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Autore: Kim WinterNight    27/11/2014    2 recensioni
«Ciao, cari lettori.
Mi presento: mi chiamo Albertina, per gli amici Berty. Ho quindici anni e vivo in Italia, precisamente in un paese fittizio che chiamerò… mmh… Bettola town.
Okay, lo so, il nome può sembrare buffo e non attinente al nostro caro Stato Italiano (Repubblica fondata sul Lavoro e bla bla bla), ma sfido chiunque a trovare un nome migliore di questo!»
Spero che la storia vi piaccia.
Non sono solita scrivere comici, però per queste vicende sono davvero ispirata e ho preso spunto da un sogno che ho fatto recentemente.
NOTE: tutti i personaggi sono di mia modesta invenzione e qualsiasi riferimenti a luoghi o persone è puramente casuale.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Intanto, al parco si scommette…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io e Giaco decidiamo immediatamente, scambiandoci un solo, fugace sguardo, di rimanere indietro per permettere ai due piccioncini/mummie di provare a parlare, che diamine!

Giaco è contento, trotterella per la strada e io proprio non capisco perché. Dico, dopo la mattinata trascorsa a scuola, tra cui le due ore con mia madre che gracchiava matematica, ha ancora tutta quest’energia sfrenata. Be’, di certo non ha dei genitori come i miei, una vita come la mia e… basta lamentarsi, su.

Arriviamo al parco, dove in genere c’era mezza scuola e quasi tutta la nostra classe. Evviva.

«Ma dico io, quelle oche non hanno altri posti dove andare?» fa Giaco, sospirando.

«C’è anche il tuo ragazzo, Berty!» esclama Gabri, battendomi una mano sulla spalla.

«Geloso?» lo punzecchio.

«Smettetela, dai! Berty, quindi quel nonno sull’autobus è rimasto traumatizzato?» mi interroga per l’ennesima volta quel rompiscatole di Giaco.

«Sai che sei palloso?» lo accuso, sbuffando.

Ci sediamo.

Il pomeriggio, in confronto all’avventura appena vissuto in pullman, mi sembra noioso. Devo assolutamente fare qualcosa per questa situazione di estrema noia.

In genere ci divertivamo un mondo. La nostra occupazione preferita era andare a rubare gli skateboard ai ragazzini delle medie e andare in giro sghignazzando.

In quei momenti mi sentivo un po’ scema, ma che male c’era se mi divertivo? Giaco mi dava manforte e questo mi bastava. Tita, dal canto suo, era spesso contrariata, ma io ridevo e le dicevo di star zitta e di pensare ad un modo per poter uscire con Gabri, perché il tempo trascorreva veloce.

Gabri, invece, si divertiva e spesso ci seguiva. Tita era la più seria. Forse così sperava di fare colpo su Gabri in quel modo. Chissà.

«Uff, facciamo qualcosa di divertente. I teppistelli con lo skate non sono ancora arrivati» dico d’un tratto, alzandomi.

«Che hai in mente, principessa?» mi domanda Mauro, materializzandosi all’improvviso di fronte a me.

«Oh, vedi di non farmi spaventare!»

«Permalosa. Comunque… ciao, cari compagni. Come vi sentite, quest’oggi?» ci chiede Mauro, sorridendo appena, con fare teatrale.

Perché questo cretino deve sempre mettersi in mezzo alle palle? Io non lo capisco. Qui, dalla regia, continuano a ripetermi che Mauro prova qualcosa per me, ma non ci voglio pensare. Quel tipo proprio non fa per me.

«Falla breve, che vuoi?» sbotto, scacciandolo con un gesto della mano.

«Niente, solo una sfida per la principessina Bartolini» risponde, con gli occhi che gli brillano.

Mi avvicino di scatto e sollevo un pugno, decisa a colpirlo.

«Prova a ripeterlo» grugnisco tra i denti.

