Disclaimer:
I personaggi citati appartengono a Masashi Kishimoto, che ovviamente si prende tutti i diritti del
loro uso. La canzone sui cui è basata l'intera songfic è la strepitosa Perfect
Day di Lou Reed,
colonna sonora del film Trainspotting e canzone culto
di un'intera generazione (compresa, spero, la mia).
Perfect Day
starspotting.
Sedeva accovacciata
sull'erba, coi capelli che quasi sfioravano gli steli
verdi in una carezza gentile. Aveva i grandi occhi spalancati e le labbra
appena schiuse, con la mascella che mollemente cedeva un pochino verso il
basso, attirata dall'invincibile tensione gravitazionale.
Ecco, in quell'istante mostrava una profonda
espressione tesa e concentrata, l'espressione di chi maneggia un preziosissimo
fiore di cristallo cesellato ed è di vitale importanza -ripeto:
vitale importanza- che esso non si scalfisca neppure superficialmente.
Per la verità il suo viso così distorto aveva qualcosa
di puerile o allucinato, ma se uno di loro due gliel'avesse fatto notare si
sarebbe immediatamente trovato con la testa fracassata da una bottiglia di vino
rosso.
"Quattro parti di vino" sussurrò a un tratto
la ragazza con una furba aria da cospiratrice, l'espressione bambinesca già
dimenticata, "una di frutta, una di rhum e di cannella, chiodi di garofano
quanto basta e un cucchiaino di zucchero.
E la soda, Cho, grazie" sbottò infine, con un
cenno sbrigativo diretto al corpulento ragazzone stravaccato sull'erba che,
poco lontano da lei, sbocconcellava serafico una manciata
di patatine.
Choji le lanciò un'occhiata
indispettita, si mosse a fatica e con un grugnito le passò la bottiglia
richiesta. Assistè alla mescita in silenzio,
affascinato dal rosso profondo del vino che danzava con la cannella e con
l'ambrata vela del rhum, mentre le ciliege le pesche
le arance affogavano nel color porpora.
Delizioso. Un profumo assolutamente delizioso, che sapeva di spezie, di follie
e di risate.
Gli veniva l'acquolina in bocca al solo pensiero.
"Una volta a destra, una volta a sinistra, una volta a destra, una volta a
sinistra..." Con un sorriso compiaciuto, Ino
mescolò il liquido contenuto nella grande zuppiera e, in religiosa
contemplazione, contò una per una le volte in cui il
grosso mestolo di metallo compiva un giro completo nel liquido scuro come
cuoio. Arrivata al quinto giro, si fermò.
"Nara, i bicchieri" ordinò allora, ieratica.
Shikamaru dovette adempiere al
fastidioso compito di ripescare i tre calici di vetro nello zaino, ovviamente
lamentandosi per lo sforzo appena compiuto.
"Dio che palle Ino, mai una volta che li portassi tu!" borbottò in un
sospiro frustrato.
La ragazza gli lanciò un'occhiata indispettita, leccandosi le dita appiccicose
di vino:"Señor
Nara ha il culo più pesante di quello Choji?"
Allora toccò a quest'ultimo ribattere,
offeso:"Ehi, non mettere in mezzo il mio culo
che sta benissimo dove sta."
La risata di Ino trillò argentina come una spolverata
di zucchero:"Ma sì, Cho. E' questo stupido Nara
che tira fuori il peggio di me."
Shikamaru le regalò un'occhiata colma di un mite
disprezzo bonario:"Certo, certo, sempre la solita
storia: Nara qui, Nara là. E' troppo stupida per inventarsi qualcosa di
nuovo."
Un istante dopo la sua maglietta verde scuro presentava un'enorme chiazza
liquida all'altezza del petto, là dove il bicchiere di Ino
si era svuotato.
"...E ringrazia che non t'ho fatto la doccia, che tra parentesi ne avresti
davvero bisogno, cabròn! " Ino rise, rise ancora a squarciagola. Shikamaru
si chiese se la sangria non le scorresse al posto del sangue. Zuccherata,
amarognola e al sapore di frutta: ecco, sì, questo era il sangue di Ino.
Sangue mezzo spagnolo, sangue di zingara come le dicevano
per prenderla in giro.
Spagnola e nemmeno un'ombra di colori mediterranei: Ino Yamanaka
sembrava assai più una svedese che una ragazza nata a Granada.
Occhi azzurri, pelle d'avorio, capelli come grano: il sole doveva essersi
dimenticato di salutarla, alla nascita, e di regalarle il colorito biscotto dei
suoi conterranei. In compenso poteva fregiarsi di un carattere impossibile, di
una ricetta segreta e squisita della sangria e di una sfrontatezza senza pari
che la rendeva un'attrice di tutto rispetto.
Come da copione, un qualunque accenno alla sua nazionalità
aveva il potere di renderla subito irascibile. Per non dire pericolosa
per gli altri, una potenziale bomba all'idrogeno pronta a
un'eclatante esplosione.
E proprio per questo era, innegabilmente,
bellissima.
"...Due mestoli e mezzo per ciascuno, ora fate danzare appena il bicchiere...
Non così, Shikamaru, più
sciolto, più libero, sembri un tronco di legno! ...Choji
la regola è quella, due mestoli e mezzo, non uno di più, ti ho spiegato mille
volte perchè e non ho intenzione di ripetermi ora. No, le patatine con la
sangria fanno schifo, mangiale dopo, e no, non ho più cannella da aggiungere!"
