Capitolo 17
-
DOVE
DIAVOLO SEI STATA?! –
Rumiko
non rispose, prendendosi tutto il tempo per chiudere la porta
dell’appartamento
17 alle sue spalle.
“
Forse avrei dovuto aspettare un po’ prima di dargli una copia
delle chiavi di
casa…” fu il suo pensiero, effettivamente del
tutto fuori luogo.
Non
era stupita di trovarsi di fronte Yamato, né della sua
collera. Era fuggita
senza dire una parola e per tutto il pomeriggio non aveva risposto al
cellulare. Aveva fatto preoccupare tutti, forse lui più
degli altri. Ma aveva
bisogno di stare sola, di pensare…
-
ALLORA?!
CHE CAVOLO TI È PRESO?! –
-
Nulla…
-
-
“
NULLA” NON È UNA RISPOSTA ACCETTABILE IN QUESTO
MOMENTO! –
-
Non
posso dirtelo… -
Yamato
aprì la bocca per dire qualcosa, ma non vi uscì
nulla. Rumiko si sentì morire vedendo
lo sconforto e la disperazione nei suoi occhi.
Il
cantante si portò entrambe le mani al capo, chinando la
testa e appoggiandosi a
una parete.
Stettero
in silenzio per quelle che alla ragazza parvero ore, ma non osava
infrangerlo.
Per dire cosa, poi? Che era fuggita sperando scioccamente di seminare
il suo
digimon, un mostro digitale proveniente da un mondo parallelo? Che una
volta
erano compagne inseparabili, che avevano combattuto insieme per anni,
per poi allontanarsi
bruscamente? Che la causa del loro lungo distacco era il disastro
accaduto un
anno fa a New York in cui centinaia di persone, tra cui la sua amata
madre,
avevano perso la vita? Che lei si odiava per quello che aveva fatto?
“
Sono una persona disgustosa…un’assassina, una
codarda…”
White
Foxmon non aveva più colpe di lei per quello che era
successo, eppure lei
l’aveva allontanata malamente, le aveva rivolto parole
crudeli, accuse
immeritate. Perché aveva paura.
“
Non posso dirti nulla, Yamato… Lo so che sono egoista, lo so
che sono una bugiarda
e una vigliacca, ma se te lo dicessi tu mi
lasceresti…”
E
lei non voleva perderlo.
“
Io credo di amarti, Yamato…”
-
Cosa
devo fare? – lo sentì mormorare.
Si
copriva gli occhi con una mano, ma Rumiko ebbe la sensazione che fosse
vicino
al pianto. Avrebbe voluto abbracciarlo, rassicurarlo, fargli capire che
lei gli
era vicino e il resto non contava nulla.
Ma
non si mosse, né seppe cosa rispondere.
Il
biondo non disse più nulla. Trasse un profondo respiro e si
staccò dalla
parete. Si diresse verso la ragazza e la oltrepassò senza
che i loro sguardi
s’incrociassero.
Quando
lei si voltò, lui aveva già chiuso la porta alle
sue spalle.
-
Mimi? –
Daisuke
allungò il passo. Non aveva ancora avuto modo
d’incontrarla da quando era
giunta a Tokyo, dato che ormai passava le sue giornate con Mei.
-
Che
c’è, Dai? Chi hai visto? –
La
biondina lo guardava interrogativa, avvinghiata al suo braccio.
A distanza
di una settimana Daisuke non riusciva ancora a capacitarsi di quanto le
cose
fossero cambiate. Fino a poco tempo prima non aveva occhi che per la
dolce
Hikari, mentre ora…
-
Stavi guardando
una ragazza, dì la
verità! – insistette la riccia, mettendo il
broncio.
“
Mentre
ora mi sono preso una cotta per una pazza gelosa!”
sospirò lui.
Eppure
quel pensiero lo faceva sorridere. Mei era una ragazzina tutto pepe,
frizzante
ed esuberante, eppure nei suoi confronti si dimostrava spesso dolce e
piena
d’attenzioni. Era una strana sensazione accorgersi di piacere
veramente a
qualcuno. Inutile dire che la cosa lo riempiva d’orgoglio.
