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Autore: Acinorev    22/11/2014    16 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo dodici - Without you

 

Un nuovo messaggio: ore 08.23
Da: Miles (resisti)

“Buongiorno amore”
 
 
 
«Morirò sola», sospirò Nikole.
Nonostante fosse quasi ora di pranzo, le temperature non si erano affatto smorzate, incoraggiate dalla brezza fredda ed umida che continuava a far rabbrividire chiunque: Emma non avrebbe mai dovuto acconsentire a quell’idea malsana, dato che fare esercizio fisico all’aperto non era tra i suoi hobby, né lo era il guardare la sua migliore amica mentre faceva lo stesso. Eppure, tra gli impegni di entrambe, quella era l’unica occasione disponibile per poter parlare in tutta tranquillità.
«Mi sento una persona orribile», sussurrò Emma, incrociando le braccia dietro la nuca: con indosso una vecchia tuta di Melanie, era sdraiata sull’erba di rugiada del parco nel quale si trovavano. Sopra di lei, le fronde degli alberi impedivano al sole di colpirle il viso con troppo vigore.
«Sono grassa», continuò l’amica, pronunciando quelle parole con uno sforzo dovuto agli strani esercizi di rassodamento che stava eseguendo: le guance paffute arrossate dall’attività e la fronte corrugata per la concentrazione e la consapevolezza.
«Credo che anche io morirò sola, perché non so… Non so cosa fare. Non riesco nemmeno a pensare».
«Mangiare solo frullati di cavolo non sta affatto funzionando. Forse dovrei provare qualche altro stupido vegetale».
«Ho sbagliato tutto e Miles è ancora qui. Dovrebbe odiarmi».
«E poi non posso continuare a fare la cameriera per tutta la vita».
«Harry mi odia di sicuro».
«È triste che sia l’unica cosa che so fare, no? Che razza di fallita».
«Sono davvero una persona orribile».
«Sono davvero una grassa fallita», sbuffò Nikole in risposta, lasciandosi cadere a terra al suo fianco, ansimando con le mani sullo stomaco e le ginocchia piegate.
Emma si voltò nella sua direzione e aspettò di incontrare il suo sguardo. «Devi smettere di provare tutte queste diete ipocaloriche che ti fanno mangiare solo segatura: hai sempre detto che ti piacciono i tuoi chili in più, quindi tieniteli e vedrai che prima o poi troverai qualcuno a cui piaceranno allo stesso modo», la rassicurò, nonostante non fosse certa che la sua autostima fosse suscettibile a determinati discorsi. «E non sei una fallita: lavori, sei in grado di mantenerti senza l’aiuto di nessun altro e hai un appartamento in centro che paghi con i tuoi soldi. Se proprio sei stanca di fare la cameriera, licenziati, ma non farlo prima di aver trovato un altro lavoro».
Nikole si mordicchiò le labbra secche mentre il respiro cercava di tornare regolare: si strinse nelle spalle e le si avvicinò di qualche centimetro, strisciando goffamente sul terreno umido. Qualche filo d’erba le si incastrò nei capelli legati in una coda ormai sfatta.
«Tu non sei una persona orribile». Fu il turno di Emma di essere rassicurata. «Sei solo estremamente confusa: e ti chiedi perché Miles non ti odi? Insomma, guardati, dove la trova un’altra così? Ci credo che è disposto a tutto pur di non perderti», continuò con un sorriso malizioso e carico d’affetto.
«Niki, so che mi vuoi bene, ma le lusinghe non mi sono d’aiuto», scherzò Emma, voltandosi su un fianco. Sapeva che le parole dell’amica erano volte a consolarla – e le apprezzava – ma aveva anche bisogno di qualcos’altro.
«E va bene», sospirò Nikole, imitandola nei movimenti ed aggiustandosi la canottiera, che si era mossa aumentando la porzione di petto scoperta. «Gli hai chiesto del tempo, no? Be’, se metti in conto che non sono passate nemmeno ventiquattro ore, direi che è normale che tu non sia ancora arrivata ad una conclusione».
«Secondo te cosa deciderò?»
«Secondo me lo lascerai», rispose Nikole, senza esitazioni ma riducendo il tono di voce.
Emma abbassò lo sguardo e strinse i pugni: nell’udire quelle parole, aveva provato l’opprimente sensazione di conoscere la loro veridicità. «E sarebbe giusto?»
«Questo è quello che devi capire tu».
«Non hai un indizio, un consiglio? Qualsiasi cosa che potrebbe aiutarmi?» la pregò. Ovviamente la sua mente ed il suo cuore avevano una volontà sin troppo forte per essere facilmente influenzabile, ma avere il parere di qualcun altro era comunque rassicurante: sapeva che qualsiasi decisione avrebbe preso sarebbe scaturita da se stessa, eppure voleva ricercare un confronto.
«Emma, ti rendi conto che il livello di difficoltà delle mie relazioni sentimentali si ferma al “non mi ha più chiamata”, vero?» le ricordò Nikole, abbozzando un sorriso autoironico. «Comunque, secondo il mio modestissimo ed inesperto parere da zitella, credo che tu debba semplicemente cercare di immaginare cosa succederebbe se decidessi di rimanere con lui. Non tornarci insieme se non sei assolutamente sicura di riuscire a ricostruire tutto, di riuscire a perdonarlo una volta per tutte. Non avrebbe senso e vi trovereste di nuovo nella stessa situazione. Se invece credi che potresti farcela, provaci: sarà terribilmente difficile e a volte quasi impossibile, ma se è quello che vuoi davvero potrai ottenerlo».
Emma si rabbuiò impercettibilmente, ragionando attentamente: ovviamente la sua amica non le aveva detto nulla di nuovo e nulla di falso, ma era comunque riuscita a darle una risposta. Nonostante non conoscesse la verità sui sentimenti di Emma, sulla sua paura del dolore di una vita senza Miles, sapeva quanto lei che non avrebbero potuto continuare a fingere di aver superato quel tradimento.
Se vista da quella prospettiva, solo una decisione sembrava plausibile.
«E sei ancora in tempo per dare una spiegazione ad Harry».
Al suono inaspettato di quel nome, Emma acquistò una maggiore lucidità. «Il piano era quello di non vederlo», la contraddisse.
Nikole si alzò e ricominciò con esercizi completamente inventati e di dubbia efficacia. «Perché, credi davvero che lui si accontenterà di qualche messaggio schivo?»
«No», sbuffò lei, mettendosi a sedere. Sarebbe stata una stupida a pensarlo, ma ci sperava.
«Allora preparati».
«Per essere una zitella grassa e fallita sai fin troppe cose», la prese in giro per sdrammatizzare.
«Lo so», commentò Nikole. «Mi chiedo perché i ragazzi non riescano a vedere tutta questa saggezza».
Emma sorrise e si alzò in piedi, stiracchiandosi la schiena.
«Dici che il mio culo è talmente grosso da oscurare tutto il resto?»
«La smetti di mortificarti?»
 
