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Autore: monalisasmile    01/11/2008    1 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17

 

-      DOVE DIAVOLO SEI STATA?! –

Rumiko non rispose, prendendosi tutto il tempo per chiudere la porta dell’appartamento 17 alle sue spalle.

“ Forse avrei dovuto aspettare un po’ prima di dargli una copia delle chiavi di casa…” fu il suo pensiero, effettivamente del tutto fuori luogo.

Non era stupita di trovarsi di fronte Yamato, né della sua collera. Era fuggita senza dire una parola e per tutto il pomeriggio non aveva risposto al cellulare. Aveva fatto preoccupare tutti, forse lui più degli altri. Ma aveva bisogno di stare sola, di pensare…

-      ALLORA?! CHE CAVOLO TI È PRESO?! –

-      Nulla… -

-      “ NULLA” NON È UNA RISPOSTA ACCETTABILE IN QUESTO MOMENTO! –

-      Non posso dirtelo… -

Yamato aprì la bocca per dire qualcosa, ma non vi uscì nulla. Rumiko si sentì morire vedendo lo sconforto e la disperazione nei suoi occhi.

Il cantante si portò entrambe le mani al capo, chinando la testa e appoggiandosi a una parete.

Stettero in silenzio per quelle che alla ragazza parvero ore, ma non osava infrangerlo. Per dire cosa, poi? Che era fuggita sperando scioccamente di seminare il suo digimon, un mostro digitale proveniente da un mondo parallelo? Che una volta erano compagne inseparabili, che avevano combattuto insieme per anni, per poi allontanarsi bruscamente? Che la causa del loro lungo distacco era il disastro accaduto un anno fa a New York in cui centinaia di persone, tra cui la sua amata madre, avevano perso la vita? Che lei si odiava per quello che aveva fatto?

“ Sono una persona disgustosa…un’assassina, una codarda…”

White Foxmon non aveva più colpe di lei per quello che era successo, eppure lei l’aveva allontanata malamente, le aveva rivolto parole crudeli, accuse immeritate. Perché aveva paura.

“ Non posso dirti nulla, Yamato… Lo so che sono egoista, lo so che sono una bugiarda e una vigliacca, ma se te lo dicessi tu mi lasceresti…”

E lei non voleva perderlo.

“ Io credo di amarti, Yamato…”

-      Cosa devo fare? – lo sentì mormorare.

Si copriva gli occhi con una mano, ma Rumiko ebbe la sensazione che fosse vicino al pianto. Avrebbe voluto abbracciarlo, rassicurarlo, fargli capire che lei gli era vicino e il resto non contava nulla.

Ma non si mosse, né seppe cosa rispondere.

Il biondo non disse più nulla. Trasse un profondo respiro e si staccò dalla parete. Si diresse verso la ragazza e la oltrepassò senza che i loro sguardi s’incrociassero.

Quando lei si voltò, lui aveva già chiuso la porta alle sue spalle.

 

-      Mimi? –

Daisuke allungò il passo. Non aveva ancora avuto modo d’incontrarla da quando era giunta a Tokyo, dato che ormai passava le sue giornate con Mei.

-      Che c’è, Dai? Chi hai visto? –

La biondina lo guardava interrogativa, avvinghiata al suo braccio.

A distanza di una settimana Daisuke non riusciva ancora a capacitarsi di quanto le cose fossero cambiate. Fino a poco tempo prima non aveva occhi che per la dolce Hikari, mentre ora…

-      Stavi guardando una ragazza, dì la verità! – insistette la riccia, mettendo il broncio.

“ Mentre ora mi sono preso una cotta per una pazza gelosa!” sospirò lui.

Eppure quel pensiero lo faceva sorridere. Mei era una ragazzina tutto pepe, frizzante ed esuberante, eppure nei suoi confronti si dimostrava spesso dolce e piena d’attenzioni. Era una strana sensazione accorgersi di piacere veramente a qualcuno. Inutile dire che la cosa lo riempiva d’orgoglio.

