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Autore: Isidora Anadiomene    10/12/2014    4 recensioni
Ho deciso, per questa volta, di raccontare un'Ichigo diversa, un'Ichigo con un problema che accomuna molte ragazze e che ha accomunato anche me e che si fa ancora un po' sentire.
Il mio intento è quello di trasmettere speranza. Per una volta, voglio scrivere una storia, nella quale vinca la forza, perché, dopo il buio, ci possono essere la luce e la vita.
"Finché c'è vita, c'è speranza... per quanto amare possano essere le acque"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Weight.






Cinque giorni dopo
 
Ichigo non si era mai sentita così meschina come in quel momento. Era da qualche tempo che Ryou era diventato uno dei suoi bersagli preferiti per scaricare la rabbia. Tutte le volte che il nervosismo la coglieva e Ryou si trovava nei paraggi, trovava pretesti per litigare. Si stava dimostrando infantile.
Mentre si dirigeva al Caffè, dove aveva inventato le scuse più disparate per non farsi nuovamente vedere, elencò mentalmente quello che ormai era diventato un gesto ordinario: tenere il conto di tutti i cibi assunti. L’elencò fu brevissimo. Ichigo non aveva fatto colazione e per pranzo aveva mangiato due polpette di riso che aveva tentato anche di vomitare, ma, data la scarsa quantità, non era stato possibile.
Si era pesata la mattina appena sveglia e i suoi ormai quarantaquattro kili le erano come sempre sembrati troppi. Eppure non lo erano, non era giusto pesare così poco. Qualcosa, però, le diceva che non era abbastanza.
Entrò dal retro e sperò nuovamente di non incontrare Ryou. Fu fortunata, perché Ryou aveva delle commissioni per il Caffè da sbrigare.
In cucina, a parlare con Kei, però, c’era Yukiko.
“Ichigo, ti va una fetta di torta? È quella al cioccolato bianco che ti piace tanto”
Un tempo, Ichigo avrebbe detto di si, avrebbe sorriso e gustato quella torta con piacere, felice che Kei l’avesse preparata appositamente per lei.
“Kei-kun, ho la nausea” confessò, le faceva male la gola per lo sforzo di vomitare e le veniva da piangere.
Yukiko le rivolse uno sguardo inquisitorio. “Non ti piacciono i dolci?”
Ichigo non seppe cosa rispondere, non lo sapeva nemmeno lei se ormai le piacesse mangiare oppure no. Probabilmente se avesse pensato alla torta in sé ne avrebbe decantato il sapore, ma, se pensava di doverla mangiare, il disgusto la assaliva.
Fu Kei a salvarla dall’imbarazzo del suo mutismo. “Ichigo è una buon gustaia! È solo che deve aver mangiato troppo a pranzo, no? Yukiko-san, perché non l’assaggi tu? Ho cambiato leggermente la ricetta e vorrei avere un parere”
Non era vero, perché Kei non modificava mai le sue ricette più datate e la torta al cioccolato bianco era una di quelle. Ichigo si rese conto che ormai il suo problema, del quale non voleva ammettere il nome, stesse iniziando a diventare visibile.
Nello spogliatoio, mentre si sfilava la maglia, Minto non seppe bisbigliare come suo solito.
“Ichigo! Kami-sama, come sei magra! Non stai mangiando nulla? Quanto pesi?”
“Minto, non urlare! Certo che sto mangiando, che domande mi fai? Peso 48 kg, sto bene!”
Minto la fulminò con lo sguardo. “Ichigo, Purin pesa 47 kg, non prendermi in giro. Pesi molto meno, dimmi la verità”
“44 kg, va bene? Ho perso un po’ di peso, ma sto bene. Ho solo lo stomaco un poco chiuso negli ultimi tempi. Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti, Micchan”
“Ichigo, potrebbe essere che tu…”
“No! Non pronunciare quella parola, non lo è!” …anoressia.
La voce timida di Retasu che le invitava a sbrigarsi mise fine alla discussione.
“Ichigo, dobbiamo parlarne assolutamente” concluse Minto uscendo dallo spogliatoio.
 