"Ma a me piace!"
I bicchieri erano troppo eleganti per un pomeriggio come quello e per un parco
da quattro soldi come quello, erano calici raffinati, erano quelli dell'ultimo
ed unico Amleto che avevano portato in scena, con l'Uchiha
nei panni dell'imperscrutabile Principe di Danimarca.
Per come si erano messe le cose, tanto valeva non andarci nemmeno, in scena.
"Okay, prendete i vostri bicchieri, grazie... e
muovetevi, non abbiamo mica tutto il giorno!"
"A dire il vero sì" la corresse pignolo Shikamaru,
a cui Ino per tutta risposta rivolse un gesto ben poco signorile.
"Un giorno in cui avremmo potuto fare chissà quante altre cose e invece
siamo qui" mormorò
Tornò in sé al silenzio pensoso di Shikamaru e Choji, così subito li apostrofò con l'usuale fermezza:"Forza, prendete quei cazzo
di bicchieri... una tradizione è una tradizione, che diamine, si rispetta fino
in fondo!"
Mugugnando inutili bisbigli di protesta, i due tesero i rispettivi calici verso
quello della compagna, che sorrise incoraggiandoli:"Su, se vi applicate
non siete poi tanto male, eh?"
"Tu invece sei sempre peggio" sbuffò Choji.
"Ma io so che mi vuoi bene lo stesso!" esclamò in tutta risposta
Shikamaru ghignò. Anzi no, proprio
sorrise, un mezzo sorriso appena percettibile che non sfuggì però a nessuno dei
suoi compagni.
"Va bene"
fece Ino dopo una manciata di secondi di ieratico
silenzio, "è il momento."
Seduti
sull'erba profumata d'estate, levarono il vino verso l'alto, verso quel cielo
azzurro che troppo spesso li aveva ingannati e che pure non riuscivano a
smettere d'amare.
Shikamaru guardò Choji.
Choji guardò Ino.
Ino guardò Shikamaru.
E all'unisono tre voci gridarono, piene di vita e di
speranza, tre voci che proclamavano al mondo di esistere a
dispetto di ogni sconfitta, a dispetto della Vita stessa:"...A NOI!"
Giù il vino una due tre quattro
mille volte, fino a perderne il conto.
La gola brucia come l'inferno ma loro sorridono,
perchè sanno che in fondo bruciare è sempre meglio di niente.
Just a perfect day,
Drink sangria in the park,
And then later, when it gets dark,
We go home.
Da cinque
anni quella giornata seguiva uno svolgimento pressochè
identico, ma non per questo monotono.
Innanzitutto pranzavano al familiare ristorante dietro al vecchio
teatro, lo stesso in cui avevano mangiato ogni volta dopo le prove, e
sceglievano rigorosamente gli stessi piatti dell'anno prima e dell'anno prima
ancora, come in un cerimoniale osservato con una rigorosità quasi religiosa. I
gusti cambiavano, ma loro no, loro si aggrappavano
a quelle vecchie abitudini con una volontà sempre nuova.
E se Shikamaru accennava
qualche sparuto borbottio stizzito di protesta, subito Ino lo blandiva
irremovibile, senza concedere eccezioni. Lei credeva più di tutti nel potere
della ritualità.
Il conto ovviamente lo pagava Choji, come l'anno prima, come l'anno precedente ancora e -sapevano-
come quello futuro.
Il pomeriggio invece era il turno di Ino e della sua
amata sangria.
Avevano brindato.
Avevano brindato tre volte per ciascuno di loro, augurandosi la salute e la
felicità, avevano brindato per i loro cari, per il genio che aveva inventato la
sangria e -aggiungeva sempre Choji- le patatine, per
chi aveva vissuto invano, per gli stupidi, per le equazioni di Maxwell, per i loro amici, per i genitori, per
Brindavano per tutti, storditi e insicuri come le farfalle, tranne
per l'unica persona per cui si trovavano lì.
"...Ma ti ricordi quando Cho
è rimasto incastrato nel costume di Gogo e ha dovuto
recitare due atti trattenendo il respiro?!?"
"Oddio sì sì me lo ricordo, in faccia era blu e
quando alla fine ha osato respirare ho sentito uno scricchiolio sinistro e ho
temuto il peggio...!"
"Ero cianotico."
"Ma the show must go on, darling!"
"Ero cianotico, dico, cianotico!"
"E' calato il sipario e la prima cosa che ho sentito è stata un gigantesco
PAA! e il panciotto del povero Gogo
che finiva in testa a Naruto!"
"Sì, sì, e per poco non ha accecato l'Uchiha con
un bottone!"
"Se n'è lamentato per una settimana, come una prima donna col
mestruo."
La pancia faceva male per il gran ridere, ma continuavano a ripeterlo, a
ripeterlo ancora, "Ti ricordi, eh, ti ricordi? Ti ricordi?".
Sapevano che, una volta dipanata la matassa dei ricordi, il capo doveva essere
assolutamente ritrovato, sciogliendo ogni nodo e districando ogni
intreccio, così che ciascun filo colorato acquistasse di per sé un senso
compiuto. E loro, beh, erano maestri in quell'arte e vi si gettavano con sempre maggiore calore:
sembravano nati per ridere, ridere, ricordare e ridere di nuovo.
"No, ti prego, ma te lo ricordi davvero?!?"
"Cazzo, Ino, non si dimentica la prima volta che
sei rimasta in mutande su un palcoscenico!"
