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Autore: Kaiyoko Hyorin    13/11/2014    4 recensioni
[Estratto dal primo capitolo]
Non fece in tempo a realizzare quell'unico fugace pensiero che ella si accorse di avere i suoi occhi scuri puntati addosso, cosa che ne aumentò drasticamente la soggezione che provava nei suoi confronti ed a stento riuscì a impedirsi di sussultare nuovamente, preda di un imbarazzo senza pari.
“P-perché mi fissa in quel modo?!”
[Fine Estratto]
Era iniziato come un lavoretto di revisione e invece mi sono ritrovata a stravolgere completamente la trama, creando qualcosa di nuovo ed inaspettato! Ad oggi è l'opera più lunga che abbia scritto e spero che il risultato sia valso lo sforzo, augurandomi che risulti comunque una lettura gradevole, a prescindere! Vi auguro una buona lettura!
Attenzione: aggiunto OOC per il cambiamento caratteriale a cui i personaggi vanno incontro nel corso dell'intera storia, in accordo con la trama, senza comunque arrivare ad uno "stravolgimento" nel vero senso della parola; quindi non spaventatevi!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unione d'affari'
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39. Il primo giorno


Lunedì 3 Novembre: primo giorno di stage formativo alla N.C.
Contemporaneamente, era anche il primo giorno del corso di formazione professionale che avrebbe dovuto seguire presso l'organizzazione Hiwatari, eppure la giovane Natsuki sin dal momento in cui aveva aperto gli occhi sul soffitto della propria stanza, non si era sentita così nervosa come lo era stata i giorni precedenti. Lei e Kei non erano riusciti a vedersi spesso dopo la giornata passata ad Akebono e questo era anche in parte il motivo per cui si sentiva un po' più insofferente del dovuto.
Avvicinandosi alla propria 'scatola dei tesori' ne sollevò il coperchio di cartone per prendere con una mano la foto che era stata il trofeo vinto in quell'ultima giornata di sole passata in sua compagnia. Sorrise al viso imbronciato e dai caratteri più infantili del proprio ragazzo, mentre il pensiero di avere per sé uno scorcio del Kei del passato la rimetteva di buon umore.
L'impazienza e la felicità di poterlo rivedere, anche solo per poco tempo, in un ambiente comunque di lavoro, si aggiunse all'irrequietezza suscitata dalla consapevolezza che quello fosse anche il 'primo giorno' di quello stesso cammino che entrambi avevano scelto di intraprendere. Un cammino che, se tutto andava come doveva, li avrebbe visti procedere fianco a fianco per il prossimo anno.
Passando accanto allo specchio, diede al proprio riflesso un'ultima occhiata prima di scendere di corsa dalle scale ed entrare in cucina. Sua madre, già sveglia da un pezzo ed intenta a sparecchiare, le indicò il suo piatto, accanto al quale aveva depositato il bento, già chiuso ed impacchettato da portar via. Quell'accortezza le fece rammentare dell'ultima volta che aveva consumato un pranzo al sacco, evento avvenuto in compagnia del dranzerblader, e si ritrovò a sorridere, sebbene si ripromise nel metterlo in borsa che il giorno dopo avrebbe fatto in modo di procurarne uno anche per lui - se questi ne avesse avuto bisogno, ovviamente.
– Yuki-chan, ma non mangi?
– Non voglio arrivare tardi il mio primo giorno – disse la ragazza, afferrando un paio di fette di pane tostato e addentandole nello spostarsi per l'ambiente, prima di raccogliere le chiavi dalla mensola accanto alla porta ed aggiungere – Allora la prendo io la macchina..
– Sì certo, prendila pure, io andrò in taxi.. dobbiamo iniziare a pensare ad una seconda auto: in fin dei conti ne avrai bisogno – commentò la signora Natsuki alla figlia, asciugandosi le mani allo straccio appeso accanto al lavello e voltandosi in parte a guardarla.
– Non scordarti che avrò io l'ultima parola sul modello – le rammentò lei di rimando, scivolando oltre la soglia che dava sul corridoio e fermandosi nell'atrio per calzare le proprie scarpe. Si era vestita di tutto punto, con quello stesso tailleur blu scuro che aveva indossato l'ultima volta ormai più di due mesi prima, accostato ad una camicia bianca sfiancata. Non aveva affatto raccolto i capelli, che avevano miracolosamente conservato la piega che la parrucchiera aveva dato loro il giorno precedente, quando vi si era recata sotto costrizione materna per spuntarli. Ne aveva approfittato per cambiare colore, cambiando la sfumatura delle punte in un bel viola scuro, il quale aveva finito per piacerle quanto, se non più, del rosso precedente.
– Certo cara – la raggiunse ancora una volta la voce dell'altra donna.
