Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Miryel    18/11/2014    3 recensioni
[VI PREGO DI NON PASSARE QUI, STORIA IN REVISIONE]
"Non ci pensate nemmeno! Sono io il vostro chitarrista!" sbottò Vanitas, capendo al volo a cosa si stessero riferendo. Sora gli diede un pugno amichevole sulla spalla, ridacchiando.
"Van, ho la sensazione che vogliano tagliarti fuori dal gruppo!"
"Devono solo provarci!" rispose acidamente il fratello più grande, imbronciandosi "Gli mando Ventus a picchiarli, parola mia!"

[AkuRoku - VanVen - RiSo]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Axel, Riku, Roxas, Vanitas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti, Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 12. Summer Vacation
La prima cosa che Roxas sentì quando si svegliò, fu la voce di Axel, chiamarlo dolcemente.
Percepì le dita affusolate del rossino tra i suoi capelli e, quando aprì gli occhi, lo trovò accanto a lui, inginocchiato, sorridente, con addosso un asciugamano arancione, perché era ancora fradicio fino al midollo osseo.
"Ehi, ben svegliato!" disse dolcemente il rossino, senza smettere di passargli la mano tra i capelli, quando lui lo guardò.
Roxas si portò una mano alla tempia e sentì la testa scoppiare letteralmente. Si guardò intorno, spaesato, con gli occhietti ancora pesanti.
"Dove sono?" chiese, con la voce impastata, alzando leggermente la schiena e ributtandola subito giù quando sentì che non ce la faceva a tenersi in piedi.
Axel si strinse nelle spalle, smettendo di carezzargli i capelli: "In un'ambulanza! Dato che eri svenuto, Ven ha deciso di chiamarla!"
"Quanto tempo sono rimasto svenuto?" chiese ancora il biondino, titubante.
"Un'oretta abbondante, credo!" sorrise il rossino, dolcemente.
"Dov'è Ven?"
Axel indicò con un dito un punto indefinito con il pollice: "Qui fuori! Sta parlando con gli agenti e sta aspettando che i tuoi genitori arrivino!"
Roxas lo guardò, intristendosi a quella notizia, poi distolse lo sguardo e sentì gli occhi inumidirsi: "Perché anche loro?"
"Perché sei minorenne, Roxas... ecco perché!" rispose l'altro, poi incrociò le braccia sul materasso e vi poggiò il mento sopra e sospirò. "Qual è il problema?"
"Lo sai qual è, Axel..." rispose il biondino, continuando a fissare un macchinario, senza realmente vederlo. "Mi... mi sento sporco... e colpevole..."
"Non devi sentirti né sporco, né colpevole, né tantomeno devi provare vergogna... non è colpa tua, lo sai" rispose il rossino, in tono calmo.
Roxas si morse un labbro e cercò di reprimere le lacrime.
"Mi vergogno tanto..." mormorò, scoppiando a piangere e nascondendosi il viso tra le mani, al ricordo di tutte quelle cose brutte che gli erano successe dentro quella stanza, con quell'uomo terribile, quell'orco, quel demone, quello schifoso...
Axel gli posò una mano sui capelli, poi li cominciò a carezzare dolcemente, senza dire nulla.
Doveva sfogarsi ancora e ci sarebbe voluto molto tempo prima che riuscisse ad isolare quasi del tutto quei ricordi, cercando di vederli con un certo distacco, come se non gli appartenessero. Ma ora era così, una bomba ad orologeria, di cui non si sapeva l'ora della sua esplosione.
Era fragile come un vaso di vetro, come carta velina, come una foglia secca, ma aveva imparato a saperlo prendere, ormai e non aveva più paura di romperlo.
Roxas grugnì e tirò su col naso, quando si sentì leggermente più calmo e si sforzò di scoprirsi il viso, voltandosi poi verso il rossino, che gli sorrise quando i loro occhi si incrociarono.
"Tu come stai, Axel?" chiese, mentre l'altro smetteva di carezzargli i capelli.
"Non mi sembra il caso di fare una domanda simile mentre siamo in un'ambulanza per te, piccola peste!" gli disse, dandogli un buffetto sul naso.
"Non te lo chiedo mai..." disse, tristemente, poi gli prese la mano tra la sua e la alzò per vedere i graffi che si era fatto dando tutti quei pugni a quell'uomo. "Ti fa male?"
Axel scosse la testa, senza smettere di sorridere: "No, sto bene! Me li ero quasi dimenticati!"
"Scemo, dovresti farteli vedere!"
Axel lo guardò serio e gli strinse di più la mano: "Non ha importanza, ora mi interessa sapere come stai tu!"
"Vorrei poterti dire che sto bene e che non ho pensieri per la testa, Axel... ma mentirei" mormorò, sentendo gli occhi inumidirsi di nuovo.
Il rossino si protese in avanti e gli diede un leggero bacio sulla fronte, perché non sapeva che altro fare o dire. Era un dolore fortissimo, quello di Roxas, e per quanto lui gli stesse vicino e cercasse di non farlo sentire solo, quel dolore rimaneva solo suo. Solo di Roxas e di nessun altro.
Poteva immaginarlo, poteva capirlo, ma non l'avrebbe mai sentito. Mai.
Roxas chiuse gli occhi a quel contatto e in quel secondo e mezzo, dove il rossino gli baciava la fronte, dimenticò tutto, per poi tornare a ricordare subito dopo, dolorosamente.
Axel staccò le labbra lentamente e lo guardò. Corrugò le sopracciglia, tristemente, vedendolo con gli occhi stretti, mentre reprimeva la voglia di piangere che ancora lo attanagliava.
"Roxas..." lo chiamò il rossino, dolcemente.
Il biondino aprì gli occhi, lucidi, velati, angosciati e lo guardò.
Axel represse la voglia che aveva di stringerlo a se e sospirò impercettibilmente.
"E' meglio se raggiungo tuo fratello. I tuoi saranno qui a momenti e non ho voglia di farmi trovare qui..." ammise, poi fece per alzarsi, ma Roxas gli prese la mano e lo trattenne.
"No... Axel, ti prego... rimani qui con me" supplicò, e quando il rossino si voltò a guardarlo vide che si era messo di nuovo a piangere, stringendogli le dita tra le sue e tirandolo.
"Roxas... non mi va che mi trovino qui vicino a te, dato che una delle prime cose che sapranno sarà che ho picchiato quasi a morte un uomo!" rispose Axel, frustrato e a disagio per quello che era successo, anche se lo avrebbe rifatto altre mille volte, e non se ne sarebbe mai pentito.
Roxas lo fissò con gli occhi pieni di lacrime e, tirando su col naso, mormorò: "Lo hai fatto per salvare me..."
Axel, a quelle parole, si sedette di nuovo accanto a lui e sospirò, rassegnato, perché non c'era niente che non avrebbe fatto per Roxas. Niente.
Non poteva andarsene ora che gli aveva chiesto di rimanere. Non poteva deluderlo.
"Non so come potrebbero reagire. Mi prenderanno per un pazzo omicida..."
"Axel, ho sempre potuto esprimere raramente il mio volere nella mia vita..." sussurrò Roxas, stringendogli la mano ancora più forte, senza smettere di piangere. "E quello che vorrei ora è che tu rimanessi accanto a me... finché puoi... ti prego..."
Il cantante lo guardava e ormai si era già rassegnato all'idea che non si sarebbe smosso da quella sedia finché non glielo avesse detto qualcuno. Gli passò la mano libera tra i capelli e cercò di sorridere.
Anche lui non voleva lasciarlo, ma sapeva di aver reagito con poca razionalità, in quella stanza e non poteva sopportare l'idea che ora qualcuno potesse giudicarlo per il suo gesto violento.
Lo aveva picchiato e sfigurato, ma non meritava forse anche qualcosa di peggio, quel viscido?
"Va bene, resto qui con te, piccola peste!" mormorò, senza smettere di carezzargli la testa.
Roxas chiuse gli occhi, inebriato da quel contatto, poi li riaprì, guardando il rossino titubante:"Axel..."
"Dimmi"
"Lo hanno portato via?" chiese, visibilmente speranzoso.
Axel annuì: "Sì, lo hanno portato via, dopo che io e Ven abbiamo testimoniato sull'accaduto. Per ora lo interrogheranno e poi chiameranno tutti gli altri ragazzi del suo corso per sentire se anche loro hanno subito le stesse cose" informò.
Roxas sospirò stancamente, distogliendo di nuovo lo sguardo e fissando un punto indefinito.
"Spero che gli altri ragazzi non abbiano subito lo stesso trattamento che è toccato a me..."
Axel non seppe proprio cosa dire, a quelle parole. Erano così dannatamente mature per un ragazzo della sua età. Lo guardò mentre stringeva un pugno nel tessuto del lenzuolo, nervosamente.
Gli posò la mano sulla sua, scoprendo che stava tremando.
"Ehi... va tutto bene, ora. Non devi più preoccuparti! Non ti succederà più niente, Roxas, te lo giuro! Parola mia!" gli disse, poi lo vide annuire debolmente e girarsi a guardarlo.
"Mi ha... mi ha iniziato a dire che il nostro era un sentimento puro... che... che noi due eravamo destinati a stare insieme..." spiegò, mentre gli occhi gli si velavano e diventavano vuoti come glieli aveva visti quel giorno del saggio, quando il viscido gli teneva le mani sulle spalle. "Poi continuava a dire che ci amavamo, che ero stato cattivo perché non mi ero presentato alle prove per due settimane..." continuò, mentre la voce si spezzava di nuovo da un pianto disperato. "Mi diceva che gli ero mancato tanto e che voleva che gli dicessi cosa provavo. Io non volevo dirgli niente, Axel, giuro! Volevo stare fermo, ad aspettare solo che passasse e che mia madre tornasse a prendermi..."
"Che cosa... che cosa ti ha fatto?" chiese il rossino, tristemente, sentendo un groppone in gola.
"Mi ha preso per il collo e mi ha fatto sbattere fortissimo contro la libreria e, quando ho sentito che ha iniziato a stringere gli ho detto che lo amavo anche io... che mi era mancato..." rispose, distogliendo lo sguardo e portandosi una mano istintivamente al collo per riflesso incondizionato. "Non sapevo che fare per liberarmi, mi avrebbe ammazzato! Non è vero che lo amo, non è vero che mi mancava... mi nausea solo il pensiero delle sue mani su di me, della sua voce, dei suoi occhi sui miei, delle sue labbra..."
"Roxas..." lo chiamò il rossino, vedendolo piangere tantissimo, mentre provava una vergogna senza eguali per se stesso.
Il biondino alzò la testa per guardarlo e si rizzò a sedere sul materasso, con fatica.
"L'ho detto solo per salvarmi... davvero... io non lo amo... io lo odio tantissimo..." disse, con un filo di voce, poi si buttò tra le braccia del rossino, circondandogli le braccia intorno al collo e affondando la testa nella sua spalla.
Axel rimase fermo qualche secondo, shockato dal suo racconto a da quel disagio che gli aveva visto spuntare dagli occhi blu. Gli carezzò i capelli con una mano, mentre l'altra lo stringeva dolcemente per la vita.
Roxas singhiozzava fortissimo, disperatamente. Non riusciva a liberarsi, malgrado non avesse fatto altro che piangere da quando si era risvegliato.
Il suo dolore era interno, nella carne, nelle ossa, nelle vene, nelle cellule. Voleva estrapolarlo e poi buttarlo lontano, in mare, e farlo scivolare via da lui, ma era impossibile. Era una dolore che si sarebbe portato dietro per tutta la vita, probabilmente.
"Tra un po' di tempo passerà e anche se non lo dimenticherai, ricomincerai a vivere, andando avanti, senza farti condizionare da tutto questo... se vorrai, io ci sarò ogni volta che te ne ricorderai e potrai piangere quanto vuoi, perché io sarò sempre qui ad asciugarti le lacrime..." si sentì di dire il rossino, senza smettere di stringerlo.
"Lo so..." mormorò Roxas, singhiozzando. "Ed io te ne sono grato... tantissimo"
Axel voleva dirgli che non c'era bisogno, perché non voleva che lo ringraziasse, ma sapeva anche che il biondino gli era grato davvero per tutto quello che stava facendo.
Gli prese la testa tra le mani e si fissò a guardare quegli occhi umidi, gonfi, rossi, dannatamente tristi, ma non più vuoti. Come se, malgrado tutto, vi fosse una luce di speranza accesa tra l'azzurro delle sue iridi.
"Vorrei... vorrei scacciare le lacrime dal tuo viso per sempre..." disse, tristemente, senza lasciargli andare le guance umide.
Roxas accennò ad un debole sorriso, perché quelle parole erano state dette con una dolcezza incredibile.
"Ci riuscirai... tu riesci sempre a fare tutto!" esclamò, cercando di calmarsi.
Axel fu leggermente sollevato di vedere quel sorriso sulle labbra di Roxas e sospirò affranto, ben sapendo che ci sarebbe voluto del tempo per mettere a posto le cose, ma lo avrebbero fatto insieme, come gli aveva promesso il giorno che gli aveva chiesto di aiutarlo.
"Ci sono cose che non riesco a fare nemmeno io..." ammise, accennando anche lui ad un sorriso, leggermente amaro.
"Tipo?"
"Non sono riuscito a proteggerti quando avrei dovuto..." rispose, mentre sentiva gli occhi inumidirsi.
Roxas lo guardò, inarcando le sopracciglia e gli posò una mano su una guancia, vedendo che stava per piangere anche lui.
"Ma... questo non è vero! Oggi mi hai difeso, mi hai salvato! Poteva andare molto peggio se non foste arrivati in tempo..." mormorò.
"Sarei dovuto arrivare molto prima... molto prima!" esclamò il rossino, cominciando a piangere e stringendo gli occhi, disperatamente al ricordo della scena che si era trovato davanti aprendo la porta dello studio.
