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Autore: Acinorev    16/11/2014    17 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo undici - Sex and loneliness

 

L’appartamento di Louis era piccolo ed arredato con gusti discutibili: la vecchia signora che lo possedeva non permetteva a nessuno di apportare alcuna modifica, ma lui era disposto ad accettarlo, approfittando della scarsa somma da pagare.
Emma era sdraiata sul suo letto, matrimoniale e con alcun molle che non rispettavano il loro dovere: lo osservava distrattamente nella sua ricerca di qualcosa da indossare, arrotolandosi una ciocca di capelli intorno alle dita.
«Aaron?» domandò soltanto, sperando di comprendere meglio la situazione: era in sua compagnia da più di mezz’ora e nessuno aveva toccato l’argomento. Louis sembrava possedere la solita esuberanza e la solita spensieratezza, ma era risaputo che avrebbe indossato quella protezione anche nella peggiore delle situazioni.
«Formula una reale domanda, hun», rispose lui, schioccando la lingua contro il palato ed afferrando una t-shirt solo per poi scartarla: continuava a darle le spalle, senza scomporsi in alcuna reazione.
Emma sbuffò e si mise a sedere, incrociando le gambe sul lenzuolo color crema. «Avete chiarito?»
Louis si voltò lentamente nella sua direzione, guardandola con marcata malizia mentre inclinava un angolo della bocca per abbozzare un sorriso. «Abbiamo fatto sesso», esclamò, tornando ad occuparsi del suo armadio.
«Questa non è una risposta», protestò lei, sospettosa. Nelle loro dinamiche di coppia il sesso non era propriamente qualcosa su cui basare un chiarimento, o almeno non per entrambi.
«Oh, sì che lo è», la contraddisse, con la voce acuta. Scelse un maglioncino in cotone leggero, di un azzurro molto simile ai suoi occhi, lo indossò e si passò una mano tra i capelli, piegandosi per recuperare le sue Vans rovinate da sotto il letto ed indossarle.
«Louis», lo rimproverò Emma.
Lui si sedette sul bordo del letto e la osservò. «Emma, hun», le fece eco, beffardo. «Non capisco dove tu voglia arrivare». Era difficile arrivare da qualsiasi parte con lui, perché non era mai propenso ad aprirsi realmente e perché certe cose nemmeno solleticavano la sua criticità, come se fossero giuste al di fuori di ciò che tutto il resto del mondo pensava.
«Fare sesso non vuol dire discutere e risolvere i problemi», spiegò lei allora, sperando di metterlo di fronte alla realtà. «E tu sai benissimo che Aaron è arrivato al limite: solo perché ti ama abbastanza da cedere ogni volta che ti avvicini, non vuol dire che gli stia bene e non vuol dire che continuerà a farlo. Quindi cerca una soluzione, o presto potrai dire addio al tuo caro Aaron».
Louis indurì lo sguardo, senza però rinunciare alla sfumatura che sembrava urlare di avere tutto sotto controllo, una sicurezza ostentata. «Non mi piacciono le minacce», la ammonì, accompagnato da un sorriso falso.
«Non è una minaccia, è la verità. E non sei così stupido da non accorgertene».
«Hun», sospirò, inumidendosi le labbra. «Non vuoi davvero immischiarti negli affari di due omosessuali che fanno questo da anni».
«Hai dimenticato di contare tutti gli altri omosessuali che ti sei portato a letto mentre facevi questo», rispose piccata. Non riusciva a comprendere come Louis potesse essere così sicuro delle proprie azioni: certo, aveva una propria visione della vita, dell’amore e della libertà, ma si trattava di rispetto.
Per un breve istante, fu in grado di notare la mascella di Louis che si serrava ed il suo corpo che si irrigidiva appena. «Lui sa che gli altri non contano», ribatté.
«No, lui finge che gli altri non contino. Lo fa perché altrimenti la vostra storia sarebbe finita subito dopo essere iniziata, e proprio non capisco perché tu non sia disposto a cambiare per lui, a dargli per una volta quello che merita. Aaron vive in funzione di te e tu lo dai per scontato, ma credimi, è molto probabile che presto o tardi tu tornerai dopo l’ennesima scappatella priva di significato e lui non ci sarà».
L’espressione di Louis si fece più seria: sicuramente quelle parole non erano nuove per lui, sicuramente sapeva perfettamente quanto fossero vere, ma sicuramente era troppo narcisista ed egoista per poter sopportare che qualcuno gliele rinfacciasse. Sospirò subito dopo e riacquistò il controllo, rivolgendosi a lei con un nuovo accenno di sorriso. «Eppure è ancora con me», rispose soltanto, come se avesse appena vinto una piccola battaglia, per poi alzarsi ed entrare nel minuscolo bagno canticchiando una canzone.
Emma alzò gli occhi al cielo e si lasciò cadere sul materasso.
«È senza speranze», sussurrò.
 