-      Ehi, abbassa la cresta, ragazzino! – lo avrebbe rimproverato scherzosamente Rumiko.

“ Già, Rumiko… in fondo è soprattutto grazie a lei se ora io e Mei stiamo insieme!”

A ben pensarci era da parecchi giorni che non la vedeva, chissà come aveva passato il Natale? Si ripromise di andarla a trovare nei prossimi giorni, magari in compagnia di Mei, dato che un paio di giorni fa la biondina aveva ammesso di trovarla simpatica.

-      Mi era parso di vedere una mia vecchia amica… – rispose  alla domanda della ragazza.

-      Che tipo di amica?! – lo fulminò lei.

-      Un’amica come Sora, come Rumiko… -

Sembrava averla convinta.

-      Ti spiace se la raggiungiamo? Mi piacerebbe salutarla visto che è da tanto tempo che non la vedo! –

-      Ok… ma facciamo in fretta! – si strinse ancor di più al suo braccio, quasi temesse che qualcuno potesse portarglielo via.

Lui si gonfiò d’orgoglio, sentendosi tanto desiderato. Poi partirono nella direzione in cui l’aveva vista.

 

Yamato si chiuse la porta del suo appartamento alle spalle e si diresse verso la sua stanza. Non si stese sul materasso, volendo evitare di vedere la fotografia che lei gli aveva regalato. Si sedette invece per terra, appoggiando la schiena al bordo del letto.

“ Cosa devo fare?”

Non lo sapeva. Per la prima volta in vita sua si ritrovava con le spalle al muro, incapace di reagire e, soprattutto, di proteggere una persona a lui cara. In passato aveva saputo consigliare i compagni, proteggere Takeru, riempire i vuoti lasciati dal divorzio nella vita del padre, ma ora… Ora tutta la sua maturità, il suo coraggio e la sua forza di volontà sembravano inutili.

“ Cosa devo fare?”

A chi poteva chiederlo? Il padre aveva già abbastanza grattacapi e sarebbe stata la prima volta che i due affrontavano un simile discorso.

I suoi amici sospettava che ne sapessero meno di lui. Aveva parlato con Sora quel giorno stesso, ma ormai gli sembrava chiaro che la pazienza e l’attesa erano soluzioni insufficienti al suo caso. Era sempre stato in tipo perseverante, ma non credeva di riuscire a sopportare in silenzio mentre Rumiko s’allontanava ogni giorno sempre più da lui.

S’erano appena sfiorati e già la stava perdendo…

“ Cosa devo fare?”

Per tutta la vita si era rifiutato di chiedere aiuto ad altre persone, fatta forse eccezione per Taichi e Sora. Ma se loro non erano in grado di aiutarlo, allora chi poteva farlo?

“ Gabumon…”

Era da molto tempo che non lo vedeva, chissà come stava, chissà se lo pensava, chissà se percepiva il tormento del suo digiprescelto anche a una simile distanza.

Istintivamente allungò una mano ad aprire l’ultimo cassetto del suo comodino e ne estrasse il suo digivice. Lo strinse nel pugno, quasi lo stesse supplicando di dar risposta ai suoi mille dubbi.

Ma l’oggetto rimase freddo e insensibile alla sua richiesta. Allargò le dita, lasciando che cadesse a terra, rimbalzando sul parquet con un tonfo metallico.

Si levò in piedi. Non poteva lasciarsi abbattere in questo modo, non era da lui! E poi…

“ Rumiko ha bisogno di me... e anche io di lei. Non posso perderla proprio ora che ci siamo avvicinati!”

Con questi propositi lasciò la stanza, deciso a farsi una doccia e lavare via i pensieri spiacevoli.

Il digivice restò ai piedi del letto.

 

-      Mei, la vedi? –

-      No! C’è troppa gente, Dai! –

I due allungarono il collo, alla ricerca di Mimi, ma inutilmente: la fiumana di persone di ritorno dal lavoro non permetteva loro di scorgerla.

-      Cavolo, eppure era davanti a noi un attimo fa… - borbottò il digiprescelto.

