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Autore: Michan_Valentine    27/11/2014    3 recensioni
A due anni dalla battaglia per la salvaguardia del Pianeta, Vincent Valentine si ritira nel villaggio di Kalm senza dire niente ai suoi amici. Ma Yuffie Kisaragi e le questioni irrisolte non tarderanno a fargli visita.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Contesto generale/vago
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“Vincent…?”

Roteò gli occhi, le palpebre chiuse, e i lineamenti del suo viso percepirono un tremito. Nel dormiveglia avvertì il pulsare del cuore, ritmico, intenso, poi la voce di qualcuno in lontananza: un indistinto rimbombare, più simile a un tuono che a delle parole vere e proprie. Si concentrò su di esse e combatté contro il torpore della mente, degli arti. Non ricordava cos’era successo ma sapeva, lo sentiva, che doveva svegliarsi.

“…rinforzi, al più presto.” stava dicendo la voce; e il discorso gli arrivò di lontano, ovattato ma abbastanza comprensibile “Li abbiamo sistemati, sì. Elicotteri sventrati come pesci. Perciò fidati quando ti dico che non è stato un lavoro… pulito, ecco. Ehi! Pronto?! Porca di una vacca baldracca! Ah, no, non dicevo di tua madre! E poi manco la conosco!”

Cid Highwind, intuì. Schiuse gli occhi. Troppo in fretta; e sulle prime la luce l’infastidì. Corrugò la fronte, strizzò le palpebre e aspettò di mettere a fuoco. Principalmente per fare mente locale. Man mano i contorni dell’ambiente acquisirono colore, consistenza e delinearono l’abitazione in subbuglio di Abigail. Riconobbe il camino, in quel momento acceso, il divano su cui era sdraiato e le rustiche travi di legno che sostenevano il tetto dell’abitazione. Il tavolo era di nuovo in piedi, notò, ma in ogni dove c’erano polvere, detriti; e i segni dei proiettili ricoprivano tutte le superfici come piccole e sbafate macchie d’inchiostro. Sì, ora ricordava. Si era lanciato col paracadute e i soldati…
 
Diresse lo sguardo più in là, inseguendo la voce. In prossimità della finestra stava il Capitano della Shera, in piedi fra i vetri e la neve, con la schiena poggiata contro il muro. Il vento turbinava all’interno attraverso le ante in frantumi e l’investiva, strappandogli tremiti e sbuffi di vapore ad ogni fiato. Incurante, l’altro si sporgeva oltre il margine della copertura e di tanto in tanto adocchiava l’esterno, mandibola contratta e occhi attenti. Teneva il cellulare fra l’orecchio e la spalla, così da tenere le mani libere e pronte a imbracciare la lancia. Non sapeva con chi stava parlando, ma data la mancanza quasi totale di campo dubitava che sarebbe riuscito a concludere la chiamata.
 
“E comunque potrebbero arrivarne altri –uscivano dalle fottute pareti, Tuesti!” sottolineò Cid, rivelandogli anche l’identità dell’interlocutore “Perciò inventati quel cazzo che ti pare, ma manda qui quanti più sbarbatelli della WRO riesci a racimolare! E sai che ti dico? Contatta pure il tuo misterioso benefattore e digli che… Pronto? Pronto?! Cazzo! Linea di merda!”
 
Il pilota sollevò il braccio e quasi lanciò il cellulare contro la parete dirimpetto. Poi lo ripose nella tasca sinistra dei pantaloni e recuperò una sigaretta dalla destra. Infilò in bocca la cicca, tornò a frugare fra la stoffa, probabilmente alla ricerca dell’accendino, e gettò nuovamente lo sguardo all’esterno. Dal canto suo ricordava la battaglia, gli elicotteri… e poi? Doveva essere trascorso del tempo da allora, dato che Cid Highwind aveva avuto modo di sistemare la Shera e di raggiungerli.
 
