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Autore: Acinorev    06/12/2014    8 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo quattordici - Housebreaking

 

Il materasso si modellò sotto il peso di un’altra persona ed Emma aprì con difficoltà gli occhi, confusa. Si portò una mano alla fronte e se la massaggiò, prendendo nota del dolore alle tempie e della pigrizia di tutti i suoi muscoli.
«Bella addormentata, è ora di svegliarsi», annunciò una voce.
Emma si voltò a pancia in su e vide Pete completamente sdraiato alla sua sinistra, con un braccio piegato dietro la testa: gli occhi cerulei sullo schermo del proprio cellulare ed i capelli tagliati da poco.
«Cosa vuoi?» borbottò lei, abbandonando di nuovo il capo sul cuscino.
«Sono venuto ad accertarmi che fossi ancora viva, dato che non ti sei fatta vedere per accompagnarmi in ospedale», spiegò Pete con voce piccata. «E a proposito, grazie per avermi dato buca».
Si era completamente dimenticata di quell’impegno.
«Credo di avere la febbre», si giustificò soltanto, tirandosi le coperte sopra il volto.
«Ed io credevo di avere un’amica», protestò lui svogliatamente, facendola sorridere di nascosto.
«Mi dispiace davvero», si scusò, tornando a guardarlo.
«Non è vero», la contraddisse, spostando su di lei gli occhi saccenti. «In realtà ti è piaciuto riposare il culo nel tuo bel lettino».
Emma sbuffò e si passò una mano sul viso: non sapeva nemmeno che ore fossero, né come avesse fatto ad essere così egoista da tralasciare l’impegno preso con Pete. Alzò il capo quanto bastava per controllare se il suo amico avesse rimosso il gesso e sorrise quando notò la sua gamba ormai libera da qualsiasi impedimento.
«Da chi ti sei fatto accompagnare?» indagò, voltandosi su un fianco.
«Ho chiamato mio padre», rispose Pete, stringendosi nelle spalle e sistemandosi meglio.
«Perché non hai chiamato me, per buttarmi giù dal letto?» domandò, allungandosi oltre il suo corpo per recuperare il proprio cellulare dal comodino. Quando sbloccò lo schermo, si accorse di numerose chiamate perse e di diversi messaggi non letti: la suoneria era disattivata.
«Credi davvero che non l’abbia fatto?»
Sospirò di nuovo.
Scorrendo tra le varie minacce di torture fisiche e morti atroci, gentilmente inviate dal suo amico in attesa, scorse un messaggio che non proveniva dal suo numero di cellulare.
Mi manchi adesso.
«Cazzo», disse soltanto, chiudendo gli occhi.
«Che c’è?» chiese subito Pete, rubandole il telefono dalle mani e spiando la causa di quella sua reazione. Subito dopo, inclinando le labbra sottili in un sorriso sornione, si lasciò scappare un respiro più profondo ed eloquente. «Si chiama karma, mia cara».
Emma afferrò il cuscino e glielo lanciò sul viso.
 
 
 
Dire che una persona ti manca non è una cosa da niente. Ha un significato, ha delle conseguenze e soprattutto dei vincoli: non puoi ammetterlo e poi scappare, né puoi contraddirti o rimangiarti quelle poche parole. Perché in fondo le parole non contano come i fatti, ma a volte contano molto di più: hanno un peso, un peso insistente che può rappresentare una condanna ed un sollievo, un peso che non puoi scrollarti di dosso perché ti schiaccia e tu non hai abbastanza forze per liberartene.
E quel peso stava schiacciando anche Emma, nascosta sotto il calore dei due piumoni aggiunti al proprio letto: raggomitolata per combattere il mal di testa ed i brividi febbricitanti, non riusciva a non pensare al messaggio ricevuto, all’espressione di Harry nel digitarlo - alla sua faccia tosta nel digitarlo. Dire che non se lo sarebbe aspettato era riduttivo, dire che la consapevolezza di mancargli non la lusingasse era una menzogna.
Cos’avrebbe potuto rispondergli? Anzi, cosa avrebbe dovuto rispondergli? Perché ormai era sera, erano passate quasi ventiquattro ore e lei non aveva ancora digitato nemmeno una lettera sul proprio cellulare: si stupiva che lui non si fosse presentato a casa sua urlando il suo disappunto, dato che era risaputo quanto odiasse non ricevere una risposta, soprattutto in determinate situazioni, ma ne era sollevata, perché questo le lasciava più tempo per pensare.
Pensare a cosa?
Harry le mancava? No, non avrebbe potuto dirlo, così come non avrebbe potuto dire il contrario con assoluta certezza.
Optò per la sincerità.
 
