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Autore: seeyouthen    14/11/2014    4 recensioni
Dean e Sam Winchester stanno cercando di mettere fine all'Apocalisse con l'aiuto di Castiel. Il Dottore e Clara Oswald vengono coinvolti per colpa di un noto demone che lavora per Lucifero. Amelia Pond è ancora viva, e sta per incontrare nuovamente il suo vecchio compagno di disavventure. Sherlock Holmes e John Watson vivono la loro vita "tranquilla" a Londra, lontani - non solo nella comune accezione del termine - dai disordini. Ma non passa molto tempo prima che la fine del mondo e una crepa nello spazio e nel tempo diventino anche un loro problema. [superwholock] [destiel|johnlock accennata][death|angst] [SPN: dopo la 5x16|DW: dopo the Day of the Doctor|SH: dopo la 3x03]
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Dal secondo capitolo: «Sono coordinate», commentò Sam. «Hai intenzione di seguirle?». Il Dottore si lasciò scappare un breve sorriso. Sembrava che tutta la paura fosse semplicemente svanita. «Ovviamente».
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Lucifero, Sam Winchester
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
Capitoli:
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capitolo cinque
o' death
 
 
 
 
James fece scorrere gli occhi lungo tutto il corpo nudo di Sebastian, indugiando sulla curva profonda dell'inguine, risalendo sul petto per finire su quel collo liscio e bianco, su quelle labbra semi aperte, su quegli occhi chiusi che tremavano leggermente, facendo vibrare le ciglia impercettibilmente.
Si era sempre comportato in modo freddo con Sebastian, come se lui non fosse altro che un giocattolo o un passatempo. Ora, invece, aveva capito che l'uomo era tutto ciò che aveva al mondo. Non era importante la sua rete di spie, né il denaro, né Sherlock Holmes. Sebastian Moran, in quel letto, in quel preciso istante lo era.
Passò una mano tra i capelli biondo scuro dell'uomo, che aprì di colpo gli occhi azzurri. Azzurri. James, per un attimo, aveva temuto di aver perso quello sguardo di ghiaccio nei pozzi profondi e neri che Sebastian gli aveva mostrato il giorno prima; poi, però, con un sorriso malizioso sulle labbra – l'angolo sinistro era sempre sollevato di più rispetto al destro, un particolare al quale Jim era affezionato – aveva fatto tornare i suoi occhi del solito, chiaro colore.
«James», fece Sebastian con voce roca e bassa, che raschiava sulla gola, James lo percepiva, «mi hanno detto che ti sei divertito all'Inferno, senza di me».
«Avevo il mio girone personale», rise quello catturando un'altra volta le labbra di Moran, mordendole piano.
«La città dolente», scherzò Sebastian abbracciandolo e tirandolo più vicino a sé.
James fremette sotto al tocco sicuro dell'uomo. «Zitto, demone».
Gli occhi di Sebastian s'illuminarono. «Dimmi, è una strana sensazione sapere di essere nello stesso letto di un Cavaliere dell'Inferno?».
«Per me lo sei sempre stato». James girò il viso, prima affondato nella spalla di Sebastian, e lo fissò negli occhi. Quella notte era venuto Lucifero a parlargli. «Dobbiamo uccidere Sherlock. Dobbiamo farlo ancora».
«Lui è il tramite di Michele, vero? Dovevo sospettarlo», sospirò con un ghigno, «Beh, non mi spaventa. Non può uccidermi, nemmeno con il coltellino magico dei Winchester. Abbiamo il mondo in mano adesso, James».
 
* * *
 
Sei giorni dopo l'arrivo dei casuali viaggiatori a Londra.
 