-
Ehi, abbassa la
cresta, ragazzino! –
lo avrebbe rimproverato scherzosamente Rumiko.
“
Già,
Rumiko… in fondo è soprattutto grazie a lei se
ora io e Mei stiamo insieme!”
A ben
pensarci era da parecchi giorni che non la vedeva, chissà
come aveva passato il
Natale? Si ripromise di andarla a trovare nei prossimi giorni, magari
in
compagnia di Mei, dato che un paio di giorni fa la biondina aveva
ammesso di
trovarla simpatica.
-
Mi era parso di
vedere una mia
vecchia amica… – rispose
alla domanda
della ragazza.
-
Che tipo di amica?! – lo
fulminò lei.
-
Un’amica
come Sora, come Rumiko… -
Sembrava
averla convinta.
-
Ti spiace se la
raggiungiamo? Mi
piacerebbe salutarla visto che è da tanto tempo che non la
vedo! –
-
Ok…
ma facciamo in fretta! – si
strinse ancor di più al suo braccio, quasi temesse che
qualcuno potesse
portarglielo via.
Lui si
gonfiò d’orgoglio, sentendosi tanto desiderato.
Poi partirono nella direzione
in cui l’aveva vista.
Yamato si
chiuse la porta del suo appartamento alle spalle e si diresse verso la
sua stanza.
Non si stese sul materasso, volendo evitare di vedere la fotografia che
lei gli
aveva regalato. Si sedette invece per terra, appoggiando la schiena al
bordo
del letto.
“ Cosa
devo fare?”
Non lo
sapeva. Per la prima volta in vita sua si ritrovava con le spalle al
muro,
incapace di reagire e, soprattutto, di proteggere una persona a lui
cara. In
passato aveva saputo consigliare i compagni, proteggere Takeru,
riempire i
vuoti lasciati dal divorzio nella vita del padre, ma ora…
Ora tutta la sua
maturità, il suo coraggio e la sua forza di
volontà sembravano inutili.
“ Cosa
devo fare?”
A chi
poteva chiederlo? Il padre aveva già abbastanza grattacapi e
sarebbe stata la
prima volta che i due affrontavano un simile discorso.
I suoi
amici sospettava che ne sapessero meno di lui. Aveva parlato con Sora
quel
giorno stesso, ma ormai gli sembrava chiaro che la pazienza e
l’attesa erano
soluzioni insufficienti al suo caso. Era sempre stato in tipo
perseverante, ma
non credeva di riuscire a sopportare in silenzio mentre Rumiko
s’allontanava
ogni giorno sempre più da lui.
S’erano
appena sfiorati e già la stava perdendo…
“ Cosa
devo fare?”
Per tutta
la vita si era rifiutato di chiedere aiuto ad altre persone, fatta
forse
eccezione per Taichi e Sora. Ma se loro non erano in grado di aiutarlo,
allora
chi poteva farlo?
“
Gabumon…”
Era da
molto tempo che non lo vedeva, chissà come stava,
chissà se lo pensava, chissà
se percepiva il tormento del suo digiprescelto anche a una simile
distanza.
Istintivamente
allungò una mano ad aprire l’ultimo cassetto del
suo comodino e ne estrasse il
suo digivice. Lo strinse nel pugno, quasi lo stesse supplicando di dar
risposta
ai suoi mille dubbi.
Ma
l’oggetto rimase freddo e insensibile alla sua richiesta.
Allargò le dita,
lasciando che cadesse a terra, rimbalzando sul parquet con un tonfo
metallico.
Si
levò in
piedi. Non poteva lasciarsi abbattere in questo modo, non era da lui! E
poi…
“
Rumiko
ha bisogno di me... e anche io di lei. Non posso perderla proprio ora
che ci
siamo avvicinati!”
Con questi
propositi lasciò la stanza, deciso a farsi una doccia e
lavare via i pensieri
spiacevoli.
Il
digivice restò ai piedi del letto.
-
Mei, la vedi?
–
-
No!
C’è troppa gente, Dai! –
I due
allungarono il collo, alla ricerca di Mimi, ma inutilmente: la fiumana
di
persone di ritorno dal lavoro non permetteva loro di scorgerla.
-
Cavolo, eppure
era davanti a noi un
attimo fa… - borbottò il digiprescelto.