Messaggio inviato: ore 21.56
A: Harry
“Non so cosa rispondere”
 
E Dio, se lei avesse ricevuto un messaggio del genere al suo posto, avrebbe sicuramente dato di matto. Per questo, quando il cellulare squillò tra le sue mani dopo pochi minuti, temette che Harry stesse per avere quella stessa reazione.
Eppure il mittente era un altro ed il dolore anche.
«Miles?» rispose a bassa voce, abbassando le palpebre come per proteggersi un po’ di più.
«Hey…» respirò lui, probabilmente massaggiandosi il collo con una mano.
Emma restò in silenzio, tossicchiando appena quando la gola le diede un po’ più di fastidio: se riguardo Harry non era sicura, su Miles non aveva dubbi. Le mancava in ogni istante della giornata, come qualcosa con la quale hai vissuto per troppo tempo senza mai separartene e senza la quale niente è lo stesso.
«Sei raffreddata?» le chiese piano.
Lei si strinse tra le coperte, riscaldata dal suo tono preoccupato ma esitante. «Ho la febbre», spiegò soltanto, omettendo la causa della sua malattia. Era paradossale parlare con lui di certe cose, quando solo il giorno prima le loro bocche avevano lasciato andare parole di separazione, ma era comunque confortante.
Di nuovo silenzio.
«Poco fa mi ha chiamato un’agenzia», esordì lui dopo qualche istante. «Vorrebbe esporre i miei quadri in una mostra che si terrà tra poco più di una settimana».
«È una buona opportunità», rispose Emma, sinceramente lieta delle possibilità che si prospettavano nella sua carriera, nonostante non capisse perché volesse metterla al corrente.
«Vorrebbero anche le tue fotografie», precisò lui.
Lei sbatté più volte le palpebre e trattenne il respiro. «Cosa?»
«Un dirigente di questa agenzia era alla nostra mostra ed è rimasto colpito», spiegò lentamente. «Ci vuole entrambi».
Era entusiasta all’idea di aver lasciato il segno nella memoria di qualcuno, di essere richiesta in modo specifico per ciò che evidentemente era riuscita a trasmettere: era una grande soddisfazione, un traguardo raggiunto e confermato inaspettatamente.
Fu Miles ad esporre l’altra faccia della medaglia.
«Se per te è un problema lavorare insieme, possiamo metterci d’accordo e chiedere una diversa organizzazione», sospirò. «Fino al giorno della mostra potremmo anche non incontrarci, ma sarà comunque inevitabile».
«Per te è un problema?» tergiversò. Si erano appena separati e veniva già concessa loro la possibilità di riavvicinarsi.
Miles attese pochi secondi. «No», rispose fermamente.
Avrebbe preferito che fosse il contrario, avrebbe preferito essere odiata e odiare, piuttosto che dover sopportare una tale tolleranza: era doloroso pensare a quanti sogni avessero costruito insieme sulla carriera artistica di entrambi, quanti progetti avessero ideato e scartato, mentre ormai era sempre più marcata la strada differente che stavano percorrendo.
«Nemmeno per me», sussurrò Emma: non ne era sicura al cento per cento, ma doveva almeno fingere di esserlo. Non poteva compromettere l’opportunità che le era stata fornita e non poteva di nuovo scappare dalle difficoltà.
«Bene, allora… Allora ti farò contattare e ti daranno tutte le indicazioni», continuò Miles, cercando di fingere indifferenza.
«Sì, grazie».
Lo udì respirare profondamente e fu tentata di fare altrettanto. «È imbarazzante», le confessò a bassa voce.
«Cosa?»
«Questa telefonata, questo modo di parlare come se… È assurdo».
«Migliorerà, credo», mormorò: parole banali e di circostanza, ma comunque vere.
Miles non rispose, quasi non volesse contraddirla o si stesse trattenendo dal lasciar libere troppe verità. Si limitò a salutarla con la voce bassa, lenta. «Buonanotte, Emma».
«Buonanotte».
 
