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Autore: Elle Douglas    26/11/2014    1 recensioni
'Ci facciamo sedici foto, e cerchiamo di cambiare espressione e posa in ognuna per renderle diverse.
Alla fine davanti a quella camera diamo anche la testimonianza del nostro amore, e a quello dedichiamo più foto.
Usciamo da lì, e la macchinetta ci da quelle foto un po’ sceme, un po’ serie, un po’ pazze, un po’ innamorate, un po’ noi.
Io le guardo con il mento sul suo braccio mentre lui le tiene in entrambe le mani.
‘Tu quale vuoi?’, dice tenendole in mano ed esaminandole insieme a me.
‘Non posso prenderle’, gli dico affranta.
Lui mi osserva, poi intuisce.
‘Ah, già. A volte dimentico…’, fa lui tra il serio e il dispiaciuto.
‘Specie in serate come questa’, aggiungo io. ‘… in cui tutto sembra perfetto. Noi siamo perfetti’.
-
*Seguito in parte di 'My life with you (Simply Dream).
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7. Mi manchi da una vita.

Voglio stare sola per un po’. Non cercarmi.
Il mio cellulare emette uno strano suono e mi informa che il messaggio è stato inviato.
C’è un appartamento nel pianerottolo, di fronte a quello di Colin che ho preso in affitto da pochissimo.
Mi ha aiutato lui e il fatto che gli fosse vicino, forse è stato ancora più da monito per prenderlo definitivamente e pian piano sto spostando tutte le mie cose.
Ho preso una pausa da entrambi.
E la domanda che mi sorge subito spontanea è come faccio a prendere una pausa da entrambi, se uno di loro lo vedo ogni giorno, soprattutto stando qui ora.
Colin è l’unico a sapere di quell’appartamento, ed è l’unico che sa dove io sia, probabilmente.
Credo lo immagini.
Non ho altri posti quindi credo non sia molto difficile da intendere.
E’ l’unico a cui non riesco a non smettere seriamente di pensare.
Sta lì in quell’angolo delle mia mente e mi pervade il cuore, senza spostarsi di una virgola e senza che io voglia che se ne vada.
Ho detto a Rob, che non riesco a vivere così, perché è la verità, e non riesco a nasconderlo più ora.
Non riesco a provare ciò che provavo prima per lui, e poi essere vicino a Colin sul set e far finta di nulla e mi dispiace ammetterlo anche a me stessa.
Gli ho confessato tutto, omettendo tutto ciò che c’è stato tra me e Colin, non voglio immaginare ciò che sarebbe accaduto se avessi detto anche mezza parola a riguardo, e sono confusa e no, il personaggio non c’entra un bel niente, ho chiarito a gran voce, sono io.
Sono io a provare tutto ciò che provo verso quell’uomo, non c’è nessuna Esmeralda a confondermi le idee, in quello basto io.
Lui ha iniziato a sbraitare.
Ha iniziato a dire che mi era stato fatto il lavaggio del cervello, e io ho alzato la voce ribattendo sul fatto che avessi un cervello mio per pensare.
Gli ho detto di andarsene, se voleva, perché io me ne sarei andata altrove.
Non tolleravo un minuto in più in quella stanza con lui, e avevo preparato poche cose per farlo.
Il suo viso si è sbiancato di colpo a quelle parole e ha cercato di trattenermi, ha afferrato il mio braccio, ma per quanto fosse stretta quella presa non ha afferrato, ne convinto il cuore. Perché il cuore ha gambe e braccia che non vedi, non riesci a trattenerlo neanche se lo vuoi. Ho visto i suoi occhi pregarmi di restare, diventare lucidi fino al confine del pianto e della disperazione e oltre al dolore per il male che gli stavo arrecando e non ho provato nulla.
Eccolo lì il fulcro di tutto.
N U L L A.
Tranne questo, niente era più in me per lui, e allora mi sono chiesta: cosa potrei dargli se non sento niente. Se il mio cuore ad ogni sua parola, contatto resta immobile e muto? Che vita potremmo vivere se anche decidessi di restargli accanto? Non sarebbe più dettata dalla felicità, ma dall’infelicità, e non è ciò che voglio.
Non per lui, non per me.
Vivremmo come degli automi vittime dell’abitudine senza più nulla a spingerci verso l’altro.
Siamo stati sei anni insieme e l’ho amato, si non posso negarlo, l’ho amato con ogni fibra del mio essere, diventando una nomade per lui, andandogli dietro per non perderlo, ammalandomi per i continui viaggi che non riuscivo più a gestire, che il mio corpo non riusciva più a mandare giù, e mi sono trasferita con lui fino a convivere e vivere ogni attimo con lui, e gli sono grata, lo adoro, e l’ho amato per questo ma ora nessun filo mi tiene attaccata a lui.