-
Eccola!
–
Mei
indicò
una figurina in t-shirt che s’infilava in un vicolo sulla
destra.
“ Ma
dove
va senza nemmeno una giacca? Siamo in dicembre!” si chiese
Daisuke.
La coppia
allungò il passo, cominciando a correre radente alle
vetrine. Svoltarono
l’angolo e s’infilarono nel vicolo.
Daisuke
quasi urlò, quando vide Mimi poggiare le mani a terra e
spiccare un balzo fino
al tetto del palazzo di fronte.
Con uno
strattone schiacciò Mei tra il suo corpo e il muro di un
edificio, sperando che
le ombre della sera li nascondessero alla vista di quella creatura che
non
poteva essere Mimi.
-
Dai, che
diavolo…?! –
Le
tappò
la bocca con una mano, facendole segno di tacere. Si sporse un poco per
vedere
se la creatura se n’era andata. Non la vide da nessuna parte.
Forse l’avevano
scampata.
Mei colse
quel attimo di distrazione per liberarsi dalla sua presa.
-
Che diavolo sta
succedendo?! Perché
la tua amica è saltata sul tetto di un palazzo a cinque
piani?! –
-
Mei…
- tentò di tranquillizzarla lui.
-
Che cosa è quella ragazza?!
–
-
Non lo
so… -
-
Che vuol dire
che NON LO?! – strillò
lei.
-
Esattamente
quello che ho detto: NON
LO SO! –
La biondina
si ritrasse, stupita: era la prima volta che sentiva Daisuke alzare la
voce.
-
Quella non
è Mimi, non quella che
conosco io… Deve esserle successo qualcosa. –
Ma cosa di
preciso, non ne aveva idea. Sapeva solo che nessun essere umano
né animale era in
grado si compiere un simile balzo. Solo…
“ Solo
un
digimon potrebbe saltare in quel modo.”
La sua
espressione era tanto seria e preoccupata che Mei decise di deporre
l’ascia di
guerra, almeno per il momento. Gli afferrò una mano,
stringendola gentilmente.
-
Dai, che sta
succedendo? E non dirmi
che non lo sai, perché ho come l’impressione che
tu un’idea ce l’abbia… -
-
Mei, non so se
è una buona idea… -
-
Non ti fidi di
me? O pensi che
saperlo potrebbe mettermi in pericolo? –
-
Non è
così semplice… -
-
Perché?
–
Perché
c’erano in ballo verità di cui pochi erano a
conoscenza. Perché si parlava
dell’esistenza di un altro mondo, parallelo al loro, e di
altre creature molto
diverse da quelle che popolavano
Spiegarle
quella situazione voleva dire metterla a parte di tutto ciò
che avevano fatto,
che avevano visto. Voleva dire svelare non solo se stesso e il suo
digimon, ma
anche quelli degli altri.
Non ne
aveva fatto parola con nessuno, nemmeno la sua famiglia. Dunque
perché mai
avrebbe dovuto…
-
Per favore,
Dai… - lo supplicò la
biondina sfoderando uno sguardo da cerbiatta.
-
E va bene, ti
racconterò tutto… -
C’era
poco
da fare: Daisuke non sapeva resistere alle moine.
Rumiko
esitò un attimo, poi infilò la chiave nella toppa
ed entrò nell’appartamento
18.
Chiudendosi
la porta alle spalle senza far rumore, per un attimo si
sentì una ladra.
“ Che
sciocchezze, è stata sua l’idea di scambiarci una
copia delle chiavi. E poi non
vengo a rubare!”
Voleva
parlargli. Non sapeva ancora cosa gli avrebbe detto di preciso, ma non
sopportava più di vederlo così. Se era stata lei
a fargli del male, allora
sarebbe stata lei a lenire quelle ferite. E se questo voleva dire
rivelargli la
verità, quella verità che persino ai suoi
genitori aveva raccontato solo in parte…
Ormai non
si chiedeva più se fosse o meno la cosa giusta da fare,
perché non riusciva più
a dare un significato a quel termine.
“
Giusto…”
Era forse
giusto quello che era stato fatto a sua madre e a quella gente? Era
forse
giusto che suo padre e tante altre persone fossero state private dei
loro cari?