«Una sfida!» strilla d’un tratto Giaco, afferrandomi per un braccio e scaraventandomi di lato per poter sentire meglio le parole di quel deficiente del nostro compagno. «Che sfida? Che sfida? Parla, idiota!» prosegue Giaco, senza abbassare la voce.

«Ah, tu ti chiami Albertina da oggi. Interessante» commenta Mauro, stampandosi in faccia un sorriso beffardo.

«Giaco, sei una merda, levati! Allora, Mauro, di che si tratta?» incalzo.

«Be’, di là c’è una ragazza che vorrebbe uscire con lui» spiega, indicando Gabri e scuotendo il capo. «Vorrei farmi due risate, sai com’è. Devi andare e fingere di essere la ragazza di Gab, ci stai?» propone, sorridendo maliziosamente.

Io? La tipa di Gabri?!

Scambio un veloce sguardo con Tita, la quale è impercettibilmente impallidita. Poi, sempre in maniera molto discreta, annuisce.

«Non dirmi che hai paura!» mi punzecchia Mauro, divertito.

«Berty non ha mai paura di niente, pezzente! Su, Berty, andiamo!» strilla ancora Giaco.

Mi volto completamente nella sua direzione e lo afferro per le spalle, avvicinando il mio viso al suo con fare minaccioso.

«Sai, Giacomino bello, i miei timpani sono abbastanza buoni, sai, utili… non so a te, ma a me servono e, quindi, gradirei che tu, razza di imbecille, non li trapanassi con quella voce da pazzo che ti ritrovi!»

Detto questo, lo lascio andare e guardo Gabri, lanciandogli un sorriso, già eccitata per la sfida.

Di colpo mi rendo conto dell’allusione che Mauro aveva fatto poco prima, a proposito della mia paura.

Gli mollo un pugno sul braccio.

«Io non ho paura» sibilo, poi prendo la mano di Gabri e gli sorrido, calandomi immediatamente nella parte della fidanzata perfetta. «Andiamo, tesoro» mormoro, melliflua.

Gabri è strano, non si lascia trasportare dalle emozioni, per quanto false possano essere.

Mauro ci segue e mi indica discretamente la tipa che, appena vede Gabri, si volta immediatamente dall’altra parte, cinguettando qualcosa alle sue amiche. Alcune di esse sono nostre compagne di classe. Perfetto.

«Gabri, impegnati, su. O vuoi davvero che quella ci provi con te?» gli sussurro, stringendogli di più la mano.

«No… no, Berty, ti prego! Sai che…»

«Vuoi Tita, lo so.»

«Be’… io…»

«Zitto, ci guarda!»

Mi fermo e mi volto verso Gabri, poi gli accarezzo una guancia e lui fa per ritrarsi.

«Potresti almeno fingere di essere innamorato, avanti. Non essere così rigido, diamine! Perché devi essere così idiota, Gabri

Lui mi guarda strano, poi di colpo mi stringe a se e mi accarezza i capelli, senza però appiccicarsi a me.

Spero proprio che Tita non ci guardi e che non se la prenda.

«Oh, per favore. È difficile recitare per me, Berty

Lo zittisco e rido, forte, in modo da farmi sentire dall’oca.

«Oh, tesoro, che sciocco che sei!» cinguetto, arruffandogli i capelli.

Mauro, intanto, è tornato da quelle ragazze, così decido di mettere in atto il piano nel momento stesso in cui il mio compagno di classe si siede vicino a lei e le sorride.

Afferro nuovamente la mano di Gabri e mi avvicino con disinvoltura al muretto su cui è seduto il gruppetto.

«Ciao, ragazzi. Come va?» esordisco, accoccolandomi contro il braccio di Gabri.

«Ohi, ciao Berty. Come ti dicevo, volevo presentarti la mia amica Michela…» dice Mauro, indicando la ragazza che vuole Gabri.

Lei si alza e mi tende la mano.

«Io sono Michela, piacere.»

