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Autore: Ameliasvk    01/12/2014    7 recensioni
"In principio ci furono le fiamme."
Londra, 1882. Amelie von Kleemt è una giovane di buona famiglia, ed ha tutto ciò che una ragazza della sua età possa desiderare: un nome altisonante, una casa lussuosa, innumerevoli vestiti, gioielli e... un fidanzato che non ha nemmeno mai visto in volto. Accade però che durante la festa di fidanzamento, la ragazza viene a conoscenza della più orrenda delle verità. Chi sono le creature che popolano i suoi incubi? Cosa vogliono da lei... ma soprattutto, sono reali? Ma è proprio quando tutte le sue speranze crollarono in mille pezzi, che Amelie viene salvata da un misterioso ragazzo, il quale, subito dopo…
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12

Questioni Di Cuore

_ Miguel_

         Il sole mattutino mi irritava gli occhi, e la notte passata completamente insonne, non aveva di certo giovato a riordinarmi le idee.
Tutt'altro, ero di pessimo umore.
Avevo ancora in bocca il sapore ferroso e mediocre del sangue di quella cameriera... come si chiamava? Non ricordavo più nemmeno il suo nome, o forse non gliel’avevo neanche chiesto.
Beh, pazienza… fatto sta che nutrirmi da lei, era servito a ben poco.
         Disgustato, mi portai una mano al collo alla ricerca del pendente. Non era facile individuarlo; lo tenevo ben nascosto sotto il colletto della camicia, in modo che nessuno potesse rendersi conto della sua esistenza.
Era decisamente importante tenerlo al sicuro… almeno per un altro po’.
Sfiorai leggermente con la punta delle dita la sua superficie d’oro, liscia e fredda, per poi soffermarmi sulla piccola pietra rossa dalla forma pentagonale incastonata al suo interno.
Oh, si. Il rubino era caldo.
Bruciava quasi, sempre di più… proprio come la mia gola riarsa.
Più la piccola pietra diventava incandescente, più la mia sete cresceva, superando qualsiasi limite. Tra me e quell’arma c’era un legame forte, un legame di sangue, indistruttibile ed eterno.
         D'un tratto lasciai stare quel ciondolo dov’era, risistemandomi velocemente il colletto della camicia. Non dovevo sprecare altro tempo, e il calore sprigionato dalla collana, non era altro che un avvertimento.
Il tempo stava per scadere ed io ancora non avevo trovato la Chiave. 
         Alla fine le informazioni dell'Ailthium si erano rivelate inesatte e quella donna, Clarice, era morta ancor prima di rivelarmi qualcosa.
         “Salva mia figlia!” aveva detto, ma cosa voleva significare quella frase?
         Era forse la bambina la Chiave che tutti stavano cercando?
Beh, sinceramente dubitavo che la piccola potesse aver a che fare con quella faccenda, ma fin ora, era l’unico indizio che avevo a disposizione.
Con molta fretta, scesi le scale che portavano all’entrata del giardino e senza rallentare la marcia, mi diressi verso il gazebo in ferro battuto dove stavano facendo colazione il conte James e sua figlia Eva.
Salutai velocemente i due, rifiutando con garbo la proposta del conte di sedermi con loro e prendere una tazza di tè.
         La signorina Eva intanto, mi guardava di sottecchi, studiandomi con cura, dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Appuntai lo sguardo su di lei, freddo ed inespressivo, quel tanto per farla smettere.
Come volevasi dimostrare, la ragazza abbassò gli occhi imbarazzata.
Mi lasciai scappare un risolino e con aria divertita mi congedai da lei e suo padre.
         Non mi andava di restare sotto il sole cocente, così optai per rifugiarmi all’ombra di un bell'albero. Un leggero venticello scompigliò i miei capelli. Avrei dovuto respirare a pieni polmoni quell’aria fresca e piena d’ossigeno, ma proprio non riuscivo a rilassarmi.
Tutti i miei sensi erano tesi, all’erta, con la fame alle costole e l’autocontrollo sotto ai piedi. Trovavo irritante persino dover passare del tempo all’aperto, peccato però che il lavoro chiamava, e purtroppo non potevo fare a meno di assolverlo.