La seconda riunione generale del gruppo fu una totale catastrofe.
Era impossibile che tutti fossero d'accordo, ovviamente, ma di certo Amy non aveva programmato un caos del genere. Non facevano altro che battibeccare tutti.
«Se solo il cervellone qui presente riuscisse a far funzionare la sua macchina del tempo...», fece Dean, «magari potremmo avere qualche indizio su questo buco nello spazio-tempo. Tipo perché esiste, come si passa attraverso. Sai, cose normali».
Il Dottore lo fulminò con lo sguardo.
«Il TARDIS ha riscontrato qualche danno per colpa del viaggio, lo sai. Tra poco le funzioni base dovrebbero ripartire, ci sto lavorando. Comunque noi sicuramente abbiamo allargato la breccia. Ogni viaggio tra due dimensioni aumenta la dimensione del varco, è sempre così» constatò il Dottore.
«In più Lucifero è qui e questo vuol dire che il viaggio è sicuro. Dobbiamo trovarlo prima che lui trovi noi e che porti l'Apocalisse anche in questo mondo» continuò Sam.
«Se passa Lucifero passano anche gli altri angeli. Siamo nella merda fino al collo» li lamentò Dean appoggiando la fronte sul legno freddo.
Amy faceva lavorare silenziosamente il cervello, insieme a Sherlock e al Dottore.
«Dovete insegnarci tutto» disse dopo un attimo di silenzio. «Tutto quello che c'è da sapere sul sovrannaturale. Dobbiamo sapere come scacciare i demoni».
Dean strabuzzò gli occhi.
«Sai almeno prendere in mano una pistola?» chiese alzando le sopracciglia.
«Dean, lei è la nostra migliore spia» disse solo John difendendo l'amica.
Amy sorrise soddisfatta ma il Dottore le lanciò un'occhiata sconvolta.
«Tu sei cosa?».
«Dovevo fare qualcosa per mantenermi, qui».
«Fantastico. Tu sei pacifista ma tu?» chiese Dean interrompendola. Con gli occhi saltò il Dottore per passare a Clara. Lei fece di no con la testa.
«Benissimo, da ora hai un personal trainer» ghignò Dean indicando suo fratello, il quale si voltò con aria indignata prima di sorridere imbarazzato alla mora.
«Non dobbiamo per forza combatterli» s'intromise il Dottore con il tono più serio che avesse mai usato negli ultimi giorni.
«Oh, certo, così ci uccidono tutti» esclamò Sherlock alzando gli occhi al cielo.
Amy scoppiò a ridere, consapevole che quei due non avrebbero mai ammesso di starsi simpatici a vicenda, cosa che invece lei sapeva benissimo. Sherlock Holmes e il Dottore, i più intelligenti ragazzi di tutto l'Universo.
«C'è un'altra cosa», s'intromise Mycroft, «sono scomparse tre persone in un bosco poco distante. Non ci sono tracce».
«Domani si indaga», dissero Sherlock e il Dottore all'unisono. Amy rise ancora.
 