 
 
Data la confusione implacabile che regnava nella sua testa, si sentiva obbligata a cercare un disperato ordine almeno nelle cose di minor importanza: dopo aver saluto Nikole – ancora intenta a fare una stentato jogging nel parco – era passata al ristorante per rassegnare le proprie dimissioni, scusandosi per il breve preavviso, ed aveva chiamato la madre delle gemelle per avvertirla che, come le aveva già accennato, avrebbe potuto darle una mano solo fino alla fine della settimana. Era passata in libreria per cercare l’ultimo libro che le mancava per l’imminente inizio delle lezioni e si era ricordata di pranzare.
Tutto quel movimento le aveva concesso di distrarsi e di non pensare a quanto fosse difficile resistere alla mancanza di Miles: era strano ignorarlo in quel momento, avere del tempo solo per se stessa, ma era necessario.
Così come era necessario liberarsi anche dell’ultimo peso che la disturbava più del tollerabile: aveva mandato un messaggio ad Harry chiedendogli di incontrarla e lui aveva risposto dopo poco, dandole appuntamento davanti al suo nuovo appartamento. Se la sera prima Emma aveva cercato di liquidarlo velocemente, troppo stanca per sopportare una discussione che lui sicuramente avrebbe cercato, in quel momento si sentiva in dovere di rimediare: era ingiusto allontanarlo in quel modo senza nemmeno dargli una motivazione, immaturo.
Harry la stava aspettando seduto sul gradino del portone d’ingresso, con una sigaretta tra le dita della mano sinistra ed i capelli disordinati, dello stesso colore della giacca che indossava: la vide solo quando li dividevano ormai pochi passi e si alzò in piedi lentamente, con uno sguardo riluttante. Se non l'avesse cercato per prima, avrebbe sicuramente dovuto aspettare una sua comparsa improvvisa ed irruenta.
«Che significa?» le chiese subito, gettando la sigaretta a terra dopo un ultimo tiro, senza darle il tempo di salutarlo o anche solo di sospirare.
Emma si strinse nel maglione a trama larga e lo guardò con determinazione. «Rilassati», si difese. Non le piaceva il tono che aveva usato, nonostante in parte lo meritasse.
Harry alzò un sopracciglio e serrò la mascella. «Posso essere almeno infastidito dal tuo comportamento?»
«Ed io posso almeno spiegarti il mio comportamento?» ribatté, incrociando le braccia al petto. Iniziare un discorso con tanta tensione non era mai stata una buona idea, ma potevano dirsi abituati. «In fondo se ti ho chiesto di vederci dovrà pur esserci un motivo».
«Sicuramente, ma di certo non rende le cose più chiare, dato che fino a poche ore fa sembravi piuttosto determinata a far finta che non esistessi», precisò. Giusto.
Emma sospirò e si inumidì le labbra, mentre rabbrividiva per il collo scoperto dalla coda di cavallo. «Ieri non è stata una giornata semplice e se ti ho risposto in quel modo è solo perché sapevo che avremmo discusso. Era l’ultima cosa di cui avevo bisogno, a dir la verità», ammise.
«Adesso invece ne hai bisogno?»
«Harry», sbuffò lei, quasi pregandolo silenziosamente di non infierire. Capiva che fosse irritato da quella situazione, ma con quel suo atteggiamento non migliorava di certo le cose. «Se sei disposto ad ascoltarmi ok, altrimenti faccio in tempo ad andarmene».
Lui si morse nervosamente un labbro e non rispose, manifestando la sua caparbietà con un respiro più profondo.
«Io e Miles stiamo attraversando un periodo… Difficile», riprese a stento, irrequieta al pensiero di ammettere una debolezza. Era paradossale che il ragazzo con il quale si sentiva meno a proprio agio in certi argomenti, fosse anche quello che ne sapeva di più. «Ci siamo presi una pausa, o una cosa del gener-»
«Ed io che c’entro?» la interruppe Harry, corrugando lievemente la fronte e facendo un passo avanti. Sapeva ancora di fumo.
Emma temporeggiò, valutando se fosse proprio necessario spiegargli tutto o se avrebbe potuto aggirare la questione, ma si rese conto che la verità era l’unica cosa che avrebbe retto qualsiasi ulteriore indagine. «Miles mi aveva chiesto di smettere di vederti, perché crede che io possa essere influenzata da te e perché crede che tu provi un interesse nei miei confronti. In questo momento è giusto che io gli dia ascolto».
L’espressione di Harry si rilassò. «Perché?»
«Come perché?» domandò, credendo fosse ovvio. Non capiva che era una questione di rispetto?
