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Autore: Ella Rogers    23/11/2014    4 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Fratture

Anni prima
Località sconosciuta.
 
La neve stava imbiancando ogni cosa.
Osservava con stupore i piccoli batuffoli bianchi scendere dal cielo plumbeo e dare vita ad una morbida coperta sul terreno.
Era la prima volta che vedeva la neve.
Era bella la neve.
Candida, bianca, pura.
 
Lei non era come la neve. No, non lo era.
 
Peccato che le signore non le permettevano di uscire, perché avrebbe tanto voluto toccarla. Sembrava così soffice a vedersi.
Gli altri bambini erano tutti in giardino a giocare, mentre lei si trovava dietro lo spesso vetro della finestra del dormitorio a guardarli.
Le signore erano cattive con lei da quel giorno.
Non le permettevano mai di uscire a giocare, perché affermavano che lei era cattiva, che era figlia del diavolo.
 
Non sapeva chi fossero i suoi genitori, perché era stata abbandonata appena nata e costretta a vivere in quel monastero grande e buio, dove c’erano solo signore vestire di nero con veli neri sui capelli.
Le insegnavano a leggere, a scrivere e a comportarsi nel modo giusto.
Quando sbagliava, veniva picchiata e se piangeva le percosse aumentavano.
Aveva imparato a non piangere già dalla seconda volta, quando aveva per sbaglio fatto cadere un forchetta a terra durante il pranzo.
Da quello che aveva capito, quell’enorme casa era solo per i bambini particolari, quei bambini che non erano come tutti gli altri.
Ad esempio c’era quel ragazzino, Eric, che cercava sempre di buttarsi dalle finestre con la convinzione di saper volare.
Lei, che aveva solo otto anni, sapeva per certo che le persone non potevano volare.
Le signore picchiavano Eric con delle cinte di cuoio, che per fortuna la sua pelle non aveva ancora assaggiato.
E poi c’era anche quella ragazzina, Denise, che era fissata con il sangue e andava alla ricerca di oggetti appuntiti per tagliarsi. Denise era furba e le signore non la scoprivano quasi mai.
In quello strano istituto, lei era una delle più piccole.
All’inizio le signore l’avevano trattata bene. Tutto, però, era cambiato il giorno in cui l’avevano sorpresa in giardino a disegnare.
Il vero problema non era stato l’essere in giardino o il disegnare, ma le signore si erano allarmate quando si erano rese conto che i pastelli si stavano muovendo da soli sul foglio, tracciando linee confuse e senza senso.
Ricordava bene che l’avevano picchiata a sangue, ignorando il suo pianto disperato e accusandola di appartenere alla prole di Satana.
Quella era stata l’ultima volta che aveva permesso alle lacrime di sgorgarle dagli occhi e rigarle le guance.
 
Infagottata nel suo maglioncino di lana rosso, troppo grande ma abbastanza caldo, se ne stava in piedi su una sedia scricchiolante ad osservare il mondo oltre quelle spesse lastre di vetro, con occhi vispi e lucidi.
Ogni tanto tirava su con il naso, la cui punta si era arrossata visibilmente. Anche le guance le erano divenute rosse a causa del freddo pungente e la sensibilità alle dita delle mani era diminuita drasticamente.
Ma lei pareva non farci caso, mentre continuava ad ammirare i fiocchi di neve formare piccoli mulinelli e volteggiare leggeri nell’aria gelida.
Sì, era davvero bella la neve.
 
Il suono regolare di passi in avvicinamento le raggiunse le orecchie, facendole spalancare gli occhi bui.
Saltò giù dalla sedia e si precipitò sul suo letto a baldacchino. Prese il libro che giaceva sulle lenzuola e lo aprì ad una pagina a caso, concentrandosi nella lettura della prima frase che le saltò all’occhio.
La porta del dormitorio venne spalancata con impeto e una suora dall’aspetto austero raggiunse i piedi del suo letto, piantandole addosso uno sguardo gelido e colmo di odio.

“Andiamo, c’è qualcuno che vuole conoscerti” ordinò la donna.
La bambina obbedì senza fiatare.
 