Infilate le scarpe con tacco basso, la nightblader afferrò la cartella professionale che molto tempo addietro era appartenuta a sua madre ed uscì sul vialetto, diretta verso l'utilitaria parcheggiata lì accanto, senza per questo dimenticare la formula di rito.
– Sto uscendo.
– Buona giornata – le rispose sua madre, prima che la porta si richiudesse dietro le sue spalle.
Con passo rapido, Yukiko si accostò all'auto dal lato del guidatore, già pronta con le chiavi in mano a inserirle nella serratura e aprire la portiera, quando alle orecchie le giunse un rumore che stonava terribilmente con ciò che la circondava: il rombo del motore di un'auto sportiva.
Inarcando un sopracciglio, la ragazza si voltò verso il cancellino in ferro battuto, riuscendo a scorgere soltanto un angolo posteriore della macchina da cui proveniva quel suono caratteristico, sebbene fu abbastanza a lei per distinguerne il colore grigio piombo metallizzato della carrozzeria.
Il cuore le sussultò nel petto e, presa da un sospetto improvviso, la blader si mosse automaticamente per sporgersi oltre il muro di cemento che definiva il confine fra il loro cortiletto e la strada. Appena ci riuscì, uscendo sul marciapiede, aveva già ambo gli occhi verdi spalancati alla vista della Chevrolet Camaro Cabrio che aspettava proprio lì davanti, col tettuccio alzato ed i finestrini abbassati.
Accostandosi al lato del guidatore non si sorprese più di quanto già lo fosse nel vedervi seduto Kei, che ricambiò il suo sguardo con un'aria del tutto impassibile e un po' scocciata, come se l'attesa lo avesse messo di malumore. Impressione che, nel profondo stupore che ancora non voleva saperne di farla tornare lucida, venne meno l'istante successivo perché dagli occhi dai riflessi di brace del blader trasparì una nota di sorpresa che ella non ci mise un secondo a collegare al suo nuovo colore.
– Che cosa ci fai qui?? – si ritrovò ad esclamare di getto.
– Ti porto al lavoro – le rispose lui con un sorrisetto sghembo dei suoi.
– Ma..! – sbottò inizialmente la mora, completamente presa alla sprovvista. Mossa dall'agitazione di un pensiero dopo l'altro, sollevò lo sguardo verso casa propria, corrucciata in viso, prima di sospirare a labbra serrate – Aspetta qui – gli disse soltanto, tornando indietro e raggiungendo velocemente la porta di casa. Apertala, non diede nemmeno il tempo a sua madre di affacciarsi in corridoio che lei esclamò – La macchina la puoi prendere tu, io ho trovato un passaggio! Ci vediamo alla NC, ciao! – lasciandole le chiavi sul mobiletto accanto all'uscio.
– Yu-chan..?
Ignorando quel principio di domanda, la moretta richiuse l'anta del portone e corse verso la strada, perdendosi il resto delle parole di sua madre e affrettandosi a raggiungere la Camaro del suo ragazzo. Sì, perché quello che continuava a sorprenderla era proprio quel pazzo del suo compagno.
Raggiunta la portiera a lato passeggero, la aprì e vi si infilò dentro di slancio, richiudendola un istante dopo.
Parti, parti, parti!
Il rombo del motore si ravvivò sotto la sollecitazione del dranzerblader e l'auto fece un balzo in avanti, costringendo la ragazza a schiacciarsi contro il sedile mentre questa si immetteva in strada e sfrecciava via. Spiazzata, riuscì a riprendere fiato soltanto una manciata di secondi dopo, che in termini di strada corrispondeva all'isolato adiacente, sebbene il cuore non volesse saperne di tornare ad un battito normale.
Ancora stralunata dalla piega che aveva preso quella mattina, si voltò allora verso il suo autista, senza riuscire ad evitarsi di esclamare – Sei completamente fuori di testa! – il vederlo incassare il capo fra le spalle e cercare di smorzare un sorriso divertito la fece continuare con il medesimo tono accusatorio – Non dovevamo tenere un basso profilo? E se mia madre ti avesse visto?!
L'ultima frase ebbe il potere di attirare abbastanza attenzione da indurre il blader a scoccarle finalmente un'occhiata in tralice nel fermarsi ad un incrocio, prima di tornare a prestare attenzione alla strada.
– Credevo ti avrebbe fatto comodo un passaggio.
Yukiko piegò le labbra in una smorfia, spostando lo sguardo a propria volta oltre il parabrezza – Comunque, avremo presto una seconda auto.
– Buongiorno a te.