E’ la prima cosa a mancarmi è proprio questo per lui.
Essere vicini ma lontani, è la cosa peggiore, ma non so migliorare, anzi no, non so ritornare.
Gli andavo dietro per non perderlo e ora a perdermi era lui.
Quasi stentavo a credere a quelle parole che mi risuonavano tipo eco in mente.
Erano stati sei anni pieni, intensi, da ogni punto di vista e ora di tutto quello restavano solo ricordi a legarci e di tutto quell’amore preso in maniera morbosa, non restavano che briciole, rimasugli che non sapevo bene dove mettere, perché il coraggio di buttarle non l’avevo ma nemmeno di tenerle con me costantemente.
Volevo restasse nella mia vita comunque, ma non potevo decidere io, non potevo comandare gli eventi non dopo quello che stavo per fargli.
Fatto sta che non volevo abbandonarlo, nella mia vita lo avrei voluto comunque presente, ma sotto un'altra forma e dandogli un nuovo posto, comunque importante dentro me.
Perché aveva fatto parte della mia vita, di gran parte di essa e sei anni non si buttano via così. Aveva fatto parte di me, ed era divenuto importante, mi aveva chiesto di sposarlo: mi aveva formata e fatta diventare ciò che ero ora. Era dentro il mio percorso, e non lo avrei eliminato.
Ma dovevo mettermi anche nei suoi panni, avrei accettato una cosa del genere nei miei confronti se fosse stato lui a farlo, a chiedermelo?
Magari con il tempo, magari no, magari chi lo sa.
 
Sarà che le cose non andavano e sarà, anche che Colin abbia spazzato via tutto, nel momento stesso in cui ha incrociato i suoi occhi con i miei.
Ma tra noi non c’è rimasto che affetto, affetto e ricordi di sei anni passati insieme. Mi convinsi che l’unico motivo per la quale non riuscivo a tagliare quell’ultimo filo era quello.
Il mio amore per lui si era dissolto e aveva assunto una nuova forma.
L’amavo come un amica che adora il proprio amico da sempre, l’amavo nel modo in cui si ama il proprio fratello.
L’amavo nel modo in cui una ragazza non dovrebbe mai amare il suo partner.
Da parte mia, per lui c’era solo affetto e quello restava ora.
Nessuna farfalla, nessuno arcobaleno, nessun brivido. Tutto ciò che avrebbe dovuto esserci e muoversi restava fermo al suo posto.
E io, recidiva non capivo o non volevo.
Lui intanto, imperterrito continuava a chiamare.
Stanca per l’ennesima volta di quell’assillare, spensi il telefono e mi estraniai dal mondo intero.
Ecco l’ennesimo indizio che ciò che avevo non andava bene.
Non sapeva accettare ciò che gli avevo chiesto espressamente, non sapeva accettare i miei spazi anche solo per un po’.
Era molto chiedergli un po’ di pace e silenzio?
Non sarebbe mancato molto prima di farmi sentire nuovamente.
Ma lui no. Lui non capiva, non acconsentiva o forse molto probabilmente non accettava il fatto che restassi da sola con i miei pensieri a leggermi dentro, forse capiva da sé che non avrei scelto lui e alla fine sarebbe arrivato il verdetto decisivo nei suoi confronti.
Da quanto mentivo, da quanto mentivo a me stessa?
Non poteva andare avanti così, e la mia scelta si stava avvicinando.
Non potevo continuare a fondare quella storia, se ancora c’è n’era una, su bugie.
Sarebbe crollata e io con lei.
Non avrei potuto ripartire a New York e stare con lui nonostante tutto, non ci riuscivo. Come non riuscivo ad averlo intorno qui.
E poi tra tutte le cose mi sarebbe mancato Colin, di nuovo, e non volevo stare come già ero stata prima.
Non volevo ridurmi in quello stato catatonico, non mangiando e evitando ogni cosa.
Con lui che cercava pazientemente di raccontarmi le sue giornate e io che rispondevo a monosillabi, controvoglia.
Non volevo portare quel rapporto a una forzatura in tutto, senza più nessuna verità e spontaneità. Che senso avrebbe avuto?
Possibile, che preferisse avermi accanto anche a costo di vivere così, di essere infelici? Perché, nonostante avesse intuito come stavano le cose non lasciava perdere?
