Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: GiadaGrangerCullen    15/11/2014    4 recensioni
Storia sulle note de "L'essenziale" di Marco Mengoni.
Dalla storia:
"Non c'era verso di far unire due oggetti caricati entrambi con lo stesso segno, positivo o negativo che fosse. Chissà perché poi. Il segno più voleva sempre accanto il meno. Ma Effie Trinket non avrebbe mai ammesso davanti a nessuno che provava qualcosa di superiore al semplice affetto per il mentore del Distretto Dodici."
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Storia partecipante al contest SONG-FIC'S CONTEST #inlove di Editing & Graphic EFP


 photo banner_zpsd699499e.jpg

75esimi Hunger Games.
Potrei tornare in quella cazzo di arena.
Fanculo.


Haymitch si scolò l'ultimo goccio di vodka e lanciò la bottiglia contro il muro del suo salotto. Il vetro si infranse in milioni di pezzettini, creando un suono quasi melodioso alle orecchie dell'uomo. La frantumazione dei suoi sogni tornava sempre, non si poteva illudere di essere felice nemmeno questa volta. Ogni anno una nuova Mietitura, ventiquattro tributi e solo un vincitore. La carneficina tornava sempre, lo sapeva e non sperava di poter vedere altri vincitori del suo distretto, ma dalla fine dei Settantaquattresimi aveva visto una vaga speranza di felicità per la sua vita. Fino a quel giorno. Sarebbe potuto tornare nell'Arena e con lui ci sarebbe stata Katniss, la ragazza che aveva reso possibile due vincitori del Distretto dodici nell'edizione precedente, oppure si sarebbe potuto salvare, ma avrebbe perso Peeta. Ci voleva una strategia, era importante salvare la ragazza, ergo non doveva pensare a se stesso: la rivolta che iniziava a propagarsi non doveva spegnersi e, siccome erano ancora focolai troppo piccoli, se moriva la fiamma che aveva dato vita all'incendio tutto era presto andato. C'era chi sosteneva che è quando il gioco si fa duro che i veri duri iniziano a giocare, quindi non si sarebbe fatto abbattere dagli eventi e avrebbe combattuto strenuamente, nell'Arena o fuori che fosse.

Un pensiero gli affiorò alla mente... Effie. Durante il Tour della Vittoria Haymitch aveva scoperto che l'ingenua capitolina esercitava un certo fascino su di lui. Battibecchi e incomprensioni erano frequenti, ma lavoravano in squadra ed erano stati costretti a cooperare e alla fine trovavano sempre l'accordo e qualche sguardo privato da lanciarsi. Haymitch fantasticava, ma sperava davvero che la donna potesse avere qualche interesse nei suoi confronti.

Non glielo aveva mai detto e non pensava affatto di farlo, dopo quello che era successo a Janine. Non voleva innamorarsi un'altra volta e soffrire il dolore della perdita: al mondo non aveva più nessuno, era stata una sua scelta dopo che Snow aveva ucciso tutta la sua famiglia ed ora che si ritrovava ad avere tre persone di cui gli importava veramente, stava per perdere tutto. Come sempre.

 

La vita fa schifo.

 

Si alzò barcollando, si diresse verso l'armadietto dei liquori e lo aprì. Vuoto.

Perché mai nella sua vita doveva esserci sempre e soltanto quel vuoto e quel silenzio? Incessante. Continuo.

Aveva promesso a Peeta di proteggere Katniss, aveva promesso a Katniss che si sarebbe offerto volontario al posto del ragazzo se fosse stato estratto. Nessuno, però, aveva promesso niente a lui: non che gli importasse di morire, ormai la morte sarebbe stata un sollievo, ma avrebbe voluto che qualcuno proteggesse Effie. Non dall'Arena, ma da Snow.

All'improvviso si ricordò che l'armadietto aveva un finto fondo, gli tirò un pugno e l'asse di legno si smosse. Ecco, lì sotto c'era la sua ultima amica, una fiaschetta di brandy. A metà. Ripetendosi che è sempre meglio di niente, iniziò a tracannare il suo contenuto e sorso dopo sorso, la sua mente tornò ad annebbiarsi. Fece in tempo a raggiungere il divano e sprofondarvi prima, che il buio totale lo assalisse.

Quanto gli sarebbe piaciuto poter dormire così, sbronzo, per tutta la vita. Senza pensare, senza soffrire.

 

***

 

La terza Edizione della Memoria non era ancora iniziata e le cose già si mettevano male. A Capitol City non era piaciuta la trovata di Cinna per l'abito di Katniss e nemmeno quella dei tributi di tenersi tutti per mano. Ormai era guerra aperta. Avevano un piano e sperava davvero che i ragazzi che il giorno seguente sarebbero scesi nell'Arena non mandassero tutto in fumo. Sentì bussare lievemente alla porta ed andò ad aprire. Era Effie.

Rimase a guardare la sua parrucca tra l'arancione e il dorato, il suo trucco troppo pesante e la sua dannatissima pulizia unita ad un ordine impeccabile. Quasi non gli dava più fastidio tutto ciò e si sentì stranamente a disagio nel suo squallore. Non beveva da settimane, se non un po' di vino a tavola, ma lo stesso non sarebbe mai stato all'altezza di Effie e delle sue manie da capitolina. La scrutò con sguardo interrogativo e si rese conto che, come accadeva spesso nell'ultimo periodo, aveva gli occhi lucidi.

“Allora, mi fai entrare o no?” chiese lei, un po' stizzita.