* * *
 
Cinque ore dopo
 
«Sherlock...».
La voce di John, al telefono, era un soffio di vento, di un vento che cala e scompare. Era flebile, ma nonostante ciò piena di dolore. Sherlock poteva vedere, seppure a distanza di qualche chilometro, il corpo di John leggermente inclinato in avanti, come se qualcuno gli avesse appena tirato un pugno nello stomaco: era il suo modo per sopportare il dolore. Poteva anche vedere gli occhi spalancati, lucidi, intrisi di sofferenza.
«John, cosa è successo?».
«Sherlock, ti prego... Ti prego, vieni qui», supplicò John prima di inspirare forte.
«Sto arrivando», rispose Sherlock in fretta al telefono. Sentiva la difficoltà di John a mantenere la calma. Doveva tenerlo al telefono, controllare che stesse bene.
Non prese né il cappotto né la sciarpa, non si preoccupò nemmeno di srotolare le maniche della camicia bianca.
Fermò un taxi e gli intimò di muoversi più volte mentre parlava a John e cercava di capire cosa fosse successo. John non avrebbe mai perso la testa in quel modo se non fosse accaduto qualcosa di grave: doveva trattarsi di Mary. Non toccò l'argomento al telefono ma decise di essere presente. Avrebbe avuto in mano la situazione.
Arrivato davanti a casa di John gettò i soldi sul sedile anteriore del taxi senza aspettare il resto e fece irruzione in casa.
John era inginocchiato sul pavimento, di fianco al corpo senza vita di Mary.
I capelli biondi della donna erano scomposti e disordinati sulla fronte, bagnati di sangue come i vestiti chiari. Gli occhi e la bocca erano spalancati in un ultimo urlo disperato. Ma di sconvolgente, in realtà, vi era il ventre: ancora coperto dal cotone della maglietta ma ridotto ad una macchia di sangue.
Sherlock si chinò accanto a John e gli posò una mano sulla spalla, riattaccando la chiamata. John lasciò cadere il telefono a terra e abbracciò l'amico, aggrappandosi disperatamente a lui. Pianse e Sherlock non fece altro che rimanere lì, con lui, a passare con delicatezza la mano sul maglione di John senza dire nulla. Le parole erano inutili.
«Sherlock», disse John dopo quella che al consulting detective parve un'eternità. La sua voce era roca, una voce che faceva fatica ad uscir fuori. «Ho visto cos'è successo».
Sherlock prese il viso dell'amico tra le mani con delicatezza, ma costringendolo a guardarlo negli occhi. «John, dimmelo».
«Quando sono entrato lei era ancora viva... poi è arrivato il fumo nero, proveniva da dentro Mary», mugolò John muovendo le mani senza logica. Sherlock sospirò chiudendo gli occhi per un attimo e poi mise in piedi John.
«Dobbiamo uscire da qui», disse portandolo via. John stringeva il cappotto di Sherlock con tutte le sue forze. Sherlock lo tenne stretto a sé mentre faceva fermare un taxi. In macchina, poi, mentre John cercava di calmarsi fissando fuori dal finestrino, mandò un messaggio a Mycroft: Mary è morta. Demoni. Devono occuparsene unicamente Lestrade e Molly. Spiega la situazione con tatto.
Sherlock sapeva perfettamente che suo fratello era privo di tatto ma sperava che potesse sforzarsi di averlo almeno per spiegare come eventi sovrannaturali avessero ucciso un'amica. Se ne sarebbe occupato lui ma non poteva farlo. John aveva bisogno di lui.
John. John. John.
Ogni suo pensiero era rivolto a lui.
John aveva cambiato la sua vita, l'aveva reso un uomo migliore.
Aveva preso in mano la sua esistenza dal momento stesso in cui si erano incontrati; l'aveva presa e l'aveva cambiata radicalmente. Ora Sherlock non riusciva più a valutare le cose solamente rispetto a se stesso: nei suoi piani, che lo volesse o no, vi era anche John Watson.
Ogni sua attenzione si catalizzò sull'uomo quando questo gracchiò con un filo di voce il suo nome.
«John, mi dispiace», disse Sherlock. «Ti prometto che troverò il colpevole e lo ucciderò».
Il medico raddrizzò la schiena all'istante e inspirò profondamente. «No. Lo farò io».
Il suo tono non ammetteva repliche.
Uccidere l'assassino di Mary era l'unica cosa alla quale John riusciva a pensare dopo aver superato lo shock iniziale, l'unica sicurezza nel suo futuro.
Quando era venuto a mancare Sherlock per lui era stato difficile non crollare al suolo; Mary era stata la sua unica ancora di salvezza. Si era presa cura di lui senza chiedere nulla in cambio, amandolo senza riserve nonostante le cicatrici, nonostante tutto.
John, sebbene avesse visto con i suoi occhi il suicidio di Sherlock, durante i due anni di assenza non aveva mai smesso di sentirne la mancanza, di immaginare inconsciamente che fosse ancora accanto a lui, di rivedere durante la notte quel fatidico istante.
E Mary aveva accettato anche questo.
Aveva accettato come John avesse bisogno dei suoi spazi e dei suoi tempi; conosceva il suo bisogno di andare far visita alla tomba dell'amico, periodicamente, sia da solo che insieme a lei, di passeggiare per Londra ricordando i vecchi tempi, di parlare, qualche volta, delle avventure passate. Accadeva raramente che John si aprisse con Mary, ma ogni volta lei sapeva esattamente cosa dire, cosa fare.
Aveva portato una nuova luce nella vita di John.
Ma quella volta, quando Sherlock si era gettato dal tetto, John aveva potuto provare rabbia solo nei confronti di un uomo morto come Jim Moriarty. Invece ora era diverso. Sapere che l'assassino di sua moglie era ancora in vita era logorante.
John non aveva mai desiderato così tanto di uccidere qualcuno.
Mai.
Ma sapere di voler uccidere un essere vivente, per la prima volta, non lo infastidì e non lo fece impensierire.
L'unico dettaglio che lo disturbava era mostrare il suo lato oscuro a Sherlock Holmes, l'uomo che aveva ucciso solo in nome della sua amicizia.
 