Chi avrebbe mai voluto conoscere una come lei? Chi avrebbe anche solo mai voluto avvicinarsi a lei?
La curiosità cominciò a roderle fastidiosamente lo stomaco e un barlume di speranza le brillò negli occhi.
Forse l’avrebbero portata fuori da quel posto orribile.
Seguì la donna con lo sguardo basso, mentre strofinava le manine sulla lana della maglia per riscaldarle un poco. Camminarono lungo un corridoio in pietra, illuminato dalla pallida luce proveniente dalle finestre, le quali si susseguivano a un paio di metri di distanza l’una dall’altra.
Arrivate in fondo al corridoio, entrarono in una grande stanza, riempita da numerosi scaffali in legno d’ebano contenenti libri di ogni sorta.
Al centro della stanza vi era un tavolo circolare in legno chiaro, circondato da sedie fatte del medesimo materiale.
Tre uomini erano seduti proprio lì ed uno di essi aveva tra le mani una tazza fumante, da cui proveniva un forte odore di caffè.
Appena lo sconosciuto ebbe posato lo sguardo sulla piccola, abbandonò la bevanda calda sulla superficie liscia del tavolo e sorrise cordiale.
Indossava un completo grigio ed ogni suo movimento era elegante e calcolato. I capelli neri brizzolati indicavano che per lui era ormai lontano il fiore della giovinezza, così come le rughe visibili sul suo volto allungato e dai tratti marcati.

“Tu devi essere Anthea, dico bene?”
La voce dell’uomo era profonda ed intrisa di calma.

La bambina si limitò ad annuire, mentre la suora che l’aveva accompagnata lasciava la stanza, richiudendosi la grande porta alle spalle.
L’uomo le fece segno di avvicinarsi e lei obbedì, prendendo poi posto sulla sedia di fronte a lui.
Anthea lanciò un’occhiata agli altri due uomini vestiti di nero e con gli sguardi celati da occhiali scuri, ma subito dopo tornò a concentrarsi sul più anziano, i cui occhi piccoli e scuri continuavano a studiarla con grande interesse ed attenzione.
La bambina non riuscì a trattenersi oltre e, nascosta dietro una facciata di apparente indifferenza, si rivolse all’uomo brizzolato.
“Cosa vuole lei da me? Chi è lei?”
Quel tono duro e il modo di parlare senza incertezze, fluidamente, non si addicevano certo ad una bambina così piccola, ma niente in lei rispettava gli standard della società che abitava il mondo.
 
Ma esistono davvero parametri per definire se qualcosa è o non è normale?
Perché lei doveva per forza venire guardata come fosse un mostro, oppure come fosse una rarità da tenere in una teca di vetro?
Perché lei non poteva essere normale? Chi lo aveva stabilito?
 
L’uomo sorrise ed Anthea percepì sulla pelle un disagio pungente.
‘Non ti fidare di lui’ era ciò che il suo cuoricino le gridava.
 
“Io sono Adam Lewis e gestisco un’associazione che dà ai bambini particolari come te ciò che maritano davvero. Tu sei speciale, perché dovresti passare il resto della tua vita confinata in questo posto dimenticato da Dio?”
 
Dio ha dimenticato anche me, avrebbe voluto rispondere lei, ma ricacciò in gola le parole, sostituendole con altre altrettanto taglienti.
“Perché dovrei fidarmi di lei?”
Adam intrecciò le mani sotto il mento e ancora una volta sfoggiò quel maledetto falso sorriso, che le metteva i brividi.
“Perché io voglio solo il meglio per te. Sei speciale e-”
“Se sono così speciale come dice, allora mi spiega perché i miei genitori mi hanno abbandonata non appena sono venuta alla luce.”
La bambina era in piedi sulla sedia, teneva le manine poggiate sul tavolo ed il busto era inclinato verso l’uomo.
Adam rimase in silenzio per qualche attimo, completamente spiazzato dalla reazione della piccola.
“La gente comune porta con sé determinati pregiudizi, mia cara. E molto probabilmente i tuo genitori non hanno minimamente afferrato l’entità del tuo essere.”
Stava cominciando ad utilizzare un linguaggio più ostico per lei, ma ciò non la scoraggiò affatto.
“Quale sarebbe l’entità del mio essere, allora?”
“Oh, questo è ciò che bisogna scoprire.”
 
