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Autore: Acinorev    10/12/2014    17 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo quindici - Whatever you want

 

Contraddittoria.
Nella sua testa non avrebbe potuto scovare un aggettivo più appropriato da affibbiarsi, anche con una punta di intimo disgusto. Nessuna definizione le sarebbe calzata così a pennello, descrivendo perfettamente l’insita lotta che la stava dilaniando.
Era contraddittoria ed era solo colpa di Harry.
Gli aveva chiesto di lasciarle del tempo, dello spazio, qualsiasi altra dimensione avesse potuto nominare, e l’aveva fatto numerose volte, come un disco rotto incapace di procedere oltre. Eppure erano passati due giorni, Harry era svanito nel nulla e lei era infastidita.
La stizza le irrigidiva i pugni chiusi improvvisamente, durante la giornata, e lei si intestardiva nel disprezzare quella sua incoerenza: perché, se poteva dirsi finalmente libera di godersi la solitudine tanto ricercata e l’opportunità di recuperare una certa dignitosa integrità, si sentiva anche irrimediabilmente irritata dal fatto che Harry l’avesse presa in parola e avesse cessato ogni tentativo di contatto.
Non perché necessitasse delle sue attenzioni, ovviamente, ma semplicemente perché la sua vanità – ormai fedele compagna quando si trattava di ergere delle giustificazioni - le reclamava, troppo a lungo stuzzicata dalla loro presenza ed infine abbandonata all’improvviso. Non poteva neanche metterla su un piano personale: in fondo i suoi sentimenti non erano mutati, anzi, non erano nemmeno sentimenti. Continuava a ripetersi che fosse naturale sentirsi nostalgici nei confronti di piccole e sfrontate accortezze, soprattutto in un momento di tale fragilità: chi non avrebbe rimpianto i modi provocanti di Harry?
E no, non voleva davvero un riavvicinamento, l’ennesima violazione del suo spazio vitale, ma sarebbe stato più giusto sostenere che non le sarebbe affatto dispiaciuto, se lui si fosse mostrato sfacciato ancora una volta: l’avrebbe subito rimproverato e magari avrebbero di nuovo litigato, ma almeno il suo ego avrebbe avuto delle briciole delle quali saziarsi, dopo aver assaggiato dimostrazioni ben più sostanziose.
Terribilmente contraddittoria.
 
 
 