Che rapporto ne sarebbe uscito?
Sarebbe stato più facile, per entrambi.
E invece no, dovevo sentirmi il mostro che lo faceva stare male per questo perché non riuscivo più ad essere con lui ciò che da due mesi ero con Colin.
Mi aggiravo nella casa vuota, ancora spoglia di mobili e quant’altro, mi sedevo a terra, incrociando le gambe.
Mi appoggiavo al grande finestrone che era nel salone e una soluzione in me stava nascendo.
A chi dovevo dar la colpa?
Cosa succede nelle persone e perché l’amore cambia direzione? E’ una risposta che non so darmi.
Perché tutto, ad un tratto finisce?
 
Un leggero bussare alla porta mi sveglia da quei pensieri e riecheggia in tutta la casa.
Guardo l’ora.
Le 19.30, senza rendermene conto è passata una giornata e sono rimasta lì per quanto esattamente?
Mi chiedo chi possa essere, e tra le opzioni escludo Robert che non sa neanche dell’esistenza di questa casa.
Mi avvicino lentamente alla porta contandone i passi in modo misurato e impercettibile.
Cerco di non far scricchiolare l’unica asse del parquet che ad ogni contatto cigola.
Mi appoggio alla porta per carpirne i rumori e l’identità che c’è dietro.
‘Chi è?’, chiedo titubante.
‘La sua pizza!’, una voce ferma arriva dall’altra parte. Pizza? Non ho ordinato pizza.
Apro pronta a ribattere.
‘Mi scusi, ma ci dev’esser…’, mi ammutolisco appena lo vedo sulla soglia.
E lui mi si para davanti con due scatole di pizza sulle mani.
‘Funghi e prosciutto cotto per te, solo prosciutto per me!’, fa aprendo uno degli scatoli.
Adora la pizza, e sembra un bambino quando ne ha una.
Sorrido a quell’immagine che mi si para davanti.
Lo guardo piegando la testa di lato confusa, ci penso su e non ce la faccio a respingerlo.
Non ce la faccio mai.
‘Tu, sapevi che ero qui?’, chiedo.
‘Si vedono le luci da sotto le porte’, fa lui. ‘Se non volevi farti vedere dovevi stare al buio, e poi dove altro potevi andare?’, mi fa intuire.
Faccio cenno di sì con la testa e mi scosto di poco per farlo entrare.
Non mi sfiora, accetta i miei spazi.
Chiudo la porta, piano.
‘C’è un solo problema’, gli indico. ‘Tranne il bancone non abbiamo sedie qui’.
‘Possiamo mangiare da me, se vuoi’.
Faccio una smorfia strana, e incrocio le braccia al petto.
‘Sarebbe bello, ma se Robert decide di venire da queste parti che si fa?’.
Lui annuisce.
Avanzo piano verso di lui.
Ho voglia di contatto fisico. Ho il bisogno fisico di abbracciarlo, e mi chiedo se gli abbracci siano davvero questo, un bisogno fisico.
Non so bene per cosa, magari non c’é nessun motivo tangibile, o magari può essere racchiuso tutto in quel gesto. Mille significati e parole che sono difficili da spiegare, difficile a tradurli a parole. Forse è qualcosa che lasci intuire, che gli arrivi a dire ciò che non riesco: ‘Grazie di esserci, grazie per ciò che hai fatto e grazie per ciò che fai per me, anche nelle più piccole cose’.
Vado verso di lui e mi insinuo tra le sue braccia.
Senza consensi senza preavviso l’abbraccio. Lo stringo a me. L’abbraccio forte.
Lui è un po’ spiazzato, non se l’aspettava ma ricambia.
‘Mi sembra eccessivo per una pizza un tale ringraziamento!’, afferma in tono scherzoso.
Gli ho chiesto spazio, e sta mantenendo la sua promessa. Il problema sono io.
Sono io ad aver ceduto. Ceduto a lui. Ceduto all’evidenza dei fatti.
Quell’abbraccio mi completa.
Infilo il viso nell’incavo perfetto del suo collo.
Cede anche lui e mi abbraccia, e mi carezza la schiena. Piano. Dolcemente.
E vorrei restare così per un tempo indefinito.
Vorrei potergli trasmettere tutto attraverso di esso.
Mi sento felice e mi basta la sua presenza per riuscire ad esserlo.
Stiamo così per alcuni minuti, privi di parole ma eloquenti in quell’abbraccio.
Quasi non voglio staccarmi, perché sto così bene, ma ho paura che lui si stanchi da un momento all’altro e mi separo.