         Mi appoggiai languidamente alla corteccia centenaria di una grande quercia e restai immobile, con lo sguardo fisso verso il giardino, ed improvvisamente qualcosa cambiò.
         “Eccoti qua, Piccolo Tarlo.” mi dissi, aguzzando lo sguardo su Amelie.
         Fin dal mio arrivo nel giardino ero sempre stato consapevole della sua presenza, ma mi ero categoricamente proibito di dargli peso, anche perché non volevo spaventarla dopo ciò che era accaduto la sera prima.
Se solo non l’avessi cacciata così in malo modo dalla mia stanza… la serata si sarebbe conclusa tragicamente.
Lo sapevo.
E sapevo anche che ero stato incauto a baciarla tanto... avidamente?
Ma in quel momento il desiderio di toccarla e sentirla mia, era diventato talmente forte da non riuscire più a respirare.
Non mi ero mai sentito tanto eccitato in tutta la mia vita, ma… perché mi aveva abbracciato?
Quel gesto così improvviso aveva fatto quasi spezzare la sottile linea che teneva ancora legata la ragione al mio corpo.
Dovevo ringraziare solo il Signore, Buddha o una qualsiasi altra entità divina, per non esserle saltato addosso... soprattutto in presenza della bambina.
Sarebbe stato imperdonabile procurarle un ulteriore shock, dato che ero stato io stesso a portarla con me.
         Ovviamente mi aspettavo le solite lamentele da parte della contessa von Kleemt, ma stranamente, Lamia aveva acconsentito ad ospitare la piccola per un po’ di tempo.
Inutile dire che Amelie ne era entusiasta.
Nel solo vedere lei e quella ragazzina, Sophie, giocare felici sul prato, mi era tornato il buon umore.
Me la stavo letteralmente ridendo sotto i baffi.
Non riuscivo a distinguere chi delle due fosse in realtà la più “bambina”.
Gridavano, correvano, e si gettavano a terra ridacchiando come gallinelle. Ad Amelie non importava minimamente di mantenere un contegno da elegante signorina di buona famiglia, e si ruzzolava nell’erba come una qualsiasi bimbetta di paese.
Era passato quasi un mese dal mio arrivo nella residenza dei Von Kleemt, ed ancora non l’avevo vista sorridere in quel modo, così spensieratamente come invece stava facendo insieme alla piccola. Nel vederla finalmente felice, sentii uno strano calore propagarsi all'altezza dello sterno.
E no, non era per via del ciondolo.
         Quella mattina, lei ancora non mi aveva rivolto la parola e si era limitata a guardarmi da lontano, con aria circospetta. Dal canto mio, non avevo problemi a fissarla, anche a costo di sembrare insolente. Anzi, mi piaceva tremendamente metterla in imbarazzo.
         Stavo vagamente pensando di cancellarle la memoria per quanto riguardava la sera precedente… ma mi bloccai. Non volevo toglierle i ricordi del nostro bacio. Volevo che ci pensasse e ripensasse fino allo sfinimento, proprio come facevo io con lei.
Poi, per un secondo, i nostri sguardi si incrociarono, ma Amelie distolse velocemente il suo.
Mi piacevano i suoi occhi, erano profondi e di un colore cangiante, tendente sia al castano che al verde.
         La vista cominciò ad annebbiarsi, e dovetti lottare contro me stesso per non far cadere sui miei occhi il velo scarlatto dell’eccitazione. Anche la pietra rossa del mio ciondolo si fece più calda, diventando incandescente.
Oh, Amelie...  le guardai le labbra, il collo, le gambe affusolate che si intravedevano da sotto le gonne in movimento e…
         << Vi ho visto.>> affermò disinvolta sua sorella Eva, strappandomi bruscamente dai miei pensieri perversi.
         << La scorsa notte.>> precisò, << Vi ho visto con quella cameriera.>>
         Alzai lo sguardo con aria di sfida.
Evidentemente, non ero stato abbastanza cauto.