 
 
L’entrata spaziosa era piena di luce, grazie alle pareti interrotte da ampie finestre che si affacciavano sulla strada: il via vai del personale movimentava l’atmosfera seria ed impegnata, mentre Emma restava seduta su uno dei piccoli e scomodi divanetti che non venivano utilizzati spesso.
L’ufficio di Miles era al terzo piano, ma lei preferiva non disturbarlo: lavorava come segretario per un imprenditore che, nonostante fosse sempre molto impegnato, teneva particolarmente all’ordine nel proprio ambiente. Di conseguenza, gli estranei – non clienti – non erano ben accetti.
Si sistemò il vestito grigio topo, che con le linee morbide le si posava sulle cosce coperte da calze scure, e controllò ancora una volta l’orologio: erano le tredici passate, quindi non avrebbe dovuto aspettare ancora molto. Recuperò il cellulare dalla borsa e controllò che non ci fossero nuovi messaggi, mandò il buongiorno a Nikole e sbuffò, bloccando lo schermo subito dopo.
Miles uscì dall’ascensore qualche minuto più tardi, cogliendola di sorpresa e ponendo fine alla sua attesa: Emma si alzò subito in piedi e gli si avvicinò con un sorriso radioso, osservando il suo andamento stanco ed il completo nero da lavoro che indossava, la cravatta che gli donava ed il nodo leggermente allentato, i capelli in ordine ed il viso pulito.
Ma notò anche la sua espressione dura.
«Hey», lo salutò con un bacio sulle labbra, accarezzandogli casualmente il petto. Probabilmente era stanco, dato che, per quanto fosse poco retribuito, il lavoro da svolgere era spesso un forte peso: sperava che il pranzo che gli aveva promesso potesse rallegrarlo.
Lui rispose con un respiro profondo, salutando con un cenno della mano qualcuno di passaggio.
«Brutta giornata?» gli chiese in conferma, mentre si apprestavano ad uscire dall’edificio fianco a fianco: avrebbero avuto appena quaranta minuti, quindi si sarebbero dovuti accontentare del chiosco all’angolo della strada.
Dal modo in cui Miles inasprì lo sguardo, ostinandosi a non posarlo su di lei, comprese che ci fosse qualcosa di più, qualcosa che stonava e che la preoccupava.
«Dove sei stata ieri sera?» le domandò al posto di darle una risposta, camminando a passi svelti e con le mani in tasca. I lembi della giacca aperta che venivano scostati dalla brezza leggera.
Emma corrugò la fronte ed attese qualche istante prima di ribattere: era strano che le chiedesse una cosa del genere, dal momento che, una volta tornata a casa, gli aveva scritto di essere stata a prendere una birra in un pub e di essere tornata presto perché troppo stanca. Non le piaceva mentirgli, ma non voleva che si incupisse per la bravata di Harry. «Te l’ho già detto, sono stata con Melanie», raccontò quindi, con la voce controllata.
Miles serrò la mascella e si fermò, prendendo un respiro profondo: lei gli si posizionò davanti, osservandogli il viso teso.
«Perché menti?» sussurrò lui, guardandola per la prima volta negli occhi e trasmettendole più di quanto Emma avrebbe voluto ricevere. Come faceva a saperlo? Perché si era insospettito a tal punto? «Ieri sera ho visto Melanie e Zayn in centro. Tu non c’eri», aggiunse, stringendo i pugni.
Lei mancò un respiro e per poco non cedette all’istinto di scappare e porre fine a qualsiasi cosa fosse in procinto di iniziare: sapeva che lui era uscito con degli amici, ma non aveva pensato alla possibilità che potesse incontrare sua sorella, che non l’aveva avvertita perché sicuramente non si era nemmeno accorta della sua presenza. E Miles non le aveva detto nulla: le aveva dato l’opportunità di essere sincera, per ben due volte, e l’aveva osservata fallire, entrambe le volte.