-      Eccola! –

Mei indicò una figurina in t-shirt che s’infilava in un vicolo sulla destra.

“ Ma dove va senza nemmeno una giacca? Siamo in dicembre!” si chiese Daisuke.

La coppia allungò il passo, cominciando a correre radente alle vetrine. Svoltarono l’angolo e s’infilarono nel vicolo.

Daisuke quasi urlò, quando vide Mimi poggiare le mani a terra e spiccare un balzo fino al tetto del palazzo di fronte.

Con uno strattone schiacciò Mei tra il suo corpo e il muro di un edificio, sperando che le ombre della sera li nascondessero alla vista di quella creatura che non poteva essere Mimi.

-      Dai, che diavolo…?! –

Le tappò la bocca con una mano, facendole segno di tacere. Si sporse un poco per vedere se la creatura se n’era andata. Non la vide da nessuna parte. Forse l’avevano scampata.

Mei colse quel attimo di distrazione per liberarsi dalla sua presa.

-      Che diavolo sta succedendo?! Perché la tua amica è saltata sul tetto di un palazzo a cinque piani?! –

-      Mei… - tentò di tranquillizzarla lui.

-      Che cosa è quella ragazza?! –

-      Non lo so… -

-      Che vuol dire che NON LO?! – strillò lei.

-      Esattamente quello che ho detto: NON LO SO! –

La biondina si ritrasse, stupita: era la prima volta che sentiva Daisuke alzare la voce.

-      Quella non è Mimi, non quella che conosco io… Deve esserle successo qualcosa. –

Ma cosa di preciso, non ne aveva idea. Sapeva solo che nessun essere umano né animale era in grado si compiere un simile balzo. Solo…

“ Solo un digimon potrebbe saltare in quel modo.”

La sua espressione era tanto seria e preoccupata che Mei decise di deporre l’ascia di guerra, almeno per il momento. Gli afferrò una mano, stringendola gentilmente.

-      Dai, che sta succedendo? E non dirmi che non lo sai, perché ho come l’impressione che tu un’idea ce l’abbia… -

-      Mei, non so se è una buona idea… -

-      Non ti fidi di me? O pensi che saperlo potrebbe mettermi in pericolo? –

-      Non è così semplice… -

-      Perché? –

Perché c’erano in ballo verità di cui pochi erano a conoscenza. Perché si parlava dell’esistenza di un altro mondo, parallelo al loro, e di altre creature molto diverse da quelle che popolavano la Terra che tutti conoscevano.

Spiegarle quella situazione voleva dire metterla a parte di tutto ciò che avevano fatto, che avevano visto. Voleva dire svelare non solo se stesso e il suo digimon, ma anche quelli degli altri.

Non ne aveva fatto parola con nessuno, nemmeno la sua famiglia. Dunque perché mai avrebbe dovuto…

-      Per favore, Dai… - lo supplicò la biondina sfoderando uno sguardo da cerbiatta.

-      E va bene, ti racconterò tutto… -

C’era poco da fare: Daisuke non sapeva resistere alle moine.

 

Rumiko esitò un attimo, poi infilò la chiave nella toppa ed entrò nell’appartamento 18.

Chiudendosi la porta alle spalle senza far rumore, per un attimo si sentì una ladra.

“ Che sciocchezze, è stata sua l’idea di scambiarci una copia delle chiavi. E poi non vengo a rubare!”

Voleva parlargli. Non sapeva ancora cosa gli avrebbe detto di preciso, ma non sopportava più di vederlo così. Se era stata lei a fargli del male, allora sarebbe stata lei a lenire quelle ferite. E se questo voleva dire rivelargli la verità, quella verità che persino ai suoi genitori aveva raccontato solo in parte…

Ormai non si chiedeva più se fosse o meno la cosa giusta da fare, perché non riusciva più a dare un significato a quel termine.

“ Giusto…”

Era forse giusto quello che era stato fatto a sua madre e a quella gente? Era forse giusto che suo padre e tante altre persone fossero state private dei loro cari? Era giusto il rancore che lei aveva riversato su White Foxmon?

