Intanto, al parco si scommette…
Io e
Giaco decidiamo immediatamente, scambiandoci un solo, fugace sguardo, di
rimanere indietro per permettere ai due piccioncini/mummie di provare a
parlare, che diamine!
Giaco è
contento, trotterella per la strada e io proprio non capisco perché. Dico, dopo
la mattinata trascorsa a scuola, tra cui le due ore con mia madre che
gracchiava matematica, ha ancora tutta quest’energia sfrenata. Be’, di certo
non ha dei genitori come i miei, una vita come la mia e…
basta lamentarsi, su.
Arriviamo
al parco, dove in genere c’era mezza scuola e quasi tutta la nostra classe.
Evviva.
«Ma dico
io, quelle oche non hanno altri posti dove andare?» fa Giaco, sospirando.
«C’è
anche il tuo ragazzo, Berty!» esclama Gabri, battendomi una mano sulla spalla.
«Geloso?»
lo punzecchio.
«Smettetela,
dai! Berty, quindi quel nonno sull’autobus è rimasto
traumatizzato?» mi interroga per l’ennesima volta quel rompiscatole di Giaco.
«Sai che
sei palloso?» lo accuso, sbuffando.
Ci
sediamo.
Il
pomeriggio, in confronto all’avventura appena vissuto in pullman, mi sembra
noioso. Devo assolutamente fare qualcosa per questa situazione di estrema noia.
In
genere ci divertivamo un mondo. La nostra occupazione preferita era andare a
rubare gli skateboard ai ragazzini delle medie e andare in giro sghignazzando.
In quei
momenti mi sentivo un po’ scema, ma che male c’era se mi divertivo? Giaco mi
dava manforte e questo mi bastava. Tita, dal canto
suo, era spesso contrariata, ma io ridevo e le dicevo di star zitta e di
pensare ad un modo per poter uscire con Gabri, perché
il tempo trascorreva veloce.
Gabri, invece, si divertiva e spesso ci seguiva. Tita era la più seria. Forse così sperava di fare colpo su Gabri in quel modo. Chissà.
«Uff, facciamo qualcosa di divertente. I teppistelli
con lo skate non sono ancora arrivati» dico d’un tratto, alzandomi.
«Che hai
in mente, principessa?» mi domanda Mauro, materializzandosi all’improvviso di
fronte a me.
«Oh,
vedi di non farmi spaventare!»
«Permalosa.
Comunque… ciao, cari compagni. Come vi sentite,
quest’oggi?» ci chiede Mauro, sorridendo appena, con fare teatrale.
Perché
questo cretino deve sempre mettersi in mezzo alle palle? Io non lo capisco.
Qui, dalla regia, continuano a ripetermi che Mauro prova qualcosa per me, ma
non ci voglio pensare. Quel tipo proprio non fa per me.
«Falla
breve, che vuoi?» sbotto, scacciandolo con un gesto della mano.
«Niente,
solo una sfida per la principessina Bartolini» risponde, con gli occhi che gli
brillano.
Mi
avvicino di scatto e sollevo un pugno, decisa a colpirlo.
«Prova a
ripeterlo» grugnisco tra i denti.
«Una
sfida!» strilla d’un tratto Giaco, afferrandomi per un braccio e
scaraventandomi di lato per poter sentire meglio le parole di quel deficiente
del nostro compagno. «Che sfida? Che sfida? Parla, idiota!» prosegue Giaco,
senza abbassare la voce.
«Ah, tu
ti chiami Albertina da oggi. Interessante» commenta Mauro, stampandosi in
faccia un sorriso beffardo.
«Giaco,
sei una merda, levati! Allora, Mauro, di che si tratta?» incalzo.
«Be’, di
là c’è una ragazza che vorrebbe uscire con lui» spiega, indicando Gabri e scuotendo il capo. «Vorrei farmi due risate, sai
com’è. Devi andare e fingere di essere la ragazza di Gab,
ci stai?» propone, sorridendo maliziosamente.
Io? La
tipa di Gabri?!
Scambio
un veloce sguardo con Tita, la quale è
impercettibilmente impallidita. Poi, sempre in maniera molto discreta,
annuisce.
«Non
dirmi che hai paura!» mi punzecchia Mauro, divertito.
«Berty non ha mai paura di niente, pezzente! Su, Berty, andiamo!» strilla ancora Giaco.
Mi volto
completamente nella sua direzione e lo afferro per le spalle, avvicinando il
mio viso al suo con fare minaccioso.
«Sai, Giacomino bello, i miei timpani sono abbastanza buoni, sai,
utili… non so a te, ma a me servono e, quindi,
gradirei che tu, razza di imbecille, non li trapanassi con quella voce da pazzo
che ti ritrovi!»
Detto
questo, lo lascio andare e guardo Gabri, lanciandogli
un sorriso, già eccitata per la sfida.
Di colpo
mi rendo conto dell’allusione che Mauro aveva fatto poco prima, a proposito
della mia paura.
Gli
mollo un pugno sul braccio.
«Io non
ho paura» sibilo, poi prendo la mano di Gabri e gli
sorrido, calandomi immediatamente nella parte della fidanzata perfetta.