Gli doveva sincerità, non poteva negarlo, ma aveva così paura delle ripercussioni da essere paralizzata.
Miles non la richiamò, limitandosi a guardarla con quella pretesa dalla quale non riusciva mai a scappare. «Melanie ha dato l’indirizzo delle gemelle ad Harry», ammise, rendendosi alle conseguenze delle proprie azioni, ma non senza la caparbietà che la obbligava a mantenersi comunque oggettiva. «Io non lo sapevo, non-»
«Sei uscita con lui?» la interruppe, assottigliando lo sguardo e facendo un passo in avanti.
«No», si difese, prendendo atto del tono di voce con il quale si era appena scontrata, aspro, incredulo, rabbioso. «L’ho solo accompagnato a casa».
«Eppure hai comunque sentito il bisogno di mentirmi», replicò Miles: restava composto nella sua tensione, rendendo tutto più fragile, come in procinto di un danno ben più grave. «Che cazzo ti prende…» sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Emma si stupiva nel vederlo reagire in quel modo, perché era da tanto, troppo tempo che i suoi ammonimenti mancavano o si susseguivano in blandi e rassicuranti rimproveri: era evidente che Harry lo intimorisse più di chiunque altro.
«Ne ho sentito il bisogno perché sapevo che avresti reagito così: sapevo che ti saresti arrabbiato, che mi avresti ripetuto di smettere di vederlo, che avresti pensato che io pro-»
«Se tu non mi nascondessi le cose, forse mi preoccuperei di meno!» sbottò, per poi irrigidirsi e riacquistare il suo solito contegno. Erano nel mezzo del marciapiede, in una strada poco trafficata ma comunque frequentata, e non era il caso di fare una scenata: anche lei si impegnò per non urlare.
«Forse te le nascondo perché tu non sei in grado di sopportarle», gli rispose: non era disposta ad ammettere una completa colpevolezza, quando entrambi avevano le proprie responsabilità.
«Ah, ora è così?» domandò retorico, abbassando la voce. «Prima ti lamenti del fatto che io non sia geloso, ma quando ne ho tutti i motivi e quando ti chiedo di darmi ascolto, pretendi che invece me ne stia zitto?»
Si sentì colpita da quella accusa, perché era fondata; da tempo ricercava in lui una scintilla di possesso ed ora che l’aveva finalmente ottenuta, faceva di tutto per sbarazzarsene: non era sicura che riguardasse Harry, però, perché era più propensa a pensare si trattasse della mancanza di fiducia alla quale si sentiva soggetta.
«Di quali motivi parli?» lo contestò, alzando di poco il proprio tono. «A me sembra solo che tu non abbia uno straccio di fiducia in me, e proprio non capisco il perché! Ti ho detto e ripetuto che Harry non rappresenta alcun pericolo per noi, ma tu continui a mettermi in dubbio: fino a poco tempo fa mi ripetevi di essere sicuro dei miei sentimenti, di essere sicuro che io non avrei mai dato peso alle attenzioni degli altri, mentre ora non posso nemmeno nominare Harry senza ridurti in questo stato. Che cosa è cambiato?»
«Tu! Sei cambiata tu», rispose Miles, colorando la sua voce di un’enfasi che si rifletté anche nel modo in cui le afferrò un braccio per farsela più vicina. «Perché credi che io mi preoccupi tanto? È ovvio che ci sia qualcosa di diverso, rispetto alle altre volte, ed è ovvio che sia qualcosa di evidente, per farmi reagire così!»