Nel corso della giornata, Ichigo fu colta dal terrore dell’ammissione di avere un problema, quel problema, quel problema che aveva quel nome.
Dei disturbi alimentari, da lei classificati in passato come un modo errato di perdere peso e nulla più, Ichigo non aveva mai avuto esperienza diretta.
Non si era mai spiegata come si potesse smettere di mangiare, di mangiare poco o di mangiare e vomitare subito dopo. Il gesto di avvicinare le dita alla bocca e di fare pressione sulla lingua l’aveva sempre spaventata. Non aveva idea che dietro quell’atteggiamento si nascondesse ben altro che il disprezzo verso il proprio peso corporeo.
Ichigo non si era mai reputata una persona particolarmente brillante. A scuola, si era sempre impegnata e i suoi risultati erano sempre stati nella media o nella mediocrità, dipendeva dai punti di vista. Conscia del suo odio per la matematica, Ichigo aveva sempre preferito l’arte e il disegno.
Le piaceva leggere poesie di autori occidentali ed europei, ma ne amava soprattutto la pittura. Innamorata di Modì, il famoso Amedeo Modigliani, e di Henri Toulous Loutrec, Ichigo aveva scelto la facoltà di Restaurazione ad indirizzo pittorico. Il suo sogno era quello di conservare l’arte per tramandarla a coloro che sarebbero venuti.
La prerogativa di Ichigo, oltre al mentire a se stessa, era il prendersi cura. Ichigo si prendeva cura di tutte le persone attorno a lei, chiamando, ascoltando, facendo ridere e cercando di preparare dolcetti che potessero rincuorare. Per lei, il cibo era uno degli atti dell’amare, attraverso la preparazione del piatto passava l’amore. Ma Ichigo non vedeva più amore nel cibo, soprattutto quando era lei stessa a cucinarlo. Non lo meritava.
Alla fine del suo turno, finiti di pulire i tavoli, Ichigo fece per entrare in cucina, ma le voci di Minto, Kei, Zakuro e... Ryou la fecero desistere.
“Ichigo pesa 44 kg, lo ha detto a Minto. Ha perso 8 kg in un mese e mezzo, prima pesava 52 kg. Ne parlammo una volta” la voce di Zakuro tradiva una nota di preoccupazione.
“Significa che non sta mangiando” pigolò Minto. Dalla porta socchiusa, Ichigo poteva vedere Minto e Kei di spalle e Zakuro e Ryou in viso.
“Dobbiamo starle vicino, dobbiamo aiutarla e fare qualcosa. Dobbiamo parlarle” disse Kei.
“Ci ho già provato, Kei-kun, cosa credi? Mi sembra evidente che… è evidente che sia…” Minto balbettava e Ichigo la vedeva chiaramente trasalire.
Ryou, appoggiato al tavolo con i pugni serrati, prese finalmente la parola.
“È evidente che Ichigo sia diventata anoressica. Non abbiate paura di una stupida parola, per piacere. Il modo in cui aveva iniziato a dire di dover evitare i dolci era già sospetto. Ad Ichigo è sempre piaciuto mangiare. Ci sono altre ragioni, oltre il peso, dietro il suo atteggiamento”
“Ryou, perché non le parli? Ichigo si è sempre aperta con te” propose Zakuro. Il suo finto tono distaccato faceva a pugni con la sua espressione angosciata.
“Io e Ichigo abbiamo discusso, non ci parliamo. Non accetterà mai di parlare con me e soprattutto… niente, lasciate stare. Ichigo ha bisogno di voi, non di me”
Ryou si avviò verso l’uscita del retro della cucina. “Dove vai?” gli chiese Kei.
“A prendere Yukiko a casa” rispose freddamente. Yukiko, ah, giusto… Yukiko.
 