La febbre che l’aveva praticamente allettata nei giorni precedenti si era rivelata effimera e di breve, ma intensa durata. Emma, dopo quarantotto ore di riposo, si poteva definire in forma e solo vagamente raffreddata: unico rimasuglio della fronte bollente era la sua voce ancora un po’ nasale.
Quel giovedì era tornata di nuovo all’università, nonostante avrebbe preferito darsi ancora per malata: aveva delle lezioni importanti ed i suoi genitori, che proprio non riuscivano ad accettare la sua quasi totale indipendenza, non avrebbero taciuto riguardo la sua uscita pomeridiana con Melanie. “Se sei malata per non andare all’università, allora lo sei anche per lo shopping”, le avrebbero detto.
Melanie era passata a prenderla alla fine delle lezioni, nel primo pomeriggio: avevano vagato per la città per qualche ora, affrontando argomenti leggeri e comprando sciocchezze che in realtà non servivano, ma che funzionavano comunque da distrazione. Emma conosceva lo sguardo cauto della sorella, quello con il quale le voleva far capire di sapere, ma di non osare chiedere: per questo era determinata ad ignorarlo, almeno ancora per un po’.
«Entriamo qui?» propose invece, indicando con il capo una gioielleria intima, ma ben rifornita.
Melanie alzò un sopracciglio ed annuì senza fare domande, troppo ingenua e di buone intenzioni per poter sospettare di essere caduta in qualcosa di simile ad un piano.
Emma decise di costruirsi comunque un alibi, così, entrando all’interno del locale e salutando con un sorriso l’unica commessa presente, si diede in giustificazioni. «Sai, Nikole compie ventitré anni tra pochi giorni: pensavo di prenderle un bracciale, o una collana», disse piano, guardando distrattamente le vetrinette splendenti e ricolme di gioielli più o meno costosi. Mentre Melanie la seguiva genuinamente interessata, individuò con la coda dell’occhio la posizione degli anelli in vendita. «Come direbbe lei, “un bel ciondolo distrarrebbe gli occhi dei ragazzi dalla mia ciccia e li attirerebbe verso le mie tette”», continuò subito, ridacchiando al solo pensiero.
«Nikole dovrebbe smettere di essere così dura con se stessa», commentò la sorella, controllando il prezzo di un paio di orecchini in argento. Le sue iridi brillanti potevano fare concorrenza alle pietre preziose lì esposte: aveva legato i capelli in una coda alta ed ordinata, lasciando il viso pulito e struccato in bella vista. Era fastidiosamente delicata.
«Essere autoironici non è così male», rispose Emma, alzando le spalle. «Ah, guarda questo», esclamò subito dopo, indicando un sottile bracciale.
Melanie si avvicinò e le prestò attenzione, ma dimostrò immediatamente la determinazione che fino ad allora si era decisa a smorzare. «Allora? Cos’è successo con Miles?» le domandò a bassa voce, senza alcuna pretesa.
Emma si voltò quasi bruscamente, colta di sorpresa.
«Be’, se… Se non vuoi parlarne, ecco, v-»
«Ci siamo lasciati», la interruppe, rassicurandola implicitamente prima che iniziasse ad incespicare sempre più nei suoi borbottii insicuri. Non le aveva confidato nulla riguardo quella situazione, ma sicuramente i suoi genitori avevano spifferato le sue condizioni d’animo degli ultimi giorni, collegandole alla strana ed inaspettata visita di Miles tempo addietro. L’intuito aveva fatto il resto.
«Perché?» chiese allora Melanie, allungando spontaneamente una mano sottile per accarezzarle un braccio, in modo esitante, e dipingendo il proprio volto di un sottile dispiacere. La sua domanda poteva sembrare scontata, dato che la situazione era sempre stata critica, ma era evidente che si riferisse a ciò che aveva effettivamente dato una svolta al tutto.
«Non lo avrei mai perdonato», tagliò corto Emma: non le era ancora facile parlarne, perché in fondo avrebbe comportato passare in rassegna tutti gli errori commessi e subiti.
La sorella rilassò le braccia lungo i fianchi magri, assumendo un’aria comprensiva. «Solo lui non l’aveva capito», commentò piano.
Aveva ragione, in fondo: chissà perché proprio il ragazzo con il quale aveva convissuto per più di un anno non aveva realizzato quella schiacciante prospettiva.
«Tu non mi hai mai consigliato di lasciarlo: come mai?»
«Non… Non toccava a me scegliere. E poi, be’, non ero sicura che tu fossi così propensa a prendere in mano l’argomento o addirittura ad accettare consigli», sorrise Melanie, abbassando lo sguardo. Chissà quante volte era stata tentata di parlarle con il calore che solo lei era in grado di dispensare, chissà quante volte si era morsa la lingua nel vederla cadere negli stessi sbagli…
Chissà quante volte aveva macchinato alle sue spalle con Harry Styles.
Emma assottigliò subito gli occhi indagatori, appoggiando una mano sul proprio fianco. «Di’ un po’, è per questo che hai dato l’indirizzo delle gemelle ad Harry?» chiese direttamente, quasi certa della risposta. «Speravi che lui potesse metterci lo zampino e magari farmi capire qualcosa? Che so, che di Miles non mi importava nulla? O forse lo speri ancora?» insistette, avvicinandosi di un passo.
Melanie sbatté le palpebre intimorite e le sue guance si fecero più rosse, dimostrando la sua difficoltà. «No, no… Certo che no», balbettò, schiarendosi la voce. «Voglio dire… Ho sempre pensato che tra te e Miles non ci fosse quello che c’era tra te ed Harry, ma… È stato lui a venire da me a cercarti. Io, ecco-»
«Tu ti sei solo lasciata intenerire da una piccola vipera», concluse la minore, mordicchiandosi un labbro.
«Be’, non vedrei Harry come una vipera», precisò Melanie, scettica. «Voleva solo vederti, sai, farti una sorpresa».
Emma sospirò nel confrontarsi con la sconfinata purezza della sorella. «Mel, potrei stare qui a spiegarti come Harry forse sia interessato a vedere qualcosa di più… Specifico, di me. Però preferisco lasciarti nella tua bolla di arcobaleni».
L’altra sbuffò un sorriso. «Sul serio!» protestò, con gli occhi vispi e sinceri. «Non voglio dire che Harry non abbia istinti o non… Sì, be’, hai capito. Ma non è fatto solo di ormoni e quella volta voleva davvero solo vederti», spiegò ancora. «Poi, certo, io non so se tu ti diverti a provocarlo e a-»
«Melanie!» la rimproverò Emma, sorridendo incredula per quell’allusione. «Senti, lasciamo perdere questo discorso: mi sta facendo tornare il mal di testa. Piuttosto…» Abbassò la voce in un sussurro pensieroso, dirigendosi verso la vetrina degli anelli. «Vorrei proprio comprarne uno», commentò con aria sognante, ma studiata.
Zayn aveva già trovato l’anello di fidanzamento adatto all’occasione, ma non sapeva assolutamente quale fosse la misura esatta per la sua futura sposa – perché nemmeno in un distante universo parallelo le cose sarebbero potute andare diversamente: in casa aveva trovato un paio di anelli che solitamente lei utilizzava, ma non si fidava, soprattutto perché diverse volte glieli aveva visti scivolare dalle dita. Per questo aveva chiesto il suo aiuto, l’aveva ingaggiata in veste di detective discreto ed efficace.
«Costano davvero molto», rifletté Melanie, curvando le sopracciglia in un cipiglio pensieroso. Le sue iridi, però, lasciavano trasparire il fascino derivante dai gioielli che stavano osservando.
Emma si decise ad agire, fingendo disinvoltura. «Fammi vedere la tua mano», esclamò, allungando anche la propria. «Ammettendo che io riesca a risparmiare abbastanza soldi da comprare uno di questi affari, non so nemmeno di che misura dovrei prenderlo», continuò con noncuranza, paragonando distrattamente le sue dita con quelle della sorella. «La tua qual è?»
Melanie imbronciò le labbra e diede un’ultima occhiata alle loro mani affiancate. «N, ma forse a te serve un numero in più», ragionò. «Dovresti provare a chiedere alla commessa».
Lei sorrise, annuendo soddisfatta. «Sì, ma forse è meglio non fantasticare troppo», ammise in un sospiro. «Prima devo mettere i soldi da parte».
Allontanandosi dalla vetrina e assicurandosi di non farsi vedere, inviò un messaggio a Zayn: la missione era andata a buon fine, ma si aspettava una ricompensa.
 