Roxas gli posò anche l'altra mano sulla guancia e poggiò la fronte alla sua, chiudendo gli occhi anche lui.
Axel si era lasciato andare, finalmente, dopo mesi che teneva tutto sotto controllo, cercando di risultare fermo e sicuro di sé. Aveva raggiunto il limite, probabilmente, e non c'era più spazio per reprimere ancora qualcosa.
"Va tutto bene..." sussurrò Roxas, dolcemente, rassicurandolo.
"Scusa... scusa... dovrei essere io a dirtelo..." si scusò il rossino.
"No, io lo so già che andrà tutto bene, finché ci sarai..." sorrise il biondino, tranquillo, sentendosi improvvisamente meglio. "Ora tocca a te..."
"Sei un angelo..."
Roxas rise leggermente: "Non ero una piccola peste?"
Axel, a quella risata, sentì che tutta quella pesantezza iniziava a svanire e si calmò. Si discostò leggermente da Roxas e si asciugò le lacrime con un lembo dell'asciugamano arancione, ancora umida, come i suoi capelli e i suoi vestiti.
"Non lo so più, sei entrambe le cose. Mi farai impazzire, un giorno!" lo redarguì, tirando su col naso e facendolo ridere di nuovo.
"Colpa tua che mi hai fatto diventare così!"
"Così come? Adorabile? Dolcissimo?" mormorò il rossino, alzando un sopracciglio, poi quando vide che era un po' arrossito, continuo: "Lingua tagliente? Saputello? Ironico?"
"Ehi!"
Axel scoppiò a ridere e gli arruffò i capelli di fronte al suo faccino indignato, poi sorrise.
"Mi sono dimenticato di dire che sei diventato anche suscettibile!"
"Ma smettila..." lo riprese l'altro, reprimendo uno sbuffo divertito.
Axel stava per rispondergli, ma la porta dell'ambulanza si spalancò con un gesto brusco e, oltre a scoprire che aveva smesso di piovere, videro un uomo vestito di rosso, probabilmente un infermiere, poggiare un piede sul metallo e salire.
"Oh, ti sei svegliato!" constatò quello, sorridendo.
Roxas annuì, poi vide spuntare dietro l'infermiere suo padre e sua madre, visibilmente scossi.
"Bene, è ora di altre visite, rossino! Lasciamo il piccoletto con i suoi genitori!"
Axel si alzò in piedi, sospirando: "D'accordo!" rispose, poi arruffò di nuovo i capelli di Roxas "Ci vediamo dopo!"
"Va bene!" rispose il biondino, accennando ad un debole sorriso.
Axel sorpassò l'uomo e scese con un balzo. La mamma di Roxas lo guardò e corrugò la fronte, con gli occhi lucidi.
"Axel..." lo chiamò, titubante, stringendosi nelle spalle, mentre il marito rimaneva immobile, senza alcuna espressione sul volto.
Il rossino la guardò, leggermente risentito nei suoi confronti, dato che aveva infierito pesantemente sui disagi di suo figlio, rendendogli la vita un inferno.
"Mi dica..." rispose.
La donna alzò un braccio e lo posò sulla sua spalla, poi si avvicinò e lo strinse a se, delicatamente.
"Grazie per averlo aiutato... e per essergli stato vicino..." disse la donna, mentre Axel sgranava gli occhi stupito da quel gesto e da quelle parole, come del resto Roxas, che aveva puntellato i gomiti sul materasso della barella, guardandoli.
Il rossino represse un sospiro frustrato e, scostandola leggermente, rispose, senza guardarla: "Ho fatto solo quello... che andava fatto..." e, detto questo, si congedò, voltandosi per raggiungere Ven.
La donna lo seguì con lo sguardo, un po' stordita, perché aveva palesemente intuito che il ragazzo ce l'avesse un po' con lei per i comportamenti che aveva adottato con Roxas, senza capirlo mai o sforzarsi di comprendere i suoi comportamenti.
Capì in quel momento di aver sbagliato tutto sin dall'inizio.
Senti la mano del marito poggiarsi sulla sua spalla, per risvegliarla dai suoi pensieri. Si voltò a guardarlo e lui sorrise leggermente, come a rassicurarla che non era mai troppo tardi per rimediare ai propri errori.
Sorrise anche lei ed entrambi si voltarono a guardare Roxas, che era ancora intento a seguire Axel con lo sguardo.
L'infermiere li invitò a salire sull'ambulanza e, non appena i due ubbidirono, chiuse le porte, lasciandoli soli.
 
Axel raggiunse Ventus, seduto su uno scalino del palazzo che fino a qualche ora prima era stato il teatro degli orrori di Roxas.
Aveva anche lui un asciugamano sulle spalle, e lo stringeva infreddolito, con il viso rivolto verso il vuoto, sconvolto.
Il cantante si sedette accanto a lui, con ancora gli occhi gonfi per il pianto di poco prima. Gli bruciavano da morire, perché era una vita che non si sfogava così.
Posò una mano sulla spalla di Ven, che sussultò risvegliandosi dai suoi pensieri e poi si voltò a guardarlo.
"Ehi..." mormorò il rossino, cercando di sorridere per rassicurarlo.
"Axel"
"Come ti senti?" chiese il cantante e Ven tornò a guardare di fronte a se, con le sopracciglia aggrottate, mentre gli occhi diventavano lucidi.
"Un vero schifo... sono un fratello di merda..." mormorò, nascondendosi poi il viso tra le mani e sospirando stancamente.
Axel gli strinse di più la mano intorno alla sua spalla, per rassicurarlo e sorrise mestamente.
"No che non lo sei... non potevi saperlo, Ven! Hai cercato di capire i comportamenti di tuo fratello da sempre, ma lui è impenetrabile, lo sai... cerca sempre di non dare a vedere le sue emozioni"
"Lo conosci meglio tu che io... ho solo peggiorato le cose! Dovevo stargli vicino e, probabilmente, mi avrebbe raccontato i suoi disagi e avrei potuto aiutarlo molto prima."
"Non lo avrebbe fatto per non farti preoccupare..." rispose Axel, anche se non era tanto sicuro di questa cosa, ma non voleva ferirlo, perché capiva il suo disagio.
Ventus a quelle parole si liberò il viso dalle mani e si asciugò gli occhi umidi con una mano, poi si voltò a guardare il rossino.
"Grazie... per quello che hai fatto. Io te ne sono molto grato! Vorrei poterti ricambiare in qualche modo..."
Axel sospirò: "Non c'è bisogno, mi basta che tuo fratello stia bene e che sia tutto passato! Vorrei solo la sua felicità, mi basta questo... e se tu saprai dargliela allora non ti chiederò nulla in cambio"
"Saresti un fratello migliore di me..." continuò Ven, abbassando lo sguardo, tristemente.
Axel alzò un sopracciglio, leggermente scettico a riguardo, poi scoppiò a ridere.
"Fratello? No, no! Io sono innamorato di Roxas dal primo momento in cui l'ho visto! Sarebbe un rapporto incestuoso!" ammise, ridendo, un po' imbarazzato per aver fatto quella confessione a Ven, ma non c'era più bisogno di tenerglielo nascosto. Era felice di farglielo presente, alla fine.
Ventus alzò lo sguardo di scattò e lo fisso, corrugando la fronte, poi rise.
"Ah sì... beh me n'ero accorto, sai?"
"Non è vero!" lo prese in giro Axel, dandogli uno spintone scherzosamente.
Ventus ridacchiò e gli posò una mano sulla spalla.
"Ero geloso, sai? Del rapporto che hai instaurato con lui. Mi manca un po' avere una complicità con mio fratello e vedere che si comporta così con te, come vorrei che facesse con me, mi faceva rabbia... avevo sempre l'istinto di allontanartelo perché mi dava fastidio, anche se non potevo farci niente e se ero felice di vederlo sorridere"
"Sei un idiota!" lo offese, però ridendo.
"Lo so e me ne rendo conto... saresti un ottimo cognato!" rispose Ven, dandogli poi una pacca sulla schiena, gentilmente. "Anche se il mio preferito rimarrà sempre Sora!"
"Sora è il preferito di tutti!" ammise il rossino, alzando gli occhi al cielo, poi aggrottò le ciglia, serio: "Ven, non devi ASSOLUTAMENTE dire a Roxas quello che ti ho appena confidato! Ho fiducia che tu non vada a spifferare tutto!"
"No, non preoccuparti, rimarrà tra me e te! Non lo dirò nemmeno a Vanitas, promesso!"
"Esatto, Vanitas non deve saperlo per nulla al mondo, o mi picchierà, probabilmente!" rispose Axel, deglutendo all'idea di ricevere un pugno da quel tipo.
"Però stagli vicino, a Roxas... sei la sua forza e sei l'unico che può aiutarlo in questo momento come in nessun altro! Ci sarà una sentenza, da quanto ho capito, e sarà chiamato a testimoniare... avrà paura, e sarebbe strano che non ne avesse, ma se ci sarai tu riuscirà a superarla!" rispose Ven, abbassando di nuovo lo sguardo a quel pensiero terribile.
"Non c'è niente che io non farei per far felice tuo fratello... credimi, Ven."
"Lo so, per questo confido in te!" sorrise il ragazzo, senza alzare lo sguardo, leggermente sollevato da quella rivelazione.
"Anche tu cerca di stargli vicino... vedrai che il vostro rapporto cambierà col passare del tempo e, ora che i tuoi si sono resi conto di quanto hanno sbagliato con lui, le cose si aggiusteranno anche con loro, te lo garantisco! Roxas mi ha sempre detto di volere un rapporto più unito con voi, il che implica che da parte sua ci sarà sicuramente un impegno!" cercò di rassicurarlo Axel, stringendogli un braccio intorno alle spalle e abbracciandolo.
Ventus tirò su col naso, perché stava per mettersi a piangere seriamente. Era frustrato, triste, depresso; non sapeva più cosa stesse succedendo e, malgrado quell'uomo ora fosse in procinto di essere carcerato, sentiva che qualcosa si era incrinato in lui e anche in suo fratello, il che implicava che ristabilire i rapporti sarebbe stato lungo e difficile.
Poggiò la testa sulla spalla del rossino, sospirando stancamente e passandosi il dorso della mano sugli occhi per asciugarsi due lacrime che gli erano scese lungo le guance.
"Grazie mille, Axel..." mormorò, sincero.
Il cantante sorrise e non disse nulla, ma lo strinse ancora, per rassicurarlo e guardò fuori dal portone del palazzo, osservando l'autoambulanza che spalancava le sue porte e ne faceva uscire Roxas e i suoi genitori.
Vide la donna stringere la mano dell'infermiere che sorrise, poi arruffò i capelli del più piccolo che accennò ad un sorriso, prima di essere preso per mano da suo padre.
Li vide avvicinarsi nella loro direzione e chiamò Ven per avvertirlo, dato che aveva chiuso gli occhi. Li riaprì e si rimise in posizione eretta e si alzò dal gradino, seguito dal rossino.
"La polizia dice che possiamo andare a casa, loro proseguiranno con le indagini. Ci hanno detto di tenerci a disposizione per qualsiasi cosa!" informò la donna, mentre stringeva un braccio attorno alle spalle di Roxas. "Hanno detto che anche tu dovrai essere reperibile, Axel. Mi dispiace molto che tu ci sia finito di mezzo..."
Axel scosse la testa e sorrise: "Non importa, lo avevo immaginato! E comunque ci sono finito di mezzo volentieri, se è servito ad aiutare Roxas!" disse, voltandosi poi a guardare il biondino che contraccambiò.
"Ti siamo molto grati, sul serio..." disse il padre, senza guardarlo, profondamente a disagio per tutta quella situazione.
"Non ditelo nemmeno... anzi, speriamo non mi accusino di tentato omicidio per averlo picchiato a quel modo..." ammise, stringendo i pugni rabbiosamente.
L'uomo alzò lo sguardo su di lui e accennò ad un debole sorriso: "Ho avuto modo di leggere il referto e... beh, sembrerebbe che tutti quei lividi e ferite se li sia procurati cadendo accidentalmente per le scale mentre lo portavano via!" rispose, un po' divertito, facendogli l'occhiolino.
Axel sussultò a quella rivelazione e arricciò le labbra.
"Davvero?"
"Beh, dato che probabilmente tutti si sarebbero comportati come te, di fronte ad un uomo simile, hanno deciso di tutelarti in qualche modo e di far finta di nulla" informò ancora l'uomo, facendo spallucce, mentre Roxas alzava lo sguardo su di lui.
Si chiese se anche suo padre avrebbe fatto lo stesso per proteggerlo e si rese conto che sicuramente lo avrebbe fatto.
"Mi solleva un po' questa cosa... e chi se la sentiva mia madre se veniva a sapere che ho picchiato un uomo!" rispose, grattandosi la testa, con un faccino contrariato.
La mamma di Roxas scoppiò a ridere, poi gli carezzò una guancia dolcemente.
"Sarebbe fiera di te, come lo sono io ora!"
Axel a quella rivelazione si sentì avvampare di colpo. Era dolce, quella donna, malgrado tutto. Ora, poi, pesantemente schiacciata dai sensi di colpa, sembrava molto diversa dai racconti di Roxas.
"Ven, cominciamo ad andare o ti prenderà un malanno se non ti asciughi subito!" esclamò il padre, facendogli cenno di avvicinarsi. "E anche tu, Axel! Corri a casa a farti un bagno caldo!"
"Mi ero completamente dimenticato di essere zuppo fino al midollo!" rispose il rossino, guardandosi la maglietta umida e ormai da buttare, perché si era scolorita.
Ven gli diede una pacca sulla spalla e lo superò, sorridendogli, poi si avvicinò a suo padre e lo fiancheggiò.
"Vieni in macchina con noi, Axel! Farai prima ad arrivare a casa!" propose Ventus, sorridendo.
