Capitolo
18
Rumiko non
riuscì a far nulla: la ragazza al di là della
finestra spaccò il vetro e
l’afferrò per il collo con una rapidità
mostruosa. Caffè prese ad abbaiare
forsennatamente, mentre lei s’aggrappava a quel braccio
tentando di liberarsi.
Ma per quanto sembrasse esile, la sua presa era ferrea.
-
Potresti aprire,
per piacere? O vuoi
che sfondi l’intera finestra? –
Rumiko
sentì le dita gelide della fanciulla stringersi sempre
più attorno alla sua
gola. Annuì.
Trovò
a
tentoni la maniglia della porta a vetri e la fece scattare. La ragazza
sul
balcone sorrise estasiata e la lasciò andare per permettere
alla finestra di
scorrere.
Rumiko
colse l’occasione per scattare verso l’ingresso.
Ma
l’altra
fu più lesta. La superò e le sbarrò la
strada, allargando le braccia.
Rumiko
virò verso la cucina e sbatté la porta alle sue
spalle. Afferrò un coltello da
cucina rimasto sul bancone e si voltò, trovandosi
l’avversaria a pochi
centimetri di distanza.
Urlò
di
spavento e andò a urtare il lavello alle sue spalle.
-
Cosa vorresti
fare, Rumiko? –
Sorrideva
e la strana voce zuccherosa sembrava davvero curiosa.
Rumiko
traeva respiri profondi e irregolari, il coltello puntato di fronte a
sé,
l’altra mano appoggiata al lavandino alle sue spalle. Si
sentiva debole,
incredibilmente debole, mentre la sua avversaria era rapida e forte.
Si prese
un attimo per osservarla e improvvisamente le parve familiare. I lunghi
capelli
castani, i tratti dolci, gli occhi color caramello…
l’aveva vista in una delle
foto di gruppo in camera di Yamato. L’amica che si era
trasferita a New York
diversi anni fa.
“
L’ottavo
prescelto…”
-
Esatto…
- sibilò la ragazza – Mimi
Tachigawa, molto piacere! – cinguettò.
Le porse
la mano, ma Rumiko non accennò ad afferrarla.
Quella non
era la stessa fanciulla ritratta nella foto. Quegli occhi nocciola, che
nell’immagine le erano parsi tanto vispi e dolci, ora
traboccavano di crudeltà
e follia. Che lei odiasse o meno Mimi la digiprescelta ora non aveva
importanza, perché quella che aveva di fronte non era lei,
ne era sicura.
Qualcuno
prese a battere sulla porta d’ingresso.
-
Rumiko, che
è successo? Apri la
porta! – le giunse la voce di Yamato.
Ma lei lo
ignorò, concentrandosi sulla creatura che aveva di fronte e
tentando di
trattenere le energie che sentiva fluire via dal suo corpo.
Per la
prima volta notò che indossava una maglietta a maniche corte
e un paio di
jeans. Ai piedi aveva solo un paio di calze, rovinate e sudice come se
avesse
camminato scalza per tutta la città.
-
Rumiko!
– la chiamò ancora Yamato,
senza smettere di picchiare la porta d’ingresso.
Le aveva
offerto la mano destra, quella con cui l’aveva afferrata per
la gola poco
prima, sfondando il vetro. Ma solo ora s’accorse di quanto
sanguinasse,
lacerata quasi fino al gomito da una serie di tagli più o
meno profondi.
Qualche scheggia di vetro era rimasta piantata nella carne. Ma lei
sembrava non
accorgersene neppure.
-
Ho
capito… - disse infine, quasi tra
sé e sé.
-
Davvero?
– disse l’altra, deliziata,
inclinando il capo da un lato.
-
Sì…spiegami
solo una cosa… - la
guardò dritta negli occhi – come puoi saltare fino
al quarto piano di un
palazzo servendoti di un corpo umano? –
Il sorriso
dell’altra s’allargò.
-
Non sai quante
cose può fare un corpo
posseduto! – squittì allegra –
È tutta questione di suggestione! – disse,
puntandosi un dito alla tempia – Le emozioni umane sono
talmente volubili…un
attimo prima siete delle persone deliziose, ma è tutta
apparenza… basta poco
per far emergere il peggio di ognuno di voi. Bisogna solo saperlo
sfruttare… -
-
Così
come tu hai fatto con lei. –
-
Così
come io ho fatto con entrambe,
mia cara… - si leccò le labbra.
-
Che vuoi dire?
– Rumiko aggrottò le
sopracciglia.