 
 
Era riuscita a trovare un equilibrio, una sorta di compromesso tra la realtà e ciò in cui lei avrebbe voluto trasformarla: circondata dal tepore della cucina e dal profumo di farina, si sentiva in grado di sorridere liberamente nello sperimentare biscotti con la piccola Fanny. Momentaneamente spensierata – e affamata – si stava concentrando solo sulla quantità dei vari ingredienti, sulla presenza di tutto il necessario.
Fanny aveva una faccia seriamente assorta, mentre sfogliava un vecchio libro di ricette, soddisfatta di essere riuscita a cacciare Constance dal suo ambiente preferito: come sempre di poche e schiette parole, occupava più tempo a canticchiare qualcosa a bassa voce, facendo ondeggiare i morbidi capelli raccolti in una treccia disordinata.
«Non ho ancora capito questa tua improvvisa passione per i dolci», ammise Emma, legandosi un grembiule azzurro dietro il collo.
L’altra si limitò ad alzare le spalle e ad indicare una pagina del libro. La scelta era evidentemente caduta su semplici biscotti di cioccolato: puntare troppo in alto era rischioso.
«Spero che tu non abbia intenzione di imparare per poi regalarli a qualche ragazzino brufoloso», scherzò, allacciando anche dietro la sua schiena un grembiule simile al proprio, che però le arrivava alle ginocchia.
Fanny assunse un’espressione disgustata ed Emma sospirò di sollievo: per fortuna la sua piccola e – non tanto – indifesa sorellina era ancora in quella fascia d’età dove gli esseri di sesso maschili non sono contemplati. O almeno, se pure vengono degnati di una scarsa considerazione, sono comunque relegati a posizioni più basse nella scala sociale e nella catena dell’alimentazione.
«Perfetto», esclamò allora, bendisposta. «Continua così: lascia perdere i ragazzi, loro sono… Be’, spesso fanno male», concluse abbassando la voce.
Fanny la osservò e si aggirò per la cucina alla ricerca del cioccolato fondente, sicura di esserne in possesso. Emma, intanto, fissava l’isolotto al centro della cucina con la mente che vagava per sentieri pericolosi.
Poi, improvvisamente, dalle ferite accettate da Miles, la sua attenzione si soffermò a quelle ben più lontane e sfumate ricavate da qualcun altro.
«E sono fastidiosi», rincarò allora, accentuando il proprio tono di voce con un certo sdegno.
Mentre mescolava la farina, il lievito ed il cacao, il viso di Harry si dipingeva tra quegli ingredienti e lei accelerava i movimenti solo per cancellarlo.
Fanny si trovò d’accordo con lei, apparentemente, perché annuì con vigore, mentre infilava il cioccolato nel microonde per farlo sciogliere.
«E sono terribilmente egocentrici».
Si sporse ad afferrare lo zucchero.
«E ti fregano», continuò. «Perché non capiscono mai un caz-un accidenti di quello che devono fare e di quando devono farlo». Con un’enfasi maggiore del richiesto, prese ad amalgamare lo zucchero con il lievito: il viso inspiegabilmente livido.
«E ti tradiscono!» sbottò, ormai senza nemmeno più un controllo, in balia di una stizza più profonda, saltata di nuovo verso un altro volto. «Ti stregano con il loro bel faccino e ti fanno innamorare, ti fanno vivere con loro e poi escono, e indovina? Stregano anche qualcun’altra, con quel bel faccino: così tu ti ritrovi ad aspettarli nel letto, magari anche con un bel completino addosso costato l’ira di Dio, anche se non arrivano. Almeno non subito, no: arrivano solo dopo averti tradita! E sono così subdoli e crudeli, da renderti stupida e debole, perché comunque tu faresti di tutto pur di non farli andare via, ti ci metti d’impegno: e ce ne vuole per sottrarsi all’incantesimo, ah, se ce ne vuole. Tanto che poi, alla fine, hai la testa talmente confusa da tutte le loro frottole, da non capire nemmeno che una buona parte della colpa è solo tua!».
Fanny era rimasta ferma accanto al microonde acceso, con gli occhi spalancati: la guardava come se fosse completamente impazzita – cosa del tutto ragionevole – e come se, fortunatamente, fosse davvero ancora molto lontana da ciò che l’aspettava. Forse se ne sarebbe tenuta ancora più alla larga, nel constatare quali effetti le pene d’amore avessero provocato nella sorella.