«Se tu fossi sicura di non poter essere influenzata da me, non mi chiederesti di non vederci più. Non ne avresti motivo», spiegò, con una nuova consapevolezza nella sua voce.
Emma colse il suo ego che si ingrandiva, la soddisfazione nel suo sguardo. «Non si tratta di questo», lo contraddisse. «Nonostante io ne sia certa, non trovo giusto passare del tempo con un ragazzo che prova interesse per me, non mentre io e Miles continuiamo a litigare».
«Quindi quando non litigate non fa differenza? Non capisco», commentò, senza alcuna traccia di confusione nelle sue parole. Sapeva perfettamente quali tasti premere, dove colpirla.
«Cristo, Harry, sto solo cercando di fare la cosa più giusta», sospirò Emma, passandosi una mano sul viso. «Smettila di trovare significati nascosti ed inesistenti dietro ogni mio gesto».
«Continui a parlare di ciò che è giusto e ciò che non lo è, ma dovresti parlare di quello che vuoi», la contraddisse lentamente. Un altro passo avanti.
Lei socchiuse gli occhi e fu tentata di indietreggiare. «Vedi perché non volevo incontrarti? Perché sapevo che saremmo arrivati a questo».
«A cosa?» domandò Harry, inclinando le labbra in un accenno di sorriso. «Alla verità?»
«Puoi smettere anche solo per un secondo di essere così egocentrico?!» sbottò, cercando un rifugio. Il discorso stava prendendo una piega scomoda, la stessa che lei voleva evitare aumentando le distanze tra di loro.
«Allora parla chiaramente», la spronò lui, indurendo per un istante lo sguardo.
«È evidente che tu sia… Attratto da me, in qualche modo, visto che hai anche ammesso di dover capire chissà cosa», rispose esasperata, gesticolando. «Ed io devo concentrarmi sulla mia storia con Miles, non posso occuparmi anche di te che mi giochi intorno. Non voglio dovermi costantemente chiedere a cosa tu stia pensando o se ti ritroverò fuori dal mio posto di lavoro. Ho bisogno di spazio ed ho bisogno che tu mi stia lontano».
Harry si inumidì le labbra e la osservò minuziosamente, ma senza riuscire ad intimorirla. «Quindi è vero che sono in grado di condizionarti», disse soltanto.
Emma si rese conto di come il suo precedente discorso potesse portare solo a quella conclusione e si maledisse. «Non nel modo in cui credi».
«Illuminami», la sfidò.
«Se fino ad ora non ho dato ascolto a Miles è proprio perché so di non provare niente per te, ma questo non significa che tu non sia in qualche modo… Presente. E lui non lo sopporta, quindi faccio un favore ad entrambi e ti sto alla larga».
«Presente? È così che mi definiresti?» domandò Harry. «Continuo a non capire e continuo a pensare che, se io ti fossi davvero indifferente come dici, non avresti nessun motivo per chiedermi di non vederci».
«Ma siccome per me non fa alcuna differenza, preferisco smettere di far soffrire ancora il mio fidanzato per qualcosa che si può evitare!» ribatté con enfasi, stufa di quel confronto che la stava confondendo ancora di più. Era difficile riordinare i propri pensieri ed era ancora più difficile esporli in maniera chiara e completa, quindi non si stupiva se Harry era in grado di contestarla così frequentemente, perché nemmeno lei stava capendo qualcosa del proprio discorso.
Harry aspettò qualche secondo in silenzio, senza abbandonare nemmeno per un istante i suoi occhi coraggiosi e pronti a difendersi, poi si avvicinò lentamente, tanto da costringerla ad alzare di poco il viso per poterlo guardare. «Per te è davvero indifferente, se ci vediamo o meno?» sussurrò, con una tale intensità da stupirla. «Non provi niente?» Era ovvio che lui avesse registrato ogni sua parola solo per poi restituirla con maggior decisione, era ovvio che quei particolari non potessero passare inosservati alla sua meticolosa attenzione.
Emma inspirò involontariamente il suo profumo, con il cuore a disagio, ma non ancora in tumulto. «Allontanati», gli ordinò a bassa voce ma con decisione.
Lui sorrise appena, quasi amaramente, ma non si mosse. «Non rispondi?»
E per lei era impossibile lasciar cadere una provocazione. «Non provo niente di simile a quello che provavo», gli rispose, altera. «Quindi se devo smettere di vederti per il bene della mia relazione, non c’è problema».
Solo a quel punto Harry fece un passo indietro, ma non perché sconfitto. «Sei una pessima bugiarda», commentò.