Era giusto il rancore che lei aveva riversato su White Foxmon?
Scosse il
capo.
“
Ormai
non ha più importanza…”
Sentì
lo
scroscio dell’acqua proveniente dal bagno e
ipotizzò che Yamato si stesse
facendo una doccia ristoratrice. Decise di attenderlo in camera sua.
Aprì
la
porta.
-
White
Foxmon… quale piacevole
sorpresa! –
Il digimon
non si mosse, studiando con gli occhi rossi la fanciulla che aveva di
fronte.
Una cosa era sicura: il suo tono falsamente meravigliato tradiva una
perversa
ilarità, segno che s’era accorta da tempo del
pedinamento.
-
A cosa devo
l’onore? –
La voce
poteva apparire umana, ma il digimon la percepiva stranamente distorta.
-
Cosa sei?
–
La
creatura sorrise, per nulla infastidita che la sua domanda fosse stata
deliberatamente ignorata.
-
Dovresti
saperlo… L’hai pensato non
appena mi hai visto, ne sono sicuro. –
“ Un
digimon…”
-
Esatto.
– annuì la ragazza.
White
Foxmon fece un balzo indietro: possibile che le avesse letto nel
pensiero?
-
Possibilissimo,
mia cara. –
La volpe
rizzò il pelo, ringhiando guardinga.
-
Perché
ti stupisci tanto? Non è la
prima volta che ti capita d’incontrare un digimon con simili
facoltà. –
White
Foxmon lasciò che il pelo si riabbassasse, mentre
indietreggiava a occhi sbarrati.
“
No…”
-
Oh
sì… -
La volpe
bianca si voltò e fece per fuggire, ma ormai era tardi: era
caduta nella sua
trappola.
Non vi
furono colpi, né lampi luminosi. Improvvisamente la sua
vista s’oscurò e il
digimon cadde sulla grondaia del tetto, apparentemente privo di vita.
-
Quindi tu hai un
mostro tutto tuo. –
riassunse una perplessa Mei.
Se non
avesse visto quella ragazza elevarsi per più di
-
Digimon.
– la corresse Daisuke – Io
ho un digimon di nome V-mon. –
-
Certo, gli hai
dato un nome, come si
fa coi cani, i gatti… -
-
No no, lui si
chiama proprio così. È
il nome della sua…diciamo “specie”.
–
-
Ho
capito… e questo V-mon sa
combattere? –
-
Altrochè!
È fortissimo! –
-
Ma quanto
è grande? –
-
Buh,
è altro più o meno così… -
si
toccò un fianco.
Mei non
riusciva a capacitarsi di tutto ciò. Un mostriciattolo fatto
di dati digitali,
proveniente da un mondo parallelo, in grado di combattere e di
trasformarsi,
assumendo dimensioni gigantesche e forza ancora maggiore.
-
E tu…
- sollevò un sopracciglio,
scettica – e tu saresti il suo padrone? –
-
No no, io sono
piuttosto un amico per
lui, sono il suo… -
-
Digiprescelto? -
Rumiko non
s’accorse che l’acqua aveva smesso di scorrere
ormai da un bel po’. Era rimasta
immobile accanto alla porta, lo sguardo fisso sull’oggetto
che giaceva ai piedi
del letto.
“ No,
non
è possibile…”
Eppure per
quanto s’ostinasse a ripeterselo, sapeva bene cosa fosse
quella cosa: un
digivice.
“
Magari è
solo uno strano cercapersone…”
S’avvicinò
lentamente, ma s’accorse che tremava e che a ogni passo si
sentiva più debole,
quasi fosse sul punto di svenire. Si chinò a sfiorarlo.
Ma appena
le sue dita toccarono lo schermo, l’oggetto parve animarsi e
sul quadrante
comparve un simbolo simile allo Ying e Yang. E lei sapeva bene cosa
significasse…
-
Vedo che hai
trovato il mio
cercapersone, devo averlo dimenticato per terra. –
Lei non si
mosse al sopraggiungere di Yamato.
Non
ricevendo risposta, lui si chinò a raccoglierlo, senza
smettere di frizionarsi
i capelli con un asciugamano. Quando notò il simbolo
comparso sul quadrante,
aggrottò le sopracciglia.