Axel guardò Roxas, che lo fissava speranzoso che dicesse di sì, perché aveva una voglia irrefrenabile di stare ancora con lui. Sorrise e annuì.
"Va bene, sta volta accetto volentieri!"
Ventus gli fece l'occhiolino e si voltarono per raggiungere l'automobile di suoi padre. Roxas fiancheggiò Axel e gli prese la mano, stringendola forte, senza farsi alcun problema di esporsi troppo di fronte ai suoi genitori e suo fratello.
Era ancora scosso, a tratti fuori dal mondo. Aveva poca voglia di parlare, ma tanta di stare con il rossino.
Axel strinse la sua mano a sua volta e non disse nulla, ma sorrise.
Era dolcissimo, sembrava un bambino piccolo bisognoso di affetto e lui aveva così tanto da dargliene...
Raggiunsero l'auto e vi salirono, silenziosamente.
Fu un viaggio strano, silenzioso e pesante perché, malgrado tutto fosse finito per il meglio, quella famiglia ora avrebbe dovuto combattere guerre ben peggiori, cercando di comportarsi normalmente ma stando vicino al proprio figlio, che ora era più fragile di prima.
Axel poggiò la testa al finestrino, appannato per via dell'umidità e ci respirò sopra, stancamente. Cercò di non pensare a nulla, ma aveva in testa ancora quelle immagini terribili, che gli facevano rabbia.
Roxas era troppo dolce per meritare una cosa simile. Era troppo speciale per soffrire così.
Sentì il biondino prendergli la mano, forse per rassicurarlo e si voltò leggermente per guardarlo. Era seduto tra lui e Ventus, nei sedili posteriori dell'auto.
Lo vide sorridere leggermente, ma non parlò. Cercò solo di rassicurarlo che andava tutto bene e che era ancora capace di sentirsi felice, anche solo un pochino, malgrado tutto.
Axel sorrise a suo volta e gli strinse la mano alla sua, poggiandola sulla propria coscia. Tornò a scrutare fuori dal finestrino, mentre Ventus li guardava dolcemente, intenerito da quel gesto semplice ma che per loro era importantissimo.
Raggiunsero casa di Axel e il rossino scese, salutandoli e ringraziandoli per il passaggio.
Roxas lo imitò e lo fronteggiò, leggermente dispiaciuto che se ne stesse andando via.
"Verrò a trovarti domani a casa, se vorrai!" gli disse, dolcemente, arruffandogli i capelli.
"Lo vorrei tanto..." ammise il biondino, poi lo strinse, circondandogli le braccia intorno alla vita, come a non volerlo più lasciar andare.
"Allora d'accordo..." disse, carezzandogli i capelli dolcemente.
Roxas si staccò con una difficoltà incredibile da quell'abbraccio, poi annuì e lo salutò, salendo di nuovo in macchina.
Axel li guardò, fermo sul marciapiedi, mentre andavano via e sospirò.
L'aria era strana, stranissima. Era pesante, ma anche così libera e nuova.
C'era stato qualcosa che aveva cambiato il suo rapporto con Roxas e non seppe definire in che modo. Era felice che ora fosse libero, ma aveva paura di essere lui il prossimo artefice della sua sofferenza, se avesse fatto un passo falso.
Aveva voglia di baciarlo, sempre, costantemente e di dirgli cosa provava per lui, ma sapeva che non era ancora tempo e, forse, non lo sarebbe stato per molto.
 
"BASTA! SMETTILA!"
Roxas aprì gli occhi, improvvisamente, ritrovandosi zuppo di sudore e con le mani strette, serrate, avvinghiate alle lenzuola.
Fissò il soffitto per un po', con il fiatone e la fronte madida, prima di rendersi conto che aveva fatto solo un brutto sogno.
Non appena lo capì, aggrottò le sopracciglia, tristemente, cominciando a piangere disperatamente, per quel ricordo orribile e perché era stanco di doverselo figurare davanti ogni maledetta notte, anche nei suoi sogni.
Si nascose il viso tra le mani, singhiozzando; intorno a lui il buio totale, che fu spezzato da uno spiraglio di luce che venne dalla porta della sua camera, che si era appena spalancata.
Ventus si strinse nelle spalle e lo raggiunse, sedendosi sul materasso accanto a lui, preoccupato.
Non appena il più piccolo percepì la sua presenza, si tolse le mani dal viso e si alzò a sedere sul materasso, abbracciandolo e nascondendo il viso nella sua clavicola.
Ventus gli carezzò la schiena, mentre lo stringeva e represse un sospiro inquieto, per non dare a vedere che  era preoccupato e insicuro. Doveva essere la sua forza, come aveva promesso ad Axel il giorno dell'incidente.
"Ehi... va tutto bene, Roxas! Non preoccuparti, era solo un brutto sogno, no?" gli disse, dolcemente, poggiando la guancia tra i suoi capelli.
"Ho... tanta paura..." singhiozzò il biondino, tra i denti, stringendo due pugni nel pigiama estivo di suo fratello e inzuppandolo.
"Shhhh, è tutto ok... non devi più preoccuparti. Ora sei al sicuro!" gli disse Ven, cercando di accennare ad un sorriso, anche per prendere un po' di sicurezza in se stesso. "Ci sono io qui con te!"
"Grazie, Ven" mormorò Roxas, senza staccarsi dalla sua spalla.
"Non dirlo nemmeno... è il minimo che possa fare per il mio fratellino preferito!"
Roxas, a quella affermazione, sembrò calmarsi e alzò leggermente la testa per guardarlo.
"Sono l'unico che hai..." disse, stropicciandosi un occhietto insonnolito e lacrimoso.
Ven ridacchiò e gli passò una mano tra i capelli: "Saresti stato il mio preferito anche se ce ne fosse stato un altro!"
Il più piccolo a quella affermazione non riuscì a reprimere un sorriso, e Ventus ne fu sollevato. Non vedeva Roxas fargli un sorriso da eoni, e forse addirittura non era mai successo. Cercò di imprimersi nella mente quell'immagine, perché, anche se era conscio che probabilmente ora ce ne sarebbero stati altri a seguire, il primo non voleva dimenticarlo.
Voleva solo dimenticare il suo volto straziato dalle lacrime e dal disagio, che quell'uomo, seppure ormai non più in circolazione, gli provocava.
"Ven..." lo chiamò il fratello, staccandosi dall'abbraccio, lentamente.
"Dimmi Roxas!" sorrise il fratello, senza smettere di carezzargli la testa.
"Dormi con me?" chiese, timidamente, con lo sguardo basso.
Ventus aggrottò le sopracciglia, un po' spiazzato da quella richiesta, poi però sorrise, perché voleva quasi proporglielo lui, ma non sapeva se Roxas sarebbe stato d'accordo a fare una cosa simile.
"Ma certo!" rispose, semplicemente, e il fratello si scansò leggermente per farlo entrare nel letto.
Ven si infilò sotto le coperte leggere e estive, lentamente, poi poggiò la testa al cuscino e si girò su un fianco per guardare Roxas. Il bassista era a pancia in su, con le mani serrate al lenzuolo che lo copriva fino a metà petto. Fissava il soffitto, con lo sguardo vuoto, pensieroso e in un altro mondo.
Gli posò una mano sulla sua, risvegliandolo e facendolo voltare. Anche Roxas si mise su un fianco e lo guardò, sbattendo le ciglia un paio di volte, perché, malgrado tutto quel pianto, era tardi e aveva sonno.
Ventus alzò la mano che teneva sulla sua per carezzargli una guancia, e sorrise. L'altro lo guardò fisso per un attimo, poi fece lo stesso e gli strinse una mano, saldamente, perché si sentiva molto più sicuro a percepire la sua presenza con quel contatto.
"Ti senti meglio?" chiese il più grande.
Roxas chiuse gli occhi e sospirò: "Sì, grazie..." ammise, timidamente, poi si mise più comodo sul cuscino.
"Roxas... perdonami se non sono mai stato il fratello migliore che tu potessi avere..."
Il più piccolo aprì gli occhi a quella frase e si perse per un attimo a contemplare il viso afflitto di Ven. Era triste, colpevole, tremendamente malinconico.
"Ven..." lo chiamò, ma si interruppe, perché non sapeva cosa dire.
Era vero, in parte, che Ventus un po' lo aveva sempre trattato con possessività, ma sempre nei momenti meno opportuni; e con superficialità, quando lui invece aveva avuto bisogno di lui.
Ma non gliene faceva assolutamente una colpa. Era anche colpa sua che era sempre stato così poco comprensibile e, in realtà, non voleva nemmeno essere capito.
Poi, comunque, quello che gli succedeva alle lezioni di violino era talmente vergognoso e imbarazzante, che anche avessero avuto il miglior rapporto del mondo, non gliene avrebbe mai parlato lo stesso. Era troppo a disagio con se stesso per esporsi, e lo era anche ora, in realtà.
"Vorrei che le cose tra di noi cambiassero un po', che cominciassimo ad avere un po' di complicità... quella che empaticamente hanno tutti i fratelli, anche se litigano dalla mattina alla sera!" ammise ancora Ven, mentre gli occhi gli diventavano lucidi. "Vorrei che tu mi considerassi in modo diverso..." gli carezzò di nuovo una guancia, mentre una lacrima gli scendeva sul viso "Vorrei poterti proteggere sempre, quando so che sei in pericolo..."
Roxas lo guardò e aggrottò le sopracciglia, sentendo di nuovo gli occhi lucidi e non riuscì a trattenersi. Ricominciò a piangere, toccato da quelle parole, che, malgrado avrebbe preferito sentirle molto tempo prima, erano confortanti lo stesso.
Ventus lo guardò piangere e scoppiò anche lui, infine, non riuscendo a reprimersi. Gli strinse di più la mano tra la sua e tirò su col naso.
"Lo vorrei tanto, Roxas... e vorrei che tu non provassi più paura, o angoscia o vergogna a parlare con me! Vorrei essere la tua guida, la tua spalla, il tuo grillo parlante! Pensi che questo potrà essere possibile, un giorno?" chiese, disperato.
Roxas si strinse nelle spalle e chiuse gli occhi dolorosamente a quelle parole, dette con una tristezza ma anche una grande speranza dalla bocca di suo fratello. Gli lasciò andare la mano e scivolò lentamente verso di lui, abbracciandolo e nascondendo il viso piangente nella sua maglietta.
"Lo sei già, Ven... da sempre... e anche se non te lo dico non vuol dire che non sia così..." rispose.
"Vorrei che ne fossi consapevole, che sapessi di poter contare su di me anche se ti ho sempre dimostrato il contrario!"
"Non è vero, ho sempre cercato di fare affidamento su di te! Non sei tu il problema! Sono io, sono sempre stato io!" pianse il più piccolo, fortissimo, devastato dai sensi di colpa.
"No, tu non sei un problema, sei meraviglioso e dolcissimo e non potrei desiderare un fratello migliore!" rispose, sincero, stringendolo forte a se, in modo protettivo.
A quelle parole calò il silenzio, anche se era rotto dai loro singhiozzi liberatori. C'era un unione, ora, forte, potente, finalmente fraterna.
C'era qualcosa che era cambiato nel loro rapporto e seppero che da ora in poi potevano fare affidamento l'uno con l'altro, senza avere paura di ferirsi, o di allontanarsi ulteriormente.
"Ti voglio bene, Roxas!" mormorò Ven, calmandosi un po' e sorridendo, perché lo pensava davvero e non era una frase fatta, voleva dirgliela e basta, anche col cuore in mano se avesse potuto estrapolarselo.
"Anch'io ti voglio bene, Ven..." rispose il più piccolo, alzando lo sguardo verso di lui e sorridendo leggermente, ancora il viso pesantemente devastato dalle lacrime.
Ven gli lasciò un bacio sulla fronte, scostandogli la frangetta, poi chiuse gli occhi e il fratello fece lo stesso.
"Ora dormi, che sei stremato e hai bisogno di riposare! Io sono qui a vegliare su di te!"
Roxas sorrise leggermente a quelle parole, poi gli prese di nuovo una mano e la strinse alla sua, dolcemente.
"Lo so... buonanotte Ven!"
"Buonanotte Roxas!"
 
"Rooooxaaaass!"
Il bassista alzò lo sguardo sul suo libro, sdraiato sul suo letto, in pigiama, e vide la porta della sua stanza spalancarsi violentemente, scoprendo che quell'urlo cinguettato era venuto direttamente dalle corde vocali potenti di Sora.
Lo guardò un po' scosso da quel grido, poi posò il libro sul materasso e sorrise nella sua direzione, ridendo poi quando vide spuntare anche Vanitas e dare uno scappellotto dietro la testa di Sora.
"Che cazzo urli, idiota?" lo redarguì, mentre l'altro si teneva la testa dolorante e lo guardava con una lacrimuccia.
"Cattivo!" urlò, e Van lo spinse dentro la stanza, arrabbiato.
"Ciao ragazzi!" salutò il biondino, divertito dai loro battibecchi continui. Avevano un rapporto che lui non avrebbe mai avuto con Ventus, anche per i loro caratteri tranquilli. Quei due erano uragani terribili, la loro madre doveva avere molto pazienza, probabilmente.
"Ciao! Come ti senti?" chiese Sora, sedendosi accanto a lui sul letto, mettendogli una mano sulla fronte per sentire se scottava.
"Non ha mica la febbre, razza di ritardato! E togliti da lì che lo fai stare scomodo!" lo redarguì Van, avvicinandosi.
"No, no! Puoi rimanere, Sora!" sorrise, poi guardò Vanitas. "Sto bene, comunque. Non preoccupatevi! Anzi, grazie per la visita!"
Sora gli diede una pacca sulla spalla: "Non dirlo nemmeno, siamo venuti volentieri! Anzi..." esordì, alzando una mano per far comparire una busta di plastica e ne fece emergere una scatola di biscotti. "Questi sono per te!" sorrise, cedendogliela.