Scosse il capo.

“ Ormai non ha più importanza…”

Sentì lo scroscio dell’acqua proveniente dal bagno e ipotizzò che Yamato si stesse facendo una doccia ristoratrice. Decise di attenderlo in camera sua.

Aprì la porta.

 

-      White Foxmon… quale piacevole sorpresa! –

Il digimon non si mosse, studiando con gli occhi rossi la fanciulla che aveva di fronte. Una cosa era sicura: il suo tono falsamente meravigliato tradiva una perversa ilarità, segno che s’era accorta da tempo del pedinamento.

-      A cosa devo l’onore? –

La voce poteva apparire umana, ma il digimon la percepiva stranamente distorta.

-      Cosa sei? –

La creatura sorrise, per nulla infastidita che la sua domanda fosse stata deliberatamente ignorata.

-      Dovresti saperlo… L’hai pensato non appena mi hai visto, ne sono sicuro. –

“ Un digimon…”

-      Esatto. – annuì la ragazza.

White Foxmon fece un balzo indietro: possibile che le avesse letto nel pensiero?

-      Possibilissimo, mia cara. –

La volpe rizzò il pelo, ringhiando guardinga.

-      Perché ti stupisci tanto? Non è la prima volta che ti capita d’incontrare un digimon con simili facoltà. –

White Foxmon lasciò che il pelo si riabbassasse, mentre indietreggiava a occhi sbarrati.

“ No…”

-      Oh sì… -

La volpe bianca si voltò e fece per fuggire, ma ormai era tardi: era caduta nella sua trappola.

Non vi furono colpi, né lampi luminosi. Improvvisamente la sua vista s’oscurò e il digimon cadde sulla grondaia del tetto, apparentemente privo di vita.

 

-      Quindi tu hai un mostro tutto tuo. – riassunse una perplessa Mei.

Se non avesse visto quella ragazza elevarsi per più di 15 metri, non ci avrebbe mai creduto. Ma ora le pareva tutto possibile. O quasi.

-      Digimon. – la corresse Daisuke – Io ho un digimon di nome V-mon. –

-      Certo, gli hai dato un nome, come si fa coi cani, i gatti… -

-      No no, lui si chiama proprio così. È il nome della sua…diciamo “specie”. –

-      Ho capito… e questo V-mon sa combattere? –

-      Altrochè! È fortissimo! –

-      Ma quanto è grande? –

-      Buh, è altro più o meno così… - si toccò un fianco.

Mei non riusciva a capacitarsi di tutto ciò. Un mostriciattolo fatto di dati digitali, proveniente da un mondo parallelo, in grado di combattere e di trasformarsi, assumendo dimensioni gigantesche e forza ancora maggiore.

-      E tu… - sollevò un sopracciglio, scettica – e tu saresti il suo padrone? –

-      No no, io sono piuttosto un amico per lui, sono il suo… -

 

-      Digiprescelto? -

Rumiko non s’accorse che l’acqua aveva smesso di scorrere ormai da un bel po’. Era rimasta immobile accanto alla porta, lo sguardo fisso sull’oggetto che giaceva ai piedi del letto.

“ No, non è possibile…”

Eppure per quanto s’ostinasse a ripeterselo, sapeva bene cosa fosse quella cosa: un digivice.

“ Magari è solo uno strano cercapersone…”

S’avvicinò lentamente, ma s’accorse che tremava e che a ogni passo si sentiva più debole, quasi fosse sul punto di svenire. Si chinò a sfiorarlo.

Ma appena le sue dita toccarono lo schermo, l’oggetto parve animarsi e sul quadrante comparve un simbolo simile allo Ying e Yang. E lei sapeva bene cosa significasse…

-      Vedo che hai trovato il mio cercapersone, devo averlo dimenticato per terra. –

Lei non si mosse al sopraggiungere di Yamato.

Non ricevendo risposta, lui si chinò a raccoglierlo, senza smettere di frizionarsi i capelli con un asciugamano. Quando notò il simbolo comparso sul quadrante, aggrottò le sopracciglia.