La mora a quella risposta non troppo entusiastica si lasciò sfuggire uno sbuffo quasi divertito, iniziando a calmarsi abbastanza da riuscire a vedere il lato positivo della situazione, e rispose – Buongiorno, tesoro. Grazie per essere passato – e senza pensarci troppo si sporse dal sedile per scoccargli un bacio sulla guancia immacolata.
Quel mattino persino Kei si era vestito a modo, con quella sua camicia nera ed i pantaloni del medesimo colore, e si era finalmente ripulito il viso. L'orecchino che gli decorava il lobo era l'unico vezzo che aveva mantenuto, insieme alla piega dei capelli assolutamente casuale, come al solito.
– Come mai vestito così?
– Mio padre ha indetto una riunione per presentarci ufficialmente.
– Ah. Capisco – commentò la mora, scivolando nuovamente composta e ricordandosi soltanto in quel momento della necessità di allacciare la cintura di sicurezza. Ora era piuttosto chiara anche la sua presenza sotto casa sua: le era sembrato un po' troppo strano che Kei si fosse svegliato apposta per passare a prenderla a quell'ora.
– Non proprio.
– Eh? – la giovane Natsuki cadde dalle nuvole, reclinando il capo verso destra.
– Ti passerò a prendere tutte le mattine, finché non avrai un'auto tua – affermò senza batter ciglio lui, svoltando ad un bivio. La guida del dranzerblader in città risultò essere meno spericolata dell'ultima sera in cui lei era salita a bordo di quell'auto e permetteva ad entrambi di avere una conversazione civile, nonostante il rumore del motore.
La mora inarcò un sopracciglio, chiedendosi come avesse fatto ad indovinare ciò che stava pensando, ma l'istante dopo la prospettiva di vederlo ogni mattina sotto casa le insinuò un brivido di emozione al centro del petto, cosa che non le impedì di tentare di dire – Non importa..
Tentativo reso vano dalla replica dell'altro – Non ci provare – la bloccò, con tono che non ammetteva repliche – A me importa eccome.
Sentendosi arrossire per quella confessione, ma ragazza rammentò fin troppo chiaramente la discussione affrontata quasi tre settimane prima sulla Muraglia cinese e le parole che le aveva detto all'epoca. A ripensarci ora, quell'episodio stava già assumendo nella sua mente le connotazioni di un evento passato, ma la fece sorridere ugualmente.
– Anche a me – disse soltanto, puntando lo sguardo oltre il finestrino.
Non proferirono più una sola parola per il resto del tragitto, che ebbe una durata di un quarto d'ora scarso, sino al parcheggio privato del personale dell'azienda. Passando sotto la transenna, la mora ebbe finalmente una chiara visuale del palazzo che ospitava l'organizzazione Hiwatari. La visione del grattacielo di architettura all'avanguardia, posto accanto ad una costruzione gemella dall'altro lato del parcheggio, le fece spalancare gli occhi verdi dall'incredulità mentre arrivava ad appoggiarsi al vetro per riuscire a scorgerne la sommità.
– Quanti piani sono destinati agli uffici? – domandò meccanicamente.
– Tutti e ventidue.
Yukiko si voltò di scatto a fissare il suo ragazzo, sempre più sbalordita, cercando una conferma – Tutto il palazzo?
Kei sfoggiò un sorrisetto ironico e divertito al tempo stesso – Entrambi.
– Scusa??
– Anche quello accanto appartiene alla Hiwatari.
Di nuovo la mora sentì le forze abbandonarla. Sul serio sua madre aveva creduto che lei potesse avere tutte le capacità per gestire gli affari di un'azienda tanto grande da occupare gli uffici di due grattacieli di ventidue piani ciascuno? Anche ammesso che lei e Kei avrebbero finito per dividersi i compiti, questo voleva comunque dire ventidue piani a testa.
Quella donna nascondeva dentro di sé un pericoloso lato da megalomane.
Decisamente pericoloso.
– Pronta ad andare? – la voce del dranzerblader le venne in soccorso e la ragazza deglutì, realizzando che l'auto era ferma ed era giunto il momento di scendere e affrontare il suo destino.
– No – gli rispose meccanicamente, già mettendo mano alla portiera – Andiamo.
Udì senza problemi il distinto sbuffo divertito del suo compagno, cosa di cui non si sorprese più di tanto ormai: sembrava trovare divertente la maggior parte delle cose che diceva, cosa di per sé assurda, perché ricordava sin troppo bene i motivo per cui nei primi tempi lo aveva battezzato come blader di ghiaccio.
– Non stai dimenticando qualcosa?
Quella domanda a bruciapelo la fermò prima di far scattare la serratura, inducendola a voltarsi con un'espressione interrogativa in pieno volto. Stava per domandargli di cosa stesse parlando quando se lo ritrovò ad una distanza irrisoria dal proprio volto. Il tempo di frenare istintivamente il proprio respiro che avvertì le sue labbra sulle proprie, in un bacio rubato a tradimento che durò una manciata di secondi ma non mancò di farle sobbalzare il cuore nel petto.