Emma respirò profondamente ed arrestò i suoi movimenti irrequieti: si maledisse per quello sfogo del tutto inappropriato ed irrefrenabile, che aveva lasciato andare ben più cose di quelle che si sarebbe concessa, soprattutto in presenza di Fanny. Assunse un’espressione talmente crucciata e pentita, ma allo stesso tempo quasi dolorante, che la più piccola si sentì in dovere di intervenire.
«Se ti può consolare, i ragazzi della mia classe non hanno proprio un bel faccino», esclamò soltanto, piegando le sue labbra rosee per manifestare un certo disappunto.
L’altra sbuffò e sorrise apertamente, scuotendo il capo. Prima che potesse tornare a quei poveri ingredienti che fino ad allora aveva torturato, però, il telefono prese a squillarle nella tasca del pantalone.
Pulendosi le mani sul grembiule, lo afferrò e rispose alla chiamata di Louis.
«Finalmente», lo salutò, meno cordiale di quanto fosse lecito. Era sparito da diversi giorni, senza lasciare traccia e senza avvertirla: aveva scoperto del suo ritorno a Londra solo grazie a Zayn, che aveva risposto con ritrosia alle sue domande incalzanti. Era venuta a sapere anche della sua rottura con Aaron, ma voleva che fosse lui a parlargliene: a tempo debito, certo, ma presto.
«Hun, hey», rispose la voce acuta di Louis, stranamente allegra.
«Ti sei appena ricordato che esisto, per caso?» lo accusò, cercando di regolare il tono e voltandosi per dare le spalle a Fanny. «Non dovevi, sul serio».
«Andiamo, hun. Sai come sono fatto», sospirò lui, forse gettandosi sul divano o sul letto.
«Sì, so che sei terribilmente egoista», confermò. Ecco, forse avrebbe dovuto enumerare anche quello, tra difetti maschili elencati alla sorella.
Louis sorrise. «In modo viscerale», precisò.
Emma sapeva che la sua fuga improvvisa era stata dettata da un dolore troppo grande da trattenere, che la sua scomparsa era stata la manifestazione di come Louis fosse crollato inesorabilmente: lo capiva, ma non riusciva a trattenere il proprio affetto, a non dispiacersi per il ruolo nullo che era relegata a ricoprire quando si trattava di dargli un appoggio, un minimo conforto.
Un improvviso trambusto attirò la sua attenzione: Fanny aveva appena fatto cadere delle stoviglie, con aria innocentemente tranquilla.
«Che stai combinando?» le chiese Louis, curioso.
«Io e Fanny stiamo preparando dei biscotti», spiegò.
«Hun, ma tu non sai cucinare».
«Io so cucinare».
«Sì, ma solo cose orribili».
«Senti, quella volta ho solo calcolato male la quantità di sale da aggiungere, ma per il resto sono una cuoca provetta», affermò, nonostante sapesse di non essere completamente sincera. Ai fornelli poteva dire di cavarsela, ecco, ma niente di più.
«Certo, come no».
Emma sbuffò sonoramente e si passò una mano tra i capelli, ripetendo il gesto quando si accorse di averli macchiati di farina.
«Aaron non sta più con me», furono le inaspettate parole provenienti dall’altro capo della cornetta. Erano parole ben selezionate, pesate in ogni loro sottile significato, ed Emma lo sapeva bene: Louis era stato attento a sceglierle, in modo da spiegare più di quanto potessero dire ad un primo ascolto passivo. Era Aaron ad averlo lasciato, perché Louis probabilmente stava ancora con lui nel suo cuore, tra le coperte la notte. Era solo Aaron a non volerlo più.
«Lo so», rispose lei a bassa voce, accogliendo quella minuscola confidenza come se si fosse trattato del più delicato dei segreti. «È proprio finita o…?»
Sapeva solo vagamente ciò che era realmente successo, e ciò che sapeva era stato filtrato dalla discrezione di Zayn, al quale era stato trasmesso con la discrezione di Melanie. Di conseguenza, non trattandosi di una situazione molto diversa dalle innumerevoli precedenti, c’era ancora la possibilità che la loro storia fosse terminata solo fino al prossimo incontro in un letto.
«Non mi vuole più», mormorò Louis.
E se inizialmente Emma aveva sentito il bisogno di sfogarsi con lui degli avvenimenti degli ultimi giorni, in quel momento decise di non farlo, di evitare qualsiasi discorso personale e di non dargli nemmeno mezza possibilità di cambiare argomento. Sarebbe rimasta al telefono il tempo necessario, parlando di ciò che lui avrebbe preferito, ma l’avrebbe ascoltato in tutta la sua riluttanza.
 