Emma sbuffò silenziosamente e si innervosì un po’ di più, tornando ad avere abbastanza spazio per sentirsi libera. «Se sei così sfacciato da avere la presunzione di conoscere meglio di me i miei sentimenti, allora non dovresti preoccuparti delle mie decisioni», lo accusò con stizza. «Tanto sai già che tornerò da te, quindi di che ti preoccupi?» continuò, colorando la propria voce di una spiccata ironia. «Ma perché spreco tempo? È evidente che tu ti stia solo divertendo: non devi capire proprio niente, è solo un gioco e tu sei solo un bambino a cui è stato improvvisamente negato».
Harry sembrò confuso da quella insinuazione, assottigliò gli occhi. «E questa da dove esce?»
Lei alzò un sopracciglio e riacquistò un contegno. «Mi è impossibile credere che tu provi qualcosa di vero per me, se non ti sei nemmeno interessato a cosa stia succedendo tra me e Miles: non sai neanche come sto, ti sei solo preoccupato di te e del motivo per cui il tuo faccino egoista è stato messo da parte così facilmente», spiegò, con le parole che uscivano spontaneamente dalle proprie labbra, conquistando sempre più credibilità. Emma non si era nemmeno preoccupata di quel particolare, ma era evidente che il suo inconscio ci avesse velocemente lavorato su.
«Ma di che diavolo parli?» domandò Harry, corrugando la fronte ed offendendosi. «Non credi che se mi sono preoccupato è perché mi hai praticamente proibito di vederti? Non mi sembra che in questo sia coinvolto solo il mio faccino egoista».
«E a me non sembra che per te possa essere una grande mancanza, dato che ti porti a letto un’altra!» replicò, cercando di esporre al meglio il proprio scetticismo.
Lui respirò lentamente, con le labbra schiuse e gli occhi attenti. «Ancora questa storia?» le chiese.
«È la verità».
«Io non l’ho mai detto».
Emma lo studiò infastidita, soppesando le sue parole e ripescando quelle che avevano già condiviso. Effettivamente non le aveva mai confermato il suo rapporto con Lea, né la ragazza le aveva detto qualcosa dopo la sera in cui li aveva visti insieme: che si fosse comportato in quel modo solo per lasciarle credere ciò che voleva? Per farla ingelosire?
«Sei un tale idiota», disse a denti stretti, serrando i pugni. Si era lasciata prendere in giro troppo facilmente, e la soddisfazione nel viso di Harry ne era la conferma.
«Hai fatto tutto da sola», rispose, stringendosi nelle spalle.
«E tu non hai fatto niente per impedirmelo», lo accusò. Alzò lo sguardo al cielo e scosse la testa: era esausta e, nonostante non avesse voglia di discutere, era ancora lì, davanti a lui e con lui.
«Per me non è indifferente se non ci vediamo», esordì Harry, interrompendo il silenzio teso e stupendola con la sua schiettezza. L’espressione più seria.
«Perché?» gli domandò, decisa a partecipare al suo stesso gioco. Cercò di non badare al tremito che era stato provocato da quella confessione inaspettata.
«Non lo so ancora», rispose lui.
La mente dell’Harry adolescente era sempre stata affascinante e ricca di processi complicati ma armoniosi: con la maturità degli anni passati doveva essersi arricchita ancora, impedendo ad Emma di avere su di lei lo stesso potere e la stessa capacità di comprensione. Non poteva scovare fino all’ultimo suo pensiero e non poteva collegare efficacemente tutti gli altri, poteva solo provare ad indovinare e sperare di avere ragione.
«E forse io non voglio saperlo», ribatté allora, senza esserne sicura.
Passarono diversi secondi in assoluto ed immobile silenzio, scrutandosi a vicenda. Fu nuovamente Harry a spezzarlo. «Allora immagino che dovremmo salutarci», esclamò, porgendole una mano in un gesto che sembrava sin troppo formale.
Emma osservò brevemente i lineamenti delle sue dita, riconobbe i suoi anelli spessi ed annuì piano, afferrando la sua mano con una certa cautela. L’attimo dopo, però, Harry se la tirò contro, stringendola tra le braccia velocemente e con una certa intensità. Lei si ritrovò schiacciata contro il suo petto, con gli occhi spalancati per la sorpresa e per il suo profumo opprimente: si sentì a disagio, perché in realtà non lo era affatto, e trattenne il fiato quando sentì le sue labbra baciarle piano la base del collo.
«In certe cose non sei più una ragazzina», sussurrò Harry, accanto al suo orecchio. «E questo è un problema», aggiunse subito dopo, allentando la presa sul suo corpo e permettendole di allontanarsi, frastornata.
Emma deglutì a vuoto e restò immobile ad osservare i suoi movimenti: mentre lui entrava nel portone di casa, la sua mente – e non solo – si interrogava su ciò che aveva appena provato, sui brividi appena nascosti e sulle verità appena stuzzicate.
 