Lewis fece un cenno con la mano ad uno degli uomini seduti al suo fianco.
Quello si alzò in piedi, infilò una mano nella giacca e tirò fuori una pistola di un nero lucente.
Anthea sgranò gli occhi e percepì il respiro bloccarsi nella gola, mentre il sudore freddo le imperlava la schiena.
Non ebbe nemmeno il tempo di muoversi, che l’uomo aveva già premuto il grilletto.
Ma il proiettile non la raggiunse.
Si fermò a pochi centimetri dalla sua fronte e rimase sospeso nell’aria.
Adam scorse qualcosa di indefinito cambiare nei grandi occhi blu della bambina, prima che quelli si chiudessero.
Anthea cadde a terra, priva di sensi, mentre il proiettile si schiantava sulla superficie lignea del tavolo.
Sul viso di Lewis si disegnò un sorriso agghiacciante, sadico quasi.

“L’abbiamo trovata, finalmente. Il Padrone aveva ragione.”

Quando Anthea riaprì gli occhi, ad accoglierla non ci furono più le pareti del grande monastero, ma solo dolore, sofferenza e sangue.
 
 
 
                                                      ***
 
 
 
Presente
 
Se aveva deciso di aiutarla era solo e soltanto perché quella ragazzina era estremamente interessante.
La notte era passata velocemente ed il sole era già alto nel cielo.
Si trovavano di nuovo nella palestra e Loki osservava Anthea muovere un numero elevatissimo di oggetti contemporaneamente. Tutto nella grande sala era animato dalla forza invisibile esercitata dalla mente della ragazza.
Il dio lanciò un’occhiata alle pistole sospese a mezz’aria che sparavano contro i bersagli, poi spostò lo sguardo sugli innumerevoli coltelli che volteggiavano intorno a loro ed infine tornò a concentrarsi su di lei.
 
“Basta così.”

In pochi secondi tutto tornò ad essere inanimato ed immobile.
Anthea aprì lentamente gli occhi, interrompendo il momentaneo stato di distacco dal mondo esterno.
“Allora?”
Loki ghignò davanti all’espressione corrucciata della ragazza.
“Non male, ma sei tremendamente instabile quando eserciti il tuo potere. Basta un alito di vento per farti barcollare e poi crollare.”
Anthea sbuffò frustrata e si passò una mano tra i capelli, scostandoli dalla fronte sudata.
“Ne sono consapevole, Loki. Tu dovresti dirmi come stabilizzare quello che ho dentro, no affermare ciò che è ovvio.”
 
La risata profonda di Thor giunse alle orecchie di entrambi e Loki si voltò per fulminarlo con lo sguardo.
Il biondone era appoggiato alla parete lì vicino ed aveva il compito di controllare il fratello, in modo da evitare altri guai, e Clint, appollaiato su una delle travi d’acciaio che percorrevano il soffitto, era una maggiore precauzione contro il dio dell’inganno.
Degli altri Vendicato non c’era traccia, ancora.
 
“Se desideri così ardentemente delle risposte, mia cara, devi lasciarmi penetrare qui dentro.”
Loki poggiò l’indice destro sulla fronte della ragazza, che si ritrasse come scottata.
“E ancora devi spiegarmi perché hai condiviso il tuo potere. Se sei consapevole che in questo modo sei più debole, allora cosa ti ha indotto a prendere una decisione tanto svantaggiosa?”
Anthea abbassò lo sguardo, per sfuggire agli occhi di ghiaccio del dio.
“Non c’è altro modo per risolvere il problema?”
“Mmmh, potrebbe anche esserci, ma in questo momento la mia memoria non funziona come dovrebbe.”
“Sei un bastardo, lo sai questo?”
La risposta fu un ennesimo ghigno accattivante.
Loki era troppo vicino ed Anthea percepì il desiderio di scappare via, lontano dall’aura penetrante ed oscura emanata dal dio. Si morse il labbro inferiore e strinse i pugni.
“Avanti allora. Hai libero accesso.”
La ragazza sospirò stancamente ed aprì la mente, abbassando ogni barriera e rendendosi completamente vulnerabile.
Perché lo stava facendo? Voleva cambiare. Voleva essere migliore.
Stava mettendo in gioco tutta sé stessa.
 
Loki, sorpreso da quell’inaspettata concessione, poggiò entrambe le mani sulle tempie della ragazza e chiuse gli occhi, preparandosi ad invadere la sua essenza.
 