 
 
Harry le scrisse più tardi, quando tutta la sua famiglia stava ormai dormendo e lei era l’unica ad avere gli occhi ben aperti, sebbene le bruciassero: era scesa in cucina per prepararsi una tisana che mettesse a tacere il disappunto del suo corpo e che le conciliasse il sonno, ma non aveva potuto finirla, perché il messaggio che aveva ricevuto l’aveva distratta.
 
Un nuovo messaggio: ore 23.48
Da: Harry
“Sei a casa?”
 
Messaggio inviato: ore 23.48
A: Harry
“Sì, perché?”
 
Un nuovo messaggio: ore 23.50
Da: Harry
“Giardino sul retro?”
 
Messaggio inviato: ore 23.51
A: Harry
“No, non sto bene e fuori si congela”
 
Un nuovo messaggio: ore 23.52
Da: Harry
“Copriti ed esci”
 
Messaggio inviato: ore 23.53
A: Harry
“Ho la febbre! Non possiamo vederci domani?”
 
Un nuovo messaggio: ore 23.53
Da: Harry
“Domani non ho tempo”
 
Messaggio inviato: ore 23.54
A: Harry
“Harry, per favore…”
 
Un nuovo messaggio: ore 23.54
Da: Harry
“Sto arrivando”
 
 
 