 
 
L’appartamento di Melanie e Zayn era più spazioso di quanto sembrasse dall’esterno: al secondo piano di un edificio moderno e con ampie finestre, aveva il pavimento completamente in parqué scuro. Il salotto era arredato in modo essenziale, ma riusciva ad essere ugualmente caloroso ed accogliente: la cucina, invece, necessitava ancora di qualche modifica, dato che stavano cercando di risparmiare per rinnovarla e comprare finalmente un forno completamente funzionante.
«In che modo non dovrebbe essere sospetto il fatto che tu mi abbia invitata qui mentre Melanie non c’è?» domandò Emma, guardando Zayn con giocosa curiosità: lui era seduto a terra, sul tappeto di fronte alla televisione accesa ma ignorata, con una sigaretta tra le labbra e l’espressione rilassata. La barba non curata e gli abiti smessi di casa.
Un barbone, pensò Emma.
«Non ho mai detto che non dovrebbe esserlo», ribatté, alzando le spalle ossute. Effettivamente le aveva semplicemente ordinato – nemmeno chiesto, ordinato – di andare a casa loro a quell’ora, senza specificare altro. E sì, erano abbastanza legati da essere in confidenza, ma era comunque strano il fatto che Melanie non ci fosse.
Emma incrociò le gambe sul divano e prese un’altra cucchiaiata di gelato al fior di latte: la vaschetta intera le era stata gentilmente donata dal proprietario - ovviamente dopo svariate minacce di ritorsioni. «Be’, cosa c’è?» indagò allora, impaziente di scoprire i motivi di quell’incontro.
Zayn alzò un sopracciglio ed espirò del fumo. «Deve per forza esserci qualcosa? Volevo solo controllare che stessi bene».
«Perché?» chiese, insospettita. «Con chi hai parlato?» L’unica possibilità era che Harry gli avesse raccontato qualcosa, dato che lei non aveva parlato di Miles con nessuno oltre Nikole.
Lui alzò gli occhi al cielo e sospirò arreso. «E va bene, in realtà devo chiederti un favore».
«Ah», esclamò Emma, sollevata: se da una parte sarebbe stato divertente sapere cosa Harry si fosse lasciato scappare, dall’altra preferiva abbandonare una volta per tutte quel discorso. «Che tipo di favore?»
«Si tratta di Melanie», disse Zayn, schiarendosi la voce. Era… Imbarazzato?
«Allora dovrei andarmene immediatamente, dato che lei si è divertita a dare il mio indirizzo di lavoro ad “Harry passione stalker”», commentò, torturando ancora un po’ la vaschetta di gelato. Doveva ancora fargliela pagare.
Zayn rise genuinamente, con una mano sullo stomaco, e fece sorridere anche lei. «Credo che mi aiuterai lo stesso», esclamò sicuro.
«Di cosa si tratta? Festa a sorpresa? Regalo inaspettato? Cucina nuov-»
«Voglio chiederle di sposarmi».
 