Serrò la mandibola e notò che gli avevano steso addosso una trapunta. Si sentiva pesante come un macigno. Piegò leggermente le dita, voltò appena il capo e constatò che non si trattava di una semplice sensazione: era pesante come un macigno. E perfino i più basilari movimenti gli costavano impegno e fatica. Conosceva quella spossatezza. E ancora meglio conosceva da cosa derivava: l’altro aveva preso il controllo e l’aveva rivoltato come un calzino. E chissà cos’altro aveva fatto nel frattempo…
Un brivido gli scivolò lungo la schiena al solo pensiero. E un’improvvisa, inaspettata sensazione gli attraversò il cervello. Qualcuno l’aveva chiamato per nome. Non sapeva né dove né quando. Ma era successo. E si era svegliato, per questo. Lucrecia…? No. Era stato qualcun altro, qualcuno di concreto, che aveva allungato la mano e gli aveva descritto la guancia con dita leggere e tremanti. Poteva ancora percepirne il tocco sulla pelle…

Schiuse le labbra, senz’aria, e saettò con lo sguardo in lungo e in largo, stavolta alla ricerca di Yuffie. Niente. Contrasse i muscoli e piegò il busto, nel tentativo di alzarsi. Stilettate di fuoco gli affondarono nel petto. Strinse i denti, serrò le palpebre e ricadde pesantemente sul divano, in posizione supina. Il sudore gli imperlò la fronte e la schiena, freddo come il ghiaccio.

Sentì il familiare ticchettio delle zampe di Red XIII sul pavimento e un leggero spostamento d’aria solleticargli la pelle. Voltò il capo da quella parte e incontrò la figura del felino, che l’osservava di rimando proprio accanto al divano.

“Adagio.” disse l’altro “Fino a poco fa avevi un buco enorme nel petto.”

Quella menzione gli riportò alla memoria il dettaglio del missile che impattava sulle creste innevate, provocando il distaccamento di un grosso, appuntito sperone di ghiaccio. Accusò un’altra fitta al petto. Istintivamente portò le dita lì dove sentiva dolore e incappò nella stoffa lacera del vestito.

Trattenne un gemito e domandò: “Che cosa è successo?”

Le domande a proposito di Yuffie e di Sephiroth, invece, gli morirono in gola, vuoi per la stanchezza, vuoi per la preoccupazione. Tuttavia il felino non fece in tempo a spiegargli la situazione che il Capitano della Shera richiamò l’attenzione su di sé.

“Cazzo, Valentine!” esclamò; Cid poggiò la lancia contro il muro, abbandonò la finestra e gli corse incontro. Il fumo gli usciva dalle narici, notò, e spesse linee di apprensione gli attraversavano la fronte. “Vacci piano! Non so tu, ma io ho ancora le budella sottosopra!” il pilota gli passò il braccio dietro la schiena e lo aiutò a sollevare il busto “E chiedi aiuto quando ti serve! Testa di cazzo che non sei altro!” lo rimproverò “Ci hai già fatto prendere un colpo! E ‘fanculo! Fortuna che sei come sei… altrimenti saresti già bello che morto. Stecchito. Fra te e quella mocciosa stracciacazzi non so proprio chi sia il più suonato! E sconsiderato. Certo, da lei me l’aspetto. Ma tu, porco di un cagnaccio, sei grande, grosso e vaccinato!”

Batté le palpebre, come sordo all’invettiva, mentre quell’allusione andava a rinfrescargli ulteriormente la memoria. E a concretizzare sensazioni e timori. Si era frapposto fra Yuffie e lo sperone di ghiaccio, sì; ed era stato in quel momento che Chaos aveva preso il sopravvento. Possibile che lei…!?

Ingollò a vuoto e sentì una tenaglia serrarsi attorno alla bocca dello stomaco. Di rimando allungò il braccio, afferrò Cid per il bavero e lo trasse vigorosamente a sé. Quello sobbalzò, colto alla sprovvista.

“Dov’è lei?” l’altro strabuzzò pure gli occhi e s’irrigidì “Dov’è Yuffie.” precisò quindi, tono e sguardo fermi. Cupi.

Il pilota schiuse le labbra, senz’aria, e restò interdetto per lunghi attimi. Poi diresse lo sguardo altrove, come se stesse riflettendo sul da farsi. Infine serrò la mandibola, ridusse le labbra a una linea sottile, dura e tornò a guardarlo dritto negli occhi, senza tuttavia dargli l’impressione di voler rispondere. Si accigliò.

“Di là, con Tifa.” intervenne prontamente Red XIII; e Cid schioccò la bocca, seccato.

“Vince...” soggiunse; e scrollò il capo, le spalle “Dovresti…”

Per tutta risposta rafforzò la stretta delle dita.

“Portami da lei.” stabilì; e seguitò a trafiggerlo con lo sguardo finché l’altro cedette e annuì.