«E la mia parola non ha alcuna importanza?» domandò Emma, punta sul vivo. Capiva le sue motivazioni – in parte – perché in fondo aveva colto in prima persona le dimostrazioni di interesse da parte di Harry, ma era anche consapevole delle proprie emozioni e della propria volontà. «Ti contraddici da solo! Per tutto questo tempo non importava quante attenzioni gli altri mi dedicassero, perché tu eri sicuro di me: perché ora dovrebbero avere importanza le attenzioni di Harry, se io stessa ti sto dicendo di non provare niente di simile per lui?»
«Perché tu gli dai corda! Continui a vederlo e lui continua sicuramente a guardarti in quel modo, e non te ne importa niente di quello che io potrei pensare: che diavolo ti costa lasciarlo perdere e dedicarti a noi? Guarda a cosa siamo arrivati: tu mi menti riguardo quello che fai la sera ed io nemmeno riesco a fidarmi. Il prossimo passo qual è, il-»
«Non ti azzardare a dirlo», lo ammonì, rilassando il viso in un’apatia gelida, che lo ferì. «Non osare dire che io arriverei a tradirti».
Miles notò il dolore nei suoi occhi e percepì quello nei propri, ma si sentì in dovere di continuare, di non lasciarsi fermare per l’ennesima volta dalla paura del passato. «Perché non dovrei?» disse a bassa voce, cauto, ma deciso. «Perfino tu hai detto che non te lo saresti mai aspettata da me: perché io non posso aspettarmelo da te?»
Emma sentì il cuore contrarsi fino a far male, il suo corpo tendersi per quello stesso dolore, e non riuscì a trattenersi. «Perché io sono qui!» quasi urlò, spintonandolo con i palmi delle mani sul suo petto. «Perché sono rimasta con te nonostante tutto! E tu non hai nessun diritto, nessun diritto, cazzo, anche solo di pensare che io potrei sopportare tutta questa merda per ricambiarti con la stessa moneta!»
Miles indietreggiò con gli occhi venati da stupore e confusione, da una ferita inaspettata che si rifletteva su di lui come succedeva ormai da quattro mesi: la guardò ansimare e la guardò voltarsi per andarsene, ma non lo accettò.
«Dove vai?» le chiese, bloccandola per una spalla ed obbligandola a fronteggiarlo di nuovo. «Non puoi andartene dopo aver-»
«Non ho intenzione di restare qui e continuare a litigare per qualcosa del genere», sibilò tra i denti, liberandosi dalla sua presa.
«Continui a dirlo, ma non puoi scappare per sempre», le fece presente, corrugando la fronte. Le sue parole dure erano mitigate dall’amara consapevolezza che quella merda fosse dovuta solo a lui.
«Non pensi che forse io non sia scappata affatto?»
Tutto quel dolore che le pesava addosso prescindeva da Harry o da qualsiasi altro problema superficiale: il rapporto con Miles aveva crepe tanto profonde da non essere sufficiente il nasconderle alla vista, perché avrebbero presto rimarcato l’instabilità del tutto e si sarebbero allargate, peggiorando fino al punto limite. E non le importava scappare o meno, chi avesse ragione e chi torto, perché  riusciva a sentire solo la stanchezza e l’impotenza: ogni giorno di più, le sembrava impossibile riuscire a risanare la loro storia e non era capace di accettarlo, di conviverci.
A quelle parole, Miles fece un passo indietro, come scottato dal loro suono: la sua espressione si dipinse di sofferenza e rassegnazione, non una sillaba lasciò le sue labbra schiuse, prive di speranza.
Emma se ne andò l’istante dopo, stremata.
 