         << Origliare è maleducazione, signorina Von Kleemt.>> dissi, schioccandole un sorriso tagliente.
         Lei si limitò come pochi minuti prima ad osservarmi, da capo a piedi.
         << Suvvia, Miguel! Sapete benissimo che potete chiamarmi Eva.>> la sua voce era ferma e decisa, proprio come quella di Lamia.
         << Certamente, Eva. Ma vedete… non vorrei darvi troppa confidenza.>> dichiarai gelidamente.
         Lei parve incupirsi.
         << Non mi pare che con Amelie, siate stato così formale, anzi…>> sussurrò acidamente.
         Al ricordo di Amelie, una fitta bruciante colpì improvvisamente la mia gola.
         << Voi non siete Amelie, milady.>> asserii piatto nella voce.
         Lei parve accusare il colpo, poi con estrema sfacciataggine si avvicinò a me posando una mano sulla mia spalla destra.
          << Io non sarò Amelie… >> fece esitante, << Ma so chi e che cosa siete... e mi affascina terribilmente.>>
         Avvicinò il volto al mio orecchio, sfiorandomi la guancia con i suoi capelli che odoravano di gelsomino.
         << Ho saputo da mia madre come stanno in realtà le cose, fin dal principio. Infatti… mi sembrava strano che…>> sfiorò le mie labbra con un dito, << Un uomo come voi, così… di bell’aspetto… si fosse, come dire? Interessato? … ad Amelie. Però non mi sarei mai aspettata che… dalla semplice protezione, foste arrivato a dover interpretare il ruolo del fidanzatino innamorato. Ce ne passa di strada, non credete?>>
         Eva sorrise, e con tono mellifluo le dissi gentilmente di non toccarmi.
Era palese che stesse recitando, ma volendomi divertire ancora un po’ finsi di non accorgermene.
         << Ognuno ha i suoi gusti.>> risposi ironicamente, pensando che sebbene lei fosse una bella ragazza, non rispecchiava abbastanza i miei: mi ricordava troppo la madre.
         << E ditemi, allora… credete forse di poter toccare Amelie? Sapete bene che non è pane per i vostri denti! Io non permetterò mai che voi la…>> si bloccò improvvisamente.
         Bene, si era accorta di aver rivelato troppo.
         << Avanti, Eva. Cosa stavate dicendo poco fa?>> la spronai.
         << Niente. Assolutamente nulla… >> disse sbattendo le ciglia in modo civettuolo.
         Ma a chi voleva darla a bere?
         << Quindi non vi dispiacerà se questa notte, farò una visitina alla stanza di Amelie. Infondo come suo promesso sposo, potrei anche infischiarmene delle buone maniere e fare questo ed altro.>> sussurrai beffardamente.
         Lei sbiancò.
         << No... non oserete! Io non ve lo permetterò!>> ribadì spaventata.
         Mi venne da ridere, ma improvvisamente la fitta alla gola si fece più acuta e la pietra al contatto col mio collo sempre più rovente.
Dannazione… fino ad allora ero sempre riuscito a contenere gli attacchi di fame entro un limite ben delineato, ma da quando vivevo costantemente a contatto con quel Piccolo Tarlo di Amelie, il sangue che bevevo da altri non mi bastava più.
Volevo solo il suo, ma… la fame aumentava di giorno in giorno.
         Eva vide sicuramente i miei occhi vacillare dal rosso all’azzurro: non riuscivo a stabilizzarmi. Poi le fitte diventarono sempre più incalzanti, continue e laceranti. Volevo del sangue, ne avevo bisogno... disperatamente!
         Ansimante, mi girai di scatto verso le figure gioiose di Amelie e la piccola Sophie.
Amelie si era appena messa una ghirlanda di margherite fatta dalla bambina.
         Quanto tempo ci avrei messo per azzannale il collo?
Già assaporavo il sapore delizioso del suo sangue nella mia bocca… e la vista si tinse definitivamente, diventando scarlatta.
         << Oh mio Dio! Ma cosa vi succede?>>  urlò quell’altra che mi stava vicino.