"E' stato il nostro successo migliore."
"Sì, perchè a quelli delle prime file è venuto un infarto e hanno scordato
la tua interpretazione penosa!"
"Ah, bastardo. Vogliamo parlare della tua sgargiante performance in
Finale di partita ?
Sì, esatto, quando hai chiamato Kiba per nome e non Clov e l'hanno sentito anche giù in magazzino!"
"A fare il Macbeth una volta hai tentato di
stuprare l'Uchiha, non te lo ricordi?!? E in pieno spettacolo
oltretutto!"
"Io? Io no di certo. Non mi ricordo niente."
"Falsa! Falsissima falsa!"
E brindavano ancora e ancora, per tutti gli ipocriti
che rendevano il mondo un posto un po' più allegro. Ridevano fin quasi alle
lacrime, anzi forse piangevano, i visi arrossati e distorti da quella tremenda
risata invincibile che non appassiva mai, solleticata dal vino e dall'euforia.
Choji non sapeva cosa fosse di preciso quello che lo legava ad Ino e a Shikamaru. Andava ben oltre il fatto che Ino fosse stata la
sua ragazza per qualche tempo e Shikamaru il suo
migliore amico. Andava ben oltre il palcoscenico, il teatro, la stessa piatta
quotidianità giornaliera. Loro tre avevano superato i giorni degli spettacoli,
quelli della scuola e dell'università, quelli del lavoro, quelli
dell'immancabile famiglia. Avevano superato anche l'impossibile con una tenacia
e una resistenza così incrollabile che loro stessi ne erano
rimasti stupiti.
C'erano alcune giornate in cui il loro legame sembrava uno strascico opprimente
che s'ostinavano a portare avanti, forse per non sentirsi troppo soli o forse
per un'infantile attaccamento a cose ormai morte e
sepolte.
C'erano poi altre giornate, decisamente migliori, in
cui non smetteva di sorridere perchè, anche se Ino e Shikamaru
non erano materialmente con lui, non poteva sentirsi solo, li ritrovava nella
sua vita nonostante la distanza.
Ayame s'incupiva sempre quando
lo sentiva parlare di loro due, ma la sua gelosia lo divertiva moltissimo: le
increspava le guance piene e gli occhi scuri come nocciole, la rendeva morbida
e liquida come una tazza di cioccolato bollente.
Ayame si sforzava di capire, ma non ci riusciva e si
chiudeva a riccio in un'ostinata gelosia, feroce come ogni donna al nome dell'altra,
e l'addolciva un poco solo la tranquillità pacifica di Choji,
che non si scomponeva di un'unghia alla vista della sua buffa espressione imbronciata.
Sapeva che, quando sarebbe tornato a casa, a notte fonda e ubriaco fradicio, si
sarebbero rovesciati insieme sul loro letto ridendo come pazzi, come ragazzini,
con l'adorabile ironia giocosa che tanto amava in lei.
Guardava Ino piegata in due dalle risate, le labbra
sporche di sangria, e in lei vedeva Ayame e il suo
broncio offeso, la sua piccola figura tondeggiante e tutte le cose che
appartenevano alla rassicurante e familiare realtà di tutti i giorni, a quella
che poi era andata definendosi come la sua vita.
"Ma guardati" lo sfotteva bonariamente Ayame,
"fai l'assicuratore e vai al parco a bere come un quindicenne!"
Ino lo chiamava ancora Cho, Choji
o Ciccione, come aveva fatto sempre da quindici anni o poco più, e la sua voce
stridula aveva il suono di quei giorni in cui si sentivano davvero in grado di
cambiare il mondo con un copione teatrale. Giorni passati, giorni
finiti. Comunque giorni felici.
Shikamaru, poi, guardava i compagni con uno sguardo
disilluso e amaro, che solo la vitalità esplosiva di Ino
attenuava un poco, ma Choji conosceva bene tutte le
conclusioni che aveva tirato nella sua mente, sebbene l'amico non gliele avesse
mai dette a voce. Gliele vedeva scritte lì, nell'eterno pacchetto di sigarette,
nell'eterna partita a scacchi che Shikamaru non rinunciava mai a giocare, nell'eterna indolenza che da
quando era nato lo contraddistingueva.
E poi veniva lui, Choji. Ovvero Cho, il Ciccione, l'Akimichi o Gogo, in ricordo del
ruolo che l'aveva galvanizzato. Alle volte si chiedeva quale fosse il suo ruolo in quel terzetto, dato che non era né
volubile e iperattivo quanto Ino nè
acuto e riflessivo quanto Shikamaru, ma solo un ragazzotto sovrappeso con la
tendenza a divorare qualunque tipo di cibo gli capitasse fra le mani.
Poi
qualcuno gli aveva messo in mano una copia di un testo di Beckett.
Aveva letto il titolo col naso arricciato, diffidente:"Aspettando
Godot... mh, cos'è? Un
orrendo pippone straromantico?"
Allora chi gliel'aveva passato aveva sghignazzato a gola spiegata, con quella risata
profonda che quasi sembrava un latrato, e l'aveva invitato a leggerlo prima di
giudicare.
Ed era successo il
Miracolo.
ESTRAGON: Siamo
contenti. E che facciamo, ora che siamo contenti?
VLADIMIR:
Aspettiamo Godot.
ESTRAGON:
Già, è vero.
Just a perfect day,
Problems all left alone,
Weekenders on our own.