Quando lui si tirò di nuovo indietro, Yukiko era fin troppo consapevole del proprio sorriso ebete stampato in faccia e lui ricambiò il suo sguardo con un'espressione maliziosa che lasciava intendere quanto anche lui l'avesse notato. Avvertendo le proprie gote colorarsi di una tonalità simile a quella di un pomodoro maturo, la nightblader allora deglutì, voltandosi verso la portiera e aprendola meccanicamente per saltar fuori senza una sola parola.
Nell'aria fredda del mattino, inspirò un paio di volte a fondo prima di ritrovare il controllo della propria espressione, se non delle proprie emozioni, ed attese come nulla fosse che il suo accompagnatore le facesse strada, seguendolo poi senza indugio verso l'ingresso del grattacielo alla loro destra. Non era più tempo di tentennamenti: la sua nuova vita di aspirante manager aziendale la stava aspettando.


Tutto sommato la giornata non era iniziata male per Kei ed, al di là di quella noiosa riunione formale indetta da suo padre, il resto della mattinata trascorse rapidamente sino all'ora di pranzo. Rapidamente perché - dopo aver presentato lui e la giovane Natsuki a colleghi e soci ed aver contribuito ad indirizzare la seconda al suo responsabile per il corso di formazione professionale a cui ella partecipava insieme ad un ristretto numero di persone selezionare fra le varie domande d'iscrizione - il presidente lo aveva trattenuto in quella stanza per discutere di affari ed assistere alla presentazione del bilancio aziendale mensile, onere a cui, gli aveva spiegato, avrebbe dovuto adempiere ogni primo lunedì mattino del mese.
Dopodiché lo aveva condotto ad una delle scrivanie da lavoro provviste di separé dell'ufficio accanto, spiegandogli che quella sarebbe stata la sua postazione di lavoro e che il responsabile del reparto gli avrebbe spiegato ciò che avrebbe dovuto fare in sua vece. Inoltre, avrebbe cambiato reparto di riferimento ogni due settimane, per poter avere così una panoramica completa di ogni settore amministrativo e del ruolo ricoperto nell'azienda.
In pratica, aveva passato le ultime tre ore ricontrollando alcuni documenti per conto del suo supervisore e facendo fotocopie, ma dopo neanche mezz'ora aveva iniziato a perdere qualunque interesse per quell'incarico monotono, così la sua mente aveva iniziato a divagare. Comprendendo di sentirsi annoiato ed insofferente, attribuì la causa del suo umore all'unica possibile: lei. Se non c'era lei nei paraggi a tener viva la sua attenzione, non riusciva a provare alcun interesse, non importava con chi stava parlando o cosa stesse facendo. Si permise di esternare un fugace sospiro a labbra serrate, graffettando una pila di fogli che erano la copia di una relazione appena uscita dalla fotocopiatrice. Al posto delle parole in grassetto del titolo, davanti agli occhi gli comparve l'immagine di lei quel primo mattino, con indosso il tailleur color blu scuro e i capelli neri e viola. La prima cosa che aveva pensato era che le donavano, la seconda che non gli sarebbe dispiaciuto sentire la loro consistenza setosa sulla pelle.
Accorgendosi di star tergiversando tornò alla propria scrivania temporanea, appoggiando lì le due distinte pile di fogli prima di lanciare uno sguardo all'orologio appeso alla parete dall'altro capo dell'ufficio. Erano le 12:02.
– Ah, eccoti qui – lo apostrofò il dirigente che avrebbe dovuto affiancare per quelle prime due settimane, comparendogli accanto – Ottimo lavoro. Per oggi è tutto.
La pausa decretava per lui la fine dei suoi oneri verso la società per quel giorno, cosa che gli procurò una sensazione di sollievo che non si lasciò sfuggire. Annuì semplicemente con un cenno del capo e, recuperando la propria giacca, si avviò verso la porta che dava sull'atrio di scale e ascensore.
Anche se non potevano far sapere in giro della loro relazione, questo non gli avrebbe impedito di passare ogni minuto libero con lei.
La incrociò fuori dalla sala ristoro mentre cercava di trovare un posto a sedere, l'espressione preoccupata che si rischiarò di un sorriso quando si accorse di lui. Avvicinandosi alla ragazza allora, Kei abbassò lo sguardo sulle sue mani, notando che reggeva in mano un involto squadrato dalla forma tipica: si era portata il bento da casa.