Gli lasciò andare il bavero, si disfece della trapunta e poggiò i piedi a terra. Gli stivali si abbatterono sul pavimento di legno con un tonfo, gravosi come non li aveva mai sentiti. Cid gli passò il braccio attorno alla vita. Di rimando gli avvolse il proprio sulle spalle e si lasciò issare quasi di peso, rassegnandosi all’aiuto. Le sue gambe erano insensibili e rigide come pezzi di legno, saggiò; ma sapeva che quel torpore non sarebbe durato a lungo. Dopotutto era indistruttibile. Sostenuto dall’altro, mosse i primi, esitanti passi in direzione della stanza da letto, mentre Red XIII si faceva da parte e lasciava loro il cammino libero.

Strinse i denti e ignorò il dolore al petto. Barcollando abbandonò il divano, attraversò il salotto e imboccò il breve corridoio che conduceva alla zona notte. Tuttavia quando fu a pochi passi dalla meta la sua determinazione venne meno, congelato nell’incertezza di quanto l’attendeva al di là della soglia; e per lunghi istanti restò fermo, addossato all’amico, a fissare come stranito il fascio di luce che dall’interno si proiettava lungo il corridoio in penombra. Poi, inaspettatamente, il tono acuto della ninja proruppe e andò a perforargli i timpani.

“Ahi, ahi, ahiiiiiii!” protestò Yuffie “Questa è tortura! Tor-tu-ra! Che roba è? Acido solforico?”

Seguì un sospiro; probabilmente di Tifa.

“Disinfettante…” puntualizzò l’altra “Purtroppo la mia Cure è appena nata. Ora ‘sta ferma, o finirò per versartelo ovunque. Sopporta un pochino, ok?”

“Ehi, con chi credi di parlare?” ribatté la ninja “Ti ricordo che ho girato per tutto il Pianeta a bordo dell’Highwind prima e della Shera poi –e fino a prova contraria non ho ancora inaugurato il ponte.” fece una breve pausa; poi confessò “Anche se la volta in cui ho mangiato uova fritte e pancetta a colazione ci sono andata mooooooolto vicina.” disse “Ma non è questo il punto! Dovrebbero darmi una medaglia al coraggio! Sono un esempio leggendario di sopportazione, io. Una roccia! Lo stoicismo incarnato! Nessuno soffre dignitosamente come me. Strife e Valentine sono miei allievi, e… Aaaaaah! TRADIMENTO! Se volevi versarlo potevi anche avvisarmi! O almeno contare fino a tre!”

“Per darti il tempo di scansarti? No, grazie. Mi sono già inzuppata abbastanza le prime tre volte.” soggiunse la barista in tono piatto.

Sentì il pesante blocco di timore scivolargli giù dal petto, dallo stomaco e cedere il posto all’originario desiderio di incontrarla, di verificare con i suoi occhi che fosse tutta intera. Si staccò da Cid e barcollò per gli ultimi passi che lo separavano dallo stipite della porta, cui si poggiò non appena possibile. Non visto, osservò all’interno. Yuffie se ne stava fra le coperte, con la schiena sorretta da due cuscini e la maglietta arrotolata fin sopra la pancia. L’espressione imbronciata la faceva rassomigliare a una bambina capricciosa. Sopra di lei, notò, il soffitto era stato sfondato e temporaneamente rattoppato con un telo impermeabile, sostenuto da assi e da una manciata di chiodi. Accanto al letto, sul comodino, stavano invece accatastati dei piattini. Uno di essi mostrava ancora una fetta di torta mezza mangiucchiata. Accennò un sorriso, mentre tornava ad analizzare le condizioni della ninja. Aveva abrasioni sul mento, sui gomiti e lungo gli avambracci. Normale amministrazione, nel caso di Yuffie. Più preoccupante era invece la ferita all’addome. Tuttavia Tifa le stava fasciando il ventre e ciò gli impedì di saggiare l’effettiva gravità del danno. Sul momento, almeno. Batté le palpebre quando vide delle strisce rosse allargarsi sul candore della stoffa, parallele fra loro; e riconobbe gli inequivocabili segni di un’artigliata. Il sollievo svanì con la stessa rapidità con cui era arrivato e quasi sentì la consistenza vischiosa del sangue sulle dita…

Nemmeno si accorse dei passi di Cid, congelato lungo lo stipite della porta e schiacciato dai sensi di colpa.

“Ti è corsa dietro incurante di tutto. E ancora mi chiedo se ha fegato da vendere… o se invece si è semplicemente bevuta il cervello.” disse il pilota; e gli poggiò la mano sulla spalla “Starà bene.”