Its such fun.
Guardo il
mondo intorno a me e non lo riconosco, e non è per colpa dell'esorbitante
quantità di alcool che circola nelle mie vene o della
presenza di Ino qui accanto a me, ubriaca euforica e bella come una luna rossa.
No, non è per colpa di tutto questo. E' per altre cose.
E' per i tranci di pizza gommosa annaffiati di sangria che mastichiamo
guardandoci di sbieco, è per le prese in giro che non riusciamo
a smettere di rinfacciarci, è per questa voglia folle di goderci fino in fondo
le ore e i secondi di questa delirante deliziosa e patetica giornata vissuta
tutti insieme appassionatamente.
Sì, sì lo so bene, avrei potuto fare mille cose oggi e invece preferisco stare qui, in un vecchio parco dimenticato e
frequentato solo dal nostro chiasso sguaiato. Stare qui, qui con loro.
Li guardo e mi sembra di odiarli come si odia ciò che
si conosce da sempre e ci conosce meglio di chiunque altro.
Li guardo e avrei voglia di piangere stringerli
prenderli a schiaffi tutto insieme, ma forse questo è davvero l'alcol che
parla.
Un ciccione, una smorfiosetta
prepotente e un apatico cazzone, che poi sarei io.
La peggior combinazione del mondo, eppure, forse proprio per
questo, ancora insieme.
...Forse dovremmo darci un taglio con questi revival annuali, che mi ammazzano
come nient'altro al mondo.
Ma comunque, stavo dicendo.
Sono il mio passato, inutile negarlo. Sono un masso che si trascina stancamente
giù per una china, e io sto qui tranquillo aspettando che mi travolga.
Choji. Choji e le
interminabili partite a scacchi, le chiacchierate fino all'alba sulla veranda
di casa, le prime sbronze insieme e la spalla perfetta, Choji
sempre pronto a salvarmi quando dimenticavo quella
dannata battuta e nella mente si spalancava un vuoto grande quanto il teatro
buio che attendeva la mia voce.
Ino. Ino come Incognita, Indefinita, Inafferrabile. Ino come un vento
impetuoso, come la ragazzina che non voleva mai tornare a casa e che vomitava
prima di ogni spettacolo, nei rari momenti in cui si
concedeva un po' d'umanità dietro la maschera da perfetta femme fatale che
esibiva con orgoglio e disinvoltura.
Mangiano la pizza qui con me, queste due teste splendide, questi
due amici che neppure il tempo riesce a portarmi via e, se guardo loro, so che
forse ho ancora la speranza di combinare qualcosa di
sensato in questa stupida vita che mi avanza.
"I ricordi sono una cosa così viva che a volte ci rendono la vita
impossibile" cita filosofica Ino, la bocca piena e un sorriso smagliante
negli occhi chiari.
Né io nè Choji le rispondiamo. Forse perchè non c'è proprio niente da dire. Il
vino alle volte non basta per trovare certe risposte, ormai sono sicuro che non
possa bastare proprio nulla, esse sono sempre aldilà
dei nostri umani e umili tentativi fallimentari.
Ed ecco
che, minuti di silenzio dopo, a pancia in su e con lo
sguardo perso nel cielo che diventa sempre più scuro, Ino lo dice a mezza
voce:"...A voi non manca?"
Subito saltiamo sulla difensiva e all'unisono scattiamo:"Cosa?"
Ino ridacchia appena, con le dita disegna nell'aria una figura
immaginaria:"Il Teatro!"
Se ci manca, Ino, se ci manca.
Se mi manca.
Se mi manca svegliarmi sui banchi di scuola alle urla inferocite di qualche
professoressa, se mi manca avere di nuovo diciassette anni,
se mi manca credere che le mie azioni non avessero alcuna conseguenza, se mi
manca vivere con quella speciale aria che ti danza sulla testa solo quando sei
giovane e che se ne va non appena scopri il significato della parola 'bonifico bancario'.
Mi manca ogni cosa di quel periodo. E la mancanza si fa sentire soprattutto quando ho bevuto o sono incline alla malinconia,
come in questo momento.
Mi manca fondamentalmente perchè era facile. Dite quel
che volete, ma non mi pesava affatto faticare, imparare
a memoria un copione, lavorare su un personaggio e portare in scena
un'ipotesi di realtà convincente. Mia madre ha sempre saputo quanto radicata e
invincibile fosse la mia pigrizia, ed è rimasta
sbalordita vedendomi diventare iperattivo e pieno
d'energia se solo si nominava il teatro.
Forse perchè è molto più facile essere ciò che non si è, piuttosto che ciò che si è.
Questo Ino e Choji l'hanno sempre saputo meglio di
chiunque altro.
Just
a perfect day,
You made me forget myself.
I thought I was someone else,
Someone good
Asuma-sensei era un bravo insegnante, tralasciando
il fatto che ha attaccato a Shikamaru il vizio
delle sigarette.
Era bravo, davvero bravo. Saliva su quel palco e ti
affascinava. La vita che lui vedeva da lassù doveva essere proprio diversa da
quella che vediamo noi, doveva essere colorata,
avvolgente, melodiosa: un concerto che lui dirigeva splendidamente, un po' mago
un po' straccione quale era, con quel sorriso sfottente sempre stampato in
faccia.
E, com'era naturale, avevo una specie di cotta per
lui, come tutte le allieve della compagnia.