* * *
 
Sherlock non sarebbe andato ad indagare. Non si allontanava dal fianco di John e il medico si stava lentamente sgretolando in una polvere di sofferenza.
Nessuno sarebbe voluto andare in quel bosco dopo ciò che era successo, ma era necessario. La morte di Mary ne era la prova, dovevano agire.
I Winchester, Amy e Clara decisero di andare.
Amy aveva voluto bene a Mary. Era stata una delle sue uniche amiche in quel mondo nuovo, una delle poche ad averla aiutata davvero. Per questo si era offerta di andare comunque ad indagare.
Il Dottore stava sistemando il TARDIS ed era troppo vicino alla soluzione per allontanarsene. 
«Sam!» esclamò Clara scendendo a balzi le scale di casa di Sherlock. «Sono pronta».
Il ragazzo la aspettava sulla soglia di casa con il suo borsone pieno di armi.
Erano diventati in fretta amici durante quelle settimane, nonostante i loro caratteri così diversi. Sam era molto più calmo, mentre Clara era decisamente il caos in persona. Lui l'avrebbe descritta come un uragano, perché sebbene fosse solo uno scricciolo alto un metro e cinquantasette – sì, lei l'aveva esclamato con orgoglio un pomeriggio – riusciva a trascinarlo in qualsiasi impresa con il massimo della carica. Non aveva mai incontrato una persona così brillante e piena di energia come Clara Oswald e nemmeno così... quasi innocente, avrebbe detto. Durante la prima serata a casa di John, dove Sam era stato sistemato per una notte insieme al fratello e al Dottore, l'aveva vista addormentarsi sulla spalla dell'alieno con le guance leggermente colorate di rosso e il viso rilassato. Il cuore gli si era stretto in una morsa dalla quale non poteva scappare.
Clara e Sam si scambiavano informazioni durante tutto il giorno: si aiutavano con il computer, a volte anche battibeccando sui metodi più adatti da usare, sfogliavano libri e studiavano insieme. Come tutti gli altri non avevano mai un attimo di pace ma contavano molto l'una sull'altro. Clara inoltre andava molto d'accordo anche con Dean, un punto decisamente a suo favore.
«Bene, andiamo. Ho chiesto a Mycroft una macchina per l'ennesima volta ma non ha voluto, quindi ci tocca andare di nuovo in moto», le disse rassegnato porgendole il casco.
Clara uscì a passo sicuro in giardino. «Dean e Amy sono già lì?».
«Sì, sono partiti dieci minuti fa».
Dopo un breve viaggio anche loro erano nella piccola area boschiva, cercando indizi.
Raccontami degli angeli», chiese Clara camminando.
«Vuoi sapere come sono fatti esteticamente?».
«Un po' di tutto. Dean non ne parla mai, cambia sempre discorso».
«Lo so, non gli vanno molto a genio. Sai, gli angeli non sono buoni, carini e gentili con un bel paio di ali piumate come pensano tutti. Sono degli Empire State di luce accecante con un fischio assordante al posto della voce e quando devono scendere sulla Terra prendono “possesso” del corpo attraverso un tramite, ma questo lo saprai già. È un po' come fanno i demoni, solo che il tramite degli angeli deve essere consenziente, altrimenti non se ne fa nulla» spiegò il ragazzo cercando di non addentrarsi troppo nel discorso. Aveva deciso con il fratello di tralasciare la loro predestinazione a diventare tramiti di Lucifero e Michele.
«Chiunque può diventare un tramite se vuole?» domandò Clara rallentando il passo.
«No, devi essere fedele e destinato ad esserlo, altrimenti ti sgretoli piano piano. Una volta che l'angelo abbandona il tuo corpo non è piacevole, per niente, ed è peggio quando l'angelo è uno dei piani alti» replicò Sam sedendosi accanto a lei.
«Okay, ho afferrato. Un po' inquietante, direi. Quindi Moriarty sarebbe il tramite di Lucifero? Perché qualcuno, anche uno come lui, dovrebbe volerlo dentro di sé?».
«Fa leva sulle paure e debolezze di un uomo. Conosce i tuoi punti deboli, sembra leggerti dentro e prima o poi ti fa cedere. Tuttavia il tramite che ha ora non è esattamente quello predestinato per cui si sta lentamente deteriorando. Ha troppo potere al suo interno».