Il tocco inaspettato lo riscosse appena, ma non lo rassicurò. Strinse le labbra, serrò le palpebre e scrollò il capo, mentre le sensazioni e i dubbi si trasformavano in ricordi e certezze. Pesanti come macigni. La carezza sul viso. Il suo nome pronunciato da Yuffie. Un dolce sussurro incrinato dall’insicurezza, dalla sofferenza… Dagli artigli di Chaos, che le erano affondati nella carne senza remore e le avevano strappato perfino l’aria dai polmoni. Avvertì una stretta alla gola, allo stomaco, bisognoso di scacciare quell’ultimo dettaglio dalla mente. E di allontanarsi. Un sollievo che non meritava, in ogni caso. Deglutì e perseverò immobile. Poi, a dispetto della stanchezza, dell’angoscia crescente, a prendere il sopravvento fu la mera rabbia. Che stupida! Che cosa aveva creduto di fare? Aveva solo rischiato di essere… non riuscì nemmeno a pensarlo. Chinò la testa, fremette e si artigliò allo stipite della porta col guanto di metallo. Solo poi tornò a puntare ostinatamente la fasciatura bianca: uno spettacolo che lo straziava, ma cui meritava d’assistere. Per imprimersi a fuoco nella coscienza l’ennesimo motivo per il quale avrebbe dovuto starle lontano. Da lei e da qualsiasi altro essere umano, probabilmente.

Improvvisamente Yuffie sollevò lo sguardo su di lui e lo notò. Di rimando la bocca della ninja si trasformò in una perfetta “o”: un’esclamazione muta che diceva assai più delle parole. Specie perché si affrettò a ricoprirsi la pancia e a puntargli l’indice contro, come se dovesse urlargli dietro questo e quell’altro.

“Ah! L’alba dei morti viventi!” strillò; poi richiuse la bocca, s’accigliò e diresse le iridi sul pilota alle sue spalle “Non ti avevo forse detto di incatenarlo al divano, se necessario? Stupi-inuti-Highwind!”

Per tutta risposta Cid affermò: “Punto primo: se voi foste due esseri raziocinanti non starei qui a giustificarmi. Punto secondo: non volevo prendermi un cazzotto in faccia. Punto terzo, quarto e quinto: non sono né un taxi, né un centralinista, né un fottutissimo consulente matrimoniale!”

Il tocco del pilota si ritrasse e sentì i suoi passi allontanarsi, assieme all’odore di tabacco e a qualche bestemmia riguardo la Shera e la pancetta. Dal canto suo non mutò né posizione né espressione, in piedi lungo lo stipite della porta. Tifa invece andò con lo sguardo da lui a Yuffie, in silenzio; poi recuperò le medicazioni, si alzò dal capezzale della ninja e lo raggiunse alacremente alla porta, probabilmente con l’intenzione di uscire. Nel passargli accanto gli riservò il sorriso.

“Sono contenta di vederti in piedi.” disse; e proseguì oltre.

Ricambiò con un’occhiata in tralice; dopodiché tornò a puntare la ninja, che lo fissava di rimando dal letto, con le braccia incrociate al petto, le sopracciglia inarcate e le labbra ostinatamente piegate verso il basso in un broncio perfetto. Sembrava che stesse rimproverandolo. O facendogli il verso, non seppe distinguere con precisione. E con Yuffie tutto era possibile e nulla da escludere. Non vi badò, comunque, e andò dritto al punto che gli premeva: “Perché l’hai fatto?”

L’altra mandò gli occhi al cielo.

“Oh, Yuffie!” esclamò poi, indurendo e abbassando il tono di voce in una sorta d’imitazione “Sono felice anch’io di vederti, sì, sì. Ti trovo in gran forma! E che ventre piatto che hai! Addominali da paura! PA-U-RA!” sottolineò; fece una piccola pausa e soggiunse “Oh, a proposito, grazie per avermi parato il culo.” disse, senza sciogliere la morsa delle braccia; poi riacquistò il solito tono, scosse il capo e commentò “E io che credevo ti fosse passato il mestruo!”

“Avrebbe potuto ucciderti.” ribatté.

Stronzate.” disse Yuffie “Tanto per cominciare gli ho detto il fatto suo a quello lì.” fece; e mimò un paio di pugni che quasi la costrinsero a piegarsi in due sul letto. Tuttavia l’altra sfoderò un sogghigno tirato e continuò come nulla fosse: “E se voglio so ringhiare e sbavare meglio di lui, altroché. Vuoi vedere? Tanto le coperte sono già fradice di acido solforico! Poi ho nove vite come i gatti, io. Mica poco!”