“Non andare fino in fondo, Loki. Prendi ciò di cui hai bisogno, ma non scavare oltre il necessario. Ti chiedo solo questo.”
Era una supplica.
Il dio non rispose, ma Anthea era certa che avesse ascoltato le sue parole e sperò vivamente che accettasse quel vincolo, rappresentante il confine tra luce ed oscurità.
Un’oscurità cremisi.
 
Thor e Clint, che non riuscivano a capire cosa i due stessero confabulando, rimasero alquanto interdetti nel vederli così vicini.
“Che diavolo combinano?” sbottò l’arciere, arricciando il naso.
Il principe asgardiano fece spallucce.
“Non saprei, amico mio.”
 
Intanto, Loki aveva iniziato a farsi largo nello spirito della ragazza.
Non avrebbe visto le sue memorie e non avrebbe letto i suoi pensieri, poiché penetrare in un altro essere non significava accedere ai segreti custoditi nella mente, ma aveva come unico fine quello di scoprire come fosse e da cosa fosse costituita l’essenza elementare.
Era come cercare di capire di quale materiale fosse un oggetto, con gli occhi bendati, solamente tastandolo.
L’essenza del dio possedeva il ruolo delle mani: sarebbe entrata nel corpo di Anthea e ne avrebbe percepito, tastato l’essenza elementare, per scoprirne la composizione e di conseguenza le capacità, anche quelle più occulte.
Loki era consapevole che la ragazza lo aveva implorato di non osare troppo, di non andare fino in fondo, ma la curiosità gli stava rodendo lo stomaco da quando aveva visto quella piccola midgardiana per la prima volta.
Nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, il dio aveva letto in quegli occhi simili ad abissi oscuri qualcosa di estremamente evidente, ma sfuggente al tempo stesso. Come quando si ha una parola sulla punta della lingua che continua a sfuggire, oppure come quando si ha qualcosa proprio davanti agli occhi, ma non la si riesce a mettere perfettamente a fuoco. Per Loki era lo stesso.
Gli sfuggiva quel particolare che avrebbe completato il puzzle, che già aveva in parte assemblato nella propria testa.
E poi c’era ancora una cosa che non gli era chiara e che la giovane umana era decisa a tenere segreta.
Anthea aveva deliberatamente spostato una parte del suo potere nel corpo del super soldato, che era diventato a sua insaputa un portatore passivo.
Il Capitano non aveva accesso a quel potere ed il suo corpo stava svolgendo il compito di semplice contenitore.
In questo modo, la ragazza non aveva a disposizione tutte le sue forze, perciò risultava essere molto più debole di quanto in realtà non fosse.
Ecco, Loki voleva risposte e le avrebbe trovate lui stesso, anche contro il volere di quella piccola midgardiana.
Midgardiana davvero?
Un ultimo sforzo e la invase completamente.
 
 

                                                       ***
 
 

Non ricordava molto bene dove si trovasse in quel momento e molto probabilmente nemmeno cosa ci stesse facendo lì - dovunque fosse -, ma almeno il suo nome lo ricordava.
Concesse al cervello intorpidito qualche minuto per ricominciare a funzionare doverosamente e quando i neuroni finalmente si risvegliarono e le sinapsi ripresero il loro ritmo naturale, Steve ricordò perfettamente ogni cosa.
Ti ha baciato.
Okay, forse quella cosa la ricordava meglio delle altre e decise che per il momento avrebbe fatto meglio ad accantonare per un po’ ciò che era accaduto la sera precedente.
Con movimenti degni di un vecchietto novantenne scese dal letto, ma rimase palesemente sorpreso quando si accorse che stare in piedi non era più così complicato, come lo era stato gli ultimi giorni ed in particolare quello prima. Si sentiva in perfetta forma, se non contava qualche acciacco dovuto all’ultima missione suicida in Canada.
Si stiracchiò e le ossa scricchiolarono, mentre i muscoli si tendevano.
Lo sguardo gli cadde sulla piccola sveglia digitale poggiata sul comodino di fianco il letto. Spalancò gli occhi, quando scoprì che mancava poco più di un’ora a mezzogiorno e lui era ancora in mutande.
Quando diavolo aveva dormito!
Loki!
Incespicò nella divisa nera che aveva abbandonato a terra la sera prima e subito dopo l’afferrò per indossarla.
Corse nel piccolo bagno, ma passando davanti lo specchio appeso sopra il lavello notò un particolare fuori posto.
Tornò a specchiarsi e rimase abbastanza perplesso nel rendersi conto di avere attaccato sulla fronte un post-it giallo fosforescente.
Lo prese e iniziò a leggerne il contenuto.
 