Ma ciò nonostante non siamo riuscite ad odiare Kurenai-san,
perchè tutte noi vedevamo in lei ciò che saremmo
diventate, e non si può odiare troppo a lungo una così bella idea di se stesse.
Adesso so che tutto ciò che non vorrò mai diventare
è la donna incinta di un suicida.
Sì. L'ha fatto.
Nessuno di noi ha voluto o potuto spiegarsi il perchè: forse è la nostra
infanzia che se n'è andata via con lui insieme all'ultima maschera del teatro o
forse stiamo ancora aspettando di recitare l'ultimo atto di questa
tragicommedia dell'assurdo. Né io nè Choji nè Shikamaru
siamo sopravvissuti a questo, e anche la scuola di
teatro s'è ripiegata su se stessa, come in procinto di rimettere i propri
peccati in punto di morte. Ovviamente abbiamo smesso di recitare e l'ultima
volta che abbiamo visto uno spettacolo piangevamo come
bambini, di nascosto l'uno dall'altro, colpevoli. Da cinque anni evitiamo i
teatri come la peste, come la lebbra, come le cose che fanno male.
Si è parlato di debiti, di storie di donne, di padri e madri assenti, di
famiglie distrutte, di cose di cui comunque non voglio
parlare.
"E' il male di vivere, Ino" diceva, "ti annienta, ti stritola,
ti opprime, ti entra dentro come la spina di una rosa e tu non sai più se
ridere o piangere dal dolore" e lo ripeteva sempre, ogni volta che puntavo
i piedi e non riuscivo a gestire e capire un personaggio, ogni volta che ciò che
portavo in scena non era abbastanza vicino al reale.
Il male di vivere, qualunque cosa sia, è come un filo che passa attraverso di
noi intrecciandosi agli elementi che ci rendono ciò che siamo,
siano essi Choji, Shikamaru,
un odore, una luce o un ricordo.
Se quel filo si rompe, allora sei fottuto.
Sono cinque anni che parliamo di Asuma-sensei
e ancora non ci siamo arresi; con la pazienza dei cercatori di perle rivoltiamo
e scorporiamo quell'unica disarmante risposta, fissa
sempre davanti agli occhi sebbene la domanda non sia mai quella giusta.
Shikamaru s'incazza quando dico che non è per i vivi che bisogna restare: lui
sarebbe rimasto, lo so, lui rimane sempre e se non avessi questa certezza la
notte non riuscirei a prendere sonno.
Ma non è per i vivi che si resta. Si resta per se
stessi, perchè si ha ancora qualcosa da dire al mondo e perchè forse lo si ama ancora un po'. Si resta per chi è già morto o per
chi ancora non ha vissuto.
Forse però tutto questo non era abbastanza, e il sipario è calato così in fretta
che non abbiamo potuto terminare di dire neppure l'ultima battuta.
Oh
it's such a perfect day,
I'm glad I spent it with you.
Oh such a perfect day,
You just keep me hanging on,
You just keep me hanging on.
"Ciccione,
spostati, non ci sto!"
"Bada a come parli, strega,
"Sembrate una coppia di sposini novelli."
"E tu sembri il solito vecchio bilioso."
"Ma 'fanculo, Ino."
"Vaffanculo a te, Shikamaru."
"Fate piano, cazzo! Stavo per cadere di
sotto."
"Bah, tutta ciccia superflua. Ayame dev'essere brava in cucina: lei non pensa
affatto alle diete, vero?"
"Guastano l'umore e l'appetito."
"Sì, ma sgonfiano il culone gigantesco che ti
ritrovi."
"Un'altra parola e ti butto giù dalla macchina, Ino!"
"Va bene va bene, sto zitta, permaloso che non sei altro! Sto zitta!"
"Non stavamo parlando di stelle prima che voi due
cominciaste a bisticciare?"
"Giusto Shika. Stelle. Solo ed esclusivamente
stelle."
A testa in su sul tetto della Ford
Galaxie del '67 di Choji,
guardavano un cielo di velluto senza fine, e Ino col dito puntato verso la luna
spiegava le stelle come se fossero fiori aperti al vento su un prato color
smeraldo. Anche quella era una tradizione della loro
giornata insieme e perciò doveva svolgersi con lo stesso cerimoniale quasi
sacro della cena, della sangria e del pranzo. Ormai sapevano recitarle a
memoria, quelle stelle, ma non per questo esse perdevano un centesimo della
loro bellezza o del loro splendore.
E il vino che deliziato faceva le fusa nelle loro vene
permetteva di scordare ogni cosa, anche quel bagliore infinito lontano anni
luce da loro.
"Dov'ero rimasta? Ah sì, Venere."
Il dito affusolato, dall'unghia curata, cercò nel caos siderale il punto
luminescente che portava questo nome. Quando lo trovò, Ino si lasciò andare a una risatina leziosa, affettata, da brava ragazza timida e
innocente, e il tettuccio dell'automobile risuonò appena mentre la sua schiena
si adagiava sullo strato di lamiera scura:"Lo chiamano anche Vespero o
Lucifero e brilla come una scheggia di vetro.
Gli antichi pensavano che fossero due stelle diverse, l'una che sorgeva al mattino, portatrice di luce, lo splendente Lucifero, e
l'altra invece al tramonto, compagna del cielo amaranto, perciò Vespero. Invece
erano due facce dello stessa identica medaglia, non
stella né astro ma pianeta, Venere luminosa che abbaglia, impossibile da
scorgere durante il giorno perchè troppo brillante.
