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Autore: FantaVia    09/12/2014    1 recensioni
Se temi che il pericolo si celi nell'ombra, come reagisci quando ne sei circondato?
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Veloce. E non guardare alle tue spalle.
E intanto cercava di non badare agli scossoni che stava ricevendo.
- I miei poveri ammortizzatori…
Erano frasi che ormai stagnavano nella sua testa da tempo, latenti; e, ogni volta che si apprestava a compiere quel tragitto, cominciavano a ronzarle fastidiosamente nella testa. Sempre più insistente, il loro vorticare sfrenato la intontiva non appena giungeva a quella biforcazione del sentiero sterrato, in corrispondenza del quale Lucia abbandonava la rassicurante luce dei lampioni, e la prudenza al volante, per inerpicarsi su per quella viuzza scura che l’avrebbe riportata a casa, al sicuro, sulla collina.
- Dai cavoli! Hai vent’anni suonati! Come fai ad aver paura di uno specchietto retrovisore?!...stupido specchietto retrovisore
- Ehi, che vuoi da me?! che ti mostri sempre unicorni rosa e caramelle? Questo sì che sarebbe preoccupante!
Ma lo specchietto retrovisore non fiatava. Magari lo avesse fatto! Lucia avrebbe avuto qualcuno con cui parlare, qualcuno da rimbrottare concretamente, e sfogare così il suo nervosismo.

Uno spasmo dopo l’altro, le sue mani si stringevano compulsivamente attorno al volante, freddo e indifferente al loro bisogno di rassicurazioni. Una allora cercava rifugio tra le ciocche dei capelli; ma questi, crespi e arriffati, sembravano più un’infida trappola che un accogliente nido. Sconsolata, scivolava lungo l’ampia fronte e andava a portare la sua carezza a due occhi troppo grandi per sopportare tutta quell’oscurità che li circondava. E loro, ingrati, erano troppo intenti a spalancarsi su un mondo di fantasie terrificanti, per apprezzare quel gesto compassionevole. La mano ricadeva inerte sulla gamba. Poi una scarica di adrenalina la riportava all’originaria posizione: a comprimere quel sottile collo di plastica.

Lucia aveva un’immaginazione fervida e macabra, saggiamente alimentata da anni di discutibili letture: le si poteva diagnosticare una perfetta sindrome da madame Bovary.
- E quella scema alla fine muore pure!
Lei era troppo giovane per morire. Soprattutto, rivendicava il diritto di riuscire a incontrare un ragazzo per cui provare un trasporto tale da non volerlo mai più lasciare, prima di abbandonarlo per sempre. Che qualcuno la piangesse, insomma!
- Stupido Foscolo! Voglio vederti a combattere Jack lo Squarciatore a suon di canzonette! ..la poesia che vince la morte…
Sbalzata da un’idea all’latra in modo sconnesso, l’eccitazione che provava in quel momento le faceva sembrare ridicolo tutto ciò che non fosse meno che essenziale alla sopravvivenza. Bear Gylls non portava i Sepolcri nello zaino: lui nei sepolcri ci dormiva.

Uno scossone più violento del solito la fece sobbalzare, anche fisicamente.
Cazzo, stava morendo e il suo ultimo pensiero era stato per Bera Gylls! Non aveva alcuna intenzione di trapassare con quel ricordo; e decise di ricominciare a respirare. Riempì i polmoni di ossigeno, nebbia e tenebre.  Dopo non si sentì affatto meglio.

Accucciata dietro di lei, l’ombra fremente era a suo agio nello spazio angusto tra i sedili e non si curava del fatto che il tappetino fosse ricoperto da una coltre di vecchi scontrini accartocciati; anzi cercava di adagiarvisi, come una tigre prima dell’assalto. Era solo l’ombra che il suo stesso corpo proiettava; ma quella figura umanoide che tramava dietro di lei non era la migliore compagnia in cui Lucia potesse confidare.
E ben altre ombre si agitavano attorno alla ragazza, strisciavano silenziose verso la vecchia Ford, premevano sui finestrini  le loro esili dita, per spiare da vicino Lucia. Ombre curiose la circondavano.

Finalmente arrivò alla casa. La vista dell’edificio fece scalpitare ancor di più la giovane donna, le sue mani, i suoi ispidi capelli, le sue abnormi pupille. Nessun fremito di piacere era paragonabile a quello arrecatole da tale apparizione.
Lucia scese dalla macchina, facendo attenzione a non sbattere la portiera. Temeva ciò che quel suono cupo avrebbe potuto risvegliare. Scese e corse a rapidi passi verso il piccolo edificio di legno. Quel tragitto le sembrava snodarsi attraverso l’eternità ancor più di quello che aveva concluso; ma come al solito non aveva potuto avvicinarsi troppo con l’automobile: non voleva che la sua umiliante codardia disturbasse il placido sonno di quelli che erano già rincasati.
Ancora pochi passi e sarebbe stata dentro. Fuori dalla notte che l’avviluppava.

Poggiò una mano sulla parete di mattoni, che furono subito ben lieti di impregnarsi di tutto il terrore di cui la ragazza voleva liberarsi. Essi la ripagarono di quell’offerta col freddo. E  fu Bruno, il padrone di casa, a farsi mediatore di quel dono: quando il suo proiettile si insinuò tra le costole di Lucia, il gelo penetrò in ogni altro anfratto del suo fragile corpo e della sua inconsistente anima.
Lucia cadde a terra, ma nessuno sentì quel tonfo, ovattato dalle foglie di castagno e sovrastato da urla e scalpiccii femminili.

Ci vollero venti minuti buoni perché Bruno convincesse la moglie e la figlia a tornare a letto, perché non c’era nulla di cui preoccuparsi. Finalmente non c’era più alcun pericolo. Si era liberato di quell’inquietante ragazzaccia che ogni notte veniva a spiarli e ad arraffare i riflessi della loro armonia famigliare.

L’ultimo abbraccio che Lucia ricevette non fu quello del padre che l’aveva abbandonata e che no era nemmeno capace di riconoscerla: ancora una volta, furono le ombre a vegliare su di lei.

 
   
 
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