Non riusciva nemmeno a ricordare l’ultima volta che si erano visti in quel modo, né l’ultima volta che aveva cercato di dissuaderlo dallo scavalcare la recinzione del proprio giardino. Eppure poteva ricordare molto bene quanto potesse essere ostinata la sua determinazione.
Era uscita con due maglioni addosso, la giacca che si abbottonava a stento ed uno dei piumoni a circondarle il corpo: aveva i capelli arruffati, ma almeno decenti, e gli occhi gonfi per la spossatezza. Harry era comparso poco dopo, saltando giù dallo steccato in legno e pulendosi le mani contro i jeans neri che indossava.
Le si avvicinò lentamente, osservandola con attenzione. «Stai per morire?» le domandò, con la fronte corrugata e le labbra umide. Evidentemente il suo viso era in condizioni più pietose del previsto, ma non le importava: doveva vedere quanto il suo egoismo e la sua testardaggine andassero a discapito della sua salute.
«È già tanto che io non ti denunci per violazione di domicilio, quindi chiudi la bocca», gli intimò, disprezzando la propria voce nasale. «Non potevi aspettare fino a domani?» gli ripeté, poco convinta della scusa addotta minuti prima.
Harry fece un passo in avanti, sistemandosi la giacca pesante e ravvivandosi i capelli sciolti. «Ho aspettato fino ad ora», ribatté seriamente, confermando i suoi dubbi.
Emma non sapeva se quell’impazienza fosse dettata da un’effettiva mancanza o solo dall’irrefrenabile desiderio di far valere il proprio orgoglio, probabilmente ferito dalla risposta alla sua confessione, ma non poté evitare di chiedersi cosa provasse nel rivederla.
Conseguenze.
«Perché mi hai mandato quel messaggio?»
Poteva sembrare una domanda banale, ma qualcosa stonava in quella rivelazione improvvisa e così facile.
«Perché è la verità», disse semplicemente. I suoi occhi la scrutavano intensamente, come per impedirle di scappare. «Tu, piuttosto, perché non sai cosa rispondere?»
Un altro passo nella sua direzione.
Emma alzò un sopracciglio, mentre la necessità di sedersi diventava più urgente: sapeva di aver appena iniziato un gioco sottile, ma sapeva anche di poterne prendere il controllo. «Secondo te?»
Proprio non ci arrivava? Proprio non lo sfiorava l’idea che quella piccola ed inaspettata rivelazione avesse potuto sconvolgerla?
«O ti manco o non ti manco», rispose lui, con una semplicità disarmante.
E semplice lo era davvero, o forse lo sarebbe stato in un’altra occasione. Lei sospirò e si strinse un po’ di più nelle spalle, rabbrividendo. «Harry, Miles mi ha lasciata ieri», gli ricordò a bassa voce. «Come credi che io abbia tempo per provare qualcos’altro?»
La mancanza di Miles era così asfissiante da portarle via energie e caparbietà, così assordante da impedirle di concentrarsi su altro: e certo, la fronte bollente ed i muscoli indolenziti non aiutavano, ma non era la sua salute fisica a condizionarla sin nelle ossa.
Harry serrò la mascella ed assottigliò lo sguardo, forse alla ricerca della reazione più appropriata da sfoderare. «Quindi non puoi darmi una risposta certa», le fece presente, scavando più a fondo nelle sue parole.
Aveva ragione ed era la stessa consapevolezza che l’aveva sfiorata nel digitare quel primo messaggio: doveva soffermarsi a valutare le proprie emozioni, per capire se fosse solo l’appoggio che Harry le aveva offerto a stuzzicarla, o se si trattasse di altro.
«Te l’ho già detto», ribatté.
Lui non fiatò.
Lei sospirò sonoramente.
«È per questo che ti ho chiesto dello spazio», esclamò, con la voce carica di esasperazione, passandosi una mano sul volto. «E non è cambiato niente da allora, anzi, forse adesso è ancora peggio. Io non ho bisogno di questo, non posso occuparm-»
«Ieri ne hai avuto bisogno, però», la interruppe, con una sottile stizza nel tono: le stava rinfacciando l’aiuto prestatole, come il suo orgoglio gli comandava di fare.
La infastidiva il modo in cui fosse sempre pronto ad utilizzare i loro trascorsi come difesa e attacco, ma non sarebbe di certo rimasta in silenzio. «Ti ricordo che sei stato tu ad impormi la tua presenza, io ti ho più volte chiesto di andartene».
«Certo, ed io stavo per piangere da solo tra le mie braccia», sbuffò Harry, increspando le labbra in una smorfia imitativa.
Lei lo osservò quasi disgustata, ma sicuramente indispettita. «Senti, vaffanculo», sputò tra i denti, voltandosi per andarsene: al diavolo lui ed i suoi isterismi da prima donna. Non aveva voglia di un’altra discussione, non aveva voglia di peggiorare il mal di testa e non aveva voglia di giustificarsi per qualcosa di cui l’aveva sempre avvertito: se gli aveva chiesto una certa distanza, perché si aspettava che la azzerasse senza alcun ripensamento?
«Vaffanculo tu!» ribatté Harry, afferrandola per il piumone e costringendola a voltarsi. «Sei capace di affrontare le cose senza andartene?»
Emma avrebbe voluto avere le forze per sferrargli un pugno sul viso, ma dovette limitarsi a divincolarsi dalla sua presa. «Io le sto affrontando!» lo contraddisse, abbassando subito dopo la voce: era meglio non svegliare casa Clarke. «A modo mio, ma ci sto provando! Invece tu continui a pretendere, ma cosa vuoi che ti dica? Che mi manchi? Non è così, Harry, e non voglio scavare a fondo nella cosa, né…» Sospirò sonoramente, con la gola che le bruciava. «Ho solo bisogno di un benedetto momento per realizzare il fatto che io e Miles ci siamo lasciati, ok? Un momento per me».