-      Si è attivato? – mormorò tra sé e sé.

Poi, quasi si fosse ricordato della presenza di Rumiko, si affrettò ad aggiungere con noncuranza:

-      Credevo fosse rotto! Forse sono solo scariche le batterie… -

-      Non prendermi in giro… -

-      Come? –

La ragazza si alzò.

-      NON OSARE PRENDERMI IN GIRO! –

-      Che ti prende, Rumiko? - fece un passo indietro lui, sorpreso da quella reazione.

-      Il tuo digivice si è attivato perché l’ho toccato! –

-      Tu...tu sai cos’è? –

Yamato sembrava interessato, quasi piacevolmente sorpreso da quella rivelazione inaspettata.

-      Certo che lo so! E so anche chi sei TU! - ringhiò lei, furiosa.

I suoi occhi viola mandavano saette di puro odio.

-      Tu – sibilò – tu sei uno degli otto bambini prescelti che entrarono in possesso delle digipietre. Tu sei il prescelto dell’Amicizia. E io… io per colpa vostra… -

Sembrava davvero sconvolta e, sebbene non ne capisse il motivo, Yamato provò il desiderio di tranquillizzarla. Ma appena le si avvicinò, Rumiko scattò indietro come fosse stata scottata.

-      Rumiko… -

-      Io vi odio… vi odio tutti, voi e gli altri quattro… -

-      Ma perché? Che abbiamo fatto? –

-      DOVE ERAVATE UN ANNO FA? DOVE ERAVATE MENTRE ALPTRAUMON IMPERVERSAVA SU NEW YORK, SEMINANDO L’ANGOSCIA E LA PAURA? DOVE ERAVATE MENTRE IO E WHITE FOXMON COMBATTEVAMO DA SOLE, MENTRE CI ERA STATO PROMESSO IL VOSTRO AIUTO?! –

Yamato la guardò sbigottito.

-      Deve esserci stato un malinteso, noi non… -

-      UN MALINTESO?! – indietreggiò lei, inorridita – CENTINAIA DI PERSONE SONO MORTE E TU PARLI DI MALINTESO?! –

Calò il silenzio.

Lui non sapeva cosa dire perché non aveva capito quasi nulla, lei perché sembrava aver dato sfogo a ogni grammo di energia.

Poi, senza più dire una parola, Rumiko lasciò la stanza, chiudendo rumorosamente la porta dell’appartamento 18 alle sue spalle.

Yamato si lasciò cadere sul letto, il digivice ancora stretto in mano: le cose si complicavano sempre più.

 

Rumiko si chiuse la porta di casa alle spalle e si diresse a grandi falcate in salotto. Caffè la raggiunse dalla cucina, scodinzolando felice di vedere la padroncina.

“ Lui è uno di quei digiprescelti e gli altri chissà dove…”

Si bloccò: un’intuizione le aveva attraversato la mente.

“ Yamato, Sora, Taichi, Koushiro…”

Da quanto aveva capito una parte del loro gruppo di amici si conosceva da molto tempo. Daisuke le aveva raccontato che quando Takeru s’era trasferito nella loro scuola era evidente che conosceva Hikari profondamente…

“ Yamato, Sora, Taichi, Koushiro, Takeru, Hikari…”

Non aveva avuto modo di vedere molto spesso Jiou, ma s’era stupita di quanto fosse saldo anche il suo rapporto con il resto della comitiva, sebbene si frequentassero poco.

“ Yamato, Sora, Taichi, Koushiro, Takeru, Hikari, Jiou…”

Sette. E l’ottavo…

 

Yamato guardò nuovamente l’immagine appesa sul suo letto. Una nuova interpretazione si stava facendo largo nella sua mente: quella immortalata nella fotografia non era Rumiko, ma il suo digimon.

“ Un digimon di sembianze umane, perché no?”