-
Mimi
è solo una piccola parte del
progetto… diciamo che in tutto questo lei è stata
il mezzo per giungere fino a
te, che a tua volta sei chiave e custode. –
Ora
cominciava a non capire. Credeva che si trattasse di un digimon di tipo
virus
che s’era impossessato del corpo di quella digiprescelta. Di
solito però se ne
servivano principalmente come mezzo per accedere al mondo reale,
abbandonando
poi il corpo umano per aver maggiore libertà
d’azione.
La ragazza
posseduta sorrise crudelmente.
-
Allora non hai
capito chi sono... –
Come
faceva a leggerle nella mente? I digimon di tipo virus di solito non ne
erano
in grado.
-
Già,
di solito no… - le fece il verso
la falsa Mimi, quasi stesse ripetendo una filastrocca.
“ Un
digimon che agisce sulle menti delle persone… in grado di
leggerle e
manipolarle fino ad averne il controllo…ma
come…?”
-
Già,
come? –
Un
particolare attirò la sua attenzione: gli occhi della
ragazza compivano
movimenti appena percettibili, lenti e oscillanti. Quasi stesse
per…
“
Addormentarsi…”
L’altra
rise beffarda.
-
Ora hai capito
chi sono… -
-
No… -
quasi supplicò, la voce
improvvisamente piena di sconforto.
Rumiko
sentiva le forze abbandonarla sempre più. Tra poco sarebbe
certamente svenuta.
-
Oh,
sì che lo sai… coraggio, dillo… -
sibilò melliflua.
-
No… -
mormorò lei.
Avvertiva
la presenza del digimon oscuro farsi sempre più forte e
schiacciare la sua
volontà. I tonfi sulla porta d’ingresso si
facevano sempre più lontani. S’accasciò
a terra e il coltello le sfuggì di mano.
-
Qual
è il nostro nome? – si chinò su
di lei.
-
No… -
Strisciava
a terra, quasi contorcendosi nel tentativo di resistere alle parole del
digimon. Ma la sua mente cominciava a vacillare, avvolta dalla voce
crudele
come dalle spire di un serpente. Non riusciva più a
ragionare, ogni pensiero le
costava fatica. Non sentiva più la voce di Yamato
dall’altra parte della porta.
-
Il nostro
nome… - sibilò la creatura
– Dì il nostro nome… -
-
Alp…traumon…
-
Dai tempi
antichi, in qualsiasi civiltà, ogni magia o rito era
abbinato a delle formule
verbali, poiché erano queste a evocare incantesimi e poteri
mistici.
La parola
è sempre stata uno strumento potente e spesso molti
dimenticano quanto possa
essere pericolosa: dare un nome a un’idea può
conferirle non solo materialità,
ma anche vita.
Caffè
abbaiò disperatamente, vedendo il volto della sua padroncina
contorcersi in una
maschera di terrore.
Rumiko si
afferrò il capo tra le mani, agitandolo forsennatamente,
come se fosse sul
punto d’esplodere. Dagli occhi chiusi scendevano copiose
lacrime di dolore e la
mascella serrata faceva digrignare i denti, quasi stesse tentando di
non
gridare.
Sentiva
che qualcosa dentro di lei premeva per uscire, ma non
l’avrebbe mai permesso, a
costo di esplodere.
La falsa
Mimi le sorrise dolcemente, accarezzandole il volto con la mano
insanguinata.
-
È
inutile che ti opponi, Rumiko. Non
ne hai la forza. Coraggio… - le sussurrò suadente
– lascia andare… -
Ma non
ottenne l’effetto sperato, perchè la ragazza le
voltò le spalle, persistendo
nella sua lotta silenziosa.
-
Non ce la puoi
fare, cara… - tornò a
risuonare la voce zuccherosa – Quella cosa è
dentro di te. Per un anno ha
atteso in silenzio che giungesse questo momento e ora sta per
ricongiungersi
con la sua metà. Se tenterai d’impedirglielo ti
ucciderà. –
Rumiko
piangeva terrorizzata, mentre Caffè abbaiava come un pazzo.
La falsa
Mimi aggrottò le sopracciglia.
-
Perché
insisti? L’hai già fatto una
volta e a cosa è servito? – rise crudele
– Io sono ancora qui! Quanta gente
deve ancora morire perché tu capisca
l’inutilità della tua testardaggine? –
Crack. Il cuore di
Rumiko si spezzò.
Caffè
vide
la sua padroncina dilatare gli occhi e afflosciarsi a terra, inanimata
come una
bambola.
Dalla sua
bocca dischiusa cominciò a colare un liquido nero simile a
petrolio.
Il
cucciolo indietreