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Autore: Naki94    25/11/2014    1 recensioni
Unico momento di ristoro della giornata è il pomeriggio. Ma nel condominio in cui vive, proprio in quelle ore, i bambini giocano al parco e un terribile rumore scivola sulle pareti dal piano di sopra fino al suo cervello stanco.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tenero lettore che si troverà a leggere queste mie disperate parole sarà sorpreso di scoprire come l'essere umano cammini costantemente sul filo della ragione e, passo dopo passo, egli attraversa la sua quotidianità e, sebbene sia ormai avvezzo e addestrato nel farlo, egli può in pochi istanti avvertire il vuoto e perdere improvvisamente l'equilibrio precipitando, dopo una vita retta e virtuosa, nel tragico baratro della follia. Ecco dunque che vi racconto come è andata questa triste storia.

Abitavo oramai da solo da qualche anno dopo la tragica scomparsa di mio padre e il ritiro di mia madre anziana in una casa di riposo. Risiedevo in un appartamento modesto al secondo piano di un altrettanto umile condominio e in quel luogo, sebbene io all'epoca presi a fare due lavori, non avevo avuto grosso modo di conoscere il mio vicinato più attiguo, se non un'amabile portinaia che ogni mattina aveva il buon cuore di salutarmi illuminandomi le ore successive della giornata. Costei, alle volte, mi allungava di fretta il quotidiano del giorno senza farmi pagare nulla. Questo perché il marito possedeva una nota edicola, presso la stazione dei treni in paese.

La mattina prestavo servizio in una stamberga poco lontana dal condominio in cui abitavo, tant'è che sovente preferivo arrivarci camminando giungendo per il viale alberato. Alla sera invece lavoravo come cameriere in un ristretto ristorante in periferia, quest'ultimo mestiere era assai ostico per via del diretto contatto con i clienti e sopratutto di loro certe pretese e richieste che in serata s'accumulavano divenendo la mia principale fonte di nervosismo e stress.

Nel pomeriggio invece cercavo di prendere sonno e ricaricarmi di nuove energie, tuttavia capii ben presto che questa non era affatto una questione semplice e banale, poiché una nuova famiglia si era da poco sistemata nell'appartamento esattamente sopra il mio ed essi, ovviamente ignari del mio bisogno di ristoro e con buone intenzioni, lasciavano giocare i due bambini nel piccolo parco sottostante, mentre loro terminavano di riordinare le stanze in seguito al trasloco.

Vi fu un pomeriggio d'inverno che prese a nevicare e tutti i bambini del vicinato cominciarono a divertirsi con la neve giocando perlopiù nel parco attiguo alla mia camera da letto e sotto il porticato dell'edificio. Nonostante avessi detto loro di allontanarsi un po' perché desideravo riposarmi essi non mi ascoltarono continuando le incessanti grida gioiose. Dunque mi voltavo continuamente sul letto che già di suo scricchiolava e alle volte m'impediva il sonno, provavo a cercar rifugio da quelle voci sotto spessi strati di coperte o avvolgendomi col viso nel cuscino premendo sulle orecchie, ma nulla da fare poiché esse s'insinuavano con la forza di un chiodo, attraverso le tempie, fino al cervello. Le grida dei bambini non era tuttavia ciò che più mi recava disturbo poiché vi era un rumore bizzarro che si faceva strada tra le pareti fino alla mia stanza ed esso era pure indefinibile seppur la mia mente si sforzasse di intuire da quale apparecchio provenisse. Assomigliava allo stridio di una tapparella arrugginita, tuttavia non poteva essere quella la fonte del mio rumore infernale, poiché esso poteva durare diversi minuti senza sosta e non vi erano tapparelle nel condominio da issare così a lungo. Quello stesso pomeriggio, tentando di mantenere la calma, suonai al campanello del mio nuovo vicinato e parlai con il signore e la signora F. del mio problema ed essi, cordiali e gentili, mi invitarono a sedere sul loro nuovo divano a bere una tazza di tè inglese. Ascoltarono con interesse ciò che avevo da dire e, dispiaciuti, mi raccomandarono che avrebbero portato i bambini al parco del paese. Per quanto riguarda il rumore giurarono entrambi di non aver udito nulla quel pomeriggio e che, se lo avessero sentito, avrebbero certamente provveduto.