 
 
Zayn era seduto sul divano, con una lattina di birra nella mano destra ed una sigaretta mezza consumata nella sinistra: guardava un documentario sulla produzione del mais in scatola – o almeno così credeva – e no, non era affatto interessante, ma almeno era un pretesto per aspettare senza distruggersi.
Finalmente, Melanie entrò in salotto pochi istanti dopo, con indosso il pantalone celeste del pigiama in cotone ed un vecchio maglione rubatogli dall’armadio. Sembrava aver studiato un attento piano per torturarlo, per rimandare il momento in cui l’avrebbe potuta finalmente avere, dopo un’intera giornata di lontananza: persino pulire a fondo la doccia si era rivelato un ottimo mezzo per temporeggiare.
«Zayn», lo rimproverò, sbuffando contro il ciuffo di capelli che le era scivolato davanti al viso e spegnendo per un attimo l’aspirapolvere.
Lui alzò un sopracciglio e tentò di non dare retta all’istinto di prenderla lì, con le mani stanche per le pulizie che proprio non riusciva a lasciar perdere. «Che c’è?» le chiese ingenuamente.
«Ho dovuto mettere lo stendino dei panni in casa, visto che sta diluviando, e tu non vuoi che le tue preziose mutande sappiano di fumo, vero?» esclamò ironica e quasi minacciosa, indicando con un cenno del capo gli indumenti stesi accanto alla porta, con un asciugamano abbandonato sul pavimento per accogliere le gocce d’acqua.
Zayn sbuffò e si allungò verso il tavolino di fronte a sé, per spegnere la sigaretta dentro il posacenere in finto marmo. «Va bene?» domandò retorico, rivolgendole uno sguardo divertito.
Lei alzò gli occhi al cielo e sorrise senza guardarlo, poi fece per accendere di nuovo l’aspirapolvere e ci ripensò subito dopo. «Sei andato a buttare la spazzatura?» indagò, sfidandolo.
«Sì», rispose lui, lieto di poterla combattere con la stessa moneta. «E , ho anche portato a lavare la macchina», la precedette, assumendo un’espressione soddisfatta.
La loro vita insieme si era consolidata fino a diventare assoluta, inevitabile: Zayn si svegliava ogni mattina al suo fianco, con la paura di percepire un cambiamento, ed ogni mattina ringraziava il cielo per averla ancora accanto, con i capelli sparsi sul cuscino o su di lui. Perché doveva chiederle di sposarlo, quando la risposta era così implicita? Quando aveva l’impressione di poter iniziare ad organizzare un matrimonio da un momento all’altro, senza che lei si stupisse o cercasse spiegazioni?
Melanie increspò le labbra definite in un sorriso, ammettendo la sconfitta. «Bravo», commentò soltanto, tornando a concentrarsi sui suoi doveri. Si muoveva con leggerezza, ogni tanto canticchiando motivi inudibili ed inciampando nel filo di quell’attrezzo che si ostinava a non cambiare, nonostante funzionasse solo due settimane al mese.
Zayn bevve un altro sorso di birra, con gli occhi inesorabilmente fissi sulla sua figura, sul suo viso arrossato e sui suoi fianchi morbidi, che avrebbe voluto stringere.
«Alza le gambe», gli ordinò Melanie, intenta a pulire il parqué di fronte al divano. Lui le diede ascolto e piegò le ginocchia al petto, per lasciarle spazio.
«Melanie?» la chiamò, terminando la birra con impazienza e rimpiangendo la nicotina: era sicuro che, se lei avesse saputo il perché di tutte quelle sigarette consumate con avidità, gliene avrebbe concesse altre cento dimenticandosi dell’odore che avrebbero impresso sui loro vestiti. Ma forse, nella sua crudele ingenuità, sapeva perfettamente perché Zayn fosse così impaziente: semplicemente, si divertiva ad esasperarlo con una innocenza snervante.
«Melanie?» riprovò, alzando la voce.
Lei si voltò con la fronte corrugata. «Hai detto qualcosa?» chiese, inumidendosi le labbra.
Zayn si limitò a sorridere, come a provocarla, e negò con il capo stringendosi nelle spalle. Quando la vide guardarlo con sospetto per poi tornare alle proprie mansioni, afferrò il filo dell’aspirapolvere e lo tirò.
«Che ti prende?» si lamentò lei, sbuffando. Non era infastidita, perché non si era ancora ravvivata i capelli in quel modo, né aveva ancora appoggiato le mani sui fianchi in quell’altro modo.
«Non ho fatto niente», replicò lui, improvvisando un’espressione innocente.
«Smettila», gli intimò comunque.
Zayn ripeté lo stesso dispetto appena lei si voltò, cercando di trattenere una risata.
E Melanie si ravvivò i capelli e spense quell’aggeggio infernale, appoggiando le mani sui propri fianchi. «Ti prego, voglio solo finir-»
Lui la interruppe tirandola a sé per un polso: se la fece cadere sulle ginocchia, circondandole il busto con le braccia sottili e facendola ridere inevitabilmente. Respirò il suo profumo e aspettò di non riuscire più a distinguerlo.
«Hai bisogno di una pausa», annunciò, baciandole il collo e facendole il solletico, mentre lei tentava di ribellarsi a quella trappola anche troppo piacevole.
«Sei come un bambino», lo rimproverò a bassa voce, nonostante avesse incastrato le dita tra i suoi capelli, come se avesse trovato il loro posto naturale.
«E tu sei noiosa», ribatté Zayn in un respiro, muovendosi per farla sdraiare sul divano e per racchiuderla con il proprio corpo. Non avrebbe mai potuto spiegare a parole cosa significasse sentire la sua pelle sulla propria, perché anche dopo tutti quegli anni, anche dopo tutte le carezze dispensate e bramate, non era riuscito ad accettare qualcosa di così intenso: si era semplicemente arreso, sottomesso a quel significato.