«Tra te e lui è già finita da un pezzo», le fece presente, infilando le mani nelle tasche della giacca.
Lei assottigliò gli occhi, infastidita. «Grazie», sibilò. «Sei proprio d’aiuto».
«Ah, ora dovrei essere d’aiuto?» domandò lui, avvicinandosi di un passo ed indossando una maschera incredula. «Da come parli sembra che tu abbia intenzione di chiedere un ordine restrittivo nei miei confronti, ma se per caso dico qualcosa che non ti piace ti incazzi».
«Era un modo di dire!» si lamentò, alzando gli occhi al cielo per l’esasperazione. «Santo cielo, perché dobbiamo litigare per cose del genere?»
Harry si passò una mano tra i capelli ed abbassò lo sguardo sui propri stivaletti neri, lasciandole il tempo di sbollire la stizza e forse prendendone anche per sé. Pochi istanti dopo, respirò profondamente e serrò le labbra in una linea dura, repressa: le si avvicinò con un solo passo e la guardò dall’alto, schiudendo la bocca come per dire qualcosa.
Emma sostenne il contatto visivo con tutta l’alterità di cui disponeva, pronta a difendersi da qualsiasi attacco stesse per ricevere: conosceva quegli occhi, quel taglio con il quale la stavano testando, e sebbene stessero cercando di intimorirla, dovevano confrontarsi con una resistenza piuttosto caparbia. «Cosa c’è?» domandò in un sussurro, sfidandolo.
Lei, sommersa da strati di calore e con le occhiaie a dipingerle il viso, e lui, statuario nel suo benessere.
Harry le sfiorò le labbra con le iridi, in un fuggevole istante, ed inclinò le proprie nell’accenno di un sorriso provocatorio. «Niente», le rispose, facendosi impercettibilmente più vicino.
Emma decise di ammonirlo, prima di eventuali danni. «Non fare-»
«Cosa?» la interruppe, respirandole sul volto.
«Harry».
«Emma», la canzonò.
«Allontanati», gli impose, restando immobile: voleva dimostrarsi resiliente, certo, ma c’era anche un’innegabile sollievo nel respirare il suo profumo e nel giocare a quella vicinanza.
«Allontanati tu».
«E dartela vinta?»
«Vuoi dire che ti lasceresti baciare, pur di non darmela vinta?» Il suo tono lascivo la stava distraendo.
«No, voglio dire che ti tirerò uno schiaffo, se proverai a farlo», lo corresse. In realtà non sapeva con certezza come avrebbe reagito, ma voleva convincere se stessa prima di dover affrontare la verità: non poteva negare che le labbra di Harry la stessero tentando, ma insomma, avrebbero tentato chiunque, quindi non poteva di certo attribuire quella crepa nella sua determinazione ad una vera e propria attrazione.
Lui si fece più serio, ancora inerme a pochi centimetri da lei: non la stava nemmeno toccando, ma riusciva comunque a farsi sentire. «Peccato», mormorò, osservandole la bocca. «Perché vorrei proprio baciarti, in questo momento», ammise semplicemente, inumidendosi le labbra e compiendo un insignificante ma notevole movimento verso di lei.
Emma accettò quelle parole trattenendo il fiato, stringendo i pugni. Per un istante sentì il suo corpo fremere, come accarezzato dal loro suono, e si sforzò di non pensare a cosa significasse: era difficile restare coerente con le proprie intenzioni, se Harry si sforzava così tanto per fargliele dimenticare, distorcere.
Fece un passo indietro, continuando a tenere gli occhi nei suoi.
La brezza notturna tornò ad infilarsi tra loro, quasi a volerli svegliare, e le restituì un respiro più semplice.
Harry chinò il capo e sospirò. «Si sono invertiti i ruoli, hm?» domandò retorico, riacquistando il controllo e forse maledicendola per la distanza interposta. Effettivamente era assurdo paragonare il loro attuale rapporto con quello costruito a fatica anni prima: era stata Emma ad insistere, a tenerlo legato a sé contro ogni logica, a corteggiarlo. Forse proprio per questo motivo le riusciva difficile vedere di buon occhio i suoi comportamenti, accettarli senza farsi troppe domande, perché non l’aveva mai visto insistere così tanto, se non quando l’aveva già avuta, né combattere per lei.
«Come ci si sente?» lo provocò, più che altro per smorzare l’atmosfera che li stava ancora circondando.
«Stronza», commentò lui, sorridendo appena.
Emma nascose il viso nel colletto della giacca e restò in silenzio per qualche istante, insicura sul da farsi. Non sapeva più cosa dire, cosa rispondere, ma la necessità di tossire le ricordò cosa fosse meglio.
«Devo rientrare», esclamò, senza negare a se stessa che in minima parte le dispiacesse.
Harry annuì piano. «Dovrei provare a fermarti o…?»
La fece ridere, inaspettatamente. «No, non devi», gli assicurò. Subito dopo, si strinse nelle spalle e lo salutò in silenzio, prima di voltarsi e camminare sul prato umido verso la veranda.
Forse sperò di sentire di nuovo la sua mano ad avvolgerle il braccio per trattenerla, forse sperò anche solo in una parola, forse percepì la delusione quando le sue aspettative vennero spezzate dai rumori provocati dal suo arrampicarsi oltre lo steccato.
Ma solo forse.