«Wow, sai un bel po' di cose sull'Apocalisse. Non vorrei mai essere al tuo posto, sembra che Lucifero abbia cercato di convincere anche te» commentò Clara con una risata nervosa.
Lo sguardo di Sam si rabbuiò nonostante lui cercasse invano di nasconderlo e lei capì all'istante.
«È venuto a cercare te? Anche tu sei il suo tramite? E non raccontarmi palle».
«Sì, sono il suo tramite. Sta' tranquilla, non dirò mai quel sì. Non voglio Lucifero in me, sono stato un mostro per troppo tempo» sospirò Sam abbassando lo sguardo. La verità stava venendo a galla e non poteva evitarla. Non riusciva a mentirle, non ancora.
«Di cosa parli?» chiese lei posando una mano sul suo braccio.
«Da piccolo un demone mi ha fatto bere il suo sangue e ha ucciso mia madre. Non l'ha fatto solo a me, voleva un esercito di bambini fuori dal comune e stringeva patti demoniaci con le madri dei bambini per prendersi i figli. Io avevo dentro questo sangue malato e se ne prendevo ancora i miei poteri aumentavano. Credevo di fare del bene, con la mente potevo esorcizzare i demoni senza ferire i corpi posseduti. Ma mi sbagliavo. Quando Lucifero è uscito dalla gabbia è stata colpa mia, perché uccidendo Lilith ho spezzato l'ultimo sigillo. Io e Dean saremmo dovuti morire. Qualcuno però ci ha portati in salvo e io sono tornato una persona normale. Mi hanno dato una nuova possibilità e non voglio sprecarla. Ora voglio mettere fine a tutto questo».
Clara era a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Di certo ora vedeva tutto da una diversa prospettiva. Non riusciva a spiegarsi anche il fatto che Sam le avesse mentito. Credeva che ormai fossero diventati amici. Si chiese cosa avrebbe fatto lei al posto suo ma non riusciva a pensare lucidamente. Sapeva solo che di fianco a lei c'era l'uomo che aveva dato il via a tutta quella battaglia e che non sapeva come rimetterla a posto. Nel suo cuore nacque un po' di paura, ma decise di metterla da parte. Si fidava comunque di Sam Winchester, non sapeva il motivo ma era naturale farlo.
«Perché non ce l'hai detto?» mormorò solamente.
«Non ne vado fiero. Nemmeno Dean. Lui è il tramite di Michele». La voce di Sam era spezzata dal senso di colpa. Sapeva di aver sbagliato a non raccontare tutto all'inizio e sapeva che il fratello si sarebbe offeso per aver raccontato di lui ma non poteva farne a meno. Non insieme a Clara.
«Alla fine se accettaste gli angeli dovreste combattere» concluse lei con tristezza.
«Sì. Ed è per questo che fuggiamo dagli angeli».
«Sam, dimmi solo che quello non è l'unico modo per fermare l'Apocalisse».
«No, non è l'unico. Stiamo facendo ricerche, abbiamo degli amici. Ma qui... se la guerra dovesse davvero essere portata qui siamo lontani da ogni aiuto» ammise il ragazzo.
Clara avrebbe voluto consolarlo e dirgli che lui e Dean avrebbero trovato una soluzione perché gli amici c'erano anche in quella dimensione. Lei, il Dottore e tutti gli altri non li avrebbero mai abbandonati.
Aprì la bocca ma un fruscio tra gli alberi la fece sobbalzare. Si guardò intorno in quel bosco buio, freddo, che tuttavia sembrava avvolto da un'aura di magia. I sempreverdi imponenti la facevano sentire debole e piccola.
«Clara, c'è qualcosa qui».
La ragazza prese una torcia dalla borsa di tela che le aveva prestato Dean. Illuminò il punto indicato da Sam e all'istante ogni suo muscolo entrò in tensione. «Sam», soffiò, «continua a fissare la statua». Un Angelo Piangente era appoggiato ad un albero, il viso rivolto verso di loro, una mano protesa.
«Cos'è?», domandò Sam facendosi più vicino alla ragazza. Clara poteva sentire il respiro stabile del ragazzo, segno dell'abitudine ad essere sotto pressione. Le loro braccia si sfioravano.
«Un Angelo Piangente, il Dottore me ne ha parlato una volta. Si possono muovere solo quando non stai guardando e sono veloci, molto più di quanto tu possa immaginare. È meglio non battere le ciglia. Ora sappiamo dove sono finite quelle tre persone».