«Il resto del salotto non si pulirà da solo», commentò Melanie, lasciandosi baciare le labbra con lentezza estenuante.
Zayn le sorrise sulla guancia, mordendola subito dopo. «Sono arrivato al punto di temere che tu possa amare il nostro salotto più di me».
«Be’, lui… Lui almeno non russa».
Dovette trattenere il respiro per qualche istante, pur di non pensare al fatto che avesse iniziato a balbettare, che avesse iniziato a sentire il desiderio. Era sempre stato così facile interpretare ogni sua intonazione, ogni cambiamento nella sua voce e nei suoi gesti, da destabilizzarlo: non aveva dovuto conoscerla, scoprirla, l’aveva sempre avuta, come se fosse sempre stata sua.
«Io russo, ma tu sbavi», la prese in giro, fermandole le mani sopra la testa.
Melanie si accigliò, respirandogli sul viso. «È successo una volta», protestò, provando a divincolarsi. Non avrebbe mai smesso di rinfacciarle quell’unico e minuscolo episodio.
Zayn inclinò le labbra in un sorriso aperto, sincero, e le sfiorò il naso con il proprio. La osservò attentamente, incapace di rinunciare a dettagli che aveva impressi nella memoria e che non cessavano mai di affascinarlo: i suoi zigomi si erano colorati di calore, ad esprimere i suoi sentimenti prima ancora che la bocca li lasciasse trasparire.
«Stai arrossendo», le fece presente, come mille altre volte in precedenza e come mille altre volte avrebbe ripetuto. Come la prima volta che l’aveva avuta sotto di sé, tremante ed irresistibile nei suoi timori coraggiosi. Come l’ultima volta che l’aveva presa contro il muro del bagno, incastrati dietro la doccia e sudati per lo sforzo di non lasciarsi ancora andare. Come ogni volta che quel colorito improvviso e puro si manifestava prima di qualsiasi parola, ancora prima di una reale consapevolezza, pronto a dichiararsi a lui senza alcuna resistenza.
Melanie lo baciò con foga, probabilmente solo per nascondersi ai suoi occhi e svelarsi alle sue sensazioni: era priva di pietà, anche se inconsapevolmente, perché proprio non riusciva a capire che tutta la sua timidezza aveva su di lui un effetto totalizzante. Ed era assurdo che dopo tutto quel tempo riuscisse ancora ad arrossire per una sua carezza, a rabbrividire per uno sguardo: era assurdo ed era tutto per lui.
Zayn si tirò su con la schiena e la obbligò a seguirlo, continuando a torturarle le labbra e la pelle scoperta e le mani ed il seno morbido. Se la premette contro ed inspirò a pieni polmoni, con le palpebre abbassate ed un sollievo tanto intenso da somigliare a dolore inestinguibile.
Le aveva preparato una sorpresa: l’avrebbe portata a cena in un ristorante elegante e si sarebbe inginocchiato, avrebbe pronunciato parole premeditate e l’avrebbe fatta sorridere e probabilmente piangere. Ma in quel momento, con il documentario sul mais in scatola ancora all’inizio, con il profumo della cena ancora nell’aria, con i suoi capelli tra le dita, si sentì in dovere di mandare all’aria quel programma: che senso aveva inginocchiarsi formalmente, con un bell’abito indosso ed i capelli in ordine, se lui viveva ai suoi piedi? E non in modo passivo, non in qualche strano rapporto di sottomissione, ma come nella più profonda delle adorazioni. Che senso aveva, se ogni giorno si rendeva alla sua persona? Che differenza avrebbe fatto?
«Melanie», sussurrò contro le sue labbra, portando le mani ai lati del suo viso e appoggiando la fronte contro la sua. «Voglio vederti arrossire per il resto della mia vita», continuò, respirando velocemente, senza riuscire a trattenere le parole.
Lei accettò quella pretesa come altre volte aveva fatto, come altre volte aveva suggellato promesse ancora valide, ma non ne capì subito l’importanza, il vincolo. Lo baciò di nuovo, però, con una dolcezza diversa e rassicurante.
Tutto quello che vuoi, sembrava volergli dire.
Zayn quasi gemette. Per il desiderio. Per quell’amore che somigliava più ad una tortura. «Melanie, mi senti?» le chiese piano. «Resta con me tutta la vita, per favore».
E a quel punto, il momento di realizzazione fu di un tale impatto da farle irrigidire la schiena. Si allontanò quanto bastava per guardarlo negli occhi, per cercare in quelle sfumature scure ed irrequiete una spiegazione, una conferma, una parola.
«Tu…» sussurrò, schiudendo le labbra arrossate e sbattendo le palpebre su quelle iridi cristalline, crudeli nella loro espressività.
Lui le lasciò il suo spazio, sicuro che invaderlo avrebbe portato solo alla rottura di un precario equilibrio, e resistette alla tentazione di rispondere con i gesti, di farle sentire quanto le sue intenzioni fossero asfissianti. «Io voglio sposarti, Melanie Clarke».
Melanie si lasciò scappare un respiro veloce, fuggevole, quasi sofferto: restò immobile tra le sue braccia, con il petto unico testimone del tumulto che stava ospitando. Spalancò gli occhi, che si stavano sforzando di non bagnarsi, di non cedere, e quando si accorse di non avere le forze per resistere, si alzò velocemente dal divano e corse via.
 