 


Non so perché ormai gli aggiornamenti capitino sempre di sabato sera, ma spero non vi dispiaccia :) Anche stavolta ho scritto tutto di getto, nonostante abbia dovuto pensare parecchio a questo capitolo, perché Harry mi ha dato qualche problema!
However, passiamo ai fatti:
- Pete: perché non esiste e perché non viene a svegliare me????
- Emma/Miles: piccolo colpo di scena, dovranno partecipare ad una mostra (e ho una bella idea a riguardo :)))))))))))))). Vi aspettavate che lui la richiamasse per pregarla di tornare insieme? Ebbene, è troppo maturo e consapevole per farlo, ma anche troppo ferito. 
- Emma/Harry: ammetto di essere diventata nostalgica ripensando alla prima volta che si sono visti nel giardino sul retro!! Maaaa comunque: Emma dà una risposta un po' del cazzo ad Harry, ammettiamolo ahahah E ne è anche consapevole, però non avrebbe potuto fare altrimenti (o forse sì, ma così era più facile). Ovviamente lui è fin troppo egoista per lasciar correre e lasciarla riposare, quindi se ne frega bellamente delle sue condizioni di salute (anzi, gliele rinfaccia anche nel modo in cui tutte le fanciulle vorrebbero essere accolte, con un bel "stai per morire?" ahhaha) e ignora il suo divieto di presentarsi a casa sua. Ovviamente litigano come sempre, basandosi un po' sul nulla: ora, io capisco che Emma abbia le sue paturnie ed i suoi difetti, però pure lui non scherza. Voglio dire, Emma ti ha già detto dieci volte che ha bisogno di un momento di pausa per riprendersi e tu sei peggio di un tarlo: e scollati un attimo!!! (TVB) Ma a parte i miei commenti, so che il suo comportamento possa essere "strano" ed inaspettato (per esempio alcune di voi sono rimaste stupite dal fatto che lui abbia ammesso così facilmente che lei gli mancasse), ma c'è da tener conto che ora è un uomo (sempre orgoglioso, certo, ma non nel modo in cui potrebbe esserlo un ragazzo di diciannove anni, che tra l'altro combatte con una quindicenne tutta pepe) e che - come sottolinea anche Emma - ora è LUI a doverla corteggiare: in Little girl questo suo lato non è mai uscito fuori per bene, perché è sempre stata lei a movimentare la storia (almeno per la maggior parte). Infatti anche per lei è tutta una novità!
E insomma, ammette anche di volerla baciare :)))) E poi se ne va :)))) Faccia da culo :)))) Questa è solo la prova che lui è ancora MOLTO orgoglioso, infatti si è abbastanza sbilanciato in questo capitolo, ma quando lei gli dice di non fermarla, lui è già arrivato al limite e non le dà la soddisfazione di farlo! Sempre il solito provocatore!
Cosa vi aspettate nei prossimi capitoli? Cosa pensate del comportamento di Emma? Sta iniziando a cedere? Cederà?
Be', come sempre ho parlato troppo: spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi farete sapere le vostre impressioni/perplessità/critiche!
Scappo a fare l'albero di Natale (in anticipo)!


Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
  
  

 
  
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