«Andiamo, tesoro» mormoro, melliflua.
Gabri è strano, non si lascia trasportare dalle
emozioni, per quanto false possano essere.
Mauro ci
segue e mi indica discretamente la tipa che, appena vede Gabri,
si volta immediatamente dall’altra parte, cinguettando qualcosa alle sue
amiche. Alcune di esse sono nostre compagne di classe. Perfetto.
«Gabri, impegnati, su. O vuoi davvero che quella ci provi
con te?» gli sussurro, stringendogli di più la mano.
«No… no, Berty, ti prego! Sai che…»
«Vuoi Tita, lo so.»
«Be’… io…»
«Zitto,
ci guarda!»
Mi fermo
e mi volto verso Gabri, poi gli accarezzo una guancia
e lui fa per ritrarsi.
«Potresti
almeno fingere di essere innamorato, avanti. Non essere così rigido, diamine!
Perché devi essere così idiota, Gabri?»
Lui mi
guarda strano, poi di colpo mi stringe a se e mi accarezza i capelli, senza
però appiccicarsi a me.
Spero
proprio che Tita non ci guardi e che non se la
prenda.
«Oh, per
favore. È difficile recitare per me, Berty.»
Lo
zittisco e rido, forte, in modo da farmi sentire dall’oca.
«Oh,
tesoro, che sciocco che sei!» cinguetto, arruffandogli i capelli.
Mauro,
intanto, è tornato da quelle ragazze, così decido di mettere in atto il piano
nel momento stesso in cui il mio compagno di classe si siede vicino a lei e le
sorride.
Afferro
nuovamente la mano di Gabri e mi avvicino con
disinvoltura al muretto su cui è seduto il gruppetto.
«Ciao,
ragazzi. Come va?» esordisco, accoccolandomi contro il braccio di Gabri.
«Ohi,
ciao Berty. Come ti dicevo, volevo presentarti la mia
amica Michela…» dice Mauro, indicando la ragazza che
vuole Gabri.
Lei si
alza e mi tende la mano.
«Io sono
Michela, piacere.»
«Piacere,
Albertina. Lui invece è Gabriel, il mio ragazzo» rispondo, stringendole la mano
e rivolgendo un sorriso dolce al mio amico.
«E da quando?»
interviene Rossana, una delle nostre compagne.
«Be’…»
attacca Gabri.
Gli
stritolo una mano e fulmino Rossana con un’occhiata, poi sorrido, evitando di
rispondere alla mia compagna di classe.
Che
gente odiosa.
Proprio
in quel momento, proprio nell’istante migliore di tutto, in cui stavo per dare
il meglio di me, mi squilla il telefono. La mia suoneria, “Mi chiamo Virgola”,
fa inorridire molti dei presenti, mentre Mauro sghignazza e mi strizza
l’occhio.
So
esattamente di chi si tratta.
Mia
madre in versione belva della savana, scegliete voi a che animale accostarla.
La
conversazione si svolge così:
«Albertina
Annetta, dove accidenti sei finita?»
«Sono
venuta da Giaco, fuori paese.»
«Torna
subito a casa!»
«Scordatelo,
Maria Vittoria!»
«Non ti permettere,
sai? Figlia snaturata!»
«Ho il
diritto di avere la mia vita, mamma! Non puoi segregarmi in casa a studiare
matematica con te, cacchio!»
«Domani
abbiamo la verifica, asina!»
«Me ne
frego della tua stupida verifica, domani non verrò a scuola!»
«Non
contarci, signorina. TORNA. A. CASA. SUBITO.»
«No, ti
ho detto che te lo puoi scordare. TE. LO. PUOI. SCORDARE.»
«Ti
vengo a prendere, vedi che ti faccio!»
«Come
no. Ciao, divertiti a preparare le tue stupide verifiche!»
Chiudo
la chiamata e subito spengo il cellulare, stizzita.
Poi,
sputo per terra, incazzata come una belva.
Il fatto
più schifoso e frustrante è che quel gruppetto di oche + Mauro + Gabri hanno assistito a quella scena improponibile.
«Sapete,
io e Gabri non stiamo insieme!» ammetto, scuotendo la
testa.
Vedo che
tutti mi guardano male, eppure me ne fotto altamente.
C’è solo
una persona che mi fa perdere la pazienza in quel modo, ovvero mia madre, Maria
Vittoria, la signora Bartolini.
Certo è
che, seppure stavo fingendo di avere uina romantica
relazione con Gabri, dopo aver sputato per terra
stile scaricatore di porto, la mia scenetta risultava molto poco credibile.
«Come!»
strilla Michela, isterica, alzandosi di scatto dal muretto.
«Già,
dolcezza. È tutto tuo, ammesso e non concesso che ti voglia e, sai, ne dubito
fortemente» concludo, mollando la mano di Gabri e,
facendo dietrofront, li pianto tutti lì come allocchi e torno da Tita e Giaco.
I due,
con aria incuriosita, mi scrutano.
