre ad
affliggergli le ossa e la mente, ma solo perché voleva
guardare Trent il più
possibile. Negli ultimi giorni l’avevano sempre separato da
lui e l’occasione
di vedersi veniva solo di notte, quando entrambi crollavano per il peso
della
giornata. Ma l’amore che Duncan covava per Trent, si
completava con lo stesso
risentimento che stipava per se stesso e quindi si sentiva in obbligo a
fissare
un Angelo. Un Angelo che avrebbe voluto avere per il resto di quella
sua vita
squallida e dura. Sapeva anche che ogni notte Trent non c’era
più al suo
fianco. Non era sveglio e quando apriva gli occhi al mattino lo
rivedeva, ma la
notte aveva una mancanza, non c’era quel calore a
riscaldarlo. Inoltre, sarà
stata per quella sintonia, o per quella connessione celebrale fra i
due, o per
alchimia, ma si sentiva male con lui. Provava dolore, in fondo la petto
un
grande senso di colpa. Scott l’aveva preso sotto i suoi
occhi, obbligato
malamente a seguirlo e lui, facendo finta di dormire, non si era fatto
notare e
in punta di piedi aveva camminato dietro di due, facendo attenzione a
non farsi
sentire. Quindi era là, nascosto dietro la porta semi aperta
–causa del furore
di Scott- ad assistere a tutto quello. Poteva morire a ogni singolo
calcio, a
ogni schiaffo, a ogni mano poggiata sul corpo del suo amante e si
sentiva un
egoista. Sì, non poteva far a meno di pensare a quanto Scott
stesse baciando
Trent. Contava i secondi e in quel momento era arrivato precisamente a
trentadue, un tempo limite per un bacio, ma le labbra del nazista erano
sempre
lì, premevano su quelle di Trent, che socchiudeva gli occhi
e impossibilitato
nell’aprire bocca, respirava in quella del suo carnefice.
Scott
girò gli occhi, staccandosi per
poco. Lo notò. Duncan lo vide e si nascose, ma sapeva che,
tanto, non c’era
assolutamente nulla da fare. Ingoiò l’aria fredda
che lo circondava e premette
i piedi sul terreno e non appena la porta si spalancò cadde
con il busto
rivolto verso il suolo e le mani a parare la caduta. Difronte ai suoi
occhi
c’erano due scarpe, pulite, lucide, nere. Alzò gli
occhi e lo notò.
Ghignò.
Sì,
esattamente, Duncan ghignò. Rivolse
un sorrisetto sfacciato al rosso, il suo semi-fratello e si mise in
piedi,
ansimando leggermente per il dolore che gli picchiettava contro le
costole, che
cinse con una mano –Sei contento?- domandò solo,
facendo contrarre i muscoli
del corpo del nazista –Ora ti senti superiore, finalmente?-
assottigliarono gli
occhi e rivolsero un’occhiata preoccupata
all’interno dell’appartamento: Trent
stava bene, poté constatare
completamente il prigioniero, lasciando il sapore di un sorriso
sfuggente sul
suo viso. Scott notò il disagio del più piccolo,
come poteva sentirsi adeguato?
Stava subendo l’ennesimo stupro e per un momento, il fatto
che fosse stato lui
a infliggergli tanto dolore, gli recò un disagio interiore
immenso. Sospirò e
allungò la mano, prendendo l’ex nazista dalla
maglietta a righe e confinandolo
nella stanza, chiudendo la porta a chiave.
Il
suo sguardo! Com’era afflitto.
Duncan
cercò di più nella nebbia di
Scott. Era suo fratello, come poteva svanire tutto questo in un campo
di
tortura dimenticato da Dio? No, rimaneva sempre. Non è
lontanamente plausibile
che l’affetto venga ripudiato in un tale modo. Ora il rosso
se lo chiedeva, la
sua piccola mente, come ormai la definiva l’amico,
cercava di elaborare dei pensieri giusti, che fino ad allora non aveva
mai fatto.
Cos’ha lui di sbagliato? Era difficile pensare a Trent, gli
dava un certo
fastidio per questioni che ancora si rifiutava di apprendere. Ma il suo
amico
di una vita? Oh, no. Gli aveva giurato eterna fedeltà! E
sì, quello era un
patto più importante di quello che avevano fatto entrambi a
Hitler. La
fratellanza.