Zayn non aveva mai chiesto a nessuno di sposarlo, ovviamente, ma era piuttosto certo che la reazione ottenuta fosse un tantino diversa da quella che bisognava attendersi nella migliore delle possibilità. Insomma, essere lasciato solo, con la consapevolezza di averla fatta piangere, non era di certo un fattore rassicurante. E sì, conosceva la sua sensibilità, ma non poteva di certo aspettarsi un tale superamento del limite: che la risposta non fosse quella che lui aveva sperato?
Decise di raggiungerla, impossibilitato a fare altro e vagamente impaurito da un’eventualità che non aveva nemmeno mai preso in considerazione. Percorse il corridoio e si fermò davanti all’unica porta chiusa, quella che aveva sentito sbattere poco prima e che si apriva nella loro stanza.
Bussò piano, cercando di distinguere i singhiozzi attutiti dal legno che li separava.
Melanie non rispose, ma forse cercò di trattenere le lacrime: Zayn odiava non riuscire a vederla, perché voleva dire non avere la possibilità di decifrarla, di scoprire i suoi pensieri sul suo viso e tra le sue mani. Continuava a chiedersi come avrebbe dovuto interpretare la reazione provocata e se avesse sbagliato in qualcosa: non poteva mettere in dubbio i sentimenti di Melanie – quelli erano qualcosa di semplicemente indiscutibile, solidi come un dogma – e di conseguenza il suo cervello ed il suo cuore gareggiavano nell’indovinare la teoria più astrusa.
Schiuse la bocca per pronunciare il suo nome, forse persino per implorarla di dire qualcosa, ma fu anticipato. Melanie aprì la porta e restò in piedi davanti a lui, con il respiro accelerato e le guance umide, arrossate oltre ogni decenza: la sua espressione era sconvolta e non lasciava presagire prospettive piacevoli.
Zayn si limitò a sbattere le palpebre, a deglutire, a nascondere persino una bestemmia, e fece un passo avanti, lento ed esitante. Osservò il suo viso con meticolosa attenzione, tentò di decifrare le sue iridi umide per scoprirci una rassicurazione e scrutò le sue labbra come in attesa di un’assoluzione.
Ma quelle non si lasciarono sfuggire alcuna parola. Subdole nella loro purezza, si inclinarono in un sorriso interrotto da un buffo singhiozzo, regalandogli una speranza. L’attimo dopo, prima ancora che Zayn si rendesse conto di ciò che stava a significare, Melanie gli si lanciò tra le braccia, baciandogli ripetutamente il collo, la mascella, gli zigomi, la bocca: le sue mani lo accarezzavano febbrili, quasi non sapessero dove posarsi, chi ringraziare. E lui, che aveva ancora gli occhi spalancati ed il cuore in soqquadro, recuperò il respiro da quello che gli si infrangeva delicato sul volto.
Poteva percepire sotto le dita la genuina lietezza che Melanie probabilmente non era riuscita a contenere, costretta a scappare e a ricomporsi. La sentiva sulla sua pelle familiare, lattea, tra i suoi capelli disordinati e sulle sue labbra insaziabili.
«Dio», sospirò, stringendola contro il proprio corpo con una smaniosa intensità, rassicurato, sollevato, pieno di tutto ciò che stava provando. «Dio, Melanie, non farlo mai più», esclamò, scoprendo solo subito dopo quanto quella frase fosse un paradosso.
Lei gli baciò il petto, come se la t-shirt non fosse nemmeno presente, ed alzò il viso per cercare i suoi occhi. Un sorriso irresistibile ad illuminarle l’espressione, ad illuminargli la vita. «Io… Be’, non credo che tu… Che tu mi farai un’altra proposta, no?» gli fece presente, con la voce talmente spezzata da risultare estranea.
Zayn scosse piano il capo, come arreso alla confusione che non gli permetteva di pensare. «Giusto per essere sicuro», esclamò, incapace di trattenere un sorriso. «Questo è un sì, vero?»
Melanie si strinse ancora di più contro il suo corpo e di nuovo le sue guance si resero color porpora. «Sì, certo, questo-»
Lui non le diede il tempo di terminare la frase, si rifiutò persino di bearsi di quegli imbarazzanti borbottii, e la baciò con foga, spingendosi contro la sua pelle come a pretendere di più, anche se di più non poteva avere, anche se Melanie si era già data completamente.
Avrebbe passato la vita con lei, ufficialmente. Era strano, perché era sempre stato convinto che sarebbe stato così, anche senza doverlo esplicitare, ma dirlo e ripeterselo e prometterselo era tutta un’altra cosa. Era tanto bello da essere straziante, insopportabile.
«Quando te ne sei andata in quel modo, ho pensato che...»
Lasciò in sospeso la frase, incapace di sfiorare quella eventualità, e nascose il viso nel suo collo magro, profumato.
«Mi dispiace, io… Non volevo reagire in quel modo, non… Ecco…»
Non riusciva a parlare e lui la trovava irresistibile. Il modo in cui poteva condizionarla era un nettare di cui non si sarebbe mai stancato di nutrirsi: sin da quel primo giorno in biblioteca, sin da quel primo bacio rubato, ma guadagnato.
«Forse è stato un po’ inaspettato», provò a spiegare, prendendosi le proprie responsabilità. Non era di certo stata una proposta di matrimonio in perfetto stile, anzi, nemmeno lui poteva ancora crederci. «È che non sono riuscito a resistere, Melanie. Non sono riuscito ad aspettare».
Lei gli respirò sul collo: aveva smesso di piangere, ma il suo corpo esile veniva ancora scosso da radi singhiozzi. «Aspettare cosa? Io… Non c’era nemmeno bisogno di chiederlo».
Zayn sorrise apertamente, inspirò il profumo dei suoi capelli. «E dire che ti ho comprato un anello e ho anche prenotat-»
Melanie si mosse velocemente, allontanandosi quanto bastava per cercare i suoi occhi. «Mi hai… Mi hai comprato un anello?» domandò in un sibilo. Le iridi incredule, acquose.
Per un attimo ebbe l’impressione di aver commesso un errore. Annuì lentamente, pronto a qualsiasi risvolto.
Lei sbatté più volte le palpebre e le sue labbra si incresparono verso il basso, nel chiaro preavviso di altre lacrime: fece per divincolarsi dalla presa, probabilmente per chiudersi di nuovo in camera ed escluderlo, ma Zayn stavolta reagì più velocemente. «Non di nuovo», sussurrò tra sé e sé, tenendola stretta ed accogliendo il suo viso bagnato sul proprio petto.
Non voleva un anello? Lo voleva e quindi era ancora più felice?
O voleva semplicemente mandarlo al manicomio?
Quando Melanie si adattò al suo corpo, gli lasciò capire che le sue lacrime non portavano traccia di disappunto o delusione. Tutt’altro.
Lui prese ad accarezzarle il capo, baciandolo teneramente. «Non pensavo che tenessi così tanto a queste cose», ammise, aspettando che si calmasse. Certo, immaginava che la sua indole sognatrice simpatizzasse per dichiarazioni in pieno stile romantico, ma l’aveva sempre considerata un’indole modesta.
Melanie si accigliò e si ritrasse appena, tirando su con il naso: aveva il viso completamente rosso, esausto. «Non è questo», negò, scuotendo il capo. «È che… Zayn, tu… Be’, noi non possiamo permetterci un anello di fidanzamento. Oggi ho visto quanto può arrivare a costare e tu… Tu sei stato… Mio Dio, non so nemmeno come ringraziarti, ma dobbiamo pagare la rata della macchina e la lavatrice è da riparare, capisci? E tu vuoi sposarmi
Aveva gettato fuori talmente tante parole in un così ristretto lasso di tempo, che Zayn per un istante ne fu travolto: dopo averla osservata sbigottito, dopo aver colto il suo stato d’animo ed i genuini pensieri che la stavano condizionando, decise di rispondere a modo suo.
Le rapì le labbra e le fece tacere, senza possibilità di replica.