Ichigo andò via, mandando un messaggio a Minto con scritto che era dovuta tornare a casa di fretta. Di tutto ciò che aveva udito, riusciva a pensare solo alle parole pronunciate da Ryou. Non poté fare a meno di chiedersi se Ryou avesse mai sospettato qualcosa dei suoi sentimenti, se si fosse reso conto del modo in cui lo guardava, lo cercava e gli parlava. D’altronde, le aveva sempre detto di essere un libro aperto per lui, no? Si chiese se la infastidisse di più il fatto che Ryou sapesse del suo problema o dei suoi sentimenti. Amare non era vergognoso, nonostante non si fosse corrisposti. Vomitare o non mangiare era più che vergognoso.
Una sera- alla festa di compleanno di Heiji, il ragazzo di Minto- Ichigo lo aveva cercato insistentemente, forse un po’ per l’alcool. Gli era ronzata intorno tutta la sera e lui non aveva accennato minimamente a scrollarsela di dosso. Tra di loro, di abbracci ce n’erano stati davvero pochi. Ryou non era come Kei-kun che riservava carezze e abbracci appena scorgeva un po’ di tristezza. L’unica ad abbracciare Ryou era Purin che, in realtà, si limitava a saltargli al collo solo per il gusto di infastidirlo. Ma, quella sera, Ichigo non si era staccata un attimo dal suo corpo e Ryou aveva provveduto a stringerla di più tutte le volte che lei sembrava volersi allontanare. Tornata a casa, non aveva potuto fare a meno di sorridere e di schernirsi un po’, conscia che tutta quell’intraprendenza – e quella sincerità verso se stessa- derivasse solo dall’alcool.   
Si erano visti due giorni dopo e nessuno dei due aveva provato a dire qualcosa, si erano scambiati un sorriso e non avevano battibeccato per i due giorni a venire. Minto aveva dato segno di voler dire la sua, ma, Ichigo, ben sapendo quanto l’amica sapesse sempre cosa dire, aveva subito troncato sul nascere ogni parola. Quella era stata una delle tante sere nelle quali Ichigo, preda dell’alcool, aveva ammesso a se stessa quanto Ryou fosse bello, quanto i capelli biondi gli ricadessero morbidi sulla fronte, quanto gli occhi, in apparenza così gelidi, fossero pieni di dolcezza. Quanta sofferenza si nascondeva in quelle iridi cerulee? Quanto, il dolore di un’infanzia in solitudine? Eppure Ichigo aveva toccato quella sofferenza, lo aveva ascoltato mentre parlava dei suoi genitori, delle sue esperienze… aveva sentito un po’ suo quel dolore, mentre il desiderio di alleggerirgli il peso la dilaniava.
Una volta, bloccati da un temporale, erano rimasti al Caffè fino a mezzanotte e Ichigo non aveva potuto resistere alla tentazione di fare quelle sue domande un po’ scomode, alle quali Ryou rispondeva sempre e che lo facevano tanto ridere.
Gli aveva chiesto come fosse stata la sua prima volta. Ryou era stato vago, ma Ichigo aveva ben capito quanta amarezza ci fosse dietro a quelle parole, l’amarezza di non aver mai effettivamente fatto l’amore. Ryou si era definito un “verginello a metà”, un vergine di sentimento. Quell’espressione le era rimasta attaccata addosso, come una seconda pelle, a lei che non aveva mai toccato il corpo di un altro essere umano a quel modo e che aveva amato Masaya solo per modo di dire, senza avere il coraggio di farsi accarezzare o guardare. Però da Ryou si sarebbe fatta guardare, anche se con ribrezzo verso se stessa, si sarebbe concessa carezze da quelle mani così grandi e calde, si sarebbe fatta baciare da quelle labbra morbide e sottili.
Si addormentò formulando questo pensiero e, al mattino, rimase delusa di non averlo accanto a sé. Ma d’altronde, quando mai era accaduto.
  
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