«La
scommessa l’ho vinta, cari, anche se poi ho smascherato Mauro per colpa di
Maria Vittoria» borbotto, abbandonandomi sulla panchina accanto a Giaco.
«Tu!»
inveisce Gabri, avviandosi verso di me a passo di
marcia. «Ti faccio vedere io, adesso!»
Sotto lo
sguardo confuso e stupefatto di Giaco e Tita –
soprattutto di Tita –, Gabri
mi afferra per le spalle e mi costringe ad alzarmi.
«Ti deve
passare questo vizio di merda!» sbraita, poi mi immobilizza e, con gesto
rapido, fulmineo, mi bacia con prepotenza, infilandomi violentemente la lingua
in bocca.
Poi mi
molla, mi guarda con disprezzo e, senza degnare nessun altro con lo sguardo, se
ne va, imbufalito.
Io,
intanto, non so proprio cosa dire.
Poi mi
esce, spontaneo e vibrante: «Coglione, sei soltanto un coglione!»
Perché
si è comportato così con me? E di fronte a Tita, per
giunta! Tutto per una stupida scommessa!
«Oh,
dannazione, Giuditta, calmati! Oh, Berty, svegliati!
Che devo fare?» farfuglia Giaco.
Quando
finalmente mi volto, lo vedo che accarezza con evidente imbarazzo e riluttanza
la spalla di Tita, mentre lei piange disperata, con
il viso tra le mani, scossa da profondi tremiti.
«Maledetto
schifoso di un Gabriel! Giaco, senti, anziché perdere tempo, vai a comprare
dell’acqua, Tita non sta bene» ordino, sedendomi
accanto alla mia amica.
Avverto
un senso di nausea per ciò che Gabriel ha appena combinato. Come ha potuto
baciarmi? Io di certe cose non ne voglio sapere, possibile che non lo capisca
nessuno? Mi viene la nausea, seriamente.
Mi alzo,
barcollando incerta. Meno male che Giaco è ancora lì, immobile, con la mano
sollevata dopo averla scostata dalla spalla di Tita.
«Neanche
tu sembri in forma» osserva.
Di
scatto, mi precipito verso il cespuglio più vicino e mi butto con la testa tra
le foglie, rimettendo quel poco di pranzo che mi era rimasto in corpo.
Non capisco
neanche dove sono messa, cacchio. Quanto detesto Gabriel, quanto detesto gli
uomini prepotenti e coglioni come lui!
Ad un
tratto, sento delle braccia che mi sollevano i capelli dalla fronte e mi
sostengono, mentre continuo a vomitare. Che schifo, cazzo, spero proprio di non
stare dando spettacolo.
Quando
mi metto a sedere, intontita, noto che Mauro mi osserva, con una smorfia
incredibilmente indecifrabile sulla sua nota faccia da schiaffi.
Poi, ad
un certo punto, il suono di un clacson a me fin troppo familiare si espande per
il parco.
Così
capisco che ho due alternative: scappare o arrendermi.
Ma, dal
momento che sono talmente debole e stanca per pensare di muovermi, rimango dove
sono, attendendo che Maria Vittoria scenda dall’auto e mi venga a prelevare.
Tita sta ancora piangendo e Giaco si è rassegnato a
lasciarla perdere, avvicinandosi a me e spingendo via Mauro.
Mia
madre, dopo un minuto, è di fronte a me e mi afferra per un braccio,
costringendomi a sollevarmi da terra.
La
nausea non mi ha del tutto abbandonato, mi viene quasi voglia di vomitarle
addosso. Detesto tutti in questo momento.
«Prof,
sua figlia non sta bene, forse» le dice Giaco, con tono preoccupato.
Okay,
forse non detesto proprio tutti. Giaco è dolcissimo, un dolce e tenero sgorbio
che potrebbe essere scambiato per un nano da giardino. Ma pur sempre dolce.
«Mia
figlia sta benissimo, Meucci! Se ne torni a casa,
piuttosto! Domani c’è…»
«…la verifica, sì, mamma, l’abbiamo capito!» biascico. Mi
divincolo dalla sua presa e mi avvicino a Tita,
aiutandola ad alzarsi.
Lei mi
regala una smorfia, forse puzzo di vomito. Pazienza.
Così,
saliamo in macchina e ce ne andiamo, io incazzata e nauseata come non mai, Tita delusa e triste e mia madre inviperita come un bue
muschiato.
Perfetto.
Mentre
ci dirigiamo verso a casa, mi viene in mentre che Maria Vittoria non aveva mai
messo in pratica una minaccia del genere.
Che stia
cambiando qualcosa?
NdA:
Salve a tutti coloro che leggono
questa storia!
Vorrei informarvi, in caso non ve
ne foste resi conto, che ho finalmente potuto cambiare le virgolette tra cui
racchiudo i dialoghi.
Amo molto questo nuovo modo e
sono felice di essere riuscita a metterlo in pratica, dal momento che avrei
sempre voluto farlo. Trovo che il tutto risulti molto più ordinato e simile
alla grafica dei libri cartacei che, per la maggior parte, utilizzano questo
tipo di virgolette.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se
vi va!
Al prossimo capitolo =)