Roxas prese la scatola tra le mani e la guardò, notando che erano dei biscotti di vari gusti.
"Grazie mille! Non dovevate!" disse, leggermente imbarazzato. Non aveva mai ricevuto regali del genere da nessuno e si sentì a disagio, ma profondamente contento.
"Si che dovevamo! Coraggio, aprili che ce li mangiamo!" sentenziò Sora, mentre Vanitas ridacchiava e si sedeva anche lui sul materasso, rassegnato.
"Stai bene sul serio, Roxas?" chiese il più grande, mentre puntava le sue iride ambra su quelle blu del biondino, studiandolo.
Roxas lo guardò e sospirò leggermente, poi annuì: "Sì, diciamo di sì... di certo non sono al settimo cielo, ma non posso lamentarmi"
Van aggrottò le ciglia e lo guardò mestamente: "Lo immagino. Vedrai che le cose ora sono tutte in salita!"
"Sì, su questo non ho dubbi! Poi... ho scoperto di avere persone come voi vicine ed è moltissimo per me..." rispose il biondino, abbassando poi lo sguardo e aprendo la scatola con le mani tremanti.
Non appena alzò il coperchio, Sora infilò le mani dentro lapidario per rubare un biscottino.
"Sora, porca troia, ma che razza di maleducato! Li abbiamo portati per Roxas, doveva servirsi prima lui!"
Sora infilò il biscotto in bocca prima che il fratello potesse toglierglielo dalle mani e poi gli fece la linguaccia, dispettoso.
Roxas li guardò e poi scoppiò a ridere, perché lo divertivano un sacco. Erano un dannato spasso.
Si prese un biscotto al cioccolato e marmellata e poi cedette la scatola a Van, che ne prese uno al cocco.
"Riku dov'è?" chiese il bassista, subito dopo, rivolto a Sora.
"Sta arrivando anche lui! Doveva passare da una parte e poi ci raggiungeva!" sorrise il moretto, un po' furbamente, il che fece alzare un sopracciglio a Roxas, che non capì il perché di quel faccino.
"Bene, sono contento!" annuì il biondino, prendendo poi un altro biscotto e Sora lo imitò, poi vide sua madre comparire alla porta, sorridente.
"Volete qualcosa da mangiare? Ah, vedo che vi siete già serviti!" sorrise, notando poi la scatola sulle gambe del figlio. "Non esagerare troppo, Roxas, che poi ti viene il mal di pancia!" ridacchiò.
Roxas la guardò, sollevato di vederla così spensierata nei suoi confronti e che lo avesse redarguito scherzosamente per la prima volta in vita sua.
"Beh, se Sora continua a rubarseli, dubito che Roxas riuscirà a mangiarne altri!" ruggì Vanitas, dando uno schiaffo alla mano di Sora, che si ritrasse dolorante.
"Lascialo fare, Van! Siete ospiti, è giusto che vi serviate!" sorrise la donna, mentre Sora la ringraziava mentalmente per averlo difeso.
In realtà tutti lo difendevano ed era tutta colpa di quel faccino innocente che aveva, anche se sotto sotto era un diavoletto peggio di Vanitas.
"Vado a prendervi qualcosa da bere!" sentenziò la donna e Roxas annuì sorridendole la vide sparire e subito dopo si udì il citofono suonare e il biondino sentì la voce di suo fratello rispondere.
Poco dopo qualcuno entrò dalla porta e Ventus emerse in camera di Roxas con al seguito due nuovi arrivati.
"Il batterista e il cantante sono qui!" pigolò il fratello più grande, entrando seguito dagli altri due.
Roxas non riuscì a reprimere un sorriso di gioia alla vista di Axel, che sorrise a sua volta quando incrociò i suoi occhi azzurri. Capì che il posto dove doveva passare Riku era casa del rossino per andarlo a prendere, probabilmente e si chiese perché Sora non glielo avesse detto.
Si fissarono per qualche secondo, finché il biondino non si risvegliò e li salutò alzando una mano.
"Ciao ragazzi!"
"Ehi, Roxas! Come andiamo?" chiese Riku, mentre Sora si era alzato per abbracciarlo, tutto contento. L'argento gli strinse un braccio intorno alle spalle, dolcemente.
"Bene, bene!" sorrise il biondino e l'altro si sentì rincuorato a vederglielo fare. Roxas lo aveva sempre un po' inquietato con i suoi modi di fare scostanti e burberi, per quello non gli era mai andato troppo a genio, ma si rese conto, ora, mentre gli sorrideva, che era più simile a lui di quanto immaginasse. Stava scoprendo cosa significava vivere, proprio come era successo a lui anni prima, grazie ai suoi amici.
"Roxas, me lo dai un biscotto?" chiese Axel, avvicinandosi e sedendosi dove un attimo prima c'era stato Sora.
Il biondino ritrasse la scatola, nascondendosela sotto a un braccio.
"Come si dice?"
"Pretendo un biscottino, altrimenti ti picchio!" rispose il rossino, cercando di prendersi la scatola da solo. Roxas se la mise sulla testa, nel chiaro intento di non farcelo arrivare, ma lui era alto, troppo alto e gliela strappò dalle mani.
Ven, Riku e Sora si guardarono complici, sorridendo furbamente di fronte a quella scena tenerissima.
"Vado ad aiutare tua madre a prendere le bibite!" esclamò Sora, rivolto a Ven.
"Ti accompagno!" fece eco Riku, prendendogli la mano.
"Mi sa che da soli non ce la fate, vengo anche io!" sorrise Ven, prendendo poi Vanitas per mano, che li guardava confuso sia dalla scena da diabete di Roxas e Axel che per l'uscita da ritardati degli altri tre. "Su, Van, vieni anche tu!" e, detto questo, uscirono chiudendo la porta con un tonfo.
Axel e Roxas guardarono confusi la porta chiusa, mentre sentivano chiaramente le urla di disapprovazione di Vanitas, che non ci stava capendo più niente.
Si guardarono, poco dopo, confusi.
"Perché fanno così?" chiese il biondino, alzando un sopracciglio.
"Non lo so, sembravano dei malati mentali!" ridacchiò il rossino, aprendo poi la scatola dei biscotti, scoprendo che era già dimezzata. "Roxas, te li sei mangiati quasi tutti! Sei un animale!"
"Ma non sono stato io!" protestò, lagnoso. "Se li è mangiati quasi tutti Sora!"
"Ma che bugiardo che sei!" lo redarguì scherzosamente, schivando poi abilmente un cazzotto sul braccio. Si prese un biscotto e lo infilò intero in bocca, poi, quando finì di masticare si voltò a guardare il biondino, sorridendo.
"Come stai?" chiese, dolcemente.
Roxas sospirò, passandosi una mano tra i capelli: "A volte mi sento in un altro mondo, tutto buio... altre volte, tipo ora, mi sento meglio e so di non avere più nulla di cui preoccuparmi. Vado a tratti, ma non va poi così male, in fondo..." ammise, abbassando lo sguardo.
"Non preoccuparti, è normale. Cerca solo di non sprofondare da nessuna parte, l'hai memorizzato?" gli rispose Axel, alzandogli il mento con una mano per guardarlo negli occhi.
Roxas lo fissò per un po', con le sopracciglia aggrottate, poi sospirò e accennò ad un debole sorriso: "Memorizzato!"
"Così mi piaci, piccola peste!" esclamò il rossino, raggiante, poi gli cedette una bustina che aveva in mano e con l'altra gli arruffò i capelli. "Per te!"
Roxas prese la bustina e la guardò confuso, poi infilò la mano dentro e ne fece emergere un libro.
"Il Prigioniero di Azkaban!" esclamò, sorridendo di gioia, stringendoselo poi al petto. "Grazie mille, Axel! Non dovevi!"
"Sì che dovevo! Mi raccomando, leggilo con attenzione perché è il mio preferito!" si raccomandò, dandogli un buffetto sul naso.
Roxas annuì: "Lo farò, te lo prometto!" disse, poi si sporse per dargli un bacio sulla guancia, riconoscente.
Axel non arrossì nemmeno, ormai avvezzo a certe effusioni dolcissime; si limitò a sorridere dolcemente e a voltare la faccia fugacemente per dargli un bacio sulla guancia anche lui.
Roxas, al contrario, arrossì violentemente, perché non riusciva ancora ad abituarsi a riceverli, certi gesti. Era meno impacciato a darli, paradossalmente.
Axel alzò le mani per prendergli la testa, senza staccare le labbra da quella guancia così morbida e rossa, calda, liscia, meravigliosa.
Chiuse gli occhi e Roxas fece lo stesso, mentre sentiva il cuore battergli fortissimo. Sentiva il tocco leggero di quelle labbra morbide sul suo zigomo, dolcissimo, lento, delicato.
Lo sentì allontanare lentamente le mani dalle sue guance e staccarsi, per poi guardarlo intensamente, immobile, senza sapere cosa dire.
"Axel..." lo chiamò, titubante.
"Mh?"
"Mi batte fortissimo il cuore..." mormorò, senza smettere di fissarlo, con un faccino confuso.
"Anche a me..." ammise il cantante, accennando ad un sorriso e lasciandolo spiazzato. Credeva che, come al solito, Axel avesse una risposta ai suoi dubbi, che sapesse il perché gli stesse tamburellando il cuore a quel modo.
"Che vuol dire?" chiese il biondino, anche se forse, dentro di se, iniziava a capire.
Axel alzò una mano per carezzargli una guancia e, conscio che non era ancora il momento di dirgli nulla, decise di mentire e sospirò, anche se era leggermente su di giri per aver inteso che forse anche lui lo ricambiava.
"Non lo so"
Roxas abbassò lo sguardo e si strinse un pugno nel pigiama, all'altezza del cuore.
"Peccato, di solito sai sempre tutto!"
"Non tutto, o non sarei qui!" ridacchiò il rossino, cercando di far cadere quella pesantezza snervante che era scesa dopo la domanda di Roxas.
"E dove saresti?" chiese scettico il biondino, alzando lo sguardo.
Axel rise: "Non so, su qualche isola deserta, pieno di soldi, mentre mi bevo un succo tropicale alla pera!"
"La pera non è tropicale!" lo redarguì l'altro, ridendo però anche lui.
"Avrei tanti di quei soldi che potrei farcela diventare!" gli rispose, prendendogli il naso con due dita, per fargli un dispetto.
Roxas si lamentò, grugnendo e lo scansò, poi rise di nuovo, prima di sentire qualcuno bussare alla porta leggermente.
"Siete presentabili?" chiese la voce di Sora, da dietro la porta.
"Sì, razza di scemo!" rispose Axel, sospirando.
La porta si spalancò e entrarono tutti sorridendo, Ven con un vassoio pieno di salatini e bricchetti.
"La merenda!" esclamò il filosofo, mentre tutti lo seguivano e prendevano posto dove potevano. Ventus si sedette ai piedi del letto, seguito da Vanitas e Riku si mise in braccio Sora, dopo essersi accomodato sulla sedia girevole della scrivania.
Roxas li guardava e non sapeva cosa dire. Erano così meravigliosi mentre cercavano di farlo svagare ed aiutarlo a non pensare! Si chiese come aveva potuto trattarli con freddezza, all'inizio.
Abbassò lo sguardo, fissandosi le mani strette alle lenzuola arancioni e tremò leggermente.
Sentì gli occhi inumidirsi e cercò di non darlo a vedere rimanendo con lo sguardo basso, ma iniziò a singhiozzare piano e tutti se ne accorsero.
Axel lo guardò, ma non gli alzò il viso. Sapeva che era a disagio ad esporsi così tanto, soprattutto con tutta quella gente intorno.
Riku e Sora si guardarono e Ven, poggiando il vassoio sul comodino, guardò prima Vanitas poi Axel, che contraccambiarono.
Si avvicinarono tutti al biondino, ancora in lacrime, ancora lo sguardo basso e lo abbracciarono tutti insieme.
Sapevano che non era un pianto disperato, ma di gratitudine. Non era abituato a certi trattamenti e, così, all'improvviso, ricevere tante attenzioni lo emozionò.
Sentì tutte quelle braccia stringerlo teneramente, come a dirgli che erano lì e che non aveva nulla di cui preoccuparsi.
Si passò l'avambraccio sugli occhi, quando si fu calmato, e alzò lo sguardo, ancora pesantemente rigato dalle lacrime.
"Scusate..." mormorò, un po' a disagio.
Axel gli posò una mano sulla testa e quando lui lo guardò, sorrise, dolcemente.
"Non dirlo nemmeno, piccoletto! Siamo qui apposta!"
Roxas tirò su col naso e li guardò uno per uno, ancora avvinghiati al suo collo, intenzionati a tirarlo su come potevano.
"E' che... siete così carini con me... non lo merito..." mormorò, abbassando ancora lo sguardo.
"Ma che stai dicendo? Siamo amici, no? Gli amici si aiutano nel momento del bisogno!" sorrise Riku, dandogli uno schiaffetto sulla fronte, teneramente.
Roxas a quel contatto rise, perché glielo aveva dato con un sacco di tenerezza, quasi fosse un fratello più grande.
Lo rincuorava che Riku avesse cambiato atteggiamento nei suoi confronti e si chiese se non fosse accaduto proprio perché lui stesso era cambiato, infine.
Alzò lo sguardo e accennò ad un sorriso.
"Grazie a tutti, davvero..." rispose, a disagio, senza smettere di sorridere.
"Ma smettila! Lo facciamo volentieri e non c'è nemmeno bisogno di sforzarsi, credimi!" rispose Vanitas, cercando di risultare quello di sempre, ma era intenerito da morire dal modo di fare di Roxas.