‘A cosa devo questo lungo abbraccio?’, mi chiede ancora perplesso.
Mi stringo nelle spalle e glielo dico: ‘Mi sei mancato’.
‘Ci dobbiamo vedere da ieri sera…’, continua.
‘Mi manchi da una vita’.
Lui sorride e inarca il sopracciglio, sorpreso. Pian piano si avvicina.
Ci avviciniamo.
Prende il mio viso tra le mani e i suoi occhi sono incapaci di mantenere quella domanda che tanto vorrebbe farmi ma non ne ha il coraggio.
‘Voglio te.’, gli dichiaro. ‘Solo te. Non faccio altro che pensarti, come posso respingerti? Come posso anche solo pensare di vivere senza di te?’
Una leggera commozione mi vela gli occhi e mi si blocca in gola.
E siccome non so andare oltre verbalmente, glielo dico sulle labbra.
Le fisso, quasi a cercare io quel consenso ora.
Lui è più scaltro di me e fa il primo passo, dolcemente.
Le sue labbra morbide attecchiscono sulle mie.
Ed è un bacio nuovo, con un nuovo sapore, una nuova promessa. Una nuova vita.
Su quelle labbra morbide che ora sono mie.
La sua mano mi passa tra i capelli e mi tiene più unita a lui.
Ho un brivido.
Si muovono caute, tremanti, interrotte da sorrisi prima i miei poi i suoi.
Poi i nostri.
Ci ritroviamo a sorridere, e a respirare aria nuova, e per la prima volta dopo tanto mi sento viva.
Viva davvero.
‘La pizza si fredda’, faccio io staccandomi e lo tiro per mano verso il tavolo.
‘Come se fosse la pizza a interessarmi ora!’, fa lui ammiccando.
Sorrido e mi mordo le labbra, divertita, forse per trattenere quell’insana voglia.
Mangiamo la pizza sul pavimento alla fine, ci rubiamo spicchi a vicenda, ridiamo e scherziamo.
‘Oggi il set mi è sembrato vuoto. Chiamare perché eri malata?’ Mi guarda di sottecchi, bighellonandomi. ‘ E’ stato un colpo basso’.
‘Beh, che altro potevo dire? A volte una bugia è meglio di una verità. L’importante è che non si accumulino. Qualcuno si è arrabbiato?’.
‘No, ho confermato la tua versione. Adam si è un po’ insospettito per il modo in cui l’ho detto…’.
Spalanco gli occhi immaginando il peggio.
‘Perché come l’hai detto?’
‘Per una volta non ho saputo fare l’attore’, ammette divertito.
‘Sospetta dici tu?’, chiedo.
‘C’è qualcuno che non sospetta di noi sul set secondo te?’, fa lui prendendomi in contropiede.
Cioè sanno tutti lì dentro? Resto incredula per un po’.
E addento un altro trancio assente.
‘E’ quel messaggio poi?’, intercede lui per spezzare il silenzio.
‘Volevo stare sola, e lo sono stata. Ho avuto il tempo per riordinare le mie idee’.
‘Ce l’hai fatta?’.
‘Non saresti qui se non ce l’avessi fatta’, sorrido e mordo un altro pezzo. ‘Il fatto è che, arrivando qui, stasera non hai fatto altro che avvalorare la mia tesi’
‘Cioè?’, mi chiede curioso.
‘Avrei potuto mandarti via, dirti che ti avevo chiesto un po’ di solitudine e tu, invece ne hai fatto irruzione, è magari è così. Ma non ce l’ho fatta. Non ce la faccio. Quando ti vedo, quando mi stai attorno mi rendi serena, felice e le farfalle iniziano ad avere vita propria appena scorgono il tuo volto, il tuo sorriso. Mentre se avrei aperto e mi sarei trovata Rob davanti, lo avrei mandato via e avrei chiuso la porta. Questo secondo cosa vuol dire?’, lo guardo assorta.
‘Che non aspettavo altro’.
Sorridiamo.
Sorrido, ed è tutto così naturale. Niente è forzato, niente è dovuto. Tutto è come dovrebbe essere e assume quasi una certa quotidianità nelle cose.
Il mio cuore è dove deve essere e se potesse mi schizzerebbe fuori dal petto per quello che finalmente ho deciso.
Lui mi bighellona più volte, io mi fingo arrabbiata.
Poi scherziamo, ridiamo, gioca con i miei capelli, mi accarezza e non fa altro che baciarmi ripetendomi ‘Sei mia, finalmente’, e non lo so, ma a quelle parole mi sembra di morire ogni volta.
