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Autore: verystrange_pennylane    08/12/2014    4 recensioni
John Lennon, giovane sognatore, punta a conquistare il cuore della bella Cynthia. Si trova dunque, in una notte d'estate, ad esprimere un desiderio ad una stella cadente.
Ma cosa succede se, quella stella, in realtà si rivela essere un ragazzo di nome Paul?
Storia ispirata a "Stardust" di Neil Gaiman.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mr. Moonlight
 
Capitolo 4


Ringo Starr continuava a fissare i due stranieri che si portavano appresso, e non riusciva a razionalizzare quello che aveva visto quella mattina stessa.
Certo, poteva essere stato uno scherzo del sonno o del sole che cominciava a sorgere, ma il fatto che anche Zak l’avesse visto non aiutava a concretizzare il pensiero.
Paul quella mattina stava brillando.
Cazzo.
Non che brillasse molto, sia chiaro. Ma la sua pelle, già abbastanza pallida, si era fatta quasi perlata, ed aveva emanato una fioca luce. Poi, era uscita anche Maureen dalla tenda, aveva gridato il buongiorno, e Paul, distratto dalla loro presenza, era tornato normale.
Possibile che John non l’avesse minimamente notato? Eppure era lì a pochi centimetri da lui!
Stupido contadinotto, cosa ci si poteva aspettare da uno che non legge nemmeno le indicazioni stradali!
Alla fine Ringo scosse il capo, bevve l’ultimo sorso di tè, e si alzò in piedi, annunciando l’ennesima pausa degli unicorni.
Aveva bisogno di aria fresca e di un buon pasto caldo. E di liberarsi il più in fretta possibile di quei due stramboidi. Per il bene della sua sanità mentale.

Decisero di fare la pausa pranzo a Nortwich, una cittadina abbastanza grande dove trovare una locanda accogliente e un buon boccale di birra. Il piano iniziale prevedeva un piccolo spettacolo anche lì, ma lo stato d’animo di Ringo non era dei migliori, e la famiglia decise di posticipare il lavoro a Manchester.
John ne fu sollevato, non voleva subire altre umiliazioni gratuite.
Aveva fatto tutto il tragitto seduto da solo, al posto del cocchiere, a farsi accarezzare dalla brezza estiva esercitandosi con la chitarra sgangherata. Ad ogni corda che pizzicava, sentiva sempre più di aver trovato il suo posto nel mondo.
Dunque, preso com’era dai suoi pensieri, fu sorpreso di sentire la giovane stella sedersi al suo fianco, mentre entravano nella cittadina.
“Tutto bene Joan?”
“Sì, grazie. Avevo bisogno di stare da solo per riordinare un po’ di pensieri, e la chitarra mi aiuta molto. Mi sento felice, mentre strimpello questi stupidi accordi.. anche se non hanno senso tra di loro! E’ sciocca come cosa, vero?”
Paul maturò quelle informazioni dentro di sé per qualche istante. Poi, all’improvviso, sentì la rivelazione bruciargli nel petto.. ma certo! Che stupido!
Lui sapeva suonare la chitarra non per Cynthia, ma per John. Per farlo stare bene, per renderlo felice. Si sentì arrossire, mentre cercava di non sorridere senza un apparente motivo.
“Non lo trovo affatto sciocco, è bellissimo. La musica è una delle cose più incredibili che ci siano.”
“Anche in cielo c’è musica?” Dio, John si sentì un perfetto imbecille, e non sapeva spiegare bene perché. Forse perché aprirsi e parlare di sentimenti, di musica e di stelle era una cosa da donnicciole o da checche. La sola parola gli faceva ribrezzo.
La verità era che Paul gli suscitava un misto di sensazioni che non sapeva bene spiegare, e che sicuramente avevano a che fare coi suoi numerosi e misteriosi poteri.
“Sì, ma non è la musica come la facciamo qui, con questa chitarrina.. è una melodia che solo in pochi riescono a comprendere e percepire. E’ una cosa per noi stelle, e per la luna. E per gli angeli.”
“Davvero?”
“No, ti stavo prendendo in giro!” E detto questo scoppiò a ridere.
“Fanculo, stellina! Ti faccio vedere io!” esclamò, fingendo di buttarlo giù dalla piccola seduta del cocchiere, senza riuscire a smettere di ridere a sua volta.