– Stavo cercando un posto libero.. – affermò, voltandosi verso il resto dell'ambiente. Non c'erano molte sedie adatte allo scopo, nonostante quella non fosse l'unica sala adibita a quel compito all'interno del palazzo. Persino al bancone, nonostante la relativa calma della clientela, v'era un discreto numero di persone intente ad attendere il loro turno per prendersi qualcosa da mangiare.
– Io cercavo te – le disse d'impulso con voce bassa, cosa che fece voltare di nuovo di scatto la ragazza a guardarlo con occhi spalancati. Quella reazione lo fece sorridere leggermente, soddisfatto di averla presa ancora una volta in contropiede – Vieni.
Non aggiunse altro, prima di voltarsi. Aveva già un'idea su dove poter mangiare qualcosa in santa pace, nell'attesa di salire di nuovo in macchina e fare rotta verso la sede della Natsuki Corporation.
La condusse verso l'ascensore, salendo con lei sino al diciottesimo piano, per poi proseguire lungo un breve corridoio incredibilmente silenzioso. Solo una donna incrociò il loro passo, non riuscendo ad evitarsi di guardarli entrambi con un'espressione perplessa nel momento in cui la superarono senza una parola. Probabilmente quella che doveva essere una segretaria si stava chiedendo cosa facessero lì, ma non aprì bocca nemmeno quando, con sicurezza, il dranzerblader tirò fuori il proprio badge e lo strisciò sul lettore magnetico accanto all'unica porta a vetri posta in fondo al corridoio.
Questa si schiuse senza problemi con un clangore ovattato di metallo, dandogli modo di sospingerla verso l'interno e far entrare Yukiko. Prima di seguirla, scoccò un'occhiata penetrante alla donna rimasta accanto all'ascensore e questa sussultò, prima di affrettarsi ad entrare nel vano di quest'ultimo e far richiudere le porte scorrevoli. Soltanto una volta che il corridoio fu di nuovo sgombro il blader si concesse di lasciar richiudere la porta a vetri dietro di sé e si voltò verso l'ampia stanza in cui era appena entrato.
– Dove siamo? – la voce della nightblader lo indusse a prestarle attenzione e la sua aria ingenuamente interrogativa lo fece quasi sentire a disagio. Quasi, perché in fin dei conti non aveva nulla da rimproverarsi se non il desiderio di stare da solo con lei in tranquillità, senza il brusio di voci e la presenza di altre persone che gli avrebbero impedito di comportarsi in modo spontaneo.
– Questa è la sala riunioni privata del presidente – le spiegò semplicemente, volgendo lo sguardo verso l'ampia vetrata che dava su un modesto terrazzo baciato da un pallido sole.
Era una stanza piuttosto ampia, delimitata su tre lati da mura in cartongesso e sulla quarta da una parete di doppi vetri, oltre la quale si poteva ammirare il panorama cittadino, nei limiti del possibile fra i grattacieli adiacenti ed i tendaggi sintetici a strisce verticali. L'ampio tavolo, anch'esso in vetro, era circondato da dieci seggi in pelle con tanto di rotelle, mentre il resto dell'arredo era limitato ad un quadro impressionistico, un divanetto, un paio di poltroncine abbinate ed un basso tavolino fra queste, più quattro felci, una ad ogni angolo della sala. Sul terrazzo erano presenti alcune sedie ed un altro tavolino rotondo.
– E possiamo stare qui? – chiese di nuovo la ragazza al suo fianco, preoccupata.
– Nessun problema – le rispose, facendosi avanti per avvicinarsi alla porta che dava sul terrazzo. Appena la aprì una folata di vento gelido gli si insinuò sotto i vestiti, ma appena fece qualche passo sotto il sole di novembre, i pochi brividi che gli avevano fatto venire la pelle d'oca scomparvero. Voltandosi verso la giovane Natsuki, la vide ferma al centro di quella soglia e le fece un cenno del capo, invitandola così a prender posto.
La vide indugiare un momento prima di abbozzare un tenue sorriso e avvicinarsi ad una delle due sedie poste accanto al parapetto e appoggiare il proprio pranzo sulla superficie in metallo del tavolino. Soltanto quando lui fece altrettanto, traendo a sé la sedia libera e accomodandosi come se niente fosse, lei parve venir colta da un pensiero improvviso proprio mentre stava cercando di armeggiare con il nodo del fazzoletto monocromatico.
– Tu non ti sei preso niente?
– No.
– Perché?
Quella domanda lo fece corrucciare un poco in volto, ben consapevole della risposta che, a causa del suo orgoglio, non le avrebbe dato: se n'era dimenticato. In mensa aveva visto tutta quella confusione al bar e non ci aveva pensato due volte a girare i tacchi, pensando soltanto all'intento di portarsi dietro la mora che ora sedeva lì con lui. Dovette aver assunto un'espressione particolare perché l'altra non insistette sull'aver una risposta e si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, prima di sospirare con enfatizzata rassegnazione.