 
 
Fanny stava canticchiando la canzone di sottofondo di una pubblicità, dondolando la gamba che le penzolava dal divano sul quale si era sdraiata da poco. Constance e Ron erano sull’altro divano, con le mani a sfiorarsi con quella discrezione dettata dagli anni e da sentimenti consolidati, guardando distrattamente la televisione e rilassandosi in attesa della fine della giornata.
Emma entrò in salotto con indosso una vecchia tuta azzurro pastello, portando con sé un contenitore ricolmo di popcorn che di sicuro avrebbe provocato discussioni con sua sorella minore: si accoccolò al suo fianco e subito lasciò che lei si rifornisse, prima che il volto attraente di Brad Pitt ricomparisse sullo schermo.
«Quando ricominci le lezioni?» domandò Ron, sbadigliando. I capelli spruzzati di grigio resi disordinati dalla stanchezza.
«La prossima settimana», rispose Emma, sbuffando al solo pensiero. Doveva ancora licenziarsi dal ristorante nel quale serviva da cameriera e sollecitare Grace, la madre delle gemelle, affinché si ricordasse di trovare un’altra persona disposta ad aiutarla: con il carico di studio che doveva sopportare e con la vita sociale che voleva conservare, non le rimaneva molto tempo.
Ron fece per chiedere qualcos’altro, ma il campanello di casa glielo impedì: corrugò la fronte, chiedendosi chi fosse a quell’ora e senza preavviso, e si alzò per andare a controllare. Emma lo seguì con lo sguardo, masticando con gusto un altro paio di popcorn.
«Miles, ciao!» salutò l’uomo, sporcando la sua voce di allegra sorpresa. Tutti i componenti della famiglia si ricomposero, assumendo posizioni più consone alla visita di qualcuno, tranne la figlia maggiore, che si limitò a trattenere il fiato e ad aspettare qualsiasi risvolto.
«Buonasera, Ron», rispose cordialmente Miles, sorridendogli senza eccessi ed alzando una mano per salutare anche il resto dei presenti, mentre entrava nel salotto: il suo sguardo cercò subito Emma, soffermandosi su di lei per qualche istante.
«Non ti aspettavamo, ma è sempre un piacere vederti», continuò Ron, afferrandogli calorosamente una spalla: erano sempre andati d’accordo, nonostante l’iniziale gelosia del capo famiglia. Emma era convinta che, se avesse raccontato la verità riguardo la loro rottura, se avesse svelato il tradimento confessato, suo padre non avrebbe esitato a rinnegare qualsiasi passata simpatia, promettendo violenza fisica.
«Mi dispiace di essermi presentato così all’improvviso, ma dovrei parlare con Emma», spiegò lui, stringendosi nelle spalle: il maglione in lana spessa gli cadeva morbido sul busto infreddolito.
«Vuoi qualcosa da bere, prima?» intervenne Constance, da elegante padrona di casa. «È avanzata anche della torta al cocco», continuò.
Emma sospirò silenziosamente e si mise a sedere, lasciando il contenitore nelle mani di Fanny, che era sprofondata ancora di più nel divano per nascondersi agli occhi di Miles: non aveva ereditato l’esuberanza della sorella più vicina, ma nemmeno la timidezza della maggiore. Semplicemente, preferiva essere schiva con chiunque non potesse godere della sua confidenza: nulla a che vedere con la bambina vivace ed espansiva che era stata, ma forse era colpa dell’imminente sviluppo.
«Grazie, ma preferisco di no», declinò Miles, abbozzando un sorriso e concentrandosi subito dopo sulla sua ragazza: lei non disse nulla, deglutendo il disagio che provava e dirigendosi verso le scale. Sapeva che l’avrebbe seguita senza bisogno di spiegazioni e non voleva nemmeno darne di fronte alla sua curiosa famiglia: per quanto fossero abituati alla presenza di Miles, non avevano ancora smesso di studiare le dinamiche che lo coinvolgevano.
«Potevi almeno avvertirmi», lo rimproverò Emma, non appena la porta della propria stanza si chiuse dietro di loro, isolandoli placidamente da tutto il resto. Lo guardava a debita distanza, come se quello spazio vuoto potesse farle da scudo.
Miles fece subito un passo avanti, con il volto turbato: aveva deposto la sua maschera di cortesia, usata per affrontare Constance e Ron, e le stava mostrando ciò che in realtà non poteva nascondere. «È stata una decisione improvvisa», si giustificò. Gli occhi scuri le imponevano di non allontanarsi, di aspettare e di capirli: non avrebbe mai compreso come potessero essere tanto indiscutibili.
«Non sono sicura di volere che tu rimanga», mormorò Emma, stringendo i pugni lungo i fianchi: dopo aver ricordato il loro litigio di sole poche ore prima, aveva sentito il subdolo istinto di accarezzargli il viso ed il petto. Era troppo confusa.
«Emma, cazzo», sibilò lui, raggiungendola velocemente e portando le proprie mani sul suo volto, a coprirle ed accarezzarle le guance arrossate. Appoggiò la fronte contro la sua e le respirò sulla pelle, abbassando le palpebre come per concentrarsi meglio su ciascuna sensazione.
Lei si aggrappò alle sue braccia definite, respirando a fatica e cercando di capire se avesse bisogno di divincolarsi dalla sua presa o se le sue mani fossero proprio ciò che le avrebbe impedito di sgretolarsi. Il cuore accelerato le intimava di decidere in fretta, in un modo o nell’altro.