Dopo essersi riempiti la pancia a Nortwich e dopo un’altra breve pausa nel bel mezzo della campagna inglese, finalmente si stavano avvicinando a Manchester. Ringo e Maureen li avvisarono che avrebbero raggiunto il centro città nel pomeriggio.
E mentre il sole era ancora alto, un cartello annunciò loro che solo un miglio li separava dalla loro meta.
John era quasi dispiaciuto di questa notizia, perché per lui significava abbandonare i suoi esercizi con la chitarra. Non che sapesse fare grandi cose, ma nelle ultime ore lui e Paul stavano provando nuovi accordi e si stava divertendo davvero troppo, più di quanto volesse ammettere.
Tuttavia, Manchester significava essere a metà del loro viaggio, e se da una parte era preoccupato per la ricerca della stella, dall’altra era elettrizzato: avrebbero scoperto come esaudire il suo desiderio, finalmente!
Paul, invece, da quando fu avvistato il segnale non riusciva a smettere di mordersi il labbro e di mangiucchiarsi le unghie, sentendosi a disagio, sentendosi troppo umano.
La verità è che aveva dato per scontato che una volta sulla strada per Manchester avrebbe avuto un’illuminazione, un lampo di genio, qualsiasi cosa e che avrebbe capito subito dove fosse George, il suo amico-stella. E invece niente, vuoto totale, tabula rasa.
Gli scappò l’ennesimo sospiro, e stavolta John si fece coraggio: mise da parte la chitarra, si avvicinò e gli parlò.
“Non sai dov’è il tuo amico, vero?”
Era inutile fingere o tergiversare.
“Come fai a saperlo, Jess?”
“Perché non sei mai stato zitto per così tanto tempo di fila da quando ti ho conosciuto. E alcuni potrebbero dire che è solo poco più di un giorno, ma per me sono state parecchie ore di chiacchere continue!” concluse, ridacchiando sotto i baffi.
Alla fine John si era abituato facilmente al suo vociare continuo, perché quando non era con lui, aveva trovato modo di parlare con tutti e tre gli Starr. La cosa che lo sorprendeva di più era l’insaziabile sete di domande.
Ma l’erba è sempre così smeraldo? Ma le nuvole sono sempre così brutte, viste da quaggiù? Ma voi inglesi bevete tè di continuo? Ma il fumo esce dalle sigarette per magia? Ma? Ma?
Un continuo punto interrogativo, come un bambino.
E ora niente, non voleva sapere niente di Manchester, dei camini delle fabbriche già ben visibili, del grigiore del cielo? Doveva per forza nascondere qualcosa.
“Mi spiace.” Si limitò a dire Paul, nascondendo il viso nel bavero del cappotto. Era un dannato fallimento.
La mano di John lo prese dalle spalle e lo avvicinò di più a sé.
“Non ti preoccupare, stellina petulante. Un modo lo troveremo! Basta che la smetti di sospirare e ricominci a rompere un po’ le scatole, o mi deprimo anch’io!”
Ecco, neanche il tempo di pensare a quanto fossero fastidiosi i sentimenti umani che una piccola, deliziosa scarica di calore gli riscaldò il petto. E all’improvviso tutto, per Paul, divenne un po’ più semplice e un po’ più bello.
E con la mente sgombra dal pessimismo, un’immagine gli si fece largo nella testa.
“Didsbury! E’ a Didsbury!”
Si voltò verso John, che sorrideva sciogliendo quell’abbraccio impacciato.
“Visto, Paulie? Qualche magia ogni tanto la so fare anch’io!”