Se non altro ora quadravano molte cose. La reticenza della ragazza a parlare del suo passato, a svelare il significato di quella foto…

“ Ecco perché lei non ha ancora superato lo shock per la perdita della madre…”

Immaginava quale trauma dovesse esser stato, quale peso dovesse portare nel suo cuore, sapendo di esser la causa della morte non solo della propria madre, ma anche di molte altre persone.

Ricordava i titoli dei quotidiani nei giorni successivi al disastro nella metropolitana, le immagini raccapriccianti che avevano invaso i telegiornali. Una New York devastata…

Aggrottò le sopracciglia.

Se era in corso una simile battaglia tra digimon, com’era possibile che Mimi non se ne fosse accorta?

 

L’ottavo non poteva che essere la loro amica newyorchese.

Dopo la battaglia contro Alptraumon, Rumiko aveva scoperto che a New York risiedeva una degli otto digiprescelti che per primi avevano messo piede a Digiworld ed erano entrati in possesso delle digipietre. Non sapeva i loro nomi, né dove risiedessero gli altri. Ma una cosa era certa: l’avevano abbandonata al suo destino, lasciandola sola a combattere contro un nemico troppo potente perché potesse affrontarlo da sola.

“ Se fossero arrivati, se mi avessero aiutata, quella notte io…”

 

Yamato incrociò le braccia sotto la testa.

Se le cose stavano così, il rancore di Rumiko nei loro confronti era comprensibile. Ma non lo era il comportamento di Mimi.

“ Perché non ci ha avvertiti della battaglia? Saremmo intervenuti di certo! Perché non ce ne ha fatto parola nemmeno dopo? Possibile che non lo sapesse?”

Impossibile, non se la battaglia aveva assunto simili proporzioni. Ma allora…

“ Ce l’ha forse tenuto nascosto? Ma perché avrebbe dovuto…?”

Balzò in piedi, folgorato da un’intuizione.

Quel pomeriggio, quando lei e Koushiro erano arrivati al luogo dell’appunto e Rumiko se n’era appena andata, Mimi aveva dimostrato un certo interesse nei suoi confronti, piuttosto ingiustificato, considerando che non l’aveva mai vista prima…

“ A meno che non la conoscesse già.”

Koushiro aveva detto che la ragazza s’era praticamente autoinvitata a casa sua, quasi senza preavviso e senza dare spiegazioni. Che si trattasse del semplice desiderio di una rimpatriata coi vecchi amici era da escludersi: conoscendo Mimi, si sarebbe presa tutto il tempo per organizzare un ritorno in grande stile.

“ Ma che Diavolo sta succedendo?”

Si prese il capo tra le mani, sedendosi nuovamente sulla sponda del letto.

Mimi non poteva non sapere cosa fosse successo quella notte. Ma sul perché non ne avesse parlato ai compagni, Yamato non sapeva darsi una risposta plausibile.

E ora eccola qua, tornata in fretta e furia da New York, senza dare spiegazioni a nessuno e dimostrando uno spiccato interesse per una persona che teoricamente non dovrebbe conoscere.

Inoltre…

Il telefono squillò.

 

Rumiko si lasciò cadere su una poltrona e il cucciolo color cioccolato balzò al suo fianco.

Lei lo accarezzò distrattamente, mentre il cagnolino uggiolava piano, quasi avesse intuito lo stato d’animo della ragazza.

Dunque tutti loro, compresi Daisuke, Miyako, Ken e Iori, erano dei digiprescelti. Quei digiprescelti. Quelli che non l’avevano soccorsa nel momento del bisogno, quelli che potevano evitare la morte di tutte quelle persone…di sua madre…

Se loro fossero intervenuti, forse nessuno si sarebbe fatto male, nessuno avrebbe sofferto e lei…lei non si sarebbe macchiata del sangue di centinaia di persone innocenti, costretta a vivere nel tormento per il resto della sua vita.

A quante persone aveva inflitto una ferita che mai si sarebbe rimarginata, quante persone aveva privato dei familiari e degli amici…quanti orfani, vedove e vedovi piangevano ancora la notte, soli… Le bastava vedere suo padre per ricordarsi ogni giorno della sofferenza che aveva dato a tanta gente.