Tutti pensavano fossero due cose distinte, invece era solo la stessa, prima e
dopo..."
Ino parlava con una voce di pancia mentre le stelle si
specchiano nel suo viso, e sia Shikamaru sia Choji se ne accorsero, ma preferirono tacere.
"Quelle lassù sono
Il loro cuore batteva all'impazzata con la violenza delle supernova. Avevano
bevuto troppo, certo, ma questo non impediva loro di sentirsi sollevati dalla
placida mano gigantesca dell'universo che li invitava a farsi avanti, pronta ad
accoglierli nelle sue comode spire di buio.
Ino continuava a parlare con la voce man mano più arrocchita,
tremava di freddo o forse di paura di fronte a quell'immenso
che annientava, oppure erano stelle anche quelle che colavano distratte sul suo
viso, livide e impalpabili come spruzzate di neve:"...E...e
se gettate una riga che da Vega corre fino ad Altair per fermarsi poi su Deneb,
vi accorgerete che un triangolo incornicia queste tre stelle: si chiama
Triangolo Estivo ed è la cosa più bella che un povero disgraziato possa mai
vedere alzando gli occhi al cielo di agosto, è come tuffarsi in una vasca
d'onde mille volte migliori di quelle del mare, non lo vedete anche voi? E' bellissimo" sussurrava rapita.
"Sì" confermava Shikamaru, "è
bellissima".
"E' anche utile, perchè Deneb Altair e Vega aiutano a orientarsi e a riconoscere le altre stelle. Se ci
spostiamo un poco, per esempio, vediamo subito lo
splendore di Ercole... Ma sì, dai, non te ne accorgi?, è così evidente! C'è lì
di fianco la splendida, bruciante Antares, la mia
stella preferita assieme a Betelgeuse, anche se quest'ultima non può essere vista a
occhio nudo...
El hombre de ciencia, qui, non ha nulla da obiettare? Un telescopio
toglie bellezza a ciò che si può vedere con un semplice paio d'occhi
aperti!"
"Mh, non ho detto niente."
Imperterrita Ino proseguiva:"Un matemàticos dovrebbe capire meglio di una commessa
la bellezza perfetta e ordinata della natura.
Antares la rappresenta in pieno: limpida e
abbagliante, mille volte più grande e più luminosa del sole, eppure quello che
non tutti sanno è che ha una compagna, una minuscola nana blu quasi invisibile
che incessantemente le ruota attorno. Non lo direbbe nessuno, eppure Antares, il
rubino sfolgorante dell'universo, proprio la grande Antares,
cammina con un piccolo sputo color latte al suo fianco! L'avreste mai
detto, eh?! No, ci scommetto quel che volete che non
ve lo sareste mai aspettato!
Più in là, comunque, c'è Cassiopea..."
Non era importante che dicesse cose già dette e ripetute da anni, l'importante
era che parlasse, parlasse, parlasse come faceva da ragazzina, senza stare
zitta un istante neanche per prendere fiato. In quel modo riusciva a scacciare
via il silenzio profondo che si era posato in mezzo a loro e che con le sue ali
di gabbiano oscurava il cielo notturno.
Quando Ino alla fine tacque, udirono i suoi singhiozzi
spezzarsi sul tettuccio della Ford Galaxie del'67, mentre il cielo
era già svanito lontano, in cerca di qualcuno che potesse ammirarlo per
davvero.
Ecco,
quello era il momento, lo sentiva.
Toccava a lui dare il segnale d'inizio ai suoi compagni, perciò lo fece,
preciso e puntuale com'era sempre stato.
Choji respirò di colpo, sentì i polmoni schiudersi a quel soffio d'aria
umida e, quando parlò, la sua voce parve riempire tutto lo spazio circostante,
fino ai confini della città addormentata:"Ayame è incinta."
"Temari ha chiesto il divorzio. Se n'è andata di casa. E sì, questa
volta è sul serio" ribattè immediatamente dopo Shikamaru, la stessa voce ferma e vibrante del
palcoscenico.
Ino subito gli fece eco, di colpo sobria e seria:"Sono
stata licenziata una settimana fa, non ho ancora pagato l'affitto arretrato, e
oggi sono cinquantatré giorni che io e Sai non ci
rivolgiamo la parola, perciò suppongo sia finita tra noi due.
Le nostre
vite vanno alla grande."
You're going to reap just what you sow,
You're going to reap just what you sow,
Il fumo
saliva verso l'alto in un serpente azzurrino senza fine, mentre Shikamaru si accendeva annoiato una sigaretta dopo l'altra.
Era quell'imprecisata ora della notte compresa tra le
due e le quattro, quell'ora che soffoca
il sonno e la voglia di dormire per lasciar spazio a un'invadente lucidità
febbrile che pesa sulle palpebre come un fastidioso mucchietto di sabbia. Anche l'effetto inebriante della sangria era svanito, si era
diluito nel sangue fino a sciogliersi come il benefico oblio di Morfeo.
Di dormire proprio non se ne parlava, ma del resto neanche di chiacchierare.
Succedeva sempre così dopo che si rivelavano l'un l'altro
i motivi più evidenti per cui scappavano dalle loro vite, rifugiandosi per un giorno
nei ragazzini che da tempo avevano smesso di essere. Se ne stavano in silenzio
a contare i propri rimorsi, rinchiusi nelle aspettative
e nei dolori di ciascuno, rifiutando ogni contatto con l'altro. Così era per
Ino e Shikamaru, ancora sdraiati l'uno di fianco
all'altra sul tettuccio della Ford Galaxie, immobili e muti quasi
come le stelle.