Haymitch si fece da parte per farla passare, ancora zitto, stranamente. Lei entrò nella stanza, arricciando il naso alla vista del disordine che l'uomo era riuscito a crearvi in appena una settimana di tempo. Vestiti alla rinfusa sul pavimento, sul davanzale della finestra, fogli di carta che traboccavano da un piccolo cestino, ma non c'era traccia del solito odore di alcol, che era solito accompagnare Haymitch ovunque andasse. Ne fu felice, ma non poté astenersi dal fare uno dei suoi soliti commentini su quanto fosse stato meglio se Haymitch avesse avuto un minimo di senso dell'ordine e della pulizia. Non riuscì proprio a trattenersi, anche se sapeva che, probabilmente, quelle erano le conseguenze del vivere da solo per tanto tempo.

“Se sei venuta qui per criticarmi, puoi anche ritornare fuori” replicò lui secco, indicandole la porta che le aveva appena chiuso alle spalle. Certe volte era davvero fastidiosa.

Lei scosse la testa, prese con due dita una camicia sporca appoggiata alla sedia e la mise sul tavolo. Poi spostò la sedia e si sedette, interpretando il suo alzare gli occhi al soffitto come un invito a sedersi. Non era da lui fare il gentiluomo. Nonostante fosse l'opposto dell'uomo che Effie aveva sempre sognato, trovava in lui qualcosa di calamitante. Erano due poli di carica opposta, ma era risaputo che in fisica gli opposti si attraggono. Non c'era verso di far unire due oggetti caricati entrambi con lo stesso segno, positivo o negativo che fosse. Chissà perché poi. Il segno più voleva sempre accanto il meno. Ma Effie Trinket non avrebbe mai ammesso davanti a nessuno che provava qualcosa di superiore al semplice affetto per il mentore del Distretto Dodici.

Silenzio. Tornava sempre quel silenzio. Haymitch la fissava, seduta a disagio su quella sedia e vide che i suoi occhi si erano fatti più vivaci, come se stesse pensando a qualcosa che la facesse stare bene e dentro di sé sorrise.


«E nel silenzio mio, annullo ogni tuo singolo dolore.»

 

Ma non doveva farneticare, non poteva. Non aveva saputo scegliere la strada dell'amore e non l'avrebbe fatto in quel momento.

“Allora, perché hai deciso di piombare in questa stanza a quest'ora della notte?” le chiese, vedendo che lei era un po' restia a parlare. Cosa alquanto strana, per una come lei.

“Non è ancora così tardi” puntualizzò, ritrovando il solito vigore nella voce. Poi i suoi occhi tornarono ad essere tristi. Indicò il braccialetto dorato che aveva al polso e al contempo quello che indossava l'uomo. “Siamo una squadra, vero?”

Dopo che lui ebbe annuito in modo svogliato, lei iniziò a parlare a macchinetta, raccontando di come avesse sentito delle persone che entravano nella stanza dei truccatori e preparatori e che aveva visto portar via Octavia, Venia e Flavius e raccontò della sua preoccupazione per Peeta e Katniss, della sua paura per se stessa e, con un po' di fatica riuscì a dirlo, per lui.

Avevano iniziato a catturare le persone vicine a Katniss. Il mondo stava già iniziando a crollare, le cose si mettevano male. In quel momento, vedere Effie così smarrita, con le lacrime pronte a rigarle il viso, Haymitch sentiva quasi l'impulso di abbracciarla, di proteggerla. Non poteva, però. Aveva promesso a se stesso che non avrebbe più condannato nessuno all'infelicità solo per il futile motivo di stare accanto a lui. Ma erano già entrambi in pericolo, no? Poteva azzardarsi a rischiare?

Le si avvicinò, le mise una mano sulla spalla e tentò di rassicurarla. Le ricordò del piano che avevano ideato, delle alleanze segrete, di tutte le misure di emergenza che erano state prese per riuscire a salvare i ragazzi. O almeno Katniss, pensò amaramente. Effie gli si gettò addosso e lui la abbracciò. Era pronto a rinunciare alla promessa che si era fatto, questa volta non avrebbe accettato le scelte di Capitol, non avrebbe più sbagliato a valutare l'amore. Però, non glielo avrebbe detto subito, non riusciva a dire quelle stupide parole. Erano solo parole in fondo. Vuote e stupide. Le avrebbe dimostrato quanto teneva a lei, quello sì che era il modo giusto. Avrebbe smesso del tutto di bere, non si sarebbe più sbronzato, avrebbe tentato di rimettere in sesto la sua vita. Sempre che questa rivoluzione glielo permettesse. Si sarebbe allontanato dagli eccessi, dalle cattive abitudini. Sarebbe tornato all'origine, solo per Effie, per proteggerla, per meritare di amarla. Perché non era logico che lui potesse amare una perfettina, all'apparenza superficiale e maniaca dell'ordine e della pulizia. Non era logico amare una capitolina per un uomo che veniva dal più povero dei distretti, eppure era così. Tenerla tra le braccia era la cosa che lo faceva sentire bene, sentire il suo respiro che si accordava con il proprio mentre si tranquillizzava era la sensazione migliore che avesse provato negli ultimi tempi. Persino meglio della dormita post-ubriacatura.


«Mentre il mondo cade a pezzi
io compongo nuovi spazi e desideri che
appartengono anche a te
che da sempre sei per me
l'essenziale»

 

Bussarono alla porta.

“Cerchiamo Effie Trinket, si trova qui?”

Lei si sporse per vedere chi fosse.

Pacificatori.

Li seguì, coraggiosa, senza opporre resistenza.

Prima di ciò, però, si voltò verso Haymitch, lo abbracciò e gli posò un casto bacio sulle labbra.

Un ricordo che l'uomo avrebbe portato con sé e custodito gelosamente per molto tempo. Finché un giorno quella guerra finì. E i due si poterono riabbracciare di nuovo.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: GiadaGrangerCullen