         La mia mente era totalmente presa dal desiderio che avevo di Amelie da riuscire a dimenticare qualsiasi altra cosa che non fosse lei.
         << La fame… >> riuscii a biascicare, ma la mia voce era roca ed impastata.
         Nemmeno la riconoscevo.
Eva guardò velocemente prima me e poi il punto fisso su cui erano posati i miei occhi, poi sussultò.
         << Per l’amor del cielo! Non la toccherete nemmeno con un dito!>> latrò terrorizzata, urlando così forte che desiderai tapparle la bocca una volta per tutte.
         Afferrò il mio braccio così da non lasciarmi andare, ma la sua presa era debole come il suono del mare all’interno di una conchiglia.
         << La voglio… >> mi sfuggì dalle labbra, e senza rendermene conto strattonai Eva a terra per dirigermi verso Amelie.
         Ma la ragazza si attaccò nuovamente al mio braccio, tirandomi all’indietro.
         << Prendete il mio sangue se volete! Ma lasciate in pace Amelie! Lei non può perderlo! Finirebbe per…>>
          “Morire” aggiunse silenziosamente la voce della mia coscienza.
         Portai entrambe le mani agli occhi.
Bruciavano troppo.
         Come mi ero potuto lasciar comandare così dal desiderio?
Se non ci fosse stata Eva, le conseguenze sarebbero state terribili. Ma le fitte ormai erano diventate un dolore onnipresente e continuo, tanto insopportabili da farmi accasciare a terra.
E così feci.
         Lei si sedette sull’erba vicino a me e con mano ferma, si sbottonò le asole del colletto merlettato. Tirò giù la stoffa fino alla clavicola e in un attimo le fui sul collo; poi il battito d’ali di una farfalla, ecco il tempo che ci voleva. Prima ancora che potessi accorgermene, le avevo già perforato la pelle con le zanne e il suo sangue si riversava dritto all’interno della mia bocca, come l’acqua zampillante di una sorgente. E proprio come l’acqua, quel sangue mi sembrava scialbo ed insapore.
Reclinai la testa, affondando sempre più in profondità.
         Con mia grande sorpresa Eva restava completamente immobile; sapevo di farle male, ma la verità era che non me ne importava assolutamente niente. Volevo solo saziarmi, immaginare che quello fosse il sangue di Amelie e scordare di avere lei tra le braccia, ma come spesso accadeva, dopo pochi secondi il sangue altrui cominciava a diventarmi indigesto, nauseabondo… completamente disgustoso.
         D'un tratto immaginai nuovamente di sentire l’odore di Amelie nell'aria, ma quando alzai lo sguardo, mi accorsi che non si trattava di una finzione.
Lei era lì.
Se ne stava in piedi davanti a noi, il viso pallido, trasfigurato dal terrore.
Il suo urlo striminzito si levò basso e gracile, indebolito da una disperazione che mai avevo osato immaginarle sul volto.
         Ci fissava, anzi... mi fissava, e il suo sguardo aveva il potere di trafiggermi da parte a parte, affilato come la lama di un coltello.
Poi, dai suoi splendidi occhi cangianti cominciarono a scendere imperterrite le lacrime.
         Un’altra fitta dolorosa mi colpì.
No, non si trattava della gola.
Era più giù, in profondità, all’interno del mio corpo, forse nel petto... leggermente a sinistra.
         Ci fu un’altra fitta ed un’altra ancora, come se qualcuno si stesse divertendo nel puntellarmi il cuore dall’interno.
Si, il cuore.
         Era da lì che proveniva quell’insensato dolore, e fu proprio in quel momento... che ricordai di possederne uno.

_ Amelie_

         Era una bella giornata.
Una di quelle calde, luminose e vivaci… capaci di farti sorridere spontaneamente, senza motivo.
         Il cielo era limpido, terso e il sole splendeva alto, irradiando il tutto sotto una calda e carezzevole luce. Solo qualche soffice nube bianca si intravedeva all’orizzonte, dipingendo sulla vasta tela del cielo un meraviglioso affresco dalle forme più fantasiose e disparate. Le risate gioiose impregnavano l’aria di una strana elettricità che frizzava sulla pelle.