Quando leggerai questo messaggio sarai appena sveglio, quindi …
Buongiorno Capsicle!
Mentre recitavi il ruolo della Bella Addormentata - Nat ha detto che sembravi più un morto, ma sorvoliamo -, noi altri abbiamo sgobbato e alla fine siamo riusciti a portare Loki sulla retta via.
In questo momento - se non è ancora mezzogiorno - il dio complessato e la tua ragazza - Clint ha parlato - sono nella palestra a darsi da fare - tranquillo non in quel senso - perciò datti una mossa e raggiungi Point Break e Legolas che stanno facendo il turno di guardia.

Io volo a prendere alcune cose alla Tower, quindi se vorrai urlarmi in faccia o prendermi a pugni dovrai aspettare mezzogiorno, ora del pranzo strategico - sarebbe una specie di riunione -, perciò cerca di sbollire la rabbia prima dell’incontro.
A dopo, Rogers!
Con tanto affetto,

                                                       Il tuo amatissimo Stark

 
 
Era sempre il solito quell’idiota.
Era meglio poi tralasciare il fatto che si fossero intrufolati nella sua stanza, neanche fossero ladri.
Steve sbuffò, ma le labbra si piegarono in un leggero sorriso.
Attaccò il post-it al vetro dello specchio, si infilò la divisa nera e cercò di rendersi presentabile, anche se i capelli non volevano saperne di tornare al loro posto.
Qualche minuto dopo lasciò la stanza, diretto alla palestra.
Fu mentre percorreva i diversi corridoi, che percepì lo stomaco contrarsi tanto dolorosamente, da costringerlo a piegarsi in avanti.
Ebbe l’assurda sensazione che qualcosa si stesse muovendo violentemente dentro il suo corpo.
Cercò di fare respiri profondi e di mantenere la calma, ma non era affatto facile, dato che credeva di sentir esplodere le proprie interiora da un momento all’altro.
 
“Ehi Steve, ti senti bene?”
La mano di Bruce si poggiò delicatamente sulla sua schiena.
“Aiutami a raggiungere la palestra.”
Banner annuì e Steve si appoggiò a lui.

Qualunque cosa gli stesse accadendo, la risposta era un ragazza dai grandi occhi blu.
 
 
 
                                                          ***
 
 
 
Tutto era accaduto troppo velocemente e Clint non aveva minimamente capito cosa fosse successo, così come Thor, che adesso stava aiutando Loki a rimettersi in piedi.
Il dio dell’inganno era stato sbalzato all’indietro di colpo ed aveva fatto un bel volo, prima schiantarsi sul pavimento.
 
Anthea respirava con fatica e stringeva i denti, come se stesse facendo uno sforzo al di fuori delle sue possibilità.
“Accidenti” sfiatò, cadendo in ginocchio.
“Ti avevo avvertito, Loki, ma tu non mi hai dato ascolto e adesso …”
La ragazza non riuscì a terminare la frase, poiché le parole vennero sostituite da un grido di dolore.
 
Loki, al fianco di Thor, guardava la scena immobile, con sguardo vacuo.
Ciò che aveva visto lo aveva sconvolto abbastanza da ammutolirlo.
Cremisi, erano cremisi.
Appartenevano ad un demone.
Erano simili ai suoi, quando assumeva le fattezze di Gigante di ghiaccio.

 
Anthea gemeva, sofferente.
“Non dovevi disturbalo, dannazione!” gridò con rabbia.
Non poteva permettere di lasciarsi andare o sarebbe stata la fine.
Doveva tenersi tutto dentro, niente poteva venire fuori.
Si morse con forza il labbro inferiore, che pianse gocce di sangue.
Gridò ancora.
Stava per raggiungere il limite, quando un tocco caldo e delicato le accarezzò la schiena tremante.
“Dimmi come posso aiutarti.”
La voce di Steve ebbe lo stesso effetto di un calmante, anche se distorta appena dal dolore che stava provando anche lui.
Mai come in quel momento, la ragazza si maledì per aver creato quel legame tra di loro, perché Steve sarebbe stato costretto a provare dolore ogni volta che il suo spirito fosse stato scosso, proprio come stava accadendo in quel momento.
“Tranquillo, è quasi passato.”
E fu così.
Il dolore si tramutò in un debole formicolio e sia Anthea che Steve poterono tirare un sospiro di sollievo.
 