Choji si era disteso sul marciapiede di pietra di
fianco alla strada, le braccia incrociate dietro la testa e un pacchetto di
patatine sulla pancia sferica. Soppesando filosoficamente una patatina tra
l'indice e il pollice prima di trangugiarla, pensò che quello era un chiaro sintomo di demenza senile, poco importava che
tutti e tre arrivassero appena ai trent'anni. Perchè
non si può credere fino in fondo che dieci anni insieme valgano tutto sommato
qualcosa rispetto ai settanta di una vita umana, non si può credere che tutto
il resto sia meno importante o meno degno di essere vissuto paragonato a quei fottuti dieci anni, non si può non rassegnarsi al
cambiamento, alla crescita, all'età adulta, perchè è la vita, è la vita, cazzo, c'è un'unica direzione che corre sempre in
avanti, soltanto in avanti, non si può rimanere ostinatamente col viso rivolto
all'indietro!
Sei proprio un assicuratore!,
l'avrebbe sfottuto Ayame se fosse stata lì.
Ma Ayame non c'era, era a
casa, di sicuro già addormentata nel loro letto, con la finestra appena
socchiusa per l'afa estiva e la città che cullava il suo sonno con le sue luci
che non gli erano mai sembrate così calde e avvolgenti.
C'erano solo Ino e Shikamaru
- per fortuna, ma anche per sfortuna. Ino e Shikamaru e un capitolo della sua vita che da troppo tempo
attendeva di essere chiuso, per passare a quello successivo. Era
arrivato il tempo di farlo forse, e al pensiero della cosina spaurita che tra
qualche mese sarebbe sbucata fuori dalle cosce di sua
moglie Choji si sentì deciso, sereno ed elettrizzato,
come assaporando una sensazione tutta nuova.
E beh, alla tua salute, Asuma-sensei.
Ovunque tu sia.
You're going to reap just what you sow,
You're going to reap just what you sow.
"Alzatevi
dalla mia splendida macchina" grugnì burbero l'Akimichi,
entrando nell'abitacolo.
Nessun segno rivelò che, da sopra il tettuccio, qualcuno avesse tenuto in
minima considerazione le sue parole.
"Alzatevi" ripetè perentorio, ma il suo
ordine venne ascoltato soltanto dal venticello
notturno che tiepido attraversò ridendo la stradina silenziosa.
Per tutta risposta Choji girò la chiave nella toppa e
accese il motore: l'automobile, con un borbottio scoppiettante, balzò in avanti
ruggendo, pronta a divorare l'asfalto.
Sacramentando in spagnolo una sequela di improperi che
il giovane non comprese, Ino allora saltò giù e, il naso incollato al
finestrino, gli urlò contro a gola spiegata:"...Maldido
cabròn, ma che cazzo
fai?! Sei impazzito, pezzo di deficiente?! Hai un
sacco di chicchi mais nel cervello, Ciccione del cavolo, ci stavi per far
ammazzare, idiota, idiota, brutto stronzo pezzo
d'idiota!!!!" gridò con voce fortissima, le
guance rosse di rabbia e gli occhi che lampeggiavano.
Choji rise di cuore e con una
manata le aprì la portiera del passeggero.
Shikamaru, dietro di lei, si grattava il mento con
fare perplesso, indeciso se insultare a sua volta l'amico o se scoppiare a
ridere, prendendo l'inconveniente con filosofia. Alla fine si decise per un
sonoro sospiro risentito, prima di sistemarsi accanto al guidatore, lasciandosi
andare a un borbottio stizzito che tuttavia conservava
una vena d'ironia:"Io non capisco proprio, Choji.
Se sterzavi un altro po' finivamo di sotto tutti e
due."
Choji, la bocca piena di patatine, non diede retta nè al bonario rimprovero di Shikamaru
né alla furia distruttrice di Ino, che dal sedile posteriore gli sputò in
faccia gli epiteti peggiori, alcuni per la fretta pronunciati in spagnolo,
mentre ululava di rabbia come un vulcano in piena eruzione.
Doveva aver svegliato mezza città con le sue grida isteriche, di sicuro più di
un'onesta e morigerata massaia doveva aver già cominciato a recitare il
rosario, per purificarsi dalle immonde esclamazioni sacrileghe che erano
sgusciate fuori da quella deliziosa boccuccia di rosa
in preda alla collera.
Per quanto la reazione divertita di Choji l'avesse spiazzata per un attimo, Ino si era ripresa e non
accennava a smettere di vomitare veleno: trovava di minuto in minuto un
argomento in più con cui ridicolizzare l'amico e affondava il coltello nella
piaga senza risparmiare la voce né la fantasia.
"...E io dico ma guarda te con chi mi tocca aver a che fare, con un grosso
bisonte farcito di capponi e salsa di mirtilli, un perfetto deficiente con un
pozzo senza fondo al posto dello stomaco, incapace di stare cinque secondi
senza grufolare come i maiali in mezzo al cibo, 'Tu non hai fame Ciccione?
Tu non hai fame? Tu non hai fame?' He-e-eeeh,
roba da far scoppiare il fegato come una mela matura! Che
schifo, Madre de Dios!"
Choji neppure l'ascoltava, guardava la piccola città
riposare e in silenzio guidava, una patatina dopo l'altra.