Ancora non riuscivo a crederci, ma stavo allegramente giocando in giardino con Sophie.
         Chi mai avrebbe potuto immaginare uno sviluppo simile?
 Di certo non io, almeno non così presto.
Unica pecca: sentivo fin nelle ossa lo sguardo di Miguel che vagava sulla mia pelle.
Continuavo a ripetermi di ignorarlo, ordinando a me stessa di non dargli importanza, peccato però che non ci riuscissi del tutto.
         Erano passate più o meno due ore da quando quella mattina l’avevo portata da Lamia e la piccola, sembrava essersi perfettamente ambientata. I lividi sugli occhi avevano ancora una sfumatura bruna, quasi bluastra, ma perlomeno sarebbero guariti in poco tempo, mentre per quanto riguardava la sua memoria… sembrava averla perduta del tutto.
Non ricordava nulla, neppure il suo nome.
Fu così che io e Lamia provvedemmo per trovargliene uno, ribattezzandola col nome della mia bisnonna: Sophie.
Era stato il primo nome che ci era venuto in mente e comunque, la piccina sembrava gradirlo.
         Ricordai che mentre le stavo lavando di dosso tutto quel sangue, i miei occhi si erano focalizzati perplessi su alcune ferite che aveva sulle braccia e sull’addome. Non sembravano lividi, ma più che altro strane cicatrici ancora fresche… e dietro il collo, sotto la nuca, aveva una voglia color porpora.
         Dov’è che l’avevo già vista?
         Forse nei miei sogni?
Proprio non lo sapevo, eppure quella piccola voglia a forma di runa intrecciata, somigliava tremendamente a qualcosa che al momento mi sfuggiva.
          Cosa mai poteva esser accaduto ad una bambina così piccola ed indifesa?
Nel solo immaginarlo, mi vennero i brividi.
Chissà da dove veniva... e chissà perché Miguel l'aveva portata con sé.
Accantonai i pensieri molesti sul mio finto fidanzato e ritornai a concentrarmi sulla bambina. La conoscevo da quella mattina soltanto, eppure riuscivo a capire la piccola Sophie con un solo sguardo. Mi piaceva stare con lei, veramente; tra di noi c’era complicità e molto, molto affiatamento... lo leggevo nei suoi occhi, non potendo far altro che ricambiare a mia volta. E poi, era così dolce e carina! Come potevo resisterle? Soprattutto quando sorrideva, perché le guanciotte paffute diventavano rosee come fiori di pesco.
         Comunque sia, a parte quelle strane cicatrici e i lividi sugli occhi, la bambina per nostra fortuna sembrava stare più che bene, ma la sua buona salute non bastava a cancellare la preoccupazione che provavo nei suoi confronti. Innanzitutto per quanto riguardava Miguel.
         Era ovvio che lo spettacolo della notte scorsa mi avesse turbato così tanto, no?
Ricordavo con chiarezza, quanto il suo viso fosse contratto dal dolore… ma se da un lato trovavo la scena orribile e terrificante, dall’altra parte avevo desiderato con tutta me stessa abbracciarlo forte, cullandolo dolcemente fra le mie braccia.
Non avevo mai provato nulla del genere: una sensazione così strana, travolgente, impetuosa... da farmi dimenticare tutto... persino la paura. Non sarei mai voluta andarmene, ma i suoi occhi… i suoi splendidi occhi erano…
         << Palla!>> urlò la bambina.
         Un secondo dopo, sentii schiaffarsi violentemente sulla mia faccia un pallone di cuoio.
Ringraziai mentalmente Sophie per avermi strappato in modo così – come possiamo dire? – “efficace?” dalla strana piega che stavano prendendo i miei pensieri.
         << Ti sei fatta male, signorina Amelia?>> chiese in tono scherzoso, raccogliendo la palla ai miei piedi.
         Cercai di guardarla con occhi severi, ma alla vista del suo brillante sorriso il cuore mi si sciolse in una poltiglia fumante.