"Sì, per fortuna non c'è bisogno di sforzo, altrimenti per te sarebbe stato difficile!" rispose Riku, pungente, e Van gli riservò un'occhiata omicida. Staccò le braccia dal collo di Roxas e si avventò sull'argento, che si ritrasse prontamente, facendolo cadere dal materasso, rovinosamente a terra.
Roxas li guardò battibeccare e non riuscì a reprimersi. Scoppiò a ridere, reclinando la testa all'indietro, sentendo che aveva voglia di piangere ancora, ma di felicità.
Sapeva di non essere solo e di avere degli amici sinceri vicino.
Si voltò a guardare Axel, sorprendendolo a guardarlo con un sorriso accattivante sul volto, probabilmente su di giri per averlo visto ridere così genuinamente.
Lo fissò interrogativo e il rossino sbuffò divertito, come a volergli dire: "Non lo hai capito che ti sto mangiando con gli occhi?".
Roxas lo aveva capito eccome, e quando Axel si voltò e cercò di calmare i suoi amici ancora intenti a litigare, sentì il cuore improvvisamente più leggere, sebbene gli stesse esplodendo per via dei troppi battiti cardiaci; continuò a guardarlo, rapito, con un sorriso stupido sul volto e si rese conto che lui, di quel rossino, non ne poteva più fare a meno.
 
 
L'ultima settimana di scuola e di università passò, infine, velocemente.
Axel e Vanitas erano riusciti a dare tutti gli esami, trionfanti, perché era andata piuttosto bene, malgrado non avessero preso il massimo dei voti negli esami orali, ma potevano ritenersi soddisfatti dei loro risultati. Ventus era tranquillo, anche lui aveva dato gli esami e aveva deciso di festeggiare la cosa con Terra e Aqua, una sera, e Van non lo aveva seguito. Era troppo felice per essersi liberato degli esami per rovinarsi la gioia che provava vedendo quel muro portante di Terra. Anzi, non era nemmeno portante, era inutile.
Riku era soddisfattissimo dei suoi risultati e stava ancora fremendo per sapere se aveva vinto la borsa di studio anche quell'anno. Aveva promesso a Sora che se l'avesse presa lo avrebbe portato a festeggiare a Disneyland, visto che era uno dei suoi sogni nel cassetto da anni... e anche dell'argento, anche se non voleva ammetterlo.
Sora aveva finalmente la sua tanto agognata libertà, che attendeva da ben nove mesi. La scuola era finita e si era impegnato abbastanza, quell'anno, anche se la matematica non riusciva ancora a capirla. Era una palla tremenda e fu sollevato di non avere il debito, quell'anno, perché non avrebbe sopportato di doversi ripresentare a settembre per l'esame.
Ora poteva passare con Riku tutto il tempo che voleva e l'argento ne era entusiasta. Forse più di lui.
Roxas, invece, aveva deciso che quell'ultima settimana non sarebbe andato in conservatorio. Non se la sentiva ancora di vedere nessuno, soprattutto perché sapeva che lo avrebbero sommerso di domande. Era a pari con tutto e aveva fatto tutti i compiti in classe possibili, eccellendo come sempre, quindi poteva anche evitarsi una pallosissima settimana di nulla assoluto. Andò giusto a salutare i professori il venerdì, ovvero l'ultimo giorno, accompagnato da Ven. Furono tutti molto gentili e disponibili e, grazie al cielo, non gli chiesero nulla.
Ne fu sollevato.
Era ormai arrivata l'estate e si era palesata con delle giornate bellissime, malgrado fino a qualche giorno prima avesse piovuto un sacco. Il cielo si era aperto, improvvisamente, rivelando un sole che non vedeva l'ora di mostrarsi.
Axel strinse la mano del suo professore di Architettura, dopo avergli mostrato i suoi disegni al suo ultimo esame. L'ultimo della sessione estiva, poi sarebbe stato libero, una volta superata la soglia dell'aula magna.
Cercò di risultare tranquillo, dopo aver firmato il suo 30, e si voltò sorridente, uscendo fuori e trovando Vanitas ad aspettarlo poggiato ad una ringhiera della balconata della sua facoltà, con le braccia incrociate.
"Allora?" chiese l'amico, un po' teso.
Axel rimase muto per un po', poi alzò le braccia trionfante e urlò: "Un trenta secco! Sono libero!"
Vanitas ridacchiò e alzò anche lui le mani per dargli il cinque, poi cominciarono a spintonarsi scherzosamente.
"Fantastico, entrambi un bel trenta ad Architettura! E' un sogno che si avvera!" esclamò ancora il rossino, cominciando poi a camminare verso la macchinetta del caffè con Van al suo fianco.
Il moro si sistemò meglio il tubo dei disegni sulle spalle: "Il sogno che si avvera sono queste cazzo di vacanze che finalmente potremo goderci! Non ce la facevo più a studiare!"
"Dio, dobbiamo organizzare una gita al mare! Siamo tutti liberi coooome farfalle!" rispose Axel, imitando poco aggraziatamente una farfalla che volava.
Vanitas gli diede uno spintone: "Falla finita! Comunque non è una cattiva idea, potremmo andarci domenica!"
"Non ti va di provare?" chiese l'altro.
Vanitas si strinse nelle spalle e arricciò le labbra: "Non credo che Roxas se la sentirebbe ancora di uscire per provare. Magari al mare ci viene, per svagarsi un po'!"
Axel, che non aveva pensato a questa cosa, sospirò e si passò una mano tra i capelli.
"Già, non ci avevo pensato... proponiamogli questa cosa e vediamo cosa dice!" esclamò, raggiungendo poi la macchinetta del caffè. "Dai, sono talmente su di giri per questo trenta che ti offro qualcosa! Che ti va?"
Vanitas ridacchiò: "Un caffè, dannato rossino!"
"Per me un cappuccino, grazie!"
Axel e Vanitas si guardarono per un attimo confusi da quella voce che aveva esordito alle loro spalle, poi si voltarono e, prima di poter vedere chi era, dovettero abbassare un po' lo sguardo.
"Roxas!" esclamò il rossino, avvampando, vedendolo lì improvvisamente, dato che erano giorni che non usciva di casa.
"Ehi, nano, che fai qui?" chiese Van, arruffandogli i capelli. Roxas rise a quel contatto e lo scansò dolcemente.
"Sono passato in conservatorio per salutare i professori!" rispose, poi mise le mani dietro la schiena e cominciò a dondolare sui propri piedi. Sembrava un bambino piccolo.
"Da solo?" chiese Axel.
"No, c'è Ven qui fuori! Ha detto che dovevo venire a recuperarvi!" rispose, ridacchiando leggermente.
Axel alzò un sopracciglio: "Ma che hai da ridere, mostriciattolo!" lo redarguì scherzosamente, puntandogli un dito sulla fronte.
"Niente, mi fanno ridere le vostre facce gongolanti!"
"Beh, un trenta è un trenta, piccolo demonio! Voglio vedere te quando ne prenderai uno all'università!" rispose Vanitas, prendendo poi in mano il caffè bollente che Axel gli stava porgendo. "E tu sbrigati a far erogare quella roba, che Ven ci sta aspettando!"
"Frena i bollenti spiriti, My Lord!" rispose il rossino, spazientito, cedendo poi il cappuccino al biondino, che lo prese con due mani, ringraziandolo. Spinse poi il tasto per il suo caffè e quando lo prese si incamminarono.
"Com'è andata in conservatorio?" chiese Van, poco dopo, mentre varcavano la soglia che li avrebbe portati alla prima rampa di scale per scendere.
"Bene, ho preso una decisione per l'hanno prossimo" sentenziò il biondino, poi allo sguardo interrogativo dei due continuò: "Ho deciso di continuare a suonare solo il pianoforte e il violino, perché gli altri strumenti mi prendono troppo tempo, e vorrei sfruttare quello libero per recuperare un po' di cose..."
Axel sorrise e gli arruffò i capelli, facendolo quasi strozzare mentre beveva il cappuccino.
"Bravissimo, Roxas! Questo ti fa onore! Puoi sempre esercitarti negli altri strumenti a casa, quando hai voglia!" sorrise.
Roxas si riprese tossendo un paio di volte, per via del cappuccino che gli era andato di traverso, poi lo guardò.
"Sì, tanto la chitarra ormai l'ho imparata a suonare e il flauto traverso... beh, l'ho sempre odiato, in realtà!" ammise, malgrado fosse molto difficile da dire, dato che lui aveva sempre quello strano rispetto per ogni strumento.
Van e Axel risero al suo sguardo contrariato, che era buffissimo, poi scesero l'ultima rampa e raggiunsero l'uscita. Non appena furono vicino all'automobile di Ven, questi tirò giù il finestrino, facendo emergere una leggera musica, che riconobbero come Someday degli Strokes.
"Ven, tesoruccio mio adoratissimo!" esclamò Vanitas, sorridendo e poggiando le mani sulla portiera per chinarsi e dargli un bacio sulle labbra, che il biondino ricevette volentieri.
"Ciao, mostro! Ciao anche a te, Axel! Com'è andata?" chiese e il suo ragazzo si pompò tutto, mostrando il petto trionfante. Si batté una mano sullo sterno e sorrise: "Trenta, sia io che il rossino, qui!"
"Oh, complimenti! Bisogna festeggiare, allora!" esclamò Ven, entusiasta. "Dai, salite, andiamo da me a mangiare qualcosa!" propose e tutti accettarono volentieri.
"Volevamo andare al mare, domenica!" esclamò Axel, quando tutti furono saliti, lui dietro insieme a Roxas e Van davanti accanto a Ven.
Il biondino sterzò per rimettersi in carreggiata e sorrise, guardandolo dallo specchietto retrovisore per un attimo.
"Buona idea! Stanno facendo veramente delle belle giornate. Sarebbe un peccato non approfittarne!" sentenziò, poi continuò: "A te va, Roxas?"
Il biondino guardò Axel e annuì sorridendo: "Sì, è un sacco che non vado al mare!"
Il rossino contraccambiò e lo ringraziò con lo sguardo, perché era consapevole che non amasse il mare ma che lo stava facendo per cambiare un po' le sue abitudini e per svagarsi. Era orgoglioso di lui.
Roxas, capendo tutti quei pensieri, gli prese la mano e la strinse alla sua, dolcemente e, dopo essersi guardati per un po', il biondino tornò a guardare il panorama fuori dal finestrino, leggermente rosso in viso.
Axel lo notò e gli venne quasi da ridere, perché era infinitamente tenero.
"Van, chiama anche Sora e Riku e digli di raggiungerci da me, così organizziamo per domenica!" propose Ventus, e Vanitas sbuffò tirando fuori il cellulare con fatica da quei Jeans neri estremamente stretti.
"Che palle, ma non puoi chiamarli tu?"
"Oh, scusami tanto SE STO GUIDANDO!" urlò Ven, spazientito, cambiando repentinamente la marcia e accelerando un po', dato che si era innervosito.
Vanitas sbuffò ancora, e il suo ragazzo lo fulminò, così si ritrasse impaurito e compose il numero di suo fratello, che gli rispose poco dopo.
Axel lo sentì dire qualche parola brutta e offensiva, mentre urlava cose a vanvera e, scotendo la testa, si fece scivolare più vicino a Roxas, che, sentendolo, si voltò leggermente a guardarlo, confuso.
Il cantante lo fiancheggiò ancora e non gli lasciò andare la mano. Roxas lo vide sorridere mentre lo guardava.
"Che c'è?" chiese, alzando un sopracciglio.
"Niente, è che eravamo troppo lontani!" esclamò Axel, poi ridacchiò sotto i baffi quando vide il biondino arrossire a quella frase.
Cristo, era diventato adorabile. Come diavolo aveva fatto ad aspettare così tanto tempo per incontrarlo? Dove diavolo era fino a poco tempo prima?
"Sei arrossito!" esclamò trionfante, pizzicandogli una guancia.
Roxas lo guardò contrariato e mise il broncio: "Non è vero!"
"Sì che è vero! Sei tutto rosso! Ahahah!"
"Cattivo..." mormorò ancora il biondino, con il labbretto tremante, offeso.
"Si, lo so!" rispose ridendo l'altro, poi gli carezzò con il pollice la mano che teneva, dolcemente e tornò a guardare davanti a se, scoprendo che erano quasi arrivati a destinazione.
 
 
Riku e Sora li avevano già raggiunti da un po', e si prospettava un bel pomeriggio di spensieratezza, festeggiando la fine dell'anno scolastico e dei buoni risultati ottenuti da tutti quanti.
L'argento era su di giri, perché la segreteria dell'accademia lo aveva chiamato per dirgli che aveva vinto la borsa di studio anche quell'anno, proponendogli anche un'Erasmus che non accettò. Quell'anno voleva passarlo tutto con Sora e se ne avesse vinta un'altra anche dopo, sarebbe partito. Ma ora era più che intenzionato a non andarsene. Cloud, poi, alla notizia, era stato davvero entusiasta e gli aveva promesso che avrebbe pagato il suo viaggio a Parigi per andare a Disneyland con Sora. Non poteva essere più felice di così.
Mentre i quattro amici universitari sedevano al tavolo del soggiorno, mangiando patatine e bevendo bibite gassate, Sora aveva portato il DVD della Camera Dei Segreti e si era accomodato sul divano accanto a Roxas, mangiando patatine mentre lo guardavano.
Gli altri quattro facevano finta di non essere interessati, ma si erano zittiti tutti, fissando il televisore. A parte Vanitas che aveva incrociato le braccia sul tavolo e vi aveva nascosto il viso dentro, assonnato. Harry Potter aveva un effetto soporifero su di lui... anzi, la tv in generale lo era.
Axel era contento di vedere Roxas così preso. Ogni tanto lo vedeva dare una gomitata a Sora e gli faceva qualche commento sul film e l'altro annuiva e rispondeva quasi sempre d'accordo, con la bocca piena e le dita piene di sale.