Era l’ora del tè quando arrivarono a Didsbury, fermandosi nella via principale, a pochi metri dalla torre orologio, monumento simbolo della cittadina.
Il congedo con gli Starr fu strano, era come se nessuno volesse ammettere di essere dispiaciuto, sebbene si conoscessero solo dal giorno prima.
Ringo quasi si commosse, mentre abbracciava Paul, ma si limitò a salutare con una stretta di mano lo “stupido contadinotto”.
La stella cedette a malincuore il suo cappotto, restando così in pantaloni, camicia e gilet, sempre bianchi.
 “Lo so che è il nostro pagamento per voi, per l’aiuto che ci avete dato, ma vorrei comunque avanzare due pretese, se possibile. La prima è che questo cappotto lo metta Zak, quando sarà abbastanza alto per indossarlo a dovere. La seconda è che ci regaliate la vostra chitarra scassata, per allietare il nostro viaggio di ritorno e per portare un vostro ricordo con noi.”
Inutile dire che le reazioni furono diverse. Zak, con il quale Paul aveva avuto modo di parlare molto durante il viaggio, si emozionò a quel pensiero e annuiva già riconoscente. Suo padre non era dello stesso avviso e, indignandosi, voltò le spalle ai due ragazzi.
“Non ci penso nemmeno, miei cari. Una promessa è una promessa, e il cappotto era solo per il viaggio..”
Ma stavolta fu Maureen ad intervenire e a sovrastare il marito.
“Se non gliela regali tu, lo farò io, mio caro.”
Tutti si voltarono e la fissarono allibiti.
“Cosa stai dicendo, Maureen?”
“Quello che hai capito. I due ragazzi avranno la chitarra. Noi non la usiamo, e, come hai già detto tu, a breve saremo ricchi a sufficienza da comprarne una nuova e più bella. Che si portino un po’ di Hurricanes a Liverpool.” Concluse, ammiccando in direzione di John e Paul.
Ringo, mostrando rispetto per la moglie, si costrinse a cedere.
John non riusciva a credere ai suoi occhi. Si trattenne dal piangere davanti a tutta quella gente, e con mani tremanti si caricò la chitarra sulle spalle.
“Grazie Hurricanes, non vi dimenticheremo mai.”
Ringo sbatté i tacchi e si inchinò platealmente, invitando la famiglia a fare lo stesso.
“Grazie a voi, giovani avventurieri.  Se le cose dovessero andare in modo inaspettato, ricordatevi che gli Starr vi aspettano. Che sia a Leeds, in Scozia o dall’altro capo del mondo, magari troveremo il modo di rivedervi e di ospitarvi di nuovo. La prossima volta però ci aspettiamo che lavoriate!”
Si riabbracciarono tutti di nuovo, e si salutarono definitivamente.
Una volta sparita la stravagante carrozza dalla loro vista, John si girò verso il suo compagno, sorridendogli commosso.
“Grazie Paulie.”
“Non c’è di che, Joe. Te la dovevo. E ora, all’opera.” E prendendolo sottobraccio, lo trascinò in una delle stradine della cittadina.

“Me la sento, questa è quella buona.” Esclamò Paul, percorrendo l’ennesimo viale fitto di case tutte uguali, leggendo i nomi sulle cassette della posta e sui campanelli.
John incrociò le braccia e sbuffò rumorosamente, senza muoversi di un centimetro. Erano due ore che vagavano per le strade tutte uguali di Didsbury, era stanco morto!
Avevano persino chiesto informazioni ad alcuni irlandesi, che dovevano essere parte di una comunità molto numerosa, da quel che gli era stato dato di vedere.  Peccato che non avessero ottenuto niente se non qualche frase con un accento indecifrabile, che suonavano tutte come un “Non posso conoscere tutti gli abitanti di Didsbury, arrangiatevi.” Sempre i soliti!
Ormai si stava facendo buio e John, stanco e frustrato, dopo essersi trascinato per qualche metro, si era seduto sugli scalini di una casa disabitata per strimpellare la chitarra.
Non che il pizzicare delle corde coprisse i brontolii della sua pancia, ma lo tratteneva dal picchiare Paul ed era già qualcosa.
Maledetta quella volta che aveva intrapreso quell’avventura!
La fame rendeva tutto difficile, e più passava il tempo, più la stella iniziò a rallentare anche il suo ritmo di ricerca, camminando faticosamente e sospirando di frequente.
“Senti, è chiaro che stasera non troveremo niente. Facciamo in modo di procacciarci qualcosa di commestibile e poi cercheremo un buco dove dormire. Sono esausto!” gli disse alla fine John, mettendo via la chitarra e guardandolo con occhi imploranti.
Paul si fermò e ponderò per qualche minuto la proposta dell’altro, grattandosi la testa con perplessità. Alla fine un rumoroso brontolio della sua pancia rispose al posto suo.