Tutto questo avrebbe potuto essere evitato proprio da loro…

“ Daisuke…”

Sentiva le lacrime salirgli agli occhi.

“ Sora…”

Raccolse le ginocchia al petto, abbracciando le gambe e nascondendo il volto già rigato di lacrime. Caffè le leccò una mano, ma non ottenne reazione.

“ Taichi…”

Scossa dai singhiozzi, non s’accorse del cagnolino che si stava infilando sotto le sue braccia.

“ Yamato…”

Sollevò il capo di scatto quando la lingua rosea di Caffè le leccò il mento. Guardò il cucciolo sul suo ventre, che la osservava con le orecchie basse e lo sguardo triste.

Lei lo abbracciò stretto, affondando il suo viso nel pelo morbido.

Voleva bene a tutti loro e aveva da poco scoperto di provare qualcosa di speciale per Yamato. Aveva riassaporato la felicità… Perché doveva trattarsi proprio di loro? Lei odiava quei digiprescelti, le avevano rovinato la vita…

 

-      Ciao Koushiro, che succede? –

La voce dall’altro capo del telefono gli appariva preoccupata e titubante.

-      Per caso hai notizie di Mimi? -

-      Mimi? –

“ Parli del Diavolo…”

-      Quando siamo tornati a casa ha detto di sentirsi molto stanca e di voler riposare…quando mia madre ha detto che la cena era pronta sono andato a svegliarla, ma lei non era più nella sua stanza… -

-      Magari è andata a farsi un giro… -

-      Nessuno di noi l’ha vista o sentita uscire… -

Silenzio. Al biondo parve che l’amico stesse traendo un respiro, come se la cosa che si apprestasse a raccontare gli costasse molta fatica.

-      Yamato… credo che sia uscita dalla finestra… -

-      Ma abitate al sesto piano! –

-      Lo so! – lo sentì quasi strillare dall’altro capo del telefono.

Yamato immaginò che al rosso costasse parecchia fatica anche solo ipotizzare che la cosa fosse possibile, data la sua proverbiale razionalità.

-      Yamato, sono preoccupato... c’è qualcosa che non va… -

Il biondo si sedette sul divano del salotto, sospirando: se non altro non era solo lui a esser diventato paranoico.

-      Ascolta… non ti ho detto una cosa, riguardo Mimi… -

-      Di cosa si tratta? –

-      Credo che lei sia qui per Rumiko. –

Yamato si fece più attento.

-      Che vuoi dire? Cosa vuole da lei? –

-      Non ne ho idea. – ammise l’altro – Ma quando le ho fatto il nome di Rumiko era chiaro che non le fosse nuovo. Credo che si conoscessero già a New York… -

-      Rumiko non la conosce, gliene ho parlato diverse volte ma non ha reagito minimamente. –

-      Strano… dalla espressione seria di Mimi avevo ipotizzato che fosse successo qualcosa tra di loro lì… -

Yamato trattenne il respiro. Improvvisamente i pezzi cominciavano a combaciare.

-      Koushiro… hai detto che è uscita dalla finestra… ne sei sicuro? –

-      Non ha senso, lo so, ma noi eravamo vicini all’ingresso e di là non è passata, perciò… -

-      Koushiro – lo bloccò lui – e se quella non fosse Mimi? –

-      Che vuoi dire? –

-      Cosa può saltare fuori da una finestra del sesto piano e non farsi nulla? –

 

-      Toc toc! – cinguettò una voce femminile.

Rumiko si guardò intorno perplessa, il volto rigato dalle lacrime che, asciugandosi, avevano creato sottili linee salate. Caffè si liberò dal suo abbraccio, correndo ad abbaiare alla porta a vetri del salotto.

-      C’è qualcuno là fuori? – si tirò in piedi stancamente.

Si sentiva stranamente debole.

-      Sì, mi apri per favore? Fa freddo… - squittì ancora quella voce sconosciuta.

Scostò le tende.

-      Buonasera, Rumiko… -

 

 

 

Continua…

 

 

  
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