Aveva quasi voglia di alzarsi e mettersi tra i due per gustarsi il film con la sua piccola peste, ma represse quell'istinto e decise di rimanere seduto lì.
Tremò leggermente quando sentì il cellulare vibrare nella tasca dei Jeans e lo prese, notando che lo stava chiamando un numero che non conosceva. Esitante, rispose e, quando disse: "Ehi, Marly, sei tu!" Sora mise pausa al film e insieme a Roxas si voltarono per guardarlo.
"Sì, ma certo!" continuò il rossino, entusiasta. "Aspetta che chiedo agli altri!" si spostò il cellulare, premendo una mano sulla cornetta per non far sentire i suoi discorsi e continuò: "Dice Marly se per venerdì prossimo siamo disposti ad esibirci!"
Van e Riku si guardarono e annuirono, entusiasti, poi il rossino guardò Roxas, che sembrava un po' restio nel rispondere. Ma quando lo vide pensarci su, con gli occhi al cielo e poi annuire, si sentì molto meglio.
"Va bene, allora venerdì sera! Cosa dobbiamo portare?" fece una pausa, mentre l'altro evidentemente gli dava coordinate varie. "Ok, d'accordo! Ci vediamo venerdì, grazie Marly!" e chiuse la comunicazione, su di giri, poggiando il telefono al tavolo.
"Quindi suonerete, infine!" esclamò Sora, mettendosi in ginocchio sul divano e poggiando le mani sullo schienale, con un sorriso gigantesco.
"Mettiti seduto come cristo comanda, Sora!" lo redarguì Vanitas e di tutta risposta ricevette una linguaccia.
"Sì, venerdì! Siamo pronti, vero? Tralasciando domenica, dovremmo vederci per le prove l'intera settimana, ci siete?" chiese il rossino.
"Beh, siamo tutti liberi, da quanto ho capito! Un paio di ore al giorno non dovrebbero essere un problema, no?" rispose Riku, facendo spallucce, consultandosi visivamente con il resto della Band che annuì.
"D'accordo, allora! Lunedì cominciamo a provare seriamente! Non vedo l'ora!" rispose Axel, mostrando due pugni trionfanti, su di giri.
"Che cosa dobbiamo portare?" chiese Roxas.
"La batteria è la loro, ma le bacchette le dovrai portare tu!" rispose Axel, guardando Riku che annuì. "Per il resto solo il basso e la chitarra. Gli amplificatori e il microfono sono i loro!"
"Bene!" commentò semplicemente Vanitas, infilando una mano nella busta delle patatine e prendendo una manciata, infilandole poi in bocca tutte assieme, peggio di un bambino di cinque anni.
Axel, un po' scosso dalla sua brutalità, lo squadrò, prima di scoppiare a ridere seguito dagli altri mentre il chitarrista li guardava confuso.
Sora, non appena smise di ridere, si ributtò sul divano e guardò Roxas, che rispose al suo sguardo, sorridente.
"Rimetto Play, eh! Tutti zitti!" esclamò, facendo un cenno con la mano per rendere meglio il concetto.
Il film ricominciò e tutti ubbidirono, mentre Van tornava a sonnecchiare sulla sedia.
Roxas si sentì trafiggere dolcemente la scatola cranica da uno sguardo fisso su di lui e si voltò, leggermente, incrociando lo sguardo con Axel, che, non appena lo vide, sorrise, facendogli perdere un battito al cuore.
Il biondino lo fissò per un po', poi si voltò di nuovo a guardare il film, sentendo la presenza protettiva e per nulla fastidiosa di quell'angelo dai capelli rossi che stava dietro di lui.
Infilò una mano nella busta delle patatine e sorrise leggermente, sentendosi un po' più leggero del solito.
Axel gli piaceva un casino, e ormai lo aveva capito e non poteva più mentire nemmeno a se stesso.
 
 
Gli occhiali visibilmente appannati di Ven gli facevano percepire quel sole terribilmente più scottante di quanto non fosse. Vedeva i raggi solari penetrargli la cornea e sarebbero stati fastidiosissimi, se sotto a quella palla di fuoco non fosse emerso un mare meravigliosamente calmo e brillante, facendogli dimenticare ogni cosa.
Si portò una mano sulla fronte, mentre socchiudeva gli occhi ormai in fiamme e con un gesto abituale spinse il bottone che avrebbe chiuso le centralizzate della macchina.
Posò le chiavi nella borsa del mare che teneva a tracolla e, subito dopo, sentì una manina prenderlo per mano e tirarlo.
"Ven, dai, datti una mossa!" esclamò Roxas, che sembrava visibilmente su di giri all'idea di passare una giornata al mare con quelli che ora poteva considerare anche suoi amici.
Ventus si fece tirare, leggermente euforico per l'allegria che vedeva sprizzare da tutti i pori di suo fratello e si sentì molto più sollevato di quanto già non fosse negli ultimi giorni.
Roxas era cambiato, moltissimo e, malgrado a volte si perdesse nei suoi pensieri cupi e oscuri, era motivato a migliorare ancora, giorno per giorno, e lui lo avrebbe sicuramente aiutato.
Raggiunsero la spiaggia, Sora e Roxas per primi, perché avevano iniziato a correre per fare a gara a chi arrivasse prima al bagnasciuga.
Axel ridacchiò vedendoli così spensierati. Era contento anche lui di vedere un Roxas euforico al massimo.
Si alzò gli occhiali da sole sui capelli e sospirò, fermandosi insieme agli altri tre e posando le mani sui fianchi, contemplando quella distesa azzurra e luccicante che aveva davanti.
Era tardi, quasi l'una, e il sole picchiava fortissimo, ma fu sollevato di vedere Vanitas montare l'ombrellone insieme a Ven. Si tolse la maglietta e rimase con i pantaloncini del costume, lunghi fino alle ginocchia e prese dalla borsa del mare un asciugamano e la posò delicatamente sulla sabbia.
Non c'era vento, quindi gli fu infinitamente facile da fare e non alzò nemmeno un polverone di granelli sottilissimi, infastidendo i pochi vicini di ombrellone che avevano, per lo più coppiette e famiglie.
"L'acqua è uno spettacolo!" urlò Sora, con i piedi immersi alla riva, accanto a Roxas che sorrideva di gioia, dato che era troppo tempo che non sentiva la sensazione dell'acqua salata sui suoi piedi nudi. Si chiese come aveva fatto tutto quel tempo ad odiare il mare, poi si rese conto che era la compagnia a fare la differenza.
"Roxas, ci sistemiamo anche noi e poi facciamo il bagno?" chiese Sora, aggrappandosi alla sua spalla quando sentì che stava per cadere dopo che una piccola onda gli aveva cozzato sui polpacci.
Roxas annuì e insieme raggiunsero gli altri, già seduti sulle loro asciugamani, tranne Ven che stava posizionando meglio il frigorifero sotto l'ombrellone.
"Voi due, non fate troppo gli scalmanati o mi tocca mettervi in punizione!" esclamò Ventus, vedendoli arrivare di corsa verso di loro.
"Non abbiamo fatto niente!" rispose Sora, lagnante, battendo i piedi sulla sabbia perché era troppo calda.
Ven alzò la testa dal frigo e alzò un ditino verso di loro: "Non ancora!"
Roxas rise all'espressione di suo fratello, poi si voltò verso Axel, seduto sul suo telo, con gli occhi chiusi e il viso leggermente alzato verso quel sole cocente. Gli si sedette accanto e il rossino sentì il suo braccio bollente toccare il suo; aprì gli occhi di scatto e lo guardò.
"Inutile che prendi la tintarella, non migliorerà di certo quella faccia assonnata che hai!" esclamò il biondino.
Axel lo guardò. Era diverso, accidenti, meravigliosamente diverso. Quella sua linguetta pungente lo faceva andare su di giri e lo avrebbe zittito volentieri facendogli sentire quanto fosse appuntita la sua, mentre lo baciava.
Lo squadrò, soffermandosi sul fatto che avesse persino un costume a scacchi e poi gli diede uno schiaffo sulla fronte, per punirlo.
"Non ho più il controllo sulla mia creatura! Sei un mostro, Roxas!" lo redarguì, vedendolo prendersi la testa tra le mani perché gli aveva fatto male.
Roxas si lamentò un po', prima di far emergere il viso e dargli un cazzotto sul braccio, facendogli male anche lui.
"Mi hai fatto malissimo!" esclamò il biondino e Axel si prese il braccio con una mano, grugnendo tra i denti.
"Anche tu! Ma dove la nascondi tutta questa forza?" gli chiese e prima che l'altro potesse rispondergli, gli prese la testa con un braccio e cominciò a strofinargli un pugno sui capelli.
"Ahia! Lasciami, Axel!" quasi urlò, contorcendosi.
"E' la tua punizione, razza di peste che non sei altro! Prendi questo!"
Roxas si scansò prima di ricevere uno scappellotto e gli si avventò contro. Axel si ritrasse girandosi di schiena e il biondino gli si aggrappò alle spalle, di peso.
Axel si alzò in piedi, cercando di scrollarselo di dosso, ma la presa di Roxas era salda. Si fermò un attimo e il bassista gli circondò le braccia intorno al collo, da dietro, spingendolo verso il basso, dispettoso.
Axel si girò di tre quarti per guardarlo e gli prese le cosce con le mani per poi prenderlo a cavalcioni.
"Lasciami!" esclamò il biondino.
"No!" controbatté il rossino, sentendo le sue braccia aggrapparsi di più per paura di cadere.
"Ho detto lasciami!"
"Non se ne parla!"
Riku e Sora, che era seduto accanto all'argento che lo aveva circondato in vita, si guardarono e risero alla vista di quella scena tenerissima tra i due.
Il batterista ridacchiò e diede un dolce bacio alla guancia morbida di Sora, che sorrise dolcemente, soprattutto al ricordo che su quella spiaggia avevano fatto l'amore la prima volta.
"Axel, perché non lo butti in mare, quell'insolente?" propose Riku, con una mano vicino alla bocca, urlando.
Roxas si voltò a guardarlo, ancora appeso al collo del rossino, strabuzzando gli occhi.
"No! Non mettergli certe idee in testa, Riku!" gridò, contrariato, dimenandosi.
"Buona idea!" rispose Axel, alzando un pollice verso l'argento, che si buttò sull'asciugamano, rotolandosi dalle risate.
"Ma che razza di imbecilli!" mormorò Vanitas, seduto sotto l'ombrellone, con la testa leggermente rialzata dalle gambe di Ven, che gli carezzava i capelli, ridacchiando entusiasta.
Era contento, il filosofo, di vedere sia suo fratello che Axel così spensierati. Era certo che sarebbero finiti assieme, un giorno o l'altro, perché era palese che il rossino fosse innamorato perso del piccoletto, ma anche Roxas ormai sembrava totalmente nelle sue grinfie.
"Axel, non ti azzardare... non... lasciami andare!" continuò il biondino, mentre Axel cominciava a camminare verso il mare, a piccoli passi, perché il peso del suo corpo lo rallentava.
"Accidenti, sembri piccolo ma pesi!" esclamò, digrignando i denti, perché la sabbia scottava e il sole ancora di più sulla sua testa appuntita.
"Allora lasciami, se peso così tanto!"
"Non ci penso proprio!" controbatté Axel, ridacchiando, poi cercò di accelerare il passo ed entrò finalmente in mare e quando fu ad una profondità considerevole, mentre Roxas non faceva che dimenarsi e stringergli le braccia intorno al collo quasi a strozzarlo, lo lasciò cadere di forza.
Roxas sprofondò sotto l'acqua, bagnandosi completamente in un colpo solo. Riemerse poco dopo, annaspando e Axel rideva come un matto, reggendosi la pancia.
Il biondino grugnì, sputando acqua e tirandosi indietro i capelli bagnati. Il rossino non riuscì a non incantarsi a vederlo completamente zuppo, spettinato dall'acqua che gli aveva reso i capelli piatti. Avrebbe dato non si sa che cosa per sentire quanto fossero salate le sue labbra sulle sue, in quel momento.
Roxas lo guardò mentre lo fissava rapito e per nulla intenzionato a lasciar correre quell'affronto che aveva subito, gli salì di nuovo sulle spalle con un gesto fulmineo, facendo perdere l'equilibrio al rossino che si piegò sulle ginocchia, fino a cadere in acqua anche lui, bagnandosi, infine.
Riemerse in fretta, sentendo che l'altro aveva lasciato la presa, cercando aria nei polmoni annaspandola dal naso umido.
Represse l'istinto di strozzare quella maledetta peste vendicativa, squadrandolo gelido dall'alto, quando si rimise in piedi.
Riku li guardava da lontano, puntellando i gomiti sull'asciugamano, mentre Sora gli si era seduto tra le gambe anche lui intento ad osservare quella scena, intenerito.
"Mi chiedo quando si renderanno conto che si piacciono a vicenda!" esclamò il moretto, incrociando le braccia sulle ginocchia piegate e poggiandovi il mento sopra.
"Se Axel non si dà una svegliata e non si muove a fare qualcosa, temo che ne passerà di tempo!" constatò l'argento, ridacchiando divertito, guardando Roxas indietreggiare mentre Axel lo guardava minaccioso.
"Beh, tu stai zitto, che ci hai messo una vita a deciderti a fare qualcosa con mio fratello!" lo redarguì Vanitas, con gli occhi puntati sulle parole crociate che aveva poggiato su una gamba piegata sull'altra.
Riku non parve minimamente scosso da quella frase, anzi, chiuse gli occhi e rispose, con superiorità: "Colpa di Sora che faceva il difficile!"
Il diretto interessato arrossì e mise il broncio, dando una gomitata nelle costole di Riku che se la prese in pieno, consapevole che aveva detto una cosa davvero poco carina. Ma lo divertiva il faccino imbronciato di Sora e, dopo essersi ripreso dalla botta, rise e gli circondò le braccia intorno al collo teneramente.