         << Non chiamarmi “signorina Amelia”, per te sono semplicemente Amelie! E certo che mi hai fatto male! Ma ti perdono solo perché sei la bambina più bella del mondo!>> dissi allegramente, cercando di acchiapparla.
         Sophie svincolò via ridendo a crepapelle, poi si voltò a guardarmi con i suoi grandi occhi dal colore diverso: uno azzurro ed uno castano. Erano stupendi.
         << Allora ti chiamerò Amelie!>> esultò entusiasta.
         Mi corse incontro a braccia aperte, stringendomi con forza.
Fui colta da un eccessivo moto d'affetto nei suoi confronti e senza rendermene conto, la presi in braccio. Pesava come una piuma. Le feci fare una giravolta, poi un'altra ed un'altra ancora.
Poi, improvvisamente qualcosa cambiò e la sensazione di avere gli occhi di Miguel puntati addosso, scomparve nel nulla.
Preoccupata, mi guardai intorno.
No, effettivamente non era più nelle vicinanze, però riuscivo ancora a sentire il suo dolce profumo spargersi nell’aria.
         << Amelie, sai dove sono la tua bella sorella e il signore con gli occhi blu? Voglio giocare anche con loro! Solo che non li vedo da nessuna parte, dimmi, tu lo sai dove sono?>> quelle domande, mi spiazzarono.
         Eva, doveva trovarsi sicuramente a pochi passi da noi, ma… per qualche strana ragione non riuscivo più a vederla. Nemmeno Miguel c’era.
Un tremore improvviso mi fece venire la pelle d’oca.  
         Dove si erano cacciati entrambi?
         << Non lo so, piccolina… comunque sia, qui con te ci sono io! Non ti basto, forse?>> la mia voce usciva sempre più acuta di parola in parola.
         Non volevo pensarci, magari era solo una coincidenza che mancassero tutti e due nello stesso momento.
         << Amelie, sei gelosa?>> le sue parole mi colpirono come una freccia, scoccata e poi infrantasi direttamente al centro del bersaglio.
         I bambini proprio non sapevano tener la lingua a freno, eh?
         << Ma cosa vai a pensare? Io, gelosa!>> risi stridulamente, << Ma figuriamoci!>>
         << Allora giocherò solo con te, Amelie!>> prese la palla e cominciò a lanciarmela.
         Mentre la rincorrevo a perdifiato sull’erba, il dubbio che Eva e Miguel fossero insieme da qualche parte, cominciò ad attanagliarmi violentemente la testa.
         “E se Eva provasse interesse nei confronti di Miguel?” pensai, ma a quell’idea inorridii, scuotendo il capo.
         No, non poteva essere.
Era vero che ultimamente io e mia sorella ci parlavamo unicamente se costrette, ma il nostro era solo uno dei tanti battibecchi che si sarebbe risolto col tempo. Inoltre, lui era (seppur temporaneamente) il mio fidanzato e se di Miguel non potevo fidarmi, sapevo per certo che Eva non mi avrebbe mai tradito.
         << Amelie! Vediamo se riesci a prendere questa!>> Sophie prese la palla da terra e la lanciò con tutta la forza che possedeva nelle piccole, gracili braccia.
         Vidi la palla sferzare l’aria, sempre più in alto, per poi sorpassarmi e finire una diecina di metri più lontana, tra le foglie della grande quercia.
Feci un grande respiro e afferrai i miei capelli, legandoli frettolosamente in uno chignon. Erano troppo lunghi, e oltre a darmi fastidio, s'impigliavano dappertutto.
         << La prendo io!>> dissi euforicamente.
         Senza perder tempo, mi diressi saltellando allegramente verso l’antico albero e una volta arrivata, aguzzai lo sguardo.
La palla si era incastrata tra due grosse radici che fuoriuscivano dal terreno. Mi abbassai nel tentativo di afferrarla e per sbaglio, udii ciò che mai avrei voluto sentire: un gridolino sommesso di donna.
         In quel momento il mio sangue defluì alla testa e le mani che reggevano la palla, si fecero fredde ed intorpidite.
Con gambe che parevano di legno, mi mossi verso l’altro lato dell’albero e il lezzo del sangue appena versato, colpì in pieno il mio volto. Provai ad urlare, ma non ci riuscii. La mia bocca era diventata improvvisamente arida.