– Sei un caso perso, Hiwatari – lo sbeffeggiò, scuotendo il capo.
Kei inarcò un sopracciglio, non riuscendo comunque a sentirsi più infastidito di quanto in realtà non fosse in imbarazzo per la propria mancanza. Che poi lei avesse capito subito la situazione era qualcosa che continuava a lasciarlo spiazzato, motivo per cui continuava di tanto in tanto a cercare di ricambiarle il favore ogni volta che poteva.
– Non ho fame – mentì spudoratamente, con la sua solita impassibilità.
– Dovrai fare di meglio, se speri di darmela a bere.
Tornando a incrociarne lo sguardo di smeraldo, pronto ad accontentarla, ogni parola o pensiero divennero troppo inconsistenti per poter essere formulato adeguatamente e lui dovette abbandonare quel proposito, comprendendo con una nota di disappunto di non poter “fare di meglio” con lei. Non in quel momento per lo meno. Rimanendo corrucciato in viso allora, incrociò le braccia sul petto e tornò a far divagare lo sguardo sulla città, in un silenzio sostenuto che non lasciò durare a lungo.
– Com'è andata?
– Mh? – la mora, che aveva appena finito di aprire il coperchio del suo bento, sollevò di nuovo lo sguardo su di lui, prima di rispondergli – Oh be', direi bene.. stasera dovrò dare una sistemata ai miei appunti, ma il corso mi è sembrato piuttosto semplice. Bene o male sono tutte cose di cui avevo già avuto un'infarinatura da mia madre – una piccola pausa di silenzio, prima che arrivasse il suo turno – E tu?
– Niente di ché: una noia mortale – ribatté semplicemente, brutalmente sincero.
– Oh – mormorò quella soltanto, senza entrare nel dettaglio.
Quella reazione lo indusse a cercarla di nuovo con lo sguardo dai riflessi di brace, inarcando un sopracciglio nel vederla alzarsi e spostarsi con la sedia in modo da finirgli accanto. Spalancando le palpebre ne notò il leggero rossore sulle guance e lo sguardo sfuggente, così come il sorrisino che aveva a delinearle le labbra, mentre si dedicava ad afferrare con le bacchette un pezzo di omelette. Quando glielo porse, il blader si ritrovò a deglutire, immobilizzato in ogni muscolo da un intenso imbarazzo che rischiò di fargli dimenticare il modo giusto di respirare. Allora aprì la bocca, ma non per farsi imboccare, bensì per protestare.
– Ho detto che non ho fame – affermò, seccato.
Per contro, il suo stomaco ritenne invece doveroso dire la sua, perché borbottò talmente forte da fargli nascere una smorfia in volto.
Quel suono fece inarcare un sopracciglio alla ragazza, mentre quel suo sorrisetto sghembo le si accentuò, velato di sottintesi. Quell'espressione, così sicura e furbetta al tempo stesso, lo fece capitolare senza che l'altra dovesse aggiungere una sola parola ed arrendendosi, si chinò verso quelle bacchette, prendendo in bocca il cibo che lei gli stava offrendo senza per questo abbandonare la propria aria corrucciata.
Il buon sapore, accentuato dal senso di fame, contribuì a farlo deglutire piuttosto velocemente prima di aprire di nuovo le fauci ed accettare la nuova offerta senza fare storie. Al terzo boccone si rese conto di prestarsi più volentieri del previsto a quella scena, essendosi rilassato piuttosto velocemente, e non ci mise molto a comprendere che dovesse essere dovuto al luogo appartato che aveva scelto lui stesso. Non c'era nessuno ad assistere, erano soltanto loro due, e quella consapevolezza gli fece nascere un nuovo mezzo sorriso in viso prima di fessurizzare lo sguardo sulla sua compagna.
– A che ora dobbiamo essere alla N.C.?
La mora sollevò lo sguardo al cielo con espressione pensierosa, abbassando le bacchette – Mh.. – mugugnò, per poi deglutire e tornare a guardarlo in volto – Entro le 2 del pomeriggio.. credo.. – la voce le si abbassò talmente tanto da morirle in gola e lui seppe immediatamente quale fosse la causa.
Sorrise soddisfatto, bruciando gli ultimi centimetri rimasti a separarli per baciarla.
Non si spinse troppo in là in quel contatto, lasciando semplicemente le proprie labbra appoggiate sulle sue per una manciata di secondi, sporto in avanti verso di lei su quella sedia priva di braccioli e tenendosi in equilibrio con un braccio appoggiato al bordo del tavolino lì accanto. Per quella manciata di secondi il mondo circostante perse nitidezza, come se venisse posto dietro una lastra di vetro opaca, la propria coscienza concentrata soltanto su di lei.