“Tutto okay, Capitano Rogers?”
“Sì, grazie Bruce.”
Il dottore si aggiustò gli occhiali sul naso e annuì in direzione di Thor, per confermargli che la crisi era passata.

Rogers avvolse un braccio attorno alla vita della ragazza, per sostenerla, dato che faticava a reggersi in piedi.
Nessuno in quel momento riusciva a spiccicare parola.
Le stranezze non facevano altro che aumentare.

“Ehi ragazzi, shawarma per tutti!”
Tony Stark fece il suo ingresso nella sala, con in mano diverse buste contenenti la pietanza di carne mediorientale.
“Cosa sono quelle facce da funerale? Mi sono perso qualcosa?”
Lo sguardo del miliardario cadde su Rogers, o meglio, sul suo braccio stretto attorno i fianchi di Anthea.
“Stark, togliti quell’espressione dalla faccia o giuro che ci penso io a farla sparire.”
“Oh come siamo permalosi, Capsicle.”
 
Quel semplice botta e risposta ebbe un effetto quasi miracoloso sull’atmosfera opprimente che si era venuta a creare.
I volti dei presenti si distesero visibilmente, tranne quello di Loki, l’unico ancora profondamente turbato a causa di cose che tutti gli altri ignoravano.
 
“Che ne dite di andare a mangiare adesso? Si ragiona meglio a pancia piena, no?”
“L’uomo di metallo ha perfettamente ragione.”
“Io ho sempre ragione, Point Break.”
 
 
 
                                                      ***
 
 
 
L’ufficio di Nick Fury era stato momentaneamente trasformato in una mensa, nella quale alleggiava l’odore di shawarma, di cui non era rimasta nemmeno una briciola.
Perfino Loki si era adattato a mangiare quello che per lui non era cibo degno per un dio, mentre ad Anthea la pietanza era parsa la cosa più buona del mondo, dato che era qualche giorno che non mangiava.
Si erano ancora una volta riuniti intorno al grande tavolo circolare per mettere a punto una strategia d’azione.
Ma la domanda che adesso tutti si ponevano era un’altra e riguardava il mutismo di Loki, il quale continuava a lanciare sguardi taglienti in direzione della ragazza paranormale.
 
Fury, l’unico che aveva rifiutato il cibo offertogli da Stark, sbuffò frustrato.
“Allora, volete spiegarmi cosa è successo? Dico a te, Loki.”

Loki rivolse all’uomo uno sguardo agghiacciante, seguito da un ghigno strafottente.
Volevano sapere? Avrebbero saputo, ma solo ciò che Loki avrebbe deciso di rivelare.
 
“Voi umani siete talmente ingenui da farmi quasi pena. La giovane midgardiana è davvero brava a recitare la parte della povera vittima sfruttata. Si sta prendendo gioco di voi, non ve ne accorgete?”
 
Era stato come scagliare una pietra in uno specchio d’acqua all’inizio apparentemente calmo, ma che a causa di quel piccolo corpo estraneo, ora era divenuto agitato e coperto di increspature. Ecco, le parole di Loki avevano sortito lo stesso effetto sulle menti dei Vendicatori, che adesso faticavano a formulare pensieri coerenti.
Ed il fatto che Anthea non parlasse, peggiorava non poco la situazione di pura tensione che si era venuta a creare.
 
“Smettila con i tuoi stupidi giochetti Loki. Lei non sta mentendo.”
Steve si trattenne a stento da saltargli addosso, limitandosi a rivolgergli uno sguardo tagliente ed intenso.

“Parli proprio tu in sua difesa, Capitano? Non ti accorgi che lei ti sta usando? Rispondi a questa domanda. Tu sei consapevole di ciò che adesso si nasconde nel tuo corpo?

Rogers rimase palesemente perplesso, e con la coda dell’occhio cercò il volto di Anthea, che era seduta proprio al suo fianco.
Lo sguardo della ragazza era imperscrutabile.

“Di che cosa stai parlando, piccolo cervo?”
La voce di Stark tradiva un certo nervosismo, nonostante il tono sarcastico.