 
 
Un nuovo messaggio: ore 23.52
Da: Miles (resisti)

“Quando sono uscito dall’ufficio, per un attimo ho pensato che saresti stata lì ad aspettarmi, come sempre... Buonanotte”
 
 
 
Louis era appoggiato con la schiena al muro della camera da letto di Aaron: il petto ancora nudo ed il suo odore ancora sulla pelle. Teneva le braccia incrociate come per non lasciare andare nulla di ciò che stava provando e pensando, consapevole delle ripercussioni che avrebbe incontrato: i suoi occhi si perdevano nel buio rischiarato della notte, nel quale poteva riconoscere facilmente il candore delle lenzuola e quello del corpo che le interrompeva.
Aaron stava piangendo.
Cercava disperatamente di non lasciarsi sfuggire alcun suono, arreso allo scorrere delle lacrime, ma era come se ogni suoi singhiozzo trattenuto arrivasse a scuotere anche Louis. Louis, che l’aveva visto piangere solo un’altra volta, in tutti quegli anni, ovvero quando gli aveva detto del primo ragazzo con il quale l’aveva tradito: per questo motivo, le lacrime di quelle notte, che non riusciva a vedere e alle quali non si voleva avvicinare, non preannunciavano niente se non un punto di rottura ben peggiore.
«Smettila», sussurrò, con un certo fastidio nella voce. Sapeva di essere la causa del crollo di Aaron, ma non voleva ricordarlo.
«Vaffanculo», ringhiò l’altro, strisciando tra le lenzuola per raggomitolare le ginocchia al petto.
Louis sospirò e si passò una mano tra i capelli: provò ad avvicinarsi, sedendosi su un bordo del letto e facendo cigolare alcune molle sotto il suo peso. Allungò una mano verso Aaron, ma quello si scansò velocemente.
Avevano appena fatto sesso, per ore, e non poteva nemmeno più toccarlo. «Non serve a niente fare il bambino», lo rimproverò, infastidito per la distanza che gli era stata imposta.
Ebbe il tempo di udire un insulto urlato a denti stretti, prima di sentire il pugno debole di Aaron piantarsi tra le sue scapole nude e graffiate. «Cazzo, sei impazzito?» mormorò con la voce strozzata, senza riuscire a sottrarsi ai suoi colpi sempre più carichi di rancore, di forza. Louis non voleva ricambiare la violenza, ma non voleva nemmeno riceverla, quindi cercava di trattenerlo e di allontanarlo, ma senza successo.
«Vaffanculo», esclamò di nuovo Aaron, facendolo cadere a terra e rotolandoci sopra senza esitazione. «Ti odio, vaffanculo! Sei un pezzo di merda, uno stronzo! Vaffanculo tu e tutti questi anni! E vaffanculo al giorno che ti ho incontrato!»
Ad ogni parola un nuovo colpo.
«Adesso basta!» urlò Louis, sforzandosi di bloccargli i polsi e cercando di ignorare il dolore pungente in alcuni punti.  Lo aveva sopra di sé, ancora nudo e ancora sudato.
«Sono io a dire basta!» ribatté l’altro, dimenandosi senza risultati.
«Allora avresti dovuto dirlo prima di farti scopare per ore!» replicò, mentre l’ira aumentava anche nel suo sangue. Non doveva preoccuparsi di moderare il linguaggio in presenza di Aaron, perché erano arrivati ad un livello di complicità tale da conoscersi oltre ogni mezzo di civiltà.
“Scopiamo, facciamo sesso, andiamo a letto insieme… Che differenza c’è? Significa comunque io dentro di te, significa comunque che muoio un po’”, gli aveva detto una volta, con l’aria maliziosa ed i pantaloni già abbassati.
«No, avrei dovuto dirlo la prima volta che mi hai toccato, la prima volta che hai toccato un altro!» lo contraddisse Aaron, singhiozzando rumorosamente, ma cercando di controllarsi. «Invece sono stato un coglione e ho continuato a-»
«L’hai fatto perché lo volevi! Sei adulto, cazzo, hai sempre saputo di cosa si trattava, quindi non iniziare con questa maledetta storia!»
«Di cosa si trattava, Louis? Di cosa si tratta?»
Louis serrò la mascella e si sporse in avanti per raggiungere la sua bocca, per baciarla con foga e rabbia, per farla tacere e per saziarsene. Ma un morso lo fece gemere sommessamente, obbligandolo a ritrarsi.
«Hai smesso di aggiustare tutto con un bacio», gli assicurò con il respiro accelerato, riuscendo a liberarsi dalla sua presa e ad alzarsi in piedi, barcollante. Iniziò a cercare i propri abiti, ad indossarli alla rinfusa, mentre Louis lo osservava con le labbra schiuse.
«Dove credi di andare?» gli domandò, confuso.
«Da nessuna parte, idiota, questa è casa mia. Sei tu che te ne devi andare».
Era letteralmente fuori controllo. Non l’aveva mai visto così sconvolto, nemmeno nel peggiore dei litigi, e non sapeva come gestirlo: il contatto gli era vietato, quindi gli era vietato tutto.
«Io non me ne vado fin quando non ti sarai dato una calmata, invece».
Aaron borbottò parole inudibili ed uscì dalla stanza, con i capelli corvini in disordine e la t-shirt al contrario: sbatté qualcosa in salotto e poi tornò il silenzio più totale.
Louis aveva quasi paura di raggiungerlo, perché sapeva, sapeva cosa sarebbe successo: se lo sentiva e non sapeva come evitarlo. Eppure si sentì in dovere di agire: si alzò lentamente e si rivestì indugiando più del dovuto, poi respirò a fondo e camminò fino al salotto, dove lo trovò seduto sul divano. Le mani a nascondergli il viso ed i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