Sospirò. Non era in vena di sciocchezze. Né di assecondarla e di far finta che fosse tutto a posto. Era stata fortunata, nulla di più. E in ogni caso non sarebbe bastata la Materia Cure più potente del mondo per cancellarle i segni degli artigli dalla pelle.

“Adesso basta, Yuffie.” stabilì quindi “Voglio che tu stia lontana da me.”

Il silenzio seguì l’affermazione, mentre gli occhi della ninja si sgranavano di rimando e gli si appuntavano addosso carichi d’interrogativi. E di un languore che trovò addirittura insopportabile, impresso in quelle pupille altrimenti luminose e vivaci. Cercava di capire, sopracciglia e labbra corrucciate, come se il motivo delle sue affermazioni non fosse di per sé evidente.

“Perché?” chiese infatti; e percepì la voce tremarle “Perché sono una ragazzina petulante? Perché non sto né ferma, né zitta e ti faccio venire il mal di testa? Perché combino solo disastri o perché…”

“Perché non sono una bella persona.” l’interruppe “Perché non ho niente da darti. Perché sono già morto una volta e nemmeno ricordo come sia essere vivi. O umani. Perché sono pericoloso. Perché tu hai tutta la vita davanti…”

…e non potrei mai perdonarmi se ti succedesse qualcosa; ma questo non riuscì a pronunciarlo. Serrò la mandibola e chinò il capo, invece, certo che addurre altre motivazioni sarebbe stato superfluo. Il silenzio si stiracchiò per attimi che parvero infinti, interrotto unicamente dal sibilo del vento che s’insinuava fra gli interstizi. Non poteva vederla da quell’angolazione, ma ne sentiva ancora gli occhi addosso. Poi l’altra infranse la quiete; ma a differenza di quanto aveva sperato non percepì alcuna comprensione nel suo tono di voce. Anzi.

“Tipico discorso di chi ha il cervello irrimediabilmente… fritto.” commentò, sferzandolo col rimprovero implicito “Certo, è comodo.” convenne “Ma resta il fatto che mi fa davvero, ma davvero incazzare! Perché, se non te ne fossi ancora accorto –la vecchiaia è carogna!- è troppo tardi per i ripensamenti e gli esami di coscienza!”

Ne era perfettamente consapevole, invece. Se n’era accorto quando si era presentata in casa sua, fradicia dalla testa ai piedi. E a Costa del Sol, quando l’aveva vista piangere, stagliata sulle onde del mare e sui fuochi d’artificio. Se n’era accorto quando aveva disegnato di lontano il morbido contorno delle sue labbra. O quando aveva visto quella stalattite di ghiaccio precipitarle addosso. Eppure, era proprio l’inevitabilità di quel legame a preoccuparlo. Era nato talmente in sordina che sembrava esserci da sempre e perfino i suoi compagni sembravano esserne consapevoli. Ciononostante non riusciva ad accettarlo con semplicità. Sarebbe stato… sbagliato. E ingiusto. Scosse la testa, scrollò le spalle e tornò a guardarla.

“Yuffie…” fece; ma l’altra non gli permise di parlare.

“Non ci provare!” l’ammonì “Adesso apri quelle stupide orecchie piene di ragnatele e stai a sentire me! Fino alla fine. E se ti azzardi a uscire da quella porta senza congedo, stavolta ti lancio appresso il letto! E le sedie. E il comodino, sì!” minacciò; e si portò una mano al ventre dolorante.

Quel dettaglio gli provocò una fitta al petto; e tornò a raggelarlo lungo lo stipite della porta. Ammesso e non concesso che avesse intenzione di andarsene.

“Mi hai chiesto perché l’ho fatto.” continuò invece la ninja, come insensibile al dolore “Bene! Adesso te lo spiego io, brutto sfigato di un vampiro!” proclamò, piantando ambo le mani sul letto, gli occhi colmi di determinazione “L’ho fatto perché mi fido di te. Perché sapevo che non avresti permesso a nessuno di farmi del male. Nemmeno al pipistrello gigante –e i graffi non si contano.” disse; e strinse le dita sulle coperte “E perché se non ti avessi fermato, se ti avessi permesso di fare delle persone quello che hai fatto degli elicotteri, adesso i nuvoloni neri che hai nel cervello ti sarebbero usciti direttamente dal naso. E perché siamo un magico duo. E perché, porco di un Leviathan, che ti piaccia oppure no ho agito per lo stesso motivo che ha spinto te a prenderti quel ghiacciolo nel petto! Perciò invece di stare lì come uno stoccafisso-bacchettone a fare domande inutili e a inventare scuse perché te la stai facendo nei pantaloni, fattene una ragione! Perché certe cose accadono e basta e tu non puoi farci proprio niente!”