Ho i brividi.
Sono sua. Davvero. E sono felice.
Lui comincia con qualche progetto, io no. Penso ad ora, al preciso momento in cui siamo.
‘Non dobbiamo più nasconderci.’, gli dico con una luce nuova negli occhi.
E lui sembra felice a quell’osservazione.
Al mondo faremo credere per un po’ ancora ciò che vogliono, ma con il cast caleremo la maschera.
 
Mi raccomando non fate sì che nascano storie sul set, sarebbe difficile andare avanti se ci sarebbero problemi tra voi. Ne va dello show, sappiatelo.
Mi rimbomba in mente questa frase, e di colpo divento tesa.
Guardo Colin terrorizzata, ma non vede il perché.
‘Adam, aveva detto di non far nascere relazioni tra noi colleghi…’, lascio intuire.
Lui si rilassa, credeva il peggio.
‘Allora Ginny e Josh?’, fa lui allusivo.
Già, Ginnifer e Josh? io non c’ero, e nemmeno Colin però, cosa potremmo saperne di cosa è successo poi?
‘Davvero, non ci devi pensare. Non ti devi preoccupare per questo’. Afferma vedendomi ancora pensierosa.
E decido di non farlo, almeno non quella sera. Non ora.
Mi alzo e raccolgo gli scatoli da terra.
Lui si alza con me.
‘Comunque non esiste che ti piace la pizza e non sei mai venuto in Italia’, poggio gli scatoli sul bancone e mi voltò verso di lui. ‘E’ uno scandalo!’, mi fingo scioccata.
Lui pensandoci sorride e si avvicina. E’ vicinissimo.
E io sorrido come un ebete, osservando quell’angelo venirmi incontro con fare provocatorio.
Le sue mani trovano posto sui miei fianchi.
La mia pelle ribolle, ogni volta.
‘Beh, ora che sto con un italiana, non ho di che preoccuparmi, non credi?’, è ancora più indisponente, e mi chiedo cosa mi trattenga ancora dalle sue labbra, che non faccio altro che osservare.
Ci pensa lui ad abbattere quella piccola distanza, e a soddisfare quella voglia che sto trattenendo. Piomba sulle mie labbra affamato, voglioso, e mi fa impazzire.
Metto le mani tra i suoi capelli e mi stringo a lui con decisione.
Per i fianchi mi prende e mi alza sul bancone facendomi sedere.
Lui sta di fronte a me.
Con un gesto repentino ricacciò quegli scatoli a terra, il loro tonfo rimbomba nel vuoto della stanza.
E ritorno sulle sue labbra nello stesso modo in cui ritorna lui.
Ci incontriamo a metà strada.
Cerco di togliergli quella maglia di dosso che ostruisce i nostri contatti definitivi, lui fa lo stesso con la mia.
Non mi trattengo, questa volta no. Voglio andare oltre, voglio che le cose vadano come vuole il fato.
Voglio la sua pelle sulla mia.
Voglio bruciare definitivamente sotto il suo tocco.
Voglio che lui s’impadronisca del mio corpo una volta per tutte.
Lo voglio e lo desidero ancora di più.
Le sue mani sulla mia pelle non fanno altro che bruciare e invogliarmi.
Scendo dal bancone e mi stringo ancora più forte a lui mentre pian piano avanza con me e il resto vien da sé, con lui che continua a sussurrarmi ‘Sei mia’, e io che non smetto di contemplarlo e amarlo.
C’è tanto di me quella sera.
Ci sono con il corpo e con la mente.
Mi lascio andare.
Quella voglia repressa di unire i nostri corpi, di diventare nostri in qualche modo.
I nostri corpi si fondono, l’uno con l’altra siamo una cosa sola, e forse lo eravamo anche prima, ma ora è diventato più reale.
Una sensazione nuova mi pervade e si confonde con il piacere e la libidine, la sento in tutto il corpo e forse la sente anche lui.
Non so dargli una definizione ma è qualcosa di forte e intenso che mi fa sentire bene, ci fa sentire bene.
Mi sento come se mi fossi riunita, come se avessi trovato il mio posto nel mondo.
Colui che amo è lì, e cosa c’è di meglio?
Ci baciamo per l’ultima volta, esausti e felici.
‘Ti amo’, gli sussurrò a pieno cuore, per la prima vera volta perché fino ad allora l’ho tenuto solo per me. ‘Ti amo tanto, amore mio’.
‘Io di più, molto di più’.
E finiamo così, ad addormentarci abbracciati in un anima sola divisa in due corpi.
   
 
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