Quando tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia, ponendo nuovamente ambo le braccia incrociate sul petto, si sentì decisamente meglio di pochi minuti prima. Sogghignò fra sé e sé al pensiero di iniziare ad accusare una lieve dipendenza da lei, soprattutto dopo quegli ultimi giorni di distacco. In realtà non riusciva a smettere di cercarla con una parte di sé quando lei non c'era e questo gli aveva causato persino qualche problema nel dormire la notte: il letto della sua camera era diventato improvvisamente troppo grande per lui soltanto.
Scoccando un'occhiata alla moretta, la vide con lo sguardo perso a fissare un punto indefinito oltre il parapetto del terrazzo, il viso baciato dal sole tinto di una sfumatura rossastra più che evidente e le labbra leggermente piegate in un sorriso, nonostante si stesse tenendo impegnata a finire il suo pranzo.
Sorridendo, si limitò a fissarla per un po' a propria volta, del tutto a proprio agio, tanto che quasi cadde dalle nuvole quando lei ruppe il silenzio venutosi a creare fra loro.
– Domani posso.. – il resto della frase si perse in una folata di vento.
– Mh?
– Domani – scandì nuovamente lei, tornando a fissarlo in un moto di decisione – ..ho detto che ci penserò io al tuo pranzo. D'accordo?
Kei inarcò un sopracciglio, prima di rammentare l'ultimo bento che lei gli aveva appositamente preparato.
– C'è qualcosa di particolare che vorresti mangiare?
La domanda gli fece assumere un'espressione pensierosa, prima di rendersi conto di starci pensando seriamente, cosa di per sé incredibile. Non indagò a fondo sul proprio stato d'animo arrendevole, concentrandosi soltanto sulla risposta da darle; risposta che gli giunse fin troppo prontamente l'istante successivo.
– Gamberi – le disse solamente, col tono sostenuto usato precedentemente.
Yukiko annuì con un cenno del capo a quella richiesta, in volto stampato un sorriso soddisfatto che non teneva affatto conto del modo in cui le aveva fornito quella risposta. O forse era proprio perché ne aveva tenuto conto, che gli sorrideva così tranquillamente; perché, forse, aveva già imparato a vedere oltre quel suo lato scorbutico ed indifferente che assumeva in determinate circostanze persino con lei.
Ancora una volta, avvertì una piacevole sensazione nascergli al centro del petto e affiorargli alle labbra, piegandole in un tenue sorriso fine a sé stesso.


Quella sera Yukiko lasciò ricadere la propria cartella porta-documenti sulla sedia, prima di accostarsi al frigo e aprirne l'anta, avvertendo al contempo i passi della donna che era sua madre aggirarsi per il corridoio e raggiungere le scale.
– Pesce?
– Va bene cara, come preferisci. Io vado a cambiarmi – le annunciò la signora Natsuki già a metà scala.
La nightblader sospirò, prima di tirare fuori tutto il necessario per la cena e mettersi all'opera, munita di grembiule. Mentre si dedicava al compito di preparare la cena per tutte e due, ripensò brevemente alla giornata appena conclusasi, avvertendo una certa stanchezza incurvarle le spalle, cosa che la costrinse a inspirare profondamente per sciogliere i muscoli.
Alla N.C. il tempo era volato mentre sia lei che Kei svolgevano un compito dopo l'altro. A causa di questo e del fatto di essere stati assegnati a due manager differenti, non avevano avuto occasione di scambiarsi nemmeno una parola prima di tornare ognuno a casa propria e ciò era stato dovuto soprattuto alla presenza della presidentessa. Il loro saluto di commiato si era tradotto in un unico sguardo, prima di prendere due direzioni diverse.
Mentre stava friggendo le cotolette di sogliola nell'olio, udì distintamente l'avviso di un messaggio provenire dal telefono lasciato sul tavolo e dopo aver abbassato il fuoco si affrettò a raggiungerlo, sbloccando lo schermo per avvedersi di chi fosse. Inarcò un sopracciglio, prima di farsi sfuggire un sorrisetto divertito alle uniche tre parole che il dranzerblader le aveva inviato: “Ricordati i gamberi”.
– Bene, bene..
In fin dei conti ci teneva più di quanto avrebbe mai ammesso, si disse con una punta di orgoglio e soddisfazione. Quella prova dell'impazienza altrui la mise tanto di buon umore che finì per canticchiare fra sé e sé mentre predisponeva la tavola e si dedicava anche ai pranzi del giorno seguente, riempiendo le due scatoline di riso e contorni. Stava ancora canticchiando quando sua madre scese in cucina, sorprendendola con quell'umore.
– Come mai così allegra?