Era nato tutto per scherzo.
Avevano cercato di barattare un po’ di lavoro con qualcosa da mangiare, ma non avevano ottenuto niente, se non rifiuti su rifiuti. A quanto pareva la loro brutta cera non aveva impietosito nessuno. Così, avevano passato un’ora buona su una panchina, cercando di non pensare al cibo, nonostante i profumi che uscivano dai pub e dai ristoranti. E, proprio mentre si imponeva di concentrarsi su qualcosa che non fosse commestibile, a John era venuta un’idea.
“Potresti strimpellare un po’ la chitarra, fare della musica in centro paese e tirare su qualche moneta! Così ti rendi utile!”
La stella aveva sbuffato, si era offeso e gli aveva fatto la linguaccia. Si era persino ripromesso di smettere di parlargli per qualche minuto, ma alla fine aveva ceduto. La fame era troppa.
E ora si trovava lì, a suonare una melodia latineggiante, attorniato da una folla che gli lanciava monetine e lo applaudiva. La gente aumentava a vista d’occhio, canzone dopo canzone, attirata come uno sciame d’api dal miele, e si lasciava coinvolgere dalla musica in modo sorprendente.
John sentiva puzza di magia a distanza di miglia.
Ma, a sua volta, nonostante il suo compito fosse quello di raccogliere le monete a terra, non poteva non perdersi a guardare Paul suonare, dannazione pure a lui! Era una visione bellissima e ipnotica.
Lo faceva solo perché lo invidiava, o per colpa dei suoi poteri inutili da stupida stella, era chiaro. Lo catturavano come catturavano tutti gli altri, non poteva esserne immune.
Cavolo, con le guance arrossate, gli occhi fissi sulla chitarra e le mani che si muovevano veloci, la stella era così attraente. E non lo stava pensando solo John, bastava osservare gli sguardi lussuriosi delle donne tra la folla per vedere che anche loro avrebbero concordato con lui. Se si fosse sentito abbastanza ardito o ubriaco da ammetterlo, ovviamente.
Ad interrompere il suo flusso di pensieri imbarazzati intervenne una bambina, che si avvicinò a passo incerto, e si aggrappò alle sue gambe. L’età era difficile da individuare: era piccola e magrolina, ma aveva già i capelli lunghi e biondi e uno sguardo curioso. Non poteva avere più di quattro anni.
John si abbassò subito alla sua altezza, rannicchiandosi il più possibile, e le sorrise fiducioso.
“Cosa c’è, piccolina?”
La bimba gli porse la grande moneta d’oro da cinque sterline, e il ragazzo quasi cadde dalla sua scomoda posizione. Un conto erano gli scellini, forse erano riusciti a raccattare anche qualche sovrana, ma addirittura c’era chi era disposto a pagare così tanto per un numero di chitarra per strada?
Immediatamente gli venne da alzare lo sguardo, alla ricerca della mamma della piccola bambina. A pochi metri da loro, una donna dai lunghi capelli color miele invitò la bimba a tornare subito vicino a lei.
John decise di avvicinarsi, per poter chiedere spiegazioni di una mancia così alta, ed eventualmente per ridarle quei soldi che non si meritavano.
“Bravissima la mia Heather!” esclamò entusiasta la donna, prendendo in braccio la bambina e facendola piroettare a ritmo di musica.
A John dispiaceva interrompere quella scena così dolce, ma era stanco ed affamato, voleva solo poter andare in una taverna, riempirsi lo stomaco e dormire.. diciamo per un anno o due. Così, con un colpo di tosse leggero, si decise a richiamare la loro attenzione.
“Scusi signora-“
“Linda Eastman, prego. Con chi ho il piacere di parlare?” e guardandolo fisso negli occhi, gli tese la mano.
“Sono John Lennon.” La sua stretta suonava incerta, sotto le dita forti di quella donna.
“Piacere, signor Lennon. Ha ricevuto le cinque sterline?”
“Sì, a tal proposito signora Eastman, io le chiedo scusa, ma non possiamo accettarle. Non ce le meritiamo, sono troppe.” E così dicendo, con lo sguardo basso a causa dell’imbarazzo, le porse i soldi.
“Oh, no, non sono troppi. Il suo amico ha una bellezza straordinaria, ed è molto talentuoso. Inoltre, vi ho dato così tanto perché volevo commissionarvi una canzone. La canzone mia e del signor Eastman, per la piccola Heather.” E la donna, così dicendo, sorrise divertita e allontanò la mano con il denaro.
“Una richiesta?”
“Sì. Cantata però, non solo suonata. Voglio che quel bel ragazzo canti per me e per la mia bambina.”
“Cantare?” John sgranò gli occhi. La sua voce doveva essersi alzata di qualche tonalità, perché le persone accanto a lui si voltarono a guardarlo, infastidite.
“Sì, cantare. E ora prego, si sta facendo tardi e noi dobbiamo tornare a casa, non abbiamo tutta la notte.”
Aveva continuato a sorridere, ma il suo tono si era inasprito. Chiaramente, non doveva essere una donna abituata a ricevere rifiuti. John deglutì rumorosamente, e si diresse a lunghi passi verso Paul.
“Stella, abbiamo un problema. Un grosso, grosso problema.”