“La giovane midgardiana afferma di non saper controllare il proprio potere, quando invece riesce a gestirlo perfettamente. Lei ha spostato parte della sua forza nel tuo corpo, soldato.”
Loki fissò lo sguardo negli occhi azzurri di Steve e vi trovò incertezza, poi ghignò, soddisfatto del proprio operato.
 
“Perché l’avrebbe fatto?”
Bruce portò una mano al mento, assumendo un’espressione pensierosa.
Loki si umettò le labbra e gli occhi di ghiaccio brillarono pericolosamente.
“Per lei era impossibile gestire tutto il potere che aveva in corpo, ecco perché lo ha fatto. E adesso, caro il mio soldato, sei costretto a condividere un dolore che non ti appartiene, perché lei è troppo debole per sopportarlo da sola. Ti sta usando perché sei l’unico umano capace di sopportare un tale fardello senza soccombere. Non le importa niente di te e quando sarà pronta, riprenderà ciò che è suo e tu morirai.”
Quelle parole, sostenute da un tono orgoglioso, erano state rivolte a Rogers, che boccheggiò come per trovare una lucidità appena smarrita.
 
“Questo non è vero.”
Anthea si era alzata in piedi e la sedia era caduta all’indietro con un tonfo sordo.
Rivolse a Loki uno sguardo duro ed ostile, mentre i muscoli delle braccia scoperte si tendevano e le mani tremavano di rabbia.

“Cosa esattamente non è vero?” s’intromise Barton, incrociando le braccia al petto e rivolgendo alla ragazza uno sguardo talmente intenso da farle attorcigliare lo stomaco.

Anthea abbassò gli occhi e la rabbia venne sostituita da un forte senso di impotenza, perché Loki non aveva tutti i torti.
Cos’altro aveva visto Loki? Cosa avrebbe potuto usare contro di lei ancora?
“Io ho passato una parte del mio potere a Steve, perché non riuscivo a controllarlo da sola. Ho dovuto, ma-”

“Quindi lo stai usando?”
L’ostilità di Natasha le fece male, tanto quanto gli sguardi diffidenti che sentì appiccicarsi sulla pelle.
Era così facile perdere la fiducia di una persona?
“Io …”
Le parole non venivano fuori, rimanevano intrappolate nella gola.

“Tu cosa?” la incalzò Stark.

Le labbra si dischiusero, ma ancora una volta nessun suono venne fuori.
 
Lo stridio di una sedia contro il pavimento.
Passi veloci e decisi.
La porta che sbatteva con violenza.
Silenzio.
Steve aveva appena abbandonato la stanza.
 
Loki ghignò, pienamente soddisfatto dei risvolti, ma il respiro gli si spezzò, quando una stretta ferrea si chiuse attorno alla sua gola e fu spinto a terra con violenza.
A pochi centimetri dal suo viso c’era quello di Anthea, che riusciva a tenerlo bloccato con il peso piuma del suo corpo, mentre entrambe le mani erano impegnate a strangolarlo.
Gli occhi della ragazza erano diventati talmente scuri da apparire quasi neri e il dio sentì quello sguardo perforargli l’anima.

“Bastardo! Sei un lurido verme!”

La ragazza era accecata dalla rabbia, che continuava a crescere a dismisura, annebbiandole la mente.
Quattro mani le presero le braccia e la staccarono dal collo di Loki, che prese a tossire quando finalmente l’ossigeno tornò ad inondargli i polmoni.
Thor e Clint cercarono di tenere ferma la ragazza, che continuava a scalciare come una disperata, gridando insulti contro il dio che era riuscito a portare il caos in una situazione che fino al giorno prima pareva essersi stabilizzata.
 
“Portatela nella cella anti-Hulk. La terremo lì finché la situazione non sarà chiarita.”
Era stato Fury a parlare.
Barton volse il capo verso Thor, che annuì grevemente.
 
 
Arrivarono davanti una cella identica a quella che aveva ospitato Loki durante il suo primo soggiorno sulla Terra. Era stata ricostruita dopo che era precipitata nel vuoto con all’interno un Thor beffato ed arrabbiato.
Anthea si bloccò ad un passo dall’ingresso di quella grande teca di vetro. Una volta uscita dall’ufficio di Fury, si era lasciata condurre da Thor e Clint fino lì, senza opporre resistenza.
Si voltò a guardare i due Vendicatori.
“A me importa di lui. Mi importa davvero.”
“Mi dispiace giovane midgardiana, ma la difficile situazione ci costringe ad essere cauti. Ma sappi che io non dubito del tutto di te.”