         Intanto Eva giaceva a terra, fra le braccia di Miguel, mentre lui se ne stava febbrilmente attaccato al suo corpo.
No, non credevo ai miei occhi. Non riuscivo a farlo.
         Perché Eva?
Il suo collo era allungato in segno di offerta e lui, poggiava voracemente le labbra sulla pelle candida della sua gola.
Forse stavo sognando, ma Eva sorrideva.
Quel poco di sangue che avevo in corpo si congelò all’istante, seguito a ruota dal battito del mio cuore che sembrava pomparmi nelle vene del ghiaccio liquido.
         Come osava Miguel fare del male a mia sorella?
         E lei, con quale coraggio riusciva a compiacersene?
All’immagine di quei due, si sovrappose per un secondo quella di Adam e Cherry. Non potevo sopportarlo.
Le stesse labbra che mi avevano baciato, stavano sfiorando la pelle di mia sorella, e le stesse braccia che mi avevano tenuta stretta la notte precedente… stringevano il suo corpo con forza.
         Resosi conto della mia presenza, Miguel alzò la testa dal collo di Eva, in modo riluttante, inchiodandomi all’istante con i suoi occhi duri e spietati. Scarlatti.
Avidi ed affamati.
Gridai disperata.
Sotto quello sguardo infuocato dal rosso, c’era il volto beato di mia sorella che mi guardava soddisfatta.
Lentamente, gli occhi di Miguel si spensero, ritornando al loro azzurro originale ma invece di evitare il contatto visivo, continuò a fissarmi.
         Ed ora… cosa gli era preso?
Miguel sembrava preoccupato, e il suo volto rivelava un forte tormento, come se un dolore pungente lo attanagliasse da qualche parte. Pareva che stesse soffrendo. E molto anche.
         << Amelie…>> pronunciò il mio nome con voce incerta, ma io non risposi.    Non ne avevo la forza.
         << Lasciatela stare Miguel, lei non vi può dare ciò che posso darvi io!>> gridò flebilmente Eva, bloccando il braccio che Miguel stava tendendo verso di me.
         Ma prima che lui potesse aprire nuovamente bocca, Eva lo sovrastò con la voce.
         << Faresti meglio ad andartene, Amelie. Tu non puoi fare nulla per lui, mi saresti solo d’intralcio!>>
         << Ma… Eva!? C- cosa vuole significare questo? Miguel ti stava…>> le parole mi morirono in gola.
         Sapeva cosa fosse Miguel e gli si era offerta?    
         Si rendeva conto di quanto ciò potesse essere pericoloso?
         << Lo stavo nutrendo, esatto.>> fece decisa, << Evidentemente preferisce il mio sangue al tuo. >>
         Volevo andarmene, dimenticare tutto, ma mia sorella ancora non aveva finito con me.
         << Non puoi pretendere che muoia di fame, solo perché tu non puoi dargli del sangue. Lui non ti appartiene, Amelie.>> la sua voce non mi era mai sembrata così dura, nemmeno quando da piccola la facevo infuriare.
         << M-ma, lui è il m-mio fidanzato!>> balbettai, incurante di aver alzato la voce.
         Mi sentivo male, tremendamente male.
Tradita non solo da Eva, la mia adorata sorellastra, ma anche da quel disgraziato di Miguel, che se ne andava in giro ad azzannare il collo delle persone a me care.
         Come avevano potuto farmi una cosa del genere?
Lui era il mio fidanzato!
Anche se momentaneamente, agli occhi di tutti rimaneva il mio futuro sposo e non potevo permettere che un altro –uomo?– a cui ero legata mi tradisse… con mia sorella, per giunta!
         Desiderai di scomparire nel nulla, fagocitata dalla stessa terra che calpestavo.
Dannazione, lui era legato a me, non ad Eva!
E l’idea che con mia sorella avesse fatto le stesse cose che aveva fatto con me, mi mandava in bestia.
Senza rendermene conto, cominciai a piangere e dentro di me, maledissi la palla di cuoio che stringevo sul petto.