«Tu non sei capace di amare», esordì Aaron, senza muoversi. La voce così rovinata dalle urla da essere quasi irriconoscibile. «Ed io ho provato con tutto me stesso ad accettarlo, ma non… Non ci riesco».
«Sai come la penso», rispose Louis, serio ed irremovibile. Avevano affrontato quel discorso centinaia di volte e centinaia di volte avevano raggiunto la stessa conclusione.
«Sì, lo so», annuì l’altro, tornando a guardarlo. Alla luce soffusa della stanza i suoi occhi di pece erano ancora più arrossati. «So che pensi di poterti scopare qualsiasi ragazzo per poi tornare da me come se fosse tutto normale, so che io te l’ho permesso e che mi pento di ogni cazzo di volta che mi sono spogliato davanti a te!» ammise, aumentando il tono di voce ad ogni parola.
«Non dire stronzate», lo ammonì Louis, facendo un passo avanti. «Non osare dire stronzate del genere», continuò, puntandogli un dito contro. Non poteva davvero rinnegare ogni momento passato insieme, non poteva semplicemente rinnegare loro, per quanto diversi potessero apparire agli occhi di entrambi.
«E cosa dovrei fare?» gli chiese allora Aaron, più debolmente. «Cosa posso dire per lasciarti?»
Louis trattenne il respiro e strinse i pugni. «Vuoi… Lasciarmi?» ripeté in un sussurro incredulo.
«Voglio cancellarti».
Due parole e Louis vacillò, stordito.
«Voglio cancellare ogni tradimento ed ogni sentimento».
La risolutezza di Aaron gli dava la nausea: si sarebbe piegato su se stesso per scacciarla, se il risentimento non l’avesse conquistato.
«Ogni volta che ci sono stato per te, come uno stupido».
«Ed io?! Io non ci sono mai stato per te?!» sbottò Louis, gesticolando. «Ci sono stati altri, è vero, ma per te sono sempre stato presente, ogni volta che ne hai avuto bisogno!»
«Anche quando ti chiedevo di non tradirmi?! Anche quando sapevi che mi avresti fatto a pezzi?! Sei soltanto un’ipocrita: ti accorgi solo di quello che vuoi vedere, altrimenti non parleresti così!»
«Tu non sei tanto ipocrita quanto me?! Vuoi a tutti i costi farmi cambiare, ma non sei disposto a pagare lo stesso prezzo!»
Aaron sapeva quale fosse la sua indole, fino a che punto potesse essere piegata ed in che modo potesse essere indebolita, ma sapeva anche non avrebbe mai potuto mutarla: Louis e la sua concezione dei sentimenti erano fuori dalla sua portata, da qualsiasi suo tentativo di adattamento. Per Louis i legami erano diversi, di una profondità che lui non riusciva a raggiungere, persino più puri, in un certo senso: non riteneva importanti gli altri ragazzi con cui si divertiva, non li riteneva all’altezza di Aaron ed era sinceramente convinto che non potessero intaccare la loro connessione, perché troppo genuina per essere sporcata da tali futilità. D’altra parte, però, Aaron non riusciva a tollerare la presenza di qualcun altro, le mani di qualcun altro sulla pelle che credeva di possedere, le labbra di qualcun altro sul corpo che lo faceva sentire posseduto.
«Io ne ho pagato il prezzo fino ad ora, invece! E non ho più intenzione di farlo!»
Louis indietreggiò di un passo, spezzato.
«Non riesco più a sopportare tutto questo, e sai quanto io ci abbia provato. Con tutto me stesso», continuò Aaron. «Se nessuno di noi è disposto a cambiare, se dopo tutto questo tempo non siamo ancora riusciti a trovare un compromesso, non credo che ne saremo mai in grado».
I loro sguardi non si perdevano, abituati a vivere in sincrono, ma erano fragili, consapevoli della separazione che presto avrebbero dovuto sopportare e che non potevano combattere. «Io non ci sto senza di te», sussurrò Louis, in un tentativo disperato. Non sapeva cos’altro dire, perché non poteva promettergli nulla.
«Nemmeno io», mormorò Aaron, con una nuova lacrima a solcargli la guancia destra. «Ma restare insieme sarebbe peggio».
Non riusciva a capire come potessero esistere due forme d’amore così intense e così inconciliabili, quale destino le avesse fatte incontrare solo per condannarle ad un continuo tormento.
«Aaron», lo chiamò piano, immobile a pochi metri da lui.
«Vattene via», fu la preghiera che ottenne in risposta. «Per favore».
Quando le iridi scure che tanto agognava abbandonarono il contatto visivo, Louis si sentì congedato, cacciato con la forza e con una determinazione che gli impediva di ribattere, di protestare ed urlare. Ogni briciolo di forza defluì dal suo corpo inerme, scappando verso quello che invece gliene aveva sempre fornita, come a rinnegare ciò che fino a quel momento aveva animato.
Così, vuoto, uscì dalla casa senza ascoltare i respiri strozzati di Aaron, senza pensare alle mani che fino a poco prima l’avevano stretto e colpito, senza pensare al dolore straziante che gli lacerava la volontà. Uscì e decise di tornate a Londra, quella notte stessa.