Sam stette in silenzio qualche attimo. Clara lo immaginò serrare le labbra come gli aveva visto fare qualche volta quando scopriva qualcosa di spiacevole.
«Quindi», disse poi, «siamo praticamente morti».
Clara fece per dirgli che no, avrebbe chiamato il Dottore e ne sarebbero usciti indenni; inoltre Dean ed Amy erano nei paraggi, li avrebbero aiutati. Fu tuttavia interrotta dal suono secco di un ramo che si spezza. La speranza si polverizzò nel cuore di Clara.
«Sì, siete morti», disse una voce maschile con divertimento. «Ciao Sammy, ciao Oswin».
Dal folto degli alberi uscì un ragazzo dai capelli scuri, con il viso sottile, due penetranti occhi blu notte e in mano un coltello affilato. La sua camicia bianca era macchiata di rosso.
«Chi sei?» chiese Sam minaccioso, sfoderando il famoso coltello inciso e mettendosi un passo avanti a Clara. Lei lo bloccò afferrandolo per una mano e rimase appigliata ad essa, come fosse l'ultimo barlume di speranza rimasto.
Fino a una settimana prima al suo posto ci sarebbe stato il Dottore. C'era qualcosa di tragicamente comico in quello, nonostante fosse felice che proprio Sam fosse il suo nuovo compagno di disavventure. La mano di Sam era grande, calda, rassicurante.
«Marbas», rispose il ragazzo facendo girare il coltello tra le dita in maniera esperta.
«Cosa vuoi da noi?», ringhiò Clara con voce sicura. Nei viaggi con il Dottore aveva imparato ad affrontare le difficoltà senza perdersi d'animo.
Il Dottore. Magari li avrebbe salvati.
«Nulla, giusto portarvi i saluti di Lucifero e farvi fuori», sorrise Marbas. Avanzò di un passo, non curandosi dell'Angelo Piangente vicino a lui, che Clara però era certa avesse visto.
«Abbiamo degli amici qui intorno. Ci aiuteranno di sicuro», ribatté la ragazza. Sam si morse un labbro e alzò il coltello.
«Non avvicinarti».
Marbas rise. «Davvero credi di potermi uccidere con quel coltellino, Winchester? Sono un demone un po' più importante della tua amichetta Ruby».
«Chi è Ruby?», domandò Clara.
«La sua ex ragazza demoniaca», ghignò Marbas, «Comunque non verrà nessuno a salvarvi. Attualmente il tuo caro fratellino dalla bella faccia è svenuto e la sua amica rossa sta chiamando il Dottore. Che, purtroppo, non arriverà in tempo per salvarvi».
«Cos'è successo a Dean?».
Marbas sbuffò e si passò una mano tra i disordinati capelli.
«Sempre a pensare a tuo fratello. Sei così noioso. Mi piacevi di più quando facevi il ribelle. Sai, con il sangue di demone e tutto il resto. Giù all'Inferno non facevano altro che parlare del Winchester dai muscoli scolpiti».
Clara era sempre più confusa. Strinse velocemente la mano di Sam un po' più forte, come per spronarlo a reagire, a darle spiegazioni.
«Se Dean dovesse morire... considerati morto anche tu».
Marbas non rispose e si appoggiò all'albero.
«Dai, Clara, qualche parola a Sam prima di morire entrambi? Non gli vuoi dire che ti ricordi di lui?».
Clara e Sam strabuzzarono gli occhi contemporaneamente, senza parole.
«Oh, ragazzi io so tutto ciò che le persone vogliono tenere nascosto», spiegò Marbas avvicinandosi a loro con un balzo. Clara sobbalzò alla vista dell'ampiezza del salto. Ora il demone era ad un passo da loro. Non voleva dire a Sam della sensazione di familiarità, delle immagini sfocate che aveva su di lui.
«Clara, cosa sta succedendo?».
Clara sospirò e si girò a guardarlo.
Gli occhi verdi di lui erano colmi di domande. Lei sapeva leggere bene gli occhi. Gli occhi, gli specchi dell'anima.
Gli occhi di Sam erano giovani, ma avevano già visto cose terribili.
Decise di accontentare il demone.
«Sam, io credo di averti già incontrato».
Prima che il ragazzo potesse rispondere, Marbas batté le mani una volta. «Questo volevo sentirti dire», mormorò prima di infilzare con il coltello lo stomaco di Sam.
Clara gridò e si ritrovò sola.
Non c'erano angeli, non c'era Marbas. Il demone doveva aver calcolato tutto. Voleva solo Sam fin dall'inizio.
Era completamente sola.
Le sembrava ancora di vedere il dolore nello sguardo di Sam Winchester.
 