-
Si è
attivato? – mormorò tra sé e
sé.
Poi, quasi
si fosse ricordato della presenza di Rumiko, si affrettò ad
aggiungere con
noncuranza:
-
Credevo fosse
rotto! Forse sono solo
scariche le batterie… -
-
Non prendermi in
giro… -
-
Come? –
La ragazza
si alzò.
-
NON OSARE
PRENDERMI IN GIRO! –
-
Che ti prende,
Rumiko? - fece un
passo indietro lui, sorpreso da quella reazione.
-
Il tuo digivice
si è attivato perché l’ho
toccato! –
-
Tu...tu sai
cos’è? –
Yamato
sembrava interessato, quasi piacevolmente sorpreso da quella
rivelazione
inaspettata.
-
Certo che lo so!
E so anche chi sei
TU! - ringhiò lei, furiosa.
I suoi
occhi viola mandavano saette di puro odio.
-
Tu –
sibilò – tu sei uno degli otto
bambini prescelti che entrarono in possesso delle digipietre. Tu sei il
prescelto dell’Amicizia. E io… io per colpa
vostra… -
Sembrava
davvero sconvolta e, sebbene non ne capisse il motivo, Yamato
provò il
desiderio di tranquillizzarla. Ma appena le si avvicinò,
Rumiko scattò indietro
come fosse stata scottata.
-
Rumiko…
-
-
Io vi
odio… vi odio tutti, voi e gli
altri quattro… -
-
Ma
perché? Che abbiamo fatto? –
-
DOVE ERAVATE UN
ANNO FA? DOVE ERAVATE
MENTRE ALPTRAUMON IMPERVERSAVA SU NEW YORK, SEMINANDO
L’ANGOSCIA E
Yamato la
guardò sbigottito.
-
Deve esserci
stato un malinteso, noi
non… -
-
UN MALINTESO?!
– indietreggiò lei,
inorridita – CENTINAIA DI PERSONE SONO MORTE E TU PARLI DI
MALINTESO?! –
Calò
il
silenzio.
Lui non
sapeva cosa dire perché non aveva capito quasi nulla, lei
perché sembrava aver
dato sfogo a ogni grammo di energia.
Poi, senza
più dire una parola, Rumiko lasciò la stanza,
chiudendo rumorosamente la porta
dell’appartamento 18 alle sue spalle.
Yamato si
lasciò cadere sul letto, il digivice ancora stretto in mano:
le cose si
complicavano sempre più.
Rumiko si
chiuse la porta di casa alle spalle e si diresse a grandi falcate in
salotto.
Caffè la raggiunse dalla cucina, scodinzolando felice di
vedere la padroncina.
“ Lui
è
uno di quei digiprescelti e gli
altri
chissà dove…”
Si
bloccò:
un’intuizione le aveva attraversato la mente.
“
Yamato,
Sora, Taichi, Koushiro…”
Da quanto
aveva capito una parte del loro gruppo di amici si conosceva da molto
tempo.
Daisuke le aveva raccontato che quando Takeru s’era
trasferito nella loro
scuola era evidente che conosceva Hikari profondamente…
“
Yamato,
Sora, Taichi, Koushiro, Takeru, Hikari…”
Non aveva
avuto modo di vedere molto spesso Jiou, ma s’era stupita di
quanto fosse saldo
anche il suo rapporto con il resto della comitiva, sebbene si
frequentassero
poco.
“
Yamato,
Sora, Taichi, Koushiro, Takeru, Hikari, Jiou…”
Sette. E
l’ottavo…
Yamato
guardò nuovamente l’immagine appesa sul suo letto.
Una nuova interpretazione si
stava facendo largo nella sua mente: quella immortalata nella
fotografia non
era Rumiko, ma il suo digimon.
“ Un
digimon di sembianze umane, perché no?”
Se non altro
ora quadravano molte cose. La reticenza della ragazza a parlare del suo
passato, a svelare il significato di quella foto…
“ Ecco
perché lei non ha ancora superato lo shock per la perdita
della madre…”
Immaginava
quale trauma dovesse esser stato, quale peso dovesse portare nel suo
cuore,
sapendo di esser la causa della morte non solo della propria madre, ma
anche di
molte altre persone.