Yuffie s’incurvò su se stessa e ansimò, sfinita, vuoi dal dire deciso, vuoi dal fisico prostrato. Parimenti, si accorse di essere a corto di fiato. E di argomentazioni. Perfino la rabbia, l’angoscia provate fino a qualche istante prima avevano perso di mordente, cedendo il posto alla confusione.

“Tutti sono imperfetti. Ma nessuno merita di stare da solo –nemmeno tu.” disse la ninja, passandosi ambo le mani sulla faccia “Che testa di cazzo che sei, Vincent Valentine!” esclamò infine; e si accorse di averla nuovamente ferita.

Assottigliò le labbra e deglutì, senza sapere cosa fare di preciso. Cosa ribattere a così tanta determinazione. E dolcezza. E si sentì sciocco, perché la persona che aveva di fronte non aveva bisogno di essere protetta. Anzi. Era di una tempra ben più resistente della sua. E probabilmente era solo lui che aveva il timore di mettersi in gioco. Di rischiare. E nella confusione che lo governava in quel momento l’unica osservazione degna di nota che gli salì alle labbra fu: “Deve esser vero. Me l’ha detto anche Cid.”

“Cid ha ragione da vendere.” concordò lei, continuando a stropicciarsi gli occhi “Ma lui non deve saperlo. Perciò non dirgli che l’ho detto.”

Si concesse un piccolo sbuffo liberatorio e si accorse che il cuore gli scalpitava nel petto. Una sensazione che quasi lo stranì, tanto era inusuale. Non sapeva da cosa dipendesse di preciso, se dalle sole dichiarazioni di Yuffie o se dallo scampato pericolo in generale, ma doveva calmarsi. Tralasciò l’uscio e si avvicinò al letto. Gli arti erano ancora torpidi, ma non pesanti come in principio. Raggiunse la sedia lì accanto, poggiò la mano alla spalliera e lentamente prese il posto di Tifa al capezzale di Yuffie. La ninja non lo guardava più, notò, quasi scevra della combattività che aveva appena usato per rimetterlo in riga. Da così vicino, poi, poteva tranquillamente notare le lacrime che le imperlavano le ciglia, nonostante avesse tentato di strapparle ripetutamente via dal viso. Col solo risultato di arrossarsi maggiormente le gote.

Si concentrò su quel dettaglio e pensò che fosse tenera. E graziosa. Rise internamente di sé. Non gli piaceva quello provava e si odiava per un mucchio di motivi diversi. Per averla lasciata da sola, per averla ferita e messa in pericolo. Eppure non poteva che desiderare di stringerle la mano con cui stava torturandosi la faccia. Ingollò a vuoto. Aveva ragione lei: era troppo tardi e rimuginarci sopra non aveva alcun senso. Poteva continuare a osservare la vita dalla finestra della sua dimora, crogiolandosi nei malinconici, sbiaditi ricordi di un’esistenza interrotta. O poteva semplicemente ricominciare a vivere. Anche se non era facile. Anche se non lo meritava. Anche se spesso faceva male.

Allungò il braccio e le afferrò la mano, scansandogliela delicatamente dal viso. Delineò rapidamente ciascuno dei suoi lineamenti, mentre gli occhi grandi della ninja gli si appuntavano addosso, colmi di sorpresa. Abbozzò un sorriso.

“Grazie, Yuffie.” le disse, così come avrebbe voluto fare sulla spiaggia.

L’altra lo fissò ancora per un po’, in silenzio. Ma quando accennò a lasciarle la mano fra le coperte, le dita di Yuffie si strinsero di rimando e gli impedirono di sottrarsi. La lasciò fare. E la vide aprirsi in un luminoso sorriso. Di quelli veri, privi della malizia che solitamente animava quelle labbra impertinenti. E se a Costa del Sol era rimasto confuso da quella reazione così spontanea, quasi infantile, in quel momento penso solo che non ci fosse niente che le donasse di più.

“Quando te ne sei andato ero davvero furiosa.” disse “Con te, con me stessa, con i pecoroni della megera… col mondo intero!” ridacchiò e scosse la testa “Alla fine ero solo frustrata. Impotente, confusa. E spaventata da quello che provavo. Perché avrei tanto voluto ignorarti e scappare anch’io il più lontano possibile.” confessò; poi il suo sguardo si fece distante “Lei… Lucrecia... Devi averla amata moltissimo.” disse “Ma ad amare troppo intensamente qualcuno si finisce col perdere se stessi, non è così?”