Sora cercò di non cedere, ma non ce la fece e si voltò per farsi baciare, come se solo quel gesto potesse bastare all'argento per farsi perdonare.
Era una gran bella prospettiva, non c'era che dire e a Riku andava bene così.
"Di tutte le persone che ci sono al mondo, tuo fratello doveva proprio interessarsi a quel coglione di Axel?" sbuffò Vanitas, che iniziava anche a spazientirsi perché non riusciva a trovare nemmeno una definizione di quel dannato cruciverba.
"Lascia stare Axel, che è un ragazzo fantastico!" controbatté Ven, un po' accigliato.
Vanitas alzò un sopracciglio, visibilmente infastidito da quel complimento che il suo ragazzo aveva fatto al suo migliore amico, ma non volle darlo a vedere, così rimise la penna sul foglio e, in tono indifferente, disse: "Se è così fantastico, allora perché non te lo sposi?"
Ventus scoppiò a ridere di fronte a tanta gelosia da parte di Vanitas e, ricominciando a carezzargli i capelli corvini, sorrise intenerito.
"Perché a me piacciono i cattivi e ribelli!"
Il chitarrista fu piacevolmente soddisfatto di quella risposta. Sistemò meglio la testa sulle gambe di Ven e cercò di non dare a vedere che stava gongolando letteralmente.
Riku rise all'espressione ebete di Van, senza però farsi vedere e Ventus lo guardò divertito. Poi entrambi tornarono a guardare il mare, dove il rossino e il biondino erano ancora intenti a farsi i dispetti a vicenda.
"Avrei voglia di farmi il bagno, ma non mi va di disturbarli!" esclamò Sora, un po' imbronciato, perché aveva davvero voglia di buttarsi in acqua e divertirsi un po'.
Era sempre stato il tipo di persona che andava al mare solo per quello e prendere il sole lo annoiava tantissimo, anche se ora era insieme a Riku che era una compagnia d'eccezione.
"Dai, abbi pazienza! Tra un po', se vediamo che non succede niente, andiamo anche noi!"
"Va bene!" rispose Sora, prendendo un fumetto dal suo zainetto e iniziando a leggerlo.
Intanto Axel era riuscito a braccare Roxas, tenendolo saldamente e bloccandogli le braccia con le proprie, da dietro. Il biondino si dimenava, anche se al rossino diede l'impressione che non ci stesse mettendo tutto se stesso, il che lo divertì molto.
"Sei peggio della carta moschicida!" esclamò il bassista, ormai esamine, col fiatone. Si era fermato, infine, rassegnato che non sarebbe mai riuscito a liberarsi.
Axel ridacchiò e continuò a stringerlo da dietro, ma con più dolcezza. Lo fece voltare verso di se e lo lasciò andare.
"Ok, ok, stabiliamo una piccola tregua, sono stremato!" ammise, col fiatone, passandosi le mani tra i capelli per toglierseli dalla fronte.
"La vecchiaia gioca brutti scherzi, eh?"
Axel lo fulminò: "Roxas..."
"Scherzavo, scherzavo!" esclamò, lapidario, proteggendosi preventivamente il viso con le braccia, per paura di ricevere l'ennesimo scappellotto.
"Sarà meglio per te!" lo redarguì il rossino, e lui ridacchiò. Lo fissò per qualche istante sorridendo, poi gli prese la mano sotto l'acqua.
Axel fu molto toccato da quel gesto, fatto con una dolcezza incredibile e, un po' emozionato, strinse anche lui le dita tra le sue. Si voltò a guardare a largo, dove c'erano un paio di barchette a vela e uno yacht e Roxas lo imitò.
"Avevo una voglia matta di venire al mare..." mormorò il rossino, ammirando quanto era blu il cielo quel giorno.
"Sei felice?" chiese il biondino, sorridente, voltandosi a guardarlo.
"Certo che lo sono, piccola peste! Ogni cosa che faccio con te mi fa felice!" rispose e quando vide il suo sorriso allargarsi, un po' in imbarazzo per la sua rivelazione, chiese: "Tu sei felice, Roxas?"
Il più piccolo non smise un solo istante di guardarlo negli occhi e il cantante fu felice di vedere quei due occhietti blu brillare molto più del mare.
Roxas si avvicinò un pochino e annuì, prima di tornare a guardare l'orizzonte splendente.
"Sì... malgrado tutto quello che mi è successo, posso dire di essere felice, ora" ammise.
In totale contrasto con quelle parole, Axel gli vide velarsi lo sguardo, diventando malinconico e distante. Ma era normale. Ammettere la felicità comportava sempre far riemergere un brutto ricordo.
Lui, rispondendo che era felice, aveva avuto un flash di un ricordo di suo padre e per un attimo il cuore gli aveva punto, tanto era il dolore per la sua perdita. Ma, malgrado questo, era felice per davvero ora.
"A che pensi?" chiese Axel.
"A quante cose sono cambiate in così poco tempo..." rispose il biondino, senza guardarlo, continuando a perdersi nelle onde marine che lo cullavano.
"E' vero, sono cambiate molte cose!" constatò Axel, fissandogli il viso con insistenza.
Roxas si voltò a guardarlo, per nulla imbarazzato, ormai avvezzo al fatto che ogni tanto quel tipo si fissasse a quel modo.
"Tu a che pensi, invece?" chiese, con un faccino furbetto e tremendamente da schiaffi.
Axel non abbandonò quell'espressione beota, e cominciò a fissargli le labbra: "A quanto sono buoni i ghiaccioli al sale marino..." mormorò, pensando seriamente al fatto che baciare quelle labbra salate, miste alla dolcezza disarmante di Roxas, dovevano essere la cosa più simile al sapore sei suoi gelati preferiti.
Roxas rise genuinamente, a quella frase, capendone forse il doppio senso, visto che l'altro non la smetteva di fissargli la bocca.
"Non hai detto che pensavi ai ghiaccioli solo d'inverno e alla cioccolata calda solo in estate?"
"Lo hai detto tu che molte cose sono cambiate!" rispose, spiazzandolo, mentre lo fronteggiava, reprimendo con più difficoltà del solito la voglia che aveva di baciarlo.
Si fissarono per un po', un po' inebetiti, e un leggero venticello fece venir loro la pelle d'oca, vista la pelle ancora umida.
"Comincio ad avere freddo, andiamo a prendere il sole?" chiese Axel quando sentì un brivido di freddo.
"Ho promesso a Sora che avrei fatto il bagno con lui. Ti raggiungo dopo!" rispose il biondino, sorridendo dolcemente.
"Va bene, piccola peste! Non farmi ingelosire con Sora, eh?" si raccomandò, lasciandogli la mano e arruffandogli i capelli.
Roxas rise, anche se arrossì un po' a quella battuta: "E tu non farmi ingelosire facendo lo scemo con Vanitas!"
Axel scoppiò a ridere e si voltò, poi alzò un braccio per salutarlo.
"Non c'è pericolo!" rispose, cominciando a raggiungere la riva.
Roxas lo guardò allontanarsi, con le sue scapole nude che si muoveva lentamente mentre camminava con fatica in acqua. Erano belle, come la sua schiena, come i suoi capelli, come le sue braccia.
Axel era bello per davvero e lo aveva sempre pensato, dopotutto.
Era il suo supereroe, il suo cavaliere senza macchia e senza paura.
Vide Sora alzarsi e urlare: "Finalmente!" quando vide il rossino raggiungere l'ombrellone. Axel prese un asciugamano e se la mise addosso per asciugarsi, sedendosi poi sul telo e osservandolo da lontano.
E, mentre Sora entrava in acqua e cominciava a raggiungerlo, Roxas capì che a volte non conoscere un sentimento non vuol dire che non saprai riconoscerlo quando lo sentirai.
Perché, anche se quella nuova sensazione che sentiva era nuova, poteva metterci la mano sul fuoco e dire con certezza che quello doveva essere per forza l'amore.
Fine.
 
Ciaooo *___*
Muhuahuaua questo capitolo mi ha fritta, dannazione ><
Ma è stata una soddisfazione finirlo!
Mi sono divertita molto a scrivere la scena del mare, davvero! Volevo essere lì con loro e invece sono in camera mia, con il pigiama e la copertina di pile, perché ho freddissimo ed è anche colpa della vecchiaia ç_ç
Roxas: Beh, almeno lo ammetti di essere vecchia!
Senti, piccoletto, va bene che adesso sei più aperto, ti sei fatto degli amici, hai addirittura capito di essere innamorato - tra l'altro dopo una vita... sei lentino, eh? -, ma non puoi mica venire qui ad insultarmi dicendomi che sono anziana! Ha ragione Axel  a dire che ha creato un mostro T_T
Roxas: mostro o non mostro, non toglie che sei in età da pensione!
Va beh, ho capito, nel prossimo capitolo ti faccio mettere con Marluxia!
Roxas: No, chiedo perdono QQ
Bene, così mi piaci e ora vai nell'angolino dei disperati insieme a Cloud, fila v.v
Ehm, ok, dopo questo siparietto col nostro complessato preferito, vi lascio alla Bonus Track, vi invito a leggere e a recensire *__*
Siamo quasi agli sgoccioli e non ho alcuna voglia di finirla ç__ç qualcuno mi faccia venire in mente una catastrofe per continuarla per altri 467687 capitoli ç_ç
Buona lettura ç_ç
P.S.: Più che un ps sono delle indicazioni strettamente mediche che dovrete adottare durante la lettura della Bonus Track. Dopo la pucciosità e tenerezza del capitolo, vi butto direttamente negli occhi una roba supertriste ed Angst al massimo, quindi se non volete compiere un suicidio dopo la lettura, vi consiglio di partire prevenute! Io vi ho avvertite v.v
P.P.S: Niente disegno nemmeno questa settimana, non ho tempo >< Però Roxas e Sora sono troppo carini su quella immagine, non trovate? *__*
Miry
 
*Bonus Track*
Roxas osservava silenziosamente la strada, con la testa appoggiata al finestrino, completamente inerme.
Non sapeva più se era rassegnato o bloccato dalla paura. Non sapeva più niente.
Era di nuovo un guscio vuoto, una custodia senz'anima. Nemmeno pensare ad Axel lo tirava un po' su.
Sua madre stava urlando, come al solito; e lui non la stava ascoltando, come al solito.
Stava solo attendendo.
Poteva fare solo questo: attendere che quell'ora e mezza passasse più in fretta possibile e voleva non esserci con la testa, in quel lasso di tempo.
Voleva spegnersi, come un bambolotto che smette di piangere quando tiri giù la levetta che ha dietro la schiena. Voleva perdere la vista, il tatto, il gusto, l'udito... voleva perdere tutto ciò che gli permetteva di percepire e riacquisire i sensi non appena sarebbe passata.
La madre parcheggiò, tirando il freno a mano con un gesto secco e rabbioso. Si passò una mano tra i capelli e si voltò a guardarlo, stizzita.
"E questa volta ti accompagno dentro, chiaro? Io e tuo padre abbiamo fatto mille sacrifici per farti studiare da lui e tu come ci ripaghi? Bigiando?" gli urlò, mentre muoveva le mani, isterica. "Roxas, io ti avverto: se ti permetti di non presentarti più dal Maestro, e ci fai fare un'altra figura del genere io ti faccio pentire di essere nato!"
Pentire di essere nato? Beh, in quel momento avrebbe voluto che non fosse mai successo, se quello che lo aspettava era solo un altra lezione fatta di languidi gesti e frasi da voltastomaco.
"E guardarmi quando ti parlo!" urlò ancora la donna, strattonandolo per la maglietta.
Roxas ubbidì e alzò lo sguardo, ormai completamente fuori dal mondo. Cominciava a scavarsi un posticino nella mente, dove rinchiudersi non appena l'orco lo avesse rivisto. Un posto caldo, accogliente, che profumava di Kenzo.
La donna aprì la portiera e scese, dando un colpo di tacco rabbioso sull'asfalto. Non appena fu fuori, fece il giro dell'auto, facendo scendere il figlio, ancora seduto immobile e tirandoselo per un braccio.
Roxas era come una carcassa morta. Si faceva trascinare da sua madre, all'interno del palazzo, poi sull'ascensore e infine al piano.
La donna aprì la porta delicatamente, scoprendo che lo studio quel giorno era vuoto. Non appena bussò alla porta di legno appena dopo la sala, l'uomo dai capelli d'argento aprì la porta.
"Maestro Xemnas, buonasera!" esclamò lei, visibilmente a disagio, tenendo ancora Roxas per mano saldamente, come se avesse paura che potesse sfuggirgli di mano. Roxas non sarebbe scappato, però. Non ora, poi, che era immobilizzato a fissare il vuoto, mentre sentiva quegli occhi tremendamente inquietanti fissi su di lui, affamati, bramosi, accesi di una schifosissima voglia di fare di tutto.
"Buonasera a voi!" sorrise l'uomo, poi si chinò sulle ginocchia per guardare il suo allievo che, non appena incrociò i suoi occhi si sentì morire dentro, ancor più di quanto già non fosse. "Ti senti meglio, Roxas? Va tutto bene, ora?"
Il biondino tremò. Tremò tutto, persino i suoi occhi, che sgranò leggermente, sentendo quella voce percorrergli ogni cellula del suo corpo, risvegliando ogni ricordo infelice che aveva sopito con difficoltà grazie all'aiuto di Axel e che ora era stato inutile.
"Sì..." mormorò, senza sapere cos'altro dire.
Mamma...
"Mi dispiace molto di non averla avvertita, sul serio... e che stava male davvero e non ci abbiamo pensato!" rispose lei, mordendosi un labbro, vergognandosi di aver dovuto inventare quella bugia per difenderne un'altra.
Mamma...