Ricordava
i titoli dei quotidiani nei giorni successivi al disastro nella
metropolitana,
le immagini raccapriccianti che avevano invaso i telegiornali. Una New
York
devastata…
Aggrottò
le sopracciglia.
Se era in
corso una simile battaglia tra digimon, com’era possibile che
Mimi non se ne
fosse accorta?
L’ottavo
non poteva che essere la loro amica newyorchese.
Dopo la
battaglia
contro Alptraumon, Rumiko aveva scoperto che a New York risiedeva una
degli
otto digiprescelti che per primi avevano messo piede a Digiworld ed
erano
entrati in possesso delle digipietre. Non sapeva i loro nomi,
né dove
risiedessero gli altri. Ma una cosa era certa: l’avevano
abbandonata al suo
destino, lasciandola sola a combattere contro un nemico troppo potente
perché
potesse affrontarlo da sola.
“ Se
fossero
arrivati, se mi avessero aiutata, quella notte io…”
Yamato
incrociò le braccia sotto la testa.
Se le cose
stavano così, il rancore di Rumiko nei loro confronti era
comprensibile. Ma non
lo era il comportamento di Mimi.
“
Perché
non ci ha avvertiti della battaglia? Saremmo intervenuti di certo!
Perché non
ce ne ha fatto parola nemmeno dopo? Possibile che non lo
sapesse?”
Impossibile,
non se la battaglia aveva assunto simili proporzioni. Ma
allora…
“ Ce
l’ha
forse tenuto nascosto? Ma perché avrebbe
dovuto…?”
Balzò
in
piedi, folgorato da un’intuizione.
Quel
pomeriggio, quando lei e Koushiro erano arrivati al luogo
dell’appunto e Rumiko
se n’era appena andata, Mimi aveva dimostrato un certo
interesse nei suoi
confronti, piuttosto ingiustificato, considerando che non
l’aveva mai vista
prima…
“ A
meno
che non la conoscesse già.”
Koushiro
aveva detto che la ragazza s’era praticamente autoinvitata a
casa sua, quasi
senza preavviso e senza dare spiegazioni. Che si trattasse del semplice
desiderio di una rimpatriata coi vecchi amici era da escludersi:
conoscendo
Mimi, si sarebbe presa tutto il tempo per organizzare un ritorno in
grande
stile.
“ Ma
che Diavolo
sta succedendo?”
Si prese
il capo tra le mani, sedendosi nuovamente sulla sponda del letto.
Mimi non
poteva non sapere cosa fosse successo quella notte. Ma sul
perché non ne avesse
parlato ai compagni, Yamato non sapeva darsi una risposta plausibile.
E ora
eccola qua, tornata in fretta e furia da New York, senza dare
spiegazioni a
nessuno e dimostrando uno spiccato interesse per una persona che
teoricamente
non dovrebbe conoscere.
Inoltre…
Il telefono
squillò.
Rumiko si
lasciò cadere su una poltrona e il cucciolo color cioccolato
balzò al suo
fianco.
Lei lo
accarezzò distrattamente, mentre il cagnolino uggiolava
piano, quasi avesse
intuito lo stato d’animo della ragazza.
Dunque
tutti loro, compresi Daisuke, Miyako, Ken e Iori, erano dei
digiprescelti. Quei digiprescelti.
Quelli che non
l’avevano soccorsa nel momento del bisogno, quelli che
potevano evitare la
morte di tutte quelle persone…di sua madre…
Se loro
fossero intervenuti, forse nessuno si sarebbe fatto male, nessuno
avrebbe
sofferto e lei…lei non si sarebbe macchiata del sangue di
centinaia di persone
innocenti, costretta a vivere nel tormento per il resto della sua vita.
A quante
persone aveva inflitto una ferita che mai si sarebbe rimarginata,
quante
persone aveva privato dei familiari e degli amici…quanti
orfani, vedove e
vedovi piangevano ancora la notte, soli… Le bastava vedere
suo padre per
ricordarsi ogni giorno della sofferenza che aveva dato a tanta gente.