«Piacere, Albertina. Lui invece è Gabriel, il mio ragazzo» rispondo, stringendole la mano e rivolgendo un sorriso dolce al mio amico.

«E da quando?» interviene Rossana, una delle nostre compagne.

«Be’…» attacca Gabri.

Gli stritolo una mano e fulmino Rossana con un’occhiata, poi sorrido, evitando di rispondere alla mia compagna di classe.

Che gente odiosa.

Proprio in quel momento, proprio nell’istante migliore di tutto, in cui stavo per dare il meglio di me, mi squilla il telefono. La mia suoneria, “Mi chiamo Virgola”, fa inorridire molti dei presenti, mentre Mauro sghignazza e mi strizza l’occhio.

So esattamente di chi si tratta.

Mia madre in versione belva della savana, scegliete voi a che animale accostarla.

La conversazione si svolge così:

«Albertina Annetta, dove accidenti sei finita?»

«Sono venuta da Giaco, fuori paese.»

«Torna subito a casa!»

«Scordatelo, Maria Vittoria!»

«Non ti permettere, sai? Figlia snaturata!»

«Ho il diritto di avere la mia vita, mamma! Non puoi segregarmi in casa a studiare matematica con te, cacchio!»

«Domani abbiamo la verifica, asina!»

«Me ne frego della tua stupida verifica, domani non verrò a scuola!»

«Non contarci, signorina. TORNA. A. CASA. SUBITO.»

«No, ti ho detto che te lo puoi scordare. TE. LO. PUOI. SCORDARE.»

«Ti vengo a prendere, vedi che ti faccio!»

«Come no. Ciao, divertiti a preparare le tue stupide verifiche!»

Chiudo la chiamata e subito spengo il cellulare, stizzita.

Poi, sputo per terra, incazzata come una belva.

Il fatto più schifoso e frustrante è che quel gruppetto di oche + Mauro + Gabri hanno assistito a quella scena improponibile.

«Sapete, io e Gabri non stiamo insieme!» ammetto, scuotendo la testa.

Vedo che tutti mi guardano male, eppure me ne fotto altamente.

C’è solo una persona che mi fa perdere la pazienza in quel modo, ovvero mia madre, Maria Vittoria, la signora Bartolini.

Certo è che, seppure stavo fingendo di avere uina romantica relazione con Gabri, dopo aver sputato per terra stile scaricatore di porto, la mia scenetta risultava molto poco credibile.

«Come!» strilla Michela, isterica, alzandosi di scatto dal muretto.

«Già, dolcezza. È tutto tuo, ammesso e non concesso che ti voglia e, sai, ne dubito fortemente» concludo, mollando la mano di Gabri e, facendo dietrofront, li pianto tutti lì come allocchi e torno da Tita e Giaco.

I due, con aria incuriosita, mi scrutano.

«La scommessa l’ho vinta, cari, anche se poi ho smascherato Mauro per colpa di Maria Vittoria» borbotto, abbandonandomi sulla panchina accanto a Giaco.

«Tu!» inveisce Gabri, avviandosi verso di me a passo di marcia. «Ti faccio vedere io, adesso!»

Sotto lo sguardo confuso e stupefatto di Giaco e Tita – soprattutto di Tita –, Gabri mi afferra per le spalle e mi costringe ad alzarmi.

«Ti deve passare questo vizio di merda!» sbraita, poi mi immobilizza e, con gesto rapido, fulmineo, mi bacia con prepotenza, infilandomi violentemente la lingua in bocca.

Poi mi molla, mi guarda con disprezzo e, senza degnare nessun altro con lo sguardo, se ne va, imbufalito.

Io, intanto, non so proprio cosa dire.

Poi mi esce, spontaneo e vibrante: «Coglione, sei soltanto un coglione!»

Perché si è comportato così con me? E di fronte a Tita, per giunta! Tutto per una stupida scommessa!