“Non lo farò.”
Era la quinta volta che lo ripeteva, il tempo stringeva e la signora Eastman si stava chiaramente spazientendo.
“Te lo dico un’ultima volta. Sai chi è quella? E’ una Eastman. Possiede alcune tra le fabbriche più fruttuose del Regno Unito; ha soldi per comprarsi mezza Inghilterra, cazzo! Ci ha dato cinque sterline per una canzone. Cinque sterline Paul! Sei capace, conosci il testo, cosa ti costa cantare?”
“Mi vergogno! Abbiamo guadagnato abbastanza soldi per stasera, ridaglieli e lasciami in pace!” sbuffò la stella, in preda al panico più totale. Un conto era suonare, ma cantare? Oh no, non avrebbe ceduto.
“Non possiamo ridarglieli, non accetta un rifiuto quella! E poi andiamo, ci fanno comodo, dobbiamo tornare a Liverpool, amico!”
Paul gonfiò le guance, arrossendo. Se solo non ci fosse stata tutta quella gente, sarebbe stato più semplice.
Alla fine John sospirò.
“Senti stella, facciamo così. Canto anche io, all’inizio. Solo la prima strofa, per aiutarti con l’ansia da prestazione. Poi vedrai che sarà tutto più facile e finirai la dannatissima canzone da solo. Va bene?”
“Davvero lo faresti?” gli chiese Paul, sgranando i suoi occhioni color nocciola. E John desiderò che non l’avesse mai fatto. Perché non era il momento adatto per perdersi dentro quell’universo, maledizione.
“Sì, lo faccio! Basta che ci diamo una mossa!” esclamò alla fine, distogliendo subito lo sguardo dal ragazzo davanti a lui.
“Grazie Jowy! Grazie mille!” e così dicendo, senza pensarci troppo, Paul gli si buttò addosso, abbracciandolo.
Ci volle parecchio coraggio da parte di John per scrollarselo di dosso. La sua faccia era già di una sfumatura di rosso imbarazzante, così decise di dare una pacca amichevole sulla spalla della stella e di sciogliere l’abbraccio dopo pochi istanti. Il calore dell’altro però gli rimase addosso, e nonostante l’ansia da prestazione, si sentiva scombussolato da ben altri sentimenti.
In ogni caso, al momento non aveva il tempo di pensarci troppo. Infatti, neanche il tempo di recuperare lucidità, che le prime note partirono dalla chitarra sgangherata.
E merda, aveva mancato il primo attacco.
Paul gli fece un piccolo cenno, e John capì subito che avrebbe ripetuto la intro per permettergli di iniziare a cantare. Aspettò qualche secondo, fece un profondo sospiro, e partì.
It was down by the Sally Gardens, my love and I did meet. 
He crossed the Sally Gardens with little snow-white feet. 
He bid me take love easy, as the leaves grow on the tree, 
But I was young and foolish, and with him did not agree.”
 
La prima strofa la fece tutta da solo, all’inizio con voce tremante ed incerta, poi con sempre maggior sicurezza. Le guance gli bruciavano dall’emozione, e si ritenne fortunato a non avere gli occhiali: c’erano parecchie persone a guardarli.
In a field down by the river, my love and I did stand 
And on my leaning shoulder, he laid his snow-white hand. 
He bid me take life easy, as the grass grows on the weirs 
But I was young and foolish, and now am full of tears.”
 
Alla seconda strofa, Paul attaccò e cominciò a cantare con lui. John pensò che le gambe gli cedessero non appena lo sentì. Quella stella aveva una voce meravigliosa!
Gli venne da chiedersi se fosse merito di un qualche potere straordinario, o se fosse così di natura.
Alla fine, alla terza strofa, le loro voci erano così melodiose e perfette assieme, che gettò all’aria tutte le sue supposizioni e si lasciò travolgere dall’emozione.
Down by the Sally Gardens, my love and I did meet. 
He crossed the Sally Gardens with little snow-white feet..”