 


Buonasera!
Strano orario per aggiornare, I know, ed è anche sabato sera, quindi molte di voi non saranno nemmeno a casa, ma io sto facendo la pantofolaia e oggi mi sono dedicata interamente a questo capitolo, quindi non potevo aspettare per pubblicarlo!
Ci sono un po' di cose da dire, quindi iniziamo:
- Nikole/Emma: si commentano da sole, direi ahha
- Harry/Emma: ALLORA, so perfettamente che la parte iniziale del loro discorso è confusa e contraddittoria (soprattutto quella di Emma), ma non è colpa mia hahah Mi sono propria impegnata affinché risultasse così, tanto che ad un certo punto non ci ho capito niente nemmeno io, perché ho cercato di lasciare da parte me stessa e scrivere come se fossi stata Emma in persona. Risultato? Un casino. Ma in fondo è quello che sono! Su di loro vi lascio la parola, tanto credo siano abbastanza chiari, per quanto complicati :)
- Zayn/Emma(/Melanie): io GIURO che non so da dove mi è uscita questa cosa hahha Zayn non doveva nemmeno esserci nel capitolo, figuriamoci la proposta di matrimonio ahahha Ma sono sicura che vi farà piacere :) In fondo, Melanie e Zayn non potrebbero avere un futuro diverso!
- Louis/Aaron: I PIANTI ahahhaah giuro che mi sono commossa come una scema ad un certo punto, sono senza speranze ahhaha Anche loro non dovevano esserci nel capitolo (Bah), perché ero più propensa a scrivere un missing moment, MA a quanto pare si sono intrufolati nelle vicende e non ho potuto cacciarli! Detto questo, spero che la "sorpresa" vi abbia comunque fatto piacere: avevo bisogno di farvi entrare nella loro vita perché sono talmente particolari da essere sprecati come comparse e perché sarebbe stato impossibile descriverli indirettamente! Aaron perde completamente la testa, spero di essere riuscita a trasmettere bene il suo stato d'animo, e Louis si comporta come gli è concesso.
Molte volte è stato definito un puttaniere, in pratica, e molto stronzo, ma la verità è che vive tutto in base alla propria concezione di un rapporto: per lui Aaron è qualcos'altro, quasi un amore etereo che non può essere infettato da divertimenti passeggeri. I suoi tradimenti, paradossalmente, non lo sminuivano, ma anzi, lo rendevano ancora migliore ai suoi occhi. È difficile da spiegare, spero di non avervi confuse hahaha E nonostante questo, per Aaron non è abbastanza: il suo amore, tanto diverso, non concepisce tutto questo (come credo che non lo concepirebbe nessuno). Che ve ne pare? Fatemi sapere :)
- Miles/Emma: ho notato che molte si sono lasciate intenerire dell'indole di Miles e poi non dovrei dire "ve l'avevo detto!!!" ahhahaha Ma comunque, secondo voi come si evolverà la situazione? Ieri, mentre preparavo la cioccolata calda, ho avuto un'illuminazione divina e ho cambiato una "piccola" cosa nei futuri avvenimenti :)))))))))))

Be', come sempre GRAZIE di tutto!!!!!!!!!!!!!


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Un bacione,
Vero.

 


  
  

 
  
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