Il giorno seguente, come promesso, i bambini furono lasciati al parco del paese e, nella zona attigua al condominio, regnò una splendida pace, tuttavia il mio sonno, da poco iniziato, fu bruscamente interrotto da quel fastidiosissimo rumore metallico e graffiante mentre l'immagine questa volta che mi apparve alla mente era quella di un rampino contro l'intonaco di una parete. Provai comunque di non pensarci e tentare di dormire, ma in me ribolliva il fuoco ardente della rabbia e più mi imponevo di non volgergli il pensiero, più il rumore aumentava di intensità. Quel pomeriggio non dormii affatto e la serata al ristorante fu difficile da sopportare, con il peso della stanchezza e le livide occhiaie.

Suonai nuovamente al vicinato poiché ero certo che il rumore provenisse dalla loro abitazione, ma essi negarono ancora l'esistenza di quell'orribile suono giurando di non aver udito nulla. In me crebbe presto il dubbio che essi provavano piacere nel burlarsi di me e della mia condizione, dunque sopportai in silenzio, senza più lamentarmi, per altre due settimane attendendo con ansia che quel lancinante rumore terminasse e che il divertimento dei due coniugi, nel vedermi soffrire, giungesse al termine giacché non destavo più alcuna polemica. Tuttavia il rumore non cessò continuò ad echeggiare per le mura del mio appartamento giungendo come una flotta di aghi nel mio cervello sanguinate di rabbia.

Una sera di Febbraio decisi di non andare al lavoro con la scusante che, durante il giorno, ero stato colpito da una improvvisa febbre e il mio titolare, un certo signor H., mi augurò ogni bene nell'attesa che mi riprendessi al più presto.

Dunque a crepuscolo inoltrato, avvolto dalle ombre dei corridoi, salii le scale al piano di sopra e, con un pretesto, entrai in casa dei miei simpatici vicini che si dimostrarono, come sempre, cordiali e felici della mia inaspettata visita. Parlai con loro per circa una mezz'oretta tentando di decifrare qualche espressione sotto la maschera che in qualche modo li incriminasse e li tradisse. Io sapevo che erano loro che causavano quel rumore, ne ero certo e, nonostante il rovello, rimasi impassibile, quieto e lucido quando parlai con loro. Intanto i bambini andarono a letto e il signore e la signora F. si accomodarono sulla parte opposta del divano.

Ogni minuto che passavo in loro presenza diveniva sempre più insopportabile quell'orribile farsa fintanto che, dal pastrano che ancora avevo addosso, non sollevai un lungo e appena affilato coltello che il cuoco del ristorante per cui lavoravo mi aveva gentilmente concesso di prendere in prestito. Non rammento esattamente la prima espressione di stupore che i miei vicini ebbero alla vista di quell'inaspettato oggetto poiché, non appena lo mostrai loro, esso venne indirizzato dalla mia mano attraverso la loro gola. Il taglio profondo che recai loro gettò nell'aria moltissimo sangue e impedì loro di strillare e richiamare l'attenzione di qualcuno. Contemplai la scena per qualche minuto seduto esattamente davanti a loro ad osservare il progressivo impallidire dei volti finché essi non svennero per via dell'alta quantità di sangue perduto.

Dopodiché mi alzai e uccisi con decisione anche i due figli che nel frattempo non s'erano accorti di nulla nel sonno leggiadro e tranquillo che a me era stato negato. I loro corpi mutilati inzupparono le lenzuola con aloni scuri.

Quella notte dormii serenamente e scevro di rimorso fino al giorno seguente quando fui destato dalle indagini degli agenti di polizia. Ovviamente negai l'accaduto e, con una certa soddisfazione in viso, tentai la sorte invitandoli ad entrare e controllare l'appartamento anche senza mandato di perquisizione. Fu un gesto azzardato e folle che mi eccitò finché, con aria beffarda non li salutai augurando loro una buona giornata. Senz'altro quel mio atteggiamento fece nascere un certo sospetto nei miei confronti, ma non me ne curai poiché finalmente potevo tornare al mio sonno ristoratore.

Fu un colpo al cuore quando all'inverosimile udii nuovamente, prima nei miei incubi e poi nella realtà, i graffi prodotti da quel rumore scivolare sulle pareti fino al mio cervello. Non era possibile! Nessuno abitava più al piano di sopra!

Indispettito dal quell'orribile scherzo mi levai dal letto e vagai per tutta la casa seguendo ogni singola inclinazione di quell'incessante molestia finché non giunsi al ripostiglio ove, con occhi attoniti, presi atto del mio malessere psichico alla vista della vecchia lavatrice di mia madre che, quand'era in funzione il cestello interno, produceva un terribile rumore.

Infine chiamai io stesso la polizia e, facendomi subito arrestare, confessai l'accaduto e le miei terribili azioni.

   
 
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