Miles spostò una mano tra i suoi capelli, stringendoli tra le dita sottili, e le sfiorò le labbra con irrequietezza, con la paura che potessero sfuggirgli all’improvviso: Emma liberò un respiro sofferto, ricambiando quel bacio leggero con sempre maggiore enfasi ed abbandonandosi al contatto con il suo corpo. Non avrebbe voluto cedere tanto facilmente, perché in fondo non era così che avrebbero risolto i loro problemi, ma doveva trarre forza da lui, anche se per usarla contro la sua stessa fonte.
«Credi che sia difficile solo per te?» sussurrò Miles, facendola indietreggiare di un passo e circondandola con le proprie braccia, per baciarle il collo e per respirarle addosso. Aveva un modo singolare di trasmettere passione, di far mancare l’aria senza alcun preavviso: raramente la toccava con irruenza, con frenesia, ma ogni suo movimento era calibrato ed egualmente intenso. Emma, dopo tutto quel tempo, non riusciva ancora a capacitarsi di come delle mani così leggere potessero avere delle impronte tanto profonde e resistenti.
«Continua a rinfacciarmi ogni cosa», le sussurrò all’orecchio, mentre lei gli si stringeva contro per trovare rifugio dalle sue stesse parole. «Continua a portarmi rancore. Insultami», continuò, accarezzandole la schiena con i palmi aperti, bisognosi. «Ma non pensare nemmeno per un momento che per me sia più facile».
Emma serrò le palpebre e scosse lentamente il capo, per poi allontanarsi quanto bastava per poter scrutare il suo viso. «Tu non sei stato tradito», gli ricordò.
Gli occhi di Miles si spensero per un breve attimo, mentre anche la tensione nel suo corpo si smorzava solo per rinvigorirsi l’istante successivo. «Ma ho tradito», mormorò, con le labbra sottili ed arrossate, colpevoli tentatrici. «Ho tradito te».
Quelle parole le si incastrarono nel petto nell’ennesimo monito di ciò che era sicura non sarebbe riuscita a nascondere alla propria consapevolezza. Respirò profondamente, tentando di controllare le proprie emozioni per evitare che la guidassero nelle decisioni, e si scostò da Miles, indietreggiando lentamente fino a sedersi sul bordo del proprio letto: le ginocchia piegate contro il petto e le braccia a circondarle, in una posizione che ormai aveva assunto troppo spesso.
Lui si passò una mano tra i capelli e sul volto, forse costretto a confrontarsi con una nuova distanza e con la solita impotenza: la sua perseveranza era ammirevole. Mai una volta, durante quei quattro mesi, si era arreso al muro che Emma aveva innalzato tra di loro. Ma una volta si era stancato di combattere e di insistere e di ricordarle quanto l’amasse. Mai una volta l’aveva lasciata o aveva rinnegato le proprie responsabilità.
Ma perché non poteva essere abbastanza?
Cosa avrebbe potuto esserlo?
Emma continuava a chiederselo e a non scovare una risposta, o almeno non una risposta che la guidasse verso ciò che Miles desiderava. Se solo avesse trovato qualcosa in grado di superare il dolore, se solo avesse capito come sconfiggere la paura e lasciare che fossero di nuovo i sentimenti a legarla a lui.
Miles le si sedette accanto, così vicino da farle percepire il calore della sua pelle, ed aspettò ancora qualche istante prima di rivolgerle un’ultima preghiera. Ultima, perché anche ai suoi occhi era chiaro quanto Emma fosse in bilico. Ultima, perché forse anche lui si stava avvicinando al limite, nella speranza di non raggiungerlo mai.
«Proviamoci ancora», disse a bassa voce, senza guardarla e senza che lei alzasse il viso dalle proprie ginocchia. Una bambina spaventata. «Per favore».
E sarebbe stato così semplice dirgli che non l’avrebbe mai riavuta come in passato.
«No, io…»
Emma sospirò e si morse un labbro, ancora immobile nella sua posizione. «Lasciami del tempo».
Era tutta colpa sua, anche se preferiva scaricarla su Miles. Era colpa sua perché se fosse stata meno codarda, se fosse stata meno fragile, non sarebbe stata costretta a sopportare un dolore solo per evitarne un altro. E lui non sarebbe stato costretto a lottare inutilmente, con una speranza che non vedeva luce né obiettivo.
«Come potrebbe servirti?» le chiese cauto, mentre la voce lasciava trasparire un velo di spavento.
«Non lo so», sussurrò lei. Non voleva guardarlo, non voleva vedere i suoi occhi. «Ma è l’unica cosa che non ho ancora provato».
Miles rispose con un lungo silenzio, che forse avrebbe voluto interrompere con mille parole ragionevoli e con altrettante preghiere disperate: con un tocco esitante ma consapevole, le sfiorò la schiena e le baciò a lungo una spalla, costringendola a chiudere gli occhi per fingere che il suo corpo non avesse reagito.
Emma lo ascoltò alzarsi in piedi lentamente, lo sentì fermarsi dopo pochi passi e forse osservarla ancora una volta, sospirare ed allontanarsi. Lo seguì con l’attenzione mentre scendeva le scale e mentre salutava la sua famiglia, scusandosi ancora una volta per l’intrusione.
Fu libera di respirare a pieni polmoni solo quando udì la porta di casa chiudersi dietro di lui.
 
 
 
Quando il cellulare squillò per la seconda volta, nel buio della sua stanza, si decise ad afferrarlo per scoprire chi fosse il mittente dei messaggi. La luminosità dello schermo la accecò, dato che per ore era rimasta immobile nel suo letto e nella più totale oscurità, sperando di riuscire a mettere a tacere i propri pensieri.
 
Un nuovo messaggio: ore 22.16
Da: Harry

“Facciamo un salto da Ty, domani?”
 
Un nuovo messaggio ore: 01.24
Da: Miles

“Ti amo. E lo sai”
 
Strinse il telefono nel palmo della propria mano e fu tentata di gettarlo contro il muro: sia perché Harry era ancora presente, sia perché Miles – paradossalmente – era in grado di farla sentire una persona orribile. Non si era mai fermata a riflettere davvero su ciò che era realmente accaduto all’amore che l’aveva legata a quel ragazzo dalle maniere composte e razionali: come se fosse troppo fragile per essere anche solo sfiorato con il pensiero, quel sentimento era custodito in un angolo irraggiungibile, che Emma non voleva esplorare per non doversi confrontare con una realtà mutata. Un conto era credere che qualcosa fosse cambiato. Un conto era averne la prova.
Decise di non rispondere al suo messaggio, perché non avrebbe saputo come farlo senza mostrare ciò che provava e perché il tempo che gli aveva chiesto doveva avere dei limiti ben precisi, se doveva essere d’aiuto.
Per Harry, invece, era un altro discorso.
 
Messaggio inviato: ore 01.31
A: Harry

“No. È meglio non vedersi più, almeno per un po’ di tempo. Non farmi domande, ho solo bisogno di tranquillità”
 
Non aveva preso quella decisione per paura che Harry condizionasse la sua storia con Miles, né per paura di tornare a provare qualcosa nei suoi confronti. Era pienamente convinta di essere abbastanza forte da sapere come gestirlo e contenerlo, come respingerlo per sicurezza.
Ma Miles aveva ragione: non avrebbe dovuto rappresentare un grande sacrificio, l’allontanarlo per potersi concentrare su se stessa e su di loro, senza essere costretta a confrontarsi con le sue attenzioni sfrontate. Erano evidenti ed erano evidenti anche al suo fidanzato: in una situazione così delicata, era abbastanza rispettosa da saper riconoscere i limiti che le erano concessi.
 