Fanculo tutti, i suoi pregiudizi, la sua rabbia, i suoi sogni.. lui aveva trovato il suo posto nel mondo.
“He bid me take love easy, as the leaves grow on the tree..”
Gli bastava una chitarra, un cappello, Paul e..
“But I was young and foolish, and with him did not agree.”
La fine fu come una doccia fredda. L’entusiasmo della gente lo travolse, facendogli dimenticare ciò a cui stava pensando. Gli irlandesi della comunità cantavano e brindavano, dopo aver sentito quella versione di una delle loro canzoni tradizionali più amate. Li inclusero persino in un abbraccio di gruppo impacciato ed emozionato. A John rimase solo un fortissimo calore al cuore e un senso di felicità così intenso da fargli formicolare le mani e i piedi.
Era successa una magia, lì in quella piazza. E, cosa più importante, la magia aveva contagiato tutta la folla.
 Signora Eastman inclusa, che batteva le mani e saltellava con la figlia, in mezzo a tutte le altre persone.
“Che strani questi ricconi!” Pensò divertito John, prima di spostare lo sguardo su Paul, che si beava di tutti gli applausi, e faceva profondi inchini.
Sì, era davvero successa una magia, perché Paul stava brillando.


“Grazie Josh, è stato bellissimo!” disse la stella alla fine, strofinandosi gli occhi, forse per dissimulare la commozione o la stanchezza.
“Figurati, sono felice di aver insistito! Siamo ricchi ora!” rispose l’altro, ridendo soddisfatto.
La folla era calata, ormai erano rimasti solo alcuni ubriachi che cantavano qualche strofa senza senso, e l’orologio segnava le undici in punto.
Stavano contando i soldi che avevano raccattato in una sola serata di lavoro, e avevano un piccolo gruzzoletto: ben 10 sterline. John continuava a mescolarli, un po’ per realizzare davvero cosa avevano fatto, un po’ per non pensare a quello che aveva visto. Paul solo pochi minuti prima stava brillando!
Doveva trovare il coraggio e chiedergli spiegazioni.
“Senti ragazzino..”
Ma non riuscì a proseguire, faticava a mettere in fila le parole, e venne subito interrotto da un’altra persona.
“Paul? Paul sei tu?”
Entrambi si voltarono nello stesso momento.
“Oddio, George?”



Angolo dell'autrice:

Buonasera a tutti.
Oggi non volevo pubblicare niente, non mi sembrava giusto, per rispetto della scomparsa di John. Mi sono limitata a rebloggare su tumblr foto tristi tutto il giorno, lo ammetto. Però, insomma, vedere Efp così vuoto in questo giorno di lutto mi ha spronato a pubblicare il capitolo... Risolleviamoci con un po' di fluff <3
Finalmente i nostri due protagonisti iniziano ad avvicinarsi un po'... e, dopo aver salutato alcuni personaggi, ne vediamo uno nuovo che sta per fare il suo ingresso! Ohoh.
A tal proposito, mi è stato chiesto in privato che outfit avevo pensato per Paul, dato che qui si scopre il look total white, e devo ammettere che anche se, nella mia testa, la loro faccia è giovane e pulita come quella degli inizi dei Beatles (d'altronde, hanno 18 anni), l'abbigliamento è molto molto simile a quello di "Your mother should know",
Due cose importanti: qui trovate informazioni su Didsbury, mentre il duetto che cantano John e Paulie è questo. Dateci un'ascolto, anche perché è la versione femminile di quella che avete appena letto. Io personalmente lo adoro, ma sono curiosa di sapere anche il vostro parere.
Detto questo, ringrazio uno ad uno chi ha letto i capitoli precedenti e li ha recensiti, menzione specialissima -ruffiana- per le mie due preferite: Astoria McCartney & Paulmccartneyismylove. Inoltre, come al solito, un abbraccio e un ringraziamento speciale a Kia85, la mia beta, che mi tiene anche compagnia e mi permette di parlare con qualcuno dei Beatles <3
Ci vediamo presto, per il prossimo capitolo :3
Penny.

 
   
 
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