“Non conosco alternative.” ammise.

“È bellissimo... e spaventoso allo stesso tempo.” commentò Yuffie; poi rinforzò la stretta delle dita e soggiunse “Ma tu sei tornato!” fece “Ed, ehi, ci hai pensato? Finché siamo insieme potremo sempre ritrovare noi stessi l’uno nell’altra! Se la guardi da qui, non è poi così male.” disse; e sorrise, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

E la naturalezza con cui lo sostenne la fece sembrare semplice e priva di ombre perfino a lui. Non sapeva se a parlare per lei fosse l’ingenuità tipica della giovinezza o se, effettivamente, ci avesse visto giusto e molto più lontano di lui. In ogni caso dovette ammettere che la logica di Yuffie, per quanto spesso in contrasto col comune buon senso, restava inaffondabile. E per una volta decise di farla propria.

“Sembrerebbe di sì.”

L’altra batté le palpebre e considerò: “Ora si spiega perché il mondo sta per finire: Vincent-mummia-Valentine è d’accordo con la Rosa Bianca di Wutai!” lo canzonò “Dovremmo metterlo nero su bianco! Oppure fare una foto commemorativa –anche se tu e il flash non andate d’accordo. E dimmi, com’è andato il risveglio dal mondo dei morti?”

“Sto bene.”

In realtà si sentiva ancora impacciato nei movimenti, ma non c’era tempo per riposare e riacquistare le energie. Tanto più che, anche se la situazione sembrava sotto controllo, non sapeva né se ci fossero altri nemici in arrivo, né che fine avesse fatto Sephiroth.

“Buon per te, allora.” osservò Yuffie “Perché io la mia parte l’ho fatta –e Tifa ha minacciato di togliermi il dessert se non me ne sto a letto buona buona ad annoiarm… cioè, a riposare. RIPOSARE. Ci pensi? Proprio ora che Abigail si è decisa a scucire la torta ricotta e limone che nascondeva sotto al mattone -perché è tirchia quasi quanto te. E t’informo che Cloud e Barret sono già sulle tracce di Sephiroth…”

Strinse le labbra, la mascella, nient’affatto stupito.

“…perciò –e lasciamelo dire alla Wallace perché fa più fico- alza quel culo secco e raggiungili. Stare qui a fissarmi –in maniera un po’ inquietante, dato che si tratta di te- non mi farà guarire prima.” concluse la ninja “E anche se non posso capire quello che provi… credo che tu debba esserci quando lo troveranno.”

Yuffie gli riservò un’eloquente occhiata. Di rimando indugiò sulla mano di lei e annuì. Lanciò un ultimo sguardo alle fasciature della ninja e si alzò dal capezzale. Si voltò, il mantello svolazzò dietro di lui e uscì dalla stanza. Percorse il tragitto al contrario e tornò in salotto. Tifa sedeva sul divano, stropicciandosi le dita. Cid invece era tornato alla finestra, lancia fra le mani e sguardo perso all’orizzonte.

“A quella ragazza si gelerà il culo, se non si decide a rientrare…” stava dicendo.

Entrambi sollevarono lo sguardo su di lui appena sentirono il metallo dei suoi stivali impattare sul pavimento di legno. Di Red XIII non c’era più traccia.

“Stai andando?” chiese Cid.

Annuì.

“Io resterò qui fino all’arrivo di Reeve.” spiegò il Capitano della Shera “In bocca al lupo.”

Esitò, senza sapere di preciso cosa rispondere; poi optò per un semplice: “Grazie.” Di rimando il pilota ridacchiò, si arruffò la chioma bionda con la mano e borbottò qualcosa del tipo “Non c’è di che. Ma la prossima volta vada per un crepi. Suona meglio!”

Tifa abbandonò il divano e gli andò incontro.

“A Yuffie ci penso io. Non le permetterò di alzarsi. Né di ingozzarsi fino a scoppiare. Perciò stai tranquillo.” disse, portandosi elegantemente i capelli dietro le orecchie “Mi raccomando, fai attenzione anche tu.” soggiunse; e tornò in camera da letto.