Un nuovo messaggio: ore 01.35
Da: Harry

“Che significa che è meglio non vedersi più? Perché?”
 
Messaggio inviato: ore 01.37
A: Harry

“Quale parte di ‘non fare domande’ non ti è chiara?”
 
Quando lui tentò un approccio differente, Emma rifiutò la chiamata e sospirò esasperata. Non avrebbe dovuto rispondere nemmeno al suo messaggio.
 
Un nuovo messaggio: ore 01.41
Da: Harry

“Non credi di dovermi almeno una spiegazione?”
 
Messaggio inviato: ore 01.43
A: Harry

“Te l’ho detto, ho bisogno di tranquillità”
 
Un nuovo messaggio: ore 01.44
Da: Harry

“Che scusa del cazzo”
 
Messaggio inviato: ore 01.44
A: Harry

“Buonanotte”
 
Un nuovo messaggio: ore 01.46
Da: Harry

“Buonanotte? Te ne esci così dal nulla e pretendi che io non faccia nemmeno domande. Siamo tornati all’asilo per caso?”
 
Ma Emma spense il telefono, senza nemmeno chiedersi a cosa stesse pensando e come si sarebbe comportato.





 


Buoooongiorno!
Cercherò di fare in fretta, quindi passo subito all'abitudinario elenco puntato!
- Louis: è molto particolare, ormai questo è chiaro, e nemmeno la perseveranza di Emma è in grado di scalfirlo. Dato che non ama parlare di sé, né dei propri problemi, mi è difficile darvi una visione completa di ciò che pensa e di ciò che realmente succede con Aaron: per farlo, potrei inserire un POV Louis, oppure scrivere un missing moment. Voi vi accontentate di questi piccoli indizi o preferite leggere qualcosa di più approfondito? POV o missing moment?
- Emma/Miles: quando si dice che la sfiga ci vede benissimo, ecco di cosa si parla ahhah Miles che scopre la bugia di Emma e che non esita a rinfacciargliela, nonostante le abbia prima dato l'opportunità di essere sincera. Come vedete, la discussione parte da Harry, ma finisce inevitabilmente su problemi ben più gravi, che fanno da sfondo a qualsiasi discussione: questo è per sottolineare che il vero problema non è Harry in sé, ma ciò che fa riaffiorare. 
Il modo di rapportarsi di Emma e Miles è molto più "placido", rispetto a quello che ci si aspetterebbe, ma è solo perché in quattro mesi hanno ripetuto scene simili innumerevoli volte: lei inoltre sta iniziando a vacillare, soprattutto riguardo ciò che effettivamente la lega a lui e che alla fine pesa su entrambi. Miles prova con tutto se stesso a recuperare quello che avevano, ma non sa che si sta scontrando contro un muro e che non ce la farà mai. E insomma, da qui prende vita il bisogno di tempo: come lei stessa ha detto, è l'unica cosa che non hanno mai provato, dato che lei non si è mai presa del tempo per schiarirsi davvero le idee, troppo spaventata per sopportare la sua assenza. Secondo voi a cosa porterà?
- Emma/Harry: lui ovviamente se ne esce come i cavoli a merenda hahaha Ma non riceve un trattamento molto diverso, dato che viene allontanato allo stesso modo: Emma non è stupida, sa che in fondo non è giusto continuare a frequentarlo quando il suo interesse è evidente e quando Miles non lo sopporta, soprattutto data la situazione critica della loro storia. In fondo, nemmeno lei sopporterebbe che Miles uscisse con una ragazza che gli fa il filo. Quiiiindi cosa pensate di questa cosa? Harry non l'ha presa molto bene: cercherò un confronto? Oppure l'orgoglio glielo impedirà?
E niente, alla fine non ho fatto in fretta ma amen hahaha Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Per qualsiasi cosa, scrivetemi :)
Come sempre, grazie infinite per tutto!!


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Un bacione,
Vero.

 
  
 
  
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