Scott
si passò la lingua sul labbro inferiore,
cedendo infine e abbassando gli occhi difronte a quelli che erano
sempre stati
superiori ai suoi, poi riprese il controllo sbattendo Trent per terra e
facendolo cadere ai piedi di Duncan, che si abbassò
spaventato per evitargli
altro male. Inutile, la pace del piccolo cessò subito quando
il rosso prese a
picchiarlo con ancora più crudeltà di prima.
Tremava, piangeva, guardava
l’altro implorante, ma che se ne stava fermo e inerme, non
sapendo come Scott
avrebbe potuto reagire a una presunta ribellione. Poi non aveva la
forza
neppure per muovere un muscolo, figuriamoci se avesse potuto abbattere
quell’infame.
Duncan
immaginava che il suo amante
subisse delle violenze che andavano oltre le frustate, ma una parte di
lui,
quella alla quale piacevano le illusioni, continuava a ripetere di no,
che se
Trent non parlava voleva dire che le cose erano normali. Per quanto
normali
possano essere delle giornate in dei campi di concentramento, o di
lavoro, come
preferivano chiamarli loro due.
Concentramento
era una parola troppo
brutta, neppure Trent riusciva a renderla più melodiosa.
Sta
di fatto che lo vide mezzo nudo,
allora capì tutto e fu ancora più triste
accettarlo. Gemette quando fu spinto
contro il camino di pietra. Le spalle scricchiolarono e sulle gambe si
aggiunsero nuovi lividi.
Fu
ciò che accadde, infine, difronte ai
suoi occhi. Avrebbe voluto smettere di vedere e sentire, non voleva
percepire
nulla con il suo corpo e in quel momento era obbligato a quella visione
terribile del suo amante, ancora peggio di quando lo vide frustato
difronte a
tutti. Allora non sapeva chi fosse quel malcapitato. Ora invece
sì. C’era il
corpo di Trent sotto quello di Scott. Non era lui ad amarlo, ma
l’altro
tedesco. Quello che non aveva ancora imparato la poesia degli occhi
dell’ormai
diciannovenne, ma desiderava carpirne i significati. Soffrì
ancora Duncan,
quando piccole carezze –che il cantautore non aveva mai
sentito- gli attraversarono
le spalle, che per un attimo pensò di stare tra le braccia
del vero amato.
Era
lui, sicuro! Quel dolore era normale.
Duncan lo stava abbracciando, Duncan lo stava accarezzando e Duncan lo
stava
baciando. Duncan, Duncan e ancora Duncan, nessun altro! Non voleva
impiastri
nella sua vita. Tutto ciò era solo frutto di un suo sogno.
In realtà si era
addormentato sul petto del suo nazista preferito, cullato dalle sue
carezze. Il
viaggio, le umiliazioni, il sangue, lo sbattimento e gli stupri erano
solo…
incubi. Era solo caduto in un sonno profondo e da lì a poco
sarebbe arrivato
lui, la sua ragione di vita, a riscuoterlo da tutto.
Scott
lo violentò sotto gli occhi di
Duncan. Trent era semisvenuto e il suo aguzzino, con un gesto nascosto,
gli
accarezzò i capelli neri, pentendosene subito dopo. Il
germanico non lo notò,
naturalmente.
Quando
Scott scomparve nella piccola
tolette l’ex nazista fece fatica ad alzarsi, ma i gemiti
soffocati dell’altra
metà del suo cuore straziato lo spinsero a fare forza sulle
gambe.
Gli
si avvicinò, baciandogli la nuca e
coprendolo con il lenzuolo sporco della sostanza di Scott
–Scusami- e non sapeva
neppure di cosa dovesse scusarlo, sta di fatto che voleva sentire un
segnale di
vita dalle sue mani, che arrivò. Li stavano distruggendo.
Trent
aprì gli occhi appannati dalle
lacrime e quello che vide difronte a sé non era un sogno.
Troppo realistico, troppo
vero. I pizzichi sul braccio magro non servivano più.
Non stava sognando. Non era morto. Quello non era l’inferno. Era sveglissimo. Allora voleva davvero morire, così, nel modo più bello che ci potesse essere: stringendo le labbra del suo amante tra le proprie. Ecco, morire in un sogno era la cosa più bella che gli venisse in mente.
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Piccoli geni del male, questo è il penultimo capitolo. Poi ci sarà quello di Angelo. E forse quello mio alternativo. Un consiglio, godetevi quello di Angelo. Bye e tanta tanta fortuna a voi (?) 🍀