«Oh, dannazione, Giuditta, calmati! Oh, Berty, svegliati! Che devo fare?» farfuglia Giaco.

Quando finalmente mi volto, lo vedo che accarezza con evidente imbarazzo e riluttanza la spalla di Tita, mentre lei piange disperata, con il viso tra le mani, scossa da profondi tremiti.

«Maledetto schifoso di un Gabriel! Giaco, senti, anziché perdere tempo, vai a comprare dell’acqua, Tita non sta bene» ordino, sedendomi accanto alla mia amica.

Avverto un senso di nausea per ciò che Gabriel ha appena combinato. Come ha potuto baciarmi? Io di certe cose non ne voglio sapere, possibile che non lo capisca nessuno? Mi viene la nausea, seriamente.

Mi alzo, barcollando incerta. Meno male che Giaco è ancora lì, immobile, con la mano sollevata dopo averla scostata dalla spalla di Tita.

«Neanche tu sembri in forma» osserva.

Di scatto, mi precipito verso il cespuglio più vicino e mi butto con la testa tra le foglie, rimettendo quel poco di pranzo che mi era rimasto in corpo.

Non capisco neanche dove sono messa, cacchio. Quanto detesto Gabriel, quanto detesto gli uomini prepotenti e coglioni come lui!

Ad un tratto, sento delle braccia che mi sollevano i capelli dalla fronte e mi sostengono, mentre continuo a vomitare. Che schifo, cazzo, spero proprio di non stare dando spettacolo.

Quando mi metto a sedere, intontita, noto che Mauro mi osserva, con una smorfia incredibilmente indecifrabile sulla sua nota faccia da schiaffi.

Poi, ad un certo punto, il suono di un clacson a me fin troppo familiare si espande per il parco.

Così capisco che ho due alternative: scappare o arrendermi.

Ma, dal momento che sono talmente debole e stanca per pensare di muovermi, rimango dove sono, attendendo che Maria Vittoria scenda dall’auto e mi venga a prelevare.

Tita sta ancora piangendo e Giaco si è rassegnato a lasciarla perdere, avvicinandosi a me e spingendo via Mauro.

Mia madre, dopo un minuto, è di fronte a me e mi afferra per un braccio, costringendomi a sollevarmi da terra.

La nausea non mi ha del tutto abbandonato, mi viene quasi voglia di vomitarle addosso. Detesto tutti in questo momento.

«Prof, sua figlia non sta bene, forse» le dice Giaco, con tono preoccupato.

Okay, forse non detesto proprio tutti. Giaco è dolcissimo, un dolce e tenero sgorbio che potrebbe essere scambiato per un nano da giardino. Ma pur sempre dolce.

«Mia figlia sta benissimo, Meucci! Se ne torni a casa, piuttosto! Domani c’è…»

«…la verifica, sì, mamma, l’abbiamo capito!» biascico. Mi divincolo dalla sua presa e mi avvicino a Tita, aiutandola ad alzarsi.

Lei mi regala una smorfia, forse puzzo di vomito. Pazienza.

Così, saliamo in macchina e ce ne andiamo, io incazzata e nauseata come non mai, Tita delusa e triste e mia madre inviperita come un bue muschiato.

Perfetto.

Mentre ci dirigiamo verso a casa, mi viene in mentre che Maria Vittoria non aveva mai messo in pratica una minaccia del genere.

Che stia cambiando qualcosa?

 

 

 

 

NdA:

Salve a tutti coloro che leggono questa storia!

Vorrei informarvi, in caso non ve ne foste resi conto, che ho finalmente potuto cambiare le virgolette tra cui racchiudo i dialoghi.

Amo molto questo nuovo modo e sono felice di essere riuscita a metterlo in pratica, dal momento che avrei sempre voluto farlo. Trovo che il tutto risulti molto più ordinato e simile alla grafica dei libri cartacei che, per la maggior parte, utilizzano questo tipo di virgolette.

Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!

Al prossimo capitolo =)

 

  
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