“Dovresti farlo Thor.”
Gli occhi chiari di Clint la studiarono per qualche secondo, poi la ragazza venne fatta entrare nella cella e la porta fu sigillata.
 
Quando rimase sola, Anthea si lasciò cadere in ginocchio. Si prese il viso tra le mani e un singhiozzo le sfuggì dalle labbra.
Ma non pianse.
Imbrigliò le emozioni per non rischiare di perdere il controllo.
“Mi dispiace.”
Sperò che Steve l’avesse udita, ma non ottenne risposta.
 
 
 
                                                     ***
 
 

Le ore erano trascorse tra discussioni, imprecazioni, sfuriate e Stark aveva abbandonato l’ufficio di Fury, prima che la situazione degenerasse completamente, seguendo l’esempio di Bruce, che li aveva salutati già tempo prima.

Ormai era il tramonto.
Lo trovò in uno dei tanti corridoi che percorrevano l’Helicarrier, seduto a terra e con la schiena appoggiata alla parete. Le gambe piegate e leggermente divaricate, i gomiti poggiati sulle ginocchia ed il viso nascosto tra le mani.
Lo raggiunse, sedendosi al suo fianco.
Steve non si mosse e arrivò a pensare che nemmeno lo avesse sentito.
 
“Riguardo Loki, non dirò te lo avevo detto. Dato che sei già abbastanza distrutto, non mi sembra il caso di infierire ulteriormente.”
Fece una pausa e si preoccupò non sentendo arrivare alcun tipo di risposta da parte dell’altro, dopo quella piccola provocazione.
Ma non si diede per vinto.
“Andiamo Rogers, sappiamo tutti che Loki gode nel guardarci mentre ci scanniamo. Non possiamo prendere per vero quello che ha detto.”

“Lei non ha risposto.”
La voce di Steve era ovattata, poiché teneva ancora il viso nelle mani.

“È un bel casino, vero?”
Rogers, finalmente alzò il capo e si voltò a guardarlo.
“Sì, Stark, lo è. Io non so più cosa pensare.”
Tony gli diede una pacca sulla spalla.
“Non pensare. Agisci.”
Steve scosse il capo, sospirando appena.
“E cosa dovrei fare, secondo te?”
“Prima di tutto alzare il tuo patriottico sedere, perché sembri uno sfollato a cui hanno appena confiscato la casa.”
“Questa non faceva ridere.”
“A te non fa ridere niente, mio caro Capitan TiPregoStarkVieniASalvarmi America.”
Steve alzò un sopracciglio, perplesso.
“Io non ho mai pregato il tuo aiuto, Stark.”
“Sicuro? Ho un messaggio registrato.”
Tony ghignò e Rogers spalancò gli occhi, quando il ricordo si fece nitido nella sua memoria.
“Era un’emergenza.”
“Oh sì, lo era.”
Il miliardario gli fece l’occhiolino e poi si rimise in piedi.
Steve lo imitò, ma quando tornò a guardare il compagno, rimase spiazzato dall’espressione allarmata sulla sua faccia.
Tony stava guardando un punto alle sue spalle, perciò si voltò per scoprire cosa lo avesse turbato.

“Stark, non c’è niente.”

“L’ombra.”

Steve corrugò la fronte.
“Cos’ha che non va la mia ombra?”

Stark deglutì.
“Non è la tua ombra, Cap. Le nostre sono sul pavimento.”
 
Steve constatò la verità di quell’affermazione, guardando in basso.
“Maledizione.”
Quando si voltò nuovamente verso la stranezza, non fece in tempo nemmeno ad accorgersi che la massa nera si era mossa.
Una mano nera come le tenebre si strinse intorno alla sua gola, bloccandogli il respiro.
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo capitolo, che precede l’azione dei prossimi.
Spero vi sia piaciuto e se qualcosa non vi è chiaro non dovete far altro che chiedere!
Ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi.
E grazie a chi continua a recensire questa storia <3
Un abbraccio e alla prossima!

Ella
   
 
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