L'uomo rise mellifluo e fece un gesto fugace della mano: "Non si preoccupi, l'importante è che Roxas stia bene!" disse, posando una mano sulla spalla del biondino, che a quel contatto si sentì sgretolare in mille pezzi. "Due settimane senza prove non lo danneggeranno, è talmente bravo!"
Portami via...
"E' un onore sentirlo dire da lei stesso... per noi è una grande soddisfazione!" esclamò lei, raggiante, ritrovando un po' di calma, anche se ancora non riusciva a biasimare suo figlio. Non riusciva a perdonargli quella figura barbina che aveva fatto fare loro, non presentandosi alle lezioni.
Portami via, ti prego...
"Bene, allora possiamo anche cominciare!" sorrise l'uomo, senza lasciargli andare la spalla. "Tra un'ora e mezza sarà di nuovo suo!"
Non voglio...
"Va bene! Ci vediamo giù tra un'ora e mezza, Roxas! Comportati bene!" si raccomandò sua madre, in tono leggermente acido, palesando il suo disappunto nei suoi confronti nemmeno poco velatamente.
Non andare... Non andare...
"Oh, si comporta sempre bene, non si preoccupi! Saluta tua madre, Roxas, avanti!" lo incitò il maestro, con quella schifosa e finta gentilezza che racchiudeva quanto più di meschino ci fosse al mondo. Lo stava invitando a salutare l'unica e ultima persona che poteva ancora aiutarlo prima che varcasse quella soglia.
Non lasciarmi qui con lui...
"A dopo, mamma..."
La donna gli sorrise e si voltò, non prima di aver fatto un debole inchino in direzione del Maestro, che contraccambiò, con la sua finta umiltà.
Poggiò una mano sulla schiena di Roxas e lo fece accomodare nel suo studio, chiudendo la porta alle sue spalle e prendendosi una sigaretta da una scatolina metallica con le sue iniziali incise sopra. La portò alle labbra e la accese, aspirando il fumo con lentezza e ributtandolo fuori con altrettanta calma.
Sorpassò il suo allievo e si poggiò con la schiena alla scrivania, fissandolo.
Roxas era immobile, di nuovo inerme, di nuovo esposto, di nuovo impotente. Gli occhi velati erano dannatamente vuoti, fissi nel nulla, mentre cercavano di aggrapparsi a qualcosa, al minimo ricordo o al pensiero bello che albergava nella sua mente, anche solo per non vedere su di se quegli occhi orribili e che ostentavano solo schifezza.
"Perché non ti sei presentato per due settimane alle prove?" chiese l'uomo, sorridendo gelido, dando un'altra boccata alla sua sigaretta.
Il biondino non si mosse, non batté nemmeno le ciglia. Strinse solo convulsamente il pugno intorno al manico del suo violino.
"Ero malato..."
Xemnas fece una risata senza entusiasmo che gli fece gelare il sangue nelle vene.
"Bugiardo!" esclamò, mentre sbuffi di fumo grigio gli uscivano dal naso. Continuò a squadrare il corpo senz'anima del suo allievo e sorrise dolcemente, spegnendo la sigaretta ancora a metà nel posacenere stracolmo e staccando la schiena dalla scrivania e raggiungendolo.
Si inginocchiò e gli prese le spalle tra le mani, inclinando la testa per studiarlo.
"Tu lo sai che sentimento speciale ci lega, no?" chiese, in tono dolce, ma che nascondeva un pizzico di risentimento che fece passare un brivido lungo la schiena di Roxas, che serrò gli occhi, dolorosamente. Non vedendolo rispondere lo scosse, perdendo la calma: "Lo sai o no?" quasi urlò, spazientito.
Il biondino non aprì gli occhi, ma sobbalzò impaurito e annuì: "Sì... sì... lo so..."
"Allora perché non sei venuto alle prove in queste due settimane?" gli chiese ancora, carezzandogli poi una guancia.
Roxas si ritrasse un po', istintivamente, ma sapeva anche di non poterlo fare troppo o l'uomo si sarebbe arrabbiato perché sfuggiva ai suoi gesti d'amore.
"Ero... ero malato..." ripeté, balbettando.
Quello rise di nuovo senza entusiasmo, poi si avvicinò al suo viso, soffiando col suo alito di fumo fastidioso e pungente.
Roxas sentiva la sua pelle sfiorare la sua e si sentì avvampare. Ma non avvampare come gli succedeva quando Axel era carino con lui. Si sentiva avvampare nel vero senso della parola. Ardere, bruciare, prendere fuoco, dolorosamente.
Ogni cellula che toccava la sua era come benzina che alimentava quel fuoco.
"Roxas, perché dici le bugie?" gli cantilenò lui, prendendolo di nuovo per le spalle, per poi dargli un bacio sull'angolo della bocca.
Il più piccolo sentì un forte conato di vomito quando successe. Cercava di non esserci, di chiudersi a riccio, di percepire la cosa con un distacco totale, ma non era possibile. Non ci riusciva ad isolarsi.
"Mi sei mancato tantissimo, lo sai?" gli disse ancora il maestro, per poi abbracciarlo dolcemente, mentre lui rimaneva immobile, con le braccia lungo i fianchi, la custodia del violino ancora stupidamente stretta nella mano. "Due persone che si amano come noi dovrebbero stare sempre insieme, non trovi? Il nostro è un sentimento puro, vero! Pochi possono dire di provare un sentimento così..."
Roxas cominciò a soffiare forte del naso, perché sentiva che i polmoni non gli stavano più producendo l'aria necessaria a farlo respirare. Non riuscì a capire se stava per avere un attacco di panico o se semplicemente stava morendo di paura.
"Io ti sono mancato?" chiese ancora l'uomo, tra il risentito e lo speranzoso, facendogli passare lungo la schiena l'ennesimo brivido.
No
"Ti sono mancato, Roxas?" ripeté ancora, cercando di restare calmo, senza smettere di abbracciarlo.
No.
"Dannazione, rispondi!" urlò, staccandosi e prendendolo improvvisamente per il collo e spingendolo verso la libreria che contornava l'intera stanza.
Roxas sentì la testa sbattere su uno scaffale, e un libro cadde per terra, poi si sentì completamente sveglio quando percepì le dita attorno al suo collo cominciare a stringersi. Cominciò a piangere.
"Ti ho solo fatto una domanda! Una sola, semplice domanda!" rispose lui, rabbioso, triste, angosciato, impaurito. Roxas non sapeva più come percepirle, le sue domande.
Aveva solo paura e posò una mano su quella dell'uomo in un inutile e sciocco tentativo di liberarsi, mentre sentiva le sue dita sempre più a fondo nel suo collo.
"S-sì..." mormorò, perché l'unica via, ora, era l'accondiscendenza.
"Sì, cosa?" ringhiò lui, che voleva sentirgliele dire per intero, le sue frasi preferite.
"M-mi... sei m-mancato!"
L'uomo lasciò leggermente la presa sul suo collo quando glielo sentì dire, ignorando di proposito il fatto che stesse piangendo disperatamente e pieno di paura sotto la stretta delle sue mani callose. Roxas sentì l'aria e  il sangue ricominciare a circolare un po', ma non del tutto. La testa gli girava, ma era ancora solo perché era nauseato terribilmente, oltre che impaurito da morire.
"E mi ami, vero?" chiese ancora l'uomo, disperato, avvicinando il viso al suo, mollando ancora di più la presa, vedendo che il suo viso era diventato tutto rosso.
Roxas non riusciva a parlare; lo aveva stretto così tanto che faticava anche a tossire. Sentiva solo le lacrime scorrergli, per quanto non fosse nemmeno cosciente di star piangendo.
L'uomo, vedendo che non rispondeva, gli posò le labbra sulle sue, senza approfondire quel contatto, perché era il suo modo dolce di esprimere il suo amore. Era il suo modo di tranquillizzarlo, di dargli forza, di fargli capire che il suo amore era corrisposto.
Roxas, dopo quel contatto, voleva solo svenire, o sparire, o sgretolarsi, o annullarsi. Era stato così languido e malato che non poteva più dimenticarselo.
"Roxas, perché devi farmi ripetere le domande un milione di volte? Perché?" gli urlò, spazientito, quando si fu staccato, sbattendogli di più la schiena contro il legno del mobile. Roxas sentì gli spigoli dei libri entrargli nella schiena e fargli sentire un dolore così acuto che il suo corpo esplose in scariche elettriche per tutto il corpo.
Doveva rispondere. Doveva rispondere o lo ammazzava e lui non voleva morire, non ci era ancora arrivato a desiderare la morte, ma sapeva di esserci vicino.
Con la voce rotta dalle lacrime e dal soffocamento dovuto alle dita dell'uomo intorno al suo collo, cercò di sforzarsi a rispondere, perché , si ripeté ancora nella testa, l'accondiscendenza era la sua unica via di salvezza.
"T-ti... - Non voglio dirtelo - T-ti - Non a te- amo"
L'uomo rise, dopo la sua confessione. Rise di gioia, probabilmente, ma a Roxas sembrava solo un pazzo omicida. Lo sentì lasciargli il collo con un gesto secco e sentì le gambe cedere improvvisamente. Cadde a terra, in ginocchio e l'uomo lo imitò poco dopo.
Roxas si prese il collo con una mano, iniziando a tossire, sentendo tutto un po' annebbiato quando sentì che l'ossigeno ricominciava il suo naturale corso.
L'uomo gli prese i capelli in un pugno e gli tirò su la testa, per guardarlo. Il biondino lo guardò, senza nessuna espressione sul volto, ma negli occhi l'ultimo barlume che li teneva accesi era di disprezzo. Il più totale, il più puro.
Il maestro si alzò, senza lasciargli i capelli e Roxas dovette obbedire ad ogni suo movimento o probabilmente glieli avrebbe strappati. Faceva male, malissimo. Dentro, fuori e nell'anima. Era tutto doloroso.
L'uomo gli fece fare il giro della scrivania, poi si sedette sulla poltrona di pelle, poggiando la schiena comodamente e lasciando i capelli di Roxas con uno strattone.
Il biondino pensò di essere libero, per un attimo, almeno per dargli il tempo di riprendere il fiato che gli aveva tolto, ma lo sentì prenderlo per i fianchi e farlo sedere sulle sue gambe.
Era una bambola di ceramica, snodabile e fragile. Aveva gli occhi blu vitrei esattamente come i pupazzi di porcellana.
Xemnas staccò la schiena dalla sua sedia di pelle, facendole fare un rumore graffiante che Roxas sentì amplificato al massimo, per quanto erano sensibili i suoi sensi in quel momento, anche se lui voleva resettarli tutti, metterli in pausa o spegnerli, finché non sarebbe passato tutto.
L'uomo si avventò languidamente al suo collo, carezzandolo con una mano e mordendolo ogni tanto.
Ogni carezza era un coltello che gli tagliava via la carne, ogni bacio era acido muriatico che gli bucava la pelle facendogli malissimo.
Doveva spegnersi. Doveva spegnersi da quando era arrivato, ma non ci riusciva.
Aveva paura, ma era anche rassegnato al suo destino, perché era solo e, a meno di un miracolo, quell'ora e mezza sarebbe stata un inferno totale e lui non riusciva nemmeno a spegnersi.
Si vergognò. Si vergognò di ricevere quei baci e quelle carezze, si vergognò di non aver avuto il coraggio di dire a sua madre la verità, si vergognò di aver ricevuto quel bacio orribile, poco prima; si vergognò di avergli detto tutte quelle cose, senza provarle minimamente; Si vergognò di essere Roxas, in quel momento più di qualunque altro.
Se essere se stessi doveva comportare solo sofferenza, allora voleva smettere di essere quello che era e dimenticarsi. Annullarsi, se necessario, perché serviva solo questo... solo questo e basta.
L'uomo gli infilò una mano sotto la maglietta, vellicandogli la pancia con le sue dita schifose. Roxas sperò che non si spingesse oltre, che quelle dita non arrivassero a toccare altro o non avrebbe più avuto il coraggio di vedere nessuno in faccia, nemmeno se stesso. Soprattutto se stesso...
E mentre quello lo carezzava, chiuse gli occhi, sforzandosi di andare via con la mente, vagando ovunque, aggrappandosi a qualche ricordo e scavò dentro di se, nella mente, nella carne, nelle sue cellule e più scavava e più si faceva male e più scavava e più vedeva qualcosa emergere.
L'uomo portò la mano sul suo fianco, carezzandolo dolcemente, mentre gli baciava il collo con languida lentezza.
Singhiozzò, piangendo silenziosamente. Sentì la mano libera dello schifoso alzargli il mento, mentre percorreva tutto il suo collo lasciando snervati baci umidi.
Scavò ancora, e ancora, e ancora. Più scavava e più si perdeva, più scavava e più moriva dentro.
Poi sopraggiunse, quasi subito nitido, il più bel ricordo che aveva, che tutta quella merda che lo stava circondando lo aveva sovrastato.
Un brecciolino, una bici a terra, i graffi sulle mani più piacevoli del mondo e si perse, perché dopo i graffi c'erano stati occhi, e dopo gli occhi c'erano stati abbracci. Si chiuse in quel pensiero e cercò di non uscirne più, solo per dimenticare, almeno un pochino, cosa stesse succedendo.
E dopo gli abbracci c'erano sorrisi e dopo i sorrisi c'era un nome, che cominciò a ripetersi nella testa, facendolo rimbombare per oscurare tutto il resto, perché, malgrado tutto, lo confortava.
Si sentì lontano, mentre due occhi verdi vegliavano su di lui, guardandolo dolcemente e due braccia troppo magre ma forti lo riportavano su, facendolo riemergere da quel nulla pieno di disperazione.
Il nome rimbombava, ancora e ancora e si perse, infine, imprimendoselo nella testa:
Axel.
Fine
 

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Miryel