La seguì con la coda dell’occhio. Poi riprese il cammino, aprì la porta e uscì. Vento e neve gli si rovesciarono addosso, tagliandogli la pelle e insinuandosi ovunque, fra i capelli, nel collo del mantello e al di sotto di esso. Rabbrividì, barcollò e quasi finì contro la porta. L’orizzonte si stendeva a perdita d’occhio come un ammasso bianco e compatto di piccoli fiocchi di neve che veniva sballottato da una parte all’altra, impazzito. Oltre le montagne s’intravedevano appena, delineandosi grigie sullo sfondo come unico punto di riferimento. I corpi dei soldati, le carcasse degli elicotteri erano invece appena distinguibili, ormai ricoperti da uno strato di neve spesso diversi centimetri. Come se la furiosa battaglia che avevano combattuto fosse già nient’altro che un vecchio, dimenticato ricordo.

Dei colpi secchi e cadenzati lo spinsero a volgere il capo sulla sinistra. Accucciata fra la neve, in prossimità dell’abbeveratoio per gli animali, stava Abigail. Attorno a lei c’erano alcune delle capre che allevava. Il vento le scompigliava i capelli, i vestiti, facendola rassomigliare ad un pupazzo in balia della tormenta. Le spalle le tremavano, ma non seppe dire se fosse per il freddo o per i singhiozzi. Strinse le labbra, le palpebre, cercando di distinguere i dettagli, e s’accorse che impugnava un martello; ma l’asse che cercava in tutti i modi di sistemare proprio non voleva saperne di stare al suo posto sulla staccionata. Era un gesto insensato, dato il momento e la distruzione circostante. Ma intuì che doveva servirle, quasi in quel modo potesse trovare un senso a ciò che era accaduto e a quanto aveva perso. E all’impotenza che provava.

Un fruscio improvviso lo richiamò all’attenzione e puntò dritto innanzi a sé, lungo la strada che l’attendeva. Per un attimo pensò di esserselo immaginato, dacché il fischio del vento copriva o rendeva indistinguibili la maggior parte dei suoni. Tuttavia vide un punto rosso avanzare a balzi verso di lui. Poco dopo riconobbe le fattezze animali di Red XIII che si faceva largo fra i cumuli di neve. Il felino lo raggiunse in breve e l’affiancò, scrollandosi vigorosamente l’umidità dal pelo.

“Presto!” urlò; e le intemperie dispersero in breve il suono della sua voce “Più avanti il vento s’intensifica. Acceca e disorienta. Inoltre le tracce sono scomparse…” comunicò “Perciò se vuoi raggiungerli, avrai bisogno del mio olfatto. Io vengo con te.”

Il felino non aspettò risposte. Così com’era venuto, riprese a balzare fra la neve, in direzione delle montagne. Lo seguì, ma di fatto fece solo qualche passo perché le strilla di Abigail lo raggiunsero di lontano, trascinate dal vento. Faticò a capire persino cosa stesse dicendo, ma gli sembrò che lo chiamasse. Si voltò di tre quarti, il mantello che gli si avvolgeva addosso e sbatteva in ogni dove. La individuò fra la neve: una sagoma avvolta da fiocchi bianchi imbizzarriti.

“Rientra in casa.” le disse; inutilmente.

La ragazza si piegò letteralmente in due, le braccia stretta attorno al corpo, e crollò in ginocchio sulla coltre bianca. Attraverso il vento, le sue urla gli giunsero ugualmente forti, chiare e strazianti: “Riportalo a casa.”
Non sapeva quanta forza e quanta determinazione possedesse, ma di una cosa era certo: era intenzionato a scoprirlo. Strinse i pugni, voltò le spalle alla sagoma prostrata dietro di sé e riprese il cammino, lo sguardo fisso all’impervio percorso che conduceva alla vetta.
 
... Salve. ùù'' Sì, lo so, è passata una eternità! °A° Chiedo venia a tutti quelli che aspettavano il proseguo della storia. >< Anche perché non è che sia convinta di ciò che c'è qui sopra. oo Al solito, insomma. xD Ma il marito ha detto che andava bene. E siccome continuavo a rivederlo mi ha obbligata a postarlo prima che passassero altri due mesi. ùù'' Perciò, se fa troppo schifo, prendetevala con lui! *w* Per il prossimo spero di non farvi aspettare troppo. >-< Prometto che risponderò a tutti in questi giorni!  °A° Anche perché in questo periodo non ho avuto molto tempo per stare su EFP... e probabilmente fino a Gennaio sarà lo stesso. >-< Uff. <-<' Intanto ne approfitto per ringraziarvi tutti per le bellissime parole che mi lasciate ogni volta. Non sapete quanto mi siano d'ispirazione! *w* Naturalmente sono bene accette anche le critiche! Perciò se avete consigli su come migliorare 'sto capitolo qui, fatevi avanti! °A° Grazie! ><
CompaH
   
 
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