Tutto
questo avrebbe potuto essere evitato proprio da loro…
“
Daisuke…”
Sentiva le
lacrime salirgli agli occhi.
“
Sora…”
Raccolse
le ginocchia al petto, abbracciando le gambe e nascondendo il volto
già rigato
di lacrime. Caffè le leccò una mano, ma non
ottenne reazione.
“
Taichi…”
Scossa dai
singhiozzi, non s’accorse del cagnolino che si stava
infilando sotto le sue
braccia.
“
Yamato…”
Sollevò
il
capo di scatto quando la lingua rosea di Caffè le
leccò il mento. Guardò il
cucciolo sul suo ventre, che la osservava con le orecchie basse e lo
sguardo
triste.
Lei lo
abbracciò stretto, affondando il suo viso nel pelo morbido.
Voleva
bene a tutti loro e aveva da poco scoperto di provare qualcosa di
speciale per
Yamato. Aveva riassaporato la felicità…
Perché doveva trattarsi proprio di loro?
Lei odiava quei digiprescelti, le
avevano rovinato la vita…
-
Ciao Koushiro,
che succede? –
La voce
dall’altro capo del telefono gli appariva preoccupata e
titubante.
-
Per caso hai
notizie di Mimi? -
-
Mimi? –
“
Parli
del Diavolo…”
-
Quando siamo
tornati a casa ha detto
di sentirsi molto stanca e di voler riposare…quando mia
madre ha detto che la
cena era pronta sono andato a svegliarla, ma lei non era più
nella sua stanza…
-
-
Magari
è andata a farsi un giro… -
-
Nessuno di noi
l’ha vista o sentita
uscire… -
Silenzio.
Al biondo parve che l’amico stesse traendo un respiro, come
se la cosa che si
apprestasse a raccontare gli costasse molta fatica.
-
Yamato…
credo che sia uscita dalla
finestra… -
-
Ma abitate al
sesto piano! –
-
Lo
so! – lo
sentì quasi
strillare dall’altro capo del telefono.
Yamato
immaginò che al rosso costasse parecchia fatica anche solo
ipotizzare che la
cosa fosse possibile, data la sua proverbiale razionalità.
-
Yamato, sono
preoccupato... c’è
qualcosa che non va… -
Il biondo
si sedette sul divano del salotto, sospirando: se non altro non era
solo lui a
esser diventato paranoico.
-
Ascolta…
non ti ho detto una cosa,
riguardo Mimi… -
-
Di cosa si
tratta? –
-
Credo che lei
sia qui per Rumiko. –
Yamato si
fece più attento.
-
Che vuoi dire?
Cosa vuole da lei? –
-
Non ne ho idea.
– ammise l’altro – Ma
quando le ho fatto il nome di Rumiko era chiaro che non le fosse nuovo.
Credo
che si conoscessero già a New York… -
-
Rumiko non la
conosce, gliene ho
parlato diverse volte ma non ha reagito minimamente. –
-
Strano…
dalla espressione seria di
Mimi avevo ipotizzato che fosse successo qualcosa tra di loro
lì… -
Yamato
trattenne il respiro. Improvvisamente i pezzi cominciavano a combaciare.
-
Koushiro…
hai detto che è uscita
dalla finestra… ne sei sicuro? –
-
Non ha senso, lo
so, ma noi eravamo
vicini all’ingresso e di là non è
passata, perciò… -
-
Koushiro
– lo bloccò lui – e se
quella non fosse Mimi? –
-
Che vuoi dire?
–
-
Cosa
può saltare fuori da una
finestra del sesto piano e non farsi nulla? –
-
Toc toc!
– cinguettò una voce
femminile.
Rumiko si
guardò intorno perplessa, il volto rigato dalle lacrime che,
asciugandosi,
avevano creato sottili linee salate. Caffè si
liberò dal suo abbraccio,
correndo ad abbaiare alla porta a vetri del salotto.
-
C’è
qualcuno là fuori? – si tirò in
piedi stancamente.
Si sentiva
stranamente debole.
-
Sì,
mi apri per favore? Fa freddo… -
squittì ancora quella voce sconosciuta.
Scostò
le
tende.
-
Buonasera,
Rumiko… -
Continua…