Accese l'antidiluviana radio malandata e la chitarra di una vecchia canzone
gracchiò, rude come una cornacchia, nella Ford Galaxie nera, che per un istante sembrò danzare mollemente
al ritmo di quelle note serafiche, un poco languida e mezzo
addormentata, come un ubriaco che con la voce impastata gorgheggia un ritornello
sbilenco dopo la sbornia. Alzò il volume finchè la
musica non riempì ogni cosa, soppiantando perfino gli insulti di una Ino a poco a poco ridotta al silenzio.
Tutti e tre presero a cantare col poco fiato che rimaneva loro in corpo,
svelando una voce forte e stentorea che buttò giù dal letto l'altra metà della
città e che si abbandonò volentieri al gioco morbido degli accordi della
chitarra. Avevano gli occhi lucidi, ma guardavano avanti, Ino che sul sedile
posteriore si mordicchiava le labbra e non sbatteva le palpebre per paura che
le lacrime cominciassero a cadere, Shikamaru sul sedile passeggeri che aveva dimenticato l'eterna
sigaretta accesa fuori dal finestrino e Choji che
teneva il volante con una mano sola, la gola offerta al vento e al tripudio
della canzone.
Alla tua salute, alla sua, alla nostra.
Ai nostri sogni, a quello che siamo diventati, a
quello che forse saremo o non saremo mai.
Ma più di ogni altra cosa, più di tutto quanto, a
noi!
Quando la melodia
si spense, inabissata dalle interferenze metalliche della radio, Shikamaru guardò Choji,
Choji guardò Ino e Ino
guardò Shikamaru, questa volta un po' più a lungo del
solito.
Choji, reprimendo un sospiro frustrato, promise a se
stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe dato la prima
battuta ai suoi compagni, e infine si accinse all'ingrato compito che come da
copione gli spettava da circa una vita intera.
Arrivati sotto l'appartamento che a Ino era costato il
negozio dei genitori, frenò bruscamente e mancò poco che Shikamaru
finisse spalmato contro il parabrezza, scatenando ulteriori veementi proteste
da parte della Yamanaka, proteste culminate in un
feroce scappellotto che colpì Choji tra capo e collo.
Fischiettando incurante, Choji la lasciò sfogare e
consumare le sue corde vocali.
"Shikamaru" fece.
"Eh."
"Adesso tocca a te, la prossima scena è tua."
L'altro parve sbigottito:"Che vuoi dire?"
Choji rise ancora, scotendo la grossa testa:"Ma
niente, figurati.
Accompagni tu Ino a casa? Sbronza com'è, potrebbe
inciampare e rompersi la testa al primo gradino."
Anche Shikamaru allora rise, con una risata bassa e
roca che quasi non lasciò la gola del proprietario, una risata complice che
senza bisogno delle parole diceva tutto quanto c'era da sapere. Socchiuse gli
occhi e, dopo un ultimo tiro alla sigaretta, gettò il mozzicone che ne restava fuori dal finestrino.
"Sì, non ti preoccupare" annuì con un'indifferente alzata di spalle,
"starò attento che non si faccia male."
Choji allora sorrise con semplicità, senza aggiungere
una sola parola, e si portò via la notte non appena la sua Ford
Galaxie del '67 svoltò rombando l'angolo della
strada.
Due minuti dopo Ino,
che aveva fissato inebetita la propria mano stretta da quella di Shikamaru, aveva realizzato d'improvviso che la quantità di
sangria presente nel suo sangue non era più così determinante
nel guidare le sue azioni.
Allora danzando come una ragazzina l'aveva trascinato in casa sua e,
semplicemente, come se fosse la cosa più naturale e spontanea del mondo, come
se fosse nata per compiere quel gesto così istintivo ed elementare, gli si era
gettata addosso famelica e luminosa, sicura che fino a
giorno fatto sarebbero rimasti avviluppati tra le coperte a ridere, ad
azzuffarsi e a cercarsi con l'incoscienza dei bambini, immersi in una realtà
più piacevole e terrena di quella evocata dall'alcool, dal tabacco o dal
Teatro.
...E questo in fondo è solo un
piccolo, insignificante finale di partita, Ino-chan.
Oh it's such
a perfect day,
I'm glad I spent it with you.
Oh such a perfect day,
You just keep me hanging on,
You just keep me hanging on!
Fin
Note
dell’Autrice
Questa storia si è classificata Sesta al Contest Naruto Alternative Universe Special [ Scegli dove ambientare la tua Fanfiction ! ] indetto da DarkRose86, che ringrazio per il giudizio ragionato e accurato.
E’ vero, tengo troppo a questa storia per non essere un
pochino delusa da un piazzamento così, ma in fin dei conti va bene lo
stesso J questa è
Infine, piccola nota finale.
Non avrei aggiunto la parte sul suicidio se non fosse successo quello che è successo durante la mia settimana al Festival di Teatro
della mia città.
Siamo venuti a sapere, giusto prima della seconda serata, che un ragazzo di
un’altra compagnia si era tolto la vita. Non lo conoscevo né potrò
mai conoscerlo, ma l’avevo visto un paio di volte recitare e, dannazione, era
bravo. Davvero.
Dunque non mi sentivo di lasciarlo andare così, senza
dirgli niente, nel modo che sentivo. Di solito gli attori muoiono sulla scena,
non nella vita.
Grazie dell’attenzione,
Hipatya