* * *
 
 
Dean si era perso in una foresta buia e fitta. Non sapeva più dove fosse, la sua unica luce era quella delle stelle e della Luna. Aveva una torcia in mano, ma non funzionava. Non più, almeno.
Sentiva il freddo penetrare nelle ossa e nella carne, fino a raggiungere il cuore.
Era triste, più triste di quanto non fosse mai stato, come se gli avessero calpestato il cuore più e più volte prima di strapparne un pezzo fondamentale. Ecco, Dean si sentiva come se avesse perso qualcosa, o meglio, qualcuno molto, molto importante.
«Dean» mormorò una voce spaventata più nella sua testa che tra le fronde. «Aiutami».
Il ragazzo tese ogni muscolo del suo corpo, guardandosi intorno. Non riusciva a vedere nulla, era troppo buio. Il suo istinto da cacciatore, inoltre, gli assicurava di essere completamente solo. O era solo la consapevolezza di essere nella propria testa?
«Chi c'è? Dove sei?» chiese comunque. Attese qualche secondo nel silenzio, teso. Alcune piccole gocce di sudore iniziarono a colare lungo la sua fronte, nonostante la bassa temperatura. Sudava freddo dall'ansia.
«Dean» chiamò di nuovo la voce, ora disperata. «Non so dove sono. È tutto buio. Dean, aiutami, vieni a prendermi».
«CHI SEI?» gridò Dean agli alberi. L'eco rimbombò forte nella notte silenziosa. Un vento placido scosse piano le foglie più alte degli alberi e un uccello prese il volo verso il cielo.
Dean sapeva di conoscere quella voce, che per qualche motivo lo rendeva ancora più triste. Era familiare, come quella di Sam o di Bobby, tuttavia non riusciva a ricordare a chi appartenesse.
«Dean, ricordati di me» supplicò la voce prima che Dean si risvegliasse di colpo.



























NdA: ciao a tutti! a tutti quelli che mi odiano per ciò che ho scritto!
siamo arrivati al quinto capitolo e le cose si complicano. visto che la scuola mi tiene sempre troppo lontana dal pc non ho fatto in tempo a rileggere adeguatamente tutto il capitolo. se ci sono errori o passi non chiari fatemelo sapere, provvederò subito a rimettere tutto in ordine. 
se può essere di consolazione sappiate che ho sofferto anche io a scrivere ciò. aiuto, non volevo.
un grazie gigantesco a tutti e niente, scappo a studiare. 
xxx
 

   
 
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