Yukiko sussultò, presa alla sprovvista, e per poco non rischiò di scottarsi con la pentola del riso, prima di riacquistare il controllo delle proprie reazioni e voltarsi verso la donna, ridacchiando nervosamente – Niente di particolare, davvero.
– Davvero? Non centra niente il misterioso passaggio di stamattina, allora.. – le rispose l'altra, apparentemente impassibile mentre prendeva posto con la schiena dritta a capotavola.
Quella frecciatina deliberata le fece appoggiare con un po' troppa forza la ciotola colma di riso davanti alla donna, ma si sforzò di non darvi peso mentre prendeva la propria e si accomodava a tavola, ostentando un'aria quanto più indifferente possibile.
– Niente di niente – affermò, cercando di trovare nel cibo un pretesto per non continuare la conversazione.
Per un primo momento parve funzionare, perché sua madre sfoggiò un sorrisetto sornione prima di annuire e iniziare a mangiare a sua volta, ma quel silenzio non durò a lungo.
– Com'è andato il tuo primo giorno? – le chiese infatti dopo un paio di minuti.
– Tutto bene – le rispose, prima di schiarirsi la voce ed entrare nel dettaglio, cercando così di prevenire ulteriori domande specifiche da parte del suo unico genitore – Il corso sembra meno problematico del previsto, ma per ora mi astengo dal dare giudizi definitivi.
– E la compagnia?
– Mh? – la ragazza inarcò un sopracciglio.
– Hai trovato buona compagnia? – le chiese con un'espressione furbesca la donna seduta accanto a lei.
Il suo sorrisino per un attimo fece correre un brivido su per la schiena della mora, che deglutì prima di appoggiare le bacchette e sollevare con una mano la tazza di tea verde appena preparato – Non saprei, non ho ancora socializzato con nessuno...
– Non avrai pranzato da sola? – le domandò la presidentessa della N.C. fra il severo ed il dispiaciuto.
La familiare preoccupazione di sua madre per i suoi rapporti sociali la rimandò per un istante indietro nel tempo, a quando faticava a rapportarsi coi suoi vecchi compagni di classe e finiva sempre per passare le pause pranzo da sola sul tetto. Sospirò, scuotendo quindi il capo in segno di diniego.
– No, non ho mangiato da sola – le rispose. Nel silenzio che seguì però comprese che sua madre si aspettava qualcos'altro, soprattutto dal modo in cui la guardava, e la ragazza si irrigidì, improvvisamente combattuta su cosa dirle. Ci pensò sua madre a trarla d'impiccio.
– Eri con quel ragazzo, vero? Quello di cui mi hai parlato l'altra sera – le domandò subito, con un'espressione che era tutta un programma – ..e ti ha accompagnata lui alla Hiwatari stamattina.
– Eh? – cadendo quasi dalle nuvole, Yukiko impiegò una manciata di secondi prima di realizzare di cosa quella donna stesse parlando, ma alla fine riuscì a rammentarsi del suo vecchio compagno di classe immaginario e ridacchiò nervosamente, annuendo – Ah, sì.. infatti..
– Lo vedrai anche domani?
– No.
– Allora per chi è il bento in più che hai preparato?
Il riso rischiò di andarle di traverso e con qualche colpo di tosse ben assestato riuscì a scongiurare il pericolo, finendo il contenuto del proprio bicchiere prima di correggere il tiro – Volevo dire . Sì, ci vediamo anche domani.
– Uhuh! – ridacchiò la signora Natsuki, facendo sparire una fetta di pesce impanato dentro la bocca, prima di continuare – E brava la mia piccola Yuki-chan!
Quella reazione la fece corrucciare in viso e, preda di un discreto fastidio dovuto ai sottintesi di quell'ultima frase, riprese a mangiare in silenzio, determinata ad ignorare per il resto della cena la donna che l'aveva messa al mondo. Non sapeva come avrebbe fatto ad andare avanti così, ma il pensiero che era appena all'inizio di quella situazione non ne migliorò l'umore. Sperava solo che la curiosità di sua madre scemasse presto e tornasse a pensare ad altro che non avesse niente a che fare con il suo fantomatico ragazzo.



...continua.

[ANGOLO AUTRICE]
Ce l'ho fatta anche stavolta!!!
Due capitoli in meno di una settimana, sta volta sono stata brava no?! <3
Allora, più o meno tutte avete indovinato cosa avrebbe riservato questo capitolo XD cosa che non mi sorprende, ormai era scontato, ma spero comunque che sia risultato meno prevedibile del previsto! Cosa ne pensate? Spero tanto che vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me scriverlo! Fatemi sapere, mi raccomando, intanto io ne approfitto e vi auguro una buonissima serata!
Alla prossima dalla vostra immancabile
Kaiy-chan
   
 
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