         << Non versare quelle lacrime da coccodrillo, Amelie. Sai bene che non hai motivo di farlo.>> le parole di mia sorella furono taglienti come lame, poi sempre con lo stesso tono di voce, aggiunse:<< E comunque non avresti nemmeno motivo di arrabbiarti. So come stanno le cose fra voi due, e so anche che il vostro fidanzamento è fasullo. I nostri genitori l'hanno indetto unicamente per non creare scandalo dopo il ballo dei Woodville.>>
         Da lontano udii Sophie che mi chiamava, ma ignorai la sua voce e mi girai per guardare Eva dritta negli occhi.
         << Scusate il disturbo, allora!>> dissi con voce tendente all’isterismo.
         << Non capisco perché ti debba arrabbiare così tanto! Sai che tipo di creatura è il tuo cosiddetto “fidanzato”… e sai anche di cosa ha bisogno per sopravvivere! Ma tu, mia cara sorellina, non puoi assolutamente dargli ciò che gli serve. Hai così poco sangue che nemmeno riesci a reggerti in piedi!>> urlò, << Invece io, posso dargli tutto ciò che vuole… e anche di più.>>
         << Ti rendi conto di cosa stai dicendo, Eva?>> biascicai disperata, << Non ti riconosco più!>>
         Per un attimo, il fiero disprezzo che si era dipinta sul volto parve quasi andare in pezzi, come fine porcellana in procinto di creparsi.
         << Amelie, sei una stupida! Tu non potrai mai comprendere quello che sto provando io… lo capisci? Non saprai mai cos’è!>>
         << M- ma io…>> volevo ribattere qualcosa, una qualsiasi cosa, solo che le parole mi morirono in gola.
         << Amavi Adam, ma di Miguel non ti importa nulla! Tu non lo ami!>> esclamò convinta delle sue opinioni.
         Peccato solo, che la sua bocca non avesse mai pronunciato nulla di più sbagliato.
         << Ora basta.>> sussurrò freddamente lui, fulminandola con lo sguardo.
         Non appena lei si voltò, Miguel posò delicatamente la fronte sulla sua ed in pochi secondi Eva crollò a terra svenuta.
Nel vedere mia sorella priva di sensi, mi venne la pelle d’oca.
         L’aveva uccisa?
         << C- che diamine le hai fatto?!>> gridai con tutte le mie forze.
         << Niente.>> disse calmo, pulendosi le labbra. << Adesso, la tua cara sorellina non ricorderà più cosa le è accaduto oggi.>>
         << Le hai cancellato la memoria.>> affermai con tono cupo, ma lui non rispose ed io m'infuriai ancora di più.
         << Perché con me non l’hai fatto?>> gli urlai contro, stringendo con forza i pugni.
         Miguel però, si limitava a fissarmi senza aprire bocca.
         << Per quale motivo hai lasciato che mi ricordassi di te? Avrei preferito mille volte morire sotto atroci sofferenze… piuttosto che sapere della tua esistenza!>> stavo gridando.
         Sapevo che non dovevo, ma mi era quasi impossibile mantenere la calma.             
         << Avanti, rispondimi!>> lo esortai, << Ci tenevi così tanto a farmi innamorare di te? Mi odi a tal punto?>> dopodiché mi tappai immediatamente la bocca.
         Non potevo credere di aver detto quelle parole ad alta voce.
Ogni battito del mio cuore era come una pugnalata in pieno petto; non riuscivo  più a guardarlo negli occhi, mi era impossibile farlo senza singhiozzare.
         Così, senza pensarci due volte, girai i tacchi e corsi come una forsennata verso Sophie.
Avevo commesso un errore imperdonabile e per di più mi sentivo profondamente ferita.
         Nel frattempo, il cielo si era oscurato e delle nubi cariche d’acqua resero la volta celeste livida ed ostile.
Ci fu un tuono, poi un altro e come aghi acuminati, la pioggia cominciò a cadere fredda sul mio corpo.
         “Che strano” pensai, sembrava quasi che il cielo piangesse con me. 


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