 


Sì, sono impazzita e ho aggiornato terribilmente in anticipo! Ma ahimé, quando riesco a scrivere un capitolo non resisto alla tentazione di pubblicarlo!
- Harry/Emma: Harry è completamente assente in questo capitolo, nonostante compaia tra le rimuginazioni di Emma, ed è letteralmente scomparso. Che abbia capito di doverle lasciare del tempo? Che si sia semplicemente stancato di cercarla? A voi le ipotesi! Per quanto riguarda la parte iniziale del capitolo, direi che Emma si sta di nuovo confrontando con una certa difficoltà ahahha Si appella di nuovo alla vanità e, giuro, in buona parte è davvero così, nel senso che lei è sempre stata molto consapevole e vanitosa, quindi le attenzioni di Harry non le dispiacciono affatto: chissà però, se la cosa vada un po' più in profondità :)
- Emma/Melanie: ecco il favore che Zayn aveva chiesto alla sua ormai futura cognata :) Per la misura dell'anello ho sbirciato un po' su internet e ho scoperto che in Inghilterra la misura è in lettere e non in numeri, quindi quell'N non è un "numero x", ma una reale misura :) Le sorelle Clarke sono agli antipodi, in pratica, se non fosse per la loro perseveranza in tutto ciò che fanno!
- Louis/Emma: eccolo che risorge! Tra lui ed Aaron non c'è stato alcun riavvicinamento e, ve lo anticipo, stroncate le vostre speranze! (Spero vi abbia fatto sorridere lo "sfogo" di Emma mentre prepara i biscotti ahhaha Me la sono immaginata mentre crede di essere relativamente tranquilla, quando invece è tutt'altro)
- MELANIE E ZAYN, ZAYN E MELANIE, I MIEI GRANDIOSI ZELANIE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Raga, io li amo ahahahah Mi è piaciuto moltissimo scrivere di loro!! Inoltre è la prima volta che scrivo dal punto di vista di Zayn!! Che dire? Spero di avervi trasmesso a dovere tutto il sentimento che c'è tra loro (per chi non ha letto "It feels...": Zayn ha un serio problema con le reazioni di Melanie, nel senso che ne è dipendente hahah Ama vedere l'effetto che ha su di lei, ama vederla arrossire e balbettare... Ma insomma, dirlo così è davvero riduttivo ahaha). All'inizio avevo pensato di scrivere di una proposta di matrimonio in grande stile, ma poi, proprio come Zayn, non sono riuscita ad aspettare: questa versione la trovo più vera e spontanea, più loro! E Melanie ha reagito come al solito, con un bel pianto (all'inizio anche preoccupante) ahahahhaah Piccino lui, che l'ha vista scappare in quel modo! Per sottolineare l'indole genuina di Melanie, vorrei farvi notare come - quando Zayn le dice di averle comprato un anello - lei non pensa nemmeno per un attimo che Emma l'abbia portata in gioielleria proprio per quello :)
E niente, spero davvero che tutti questi contenuti vi siano piaciuti!!!

Riguardo il capitolo scorso: so che è passato poco tempo per dirlo con certezza, ma ho l'impressione che sia piaciuto di meno o che comunque ci sia stato un ammutinamento tra i lettori ahhaha Vi prego, se qualcosa non vi piace di ciò che scrivo, non sparite: parlate :)
Spero mi farete sapere le vostre opinioni riguardo questo capitolo :)


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Un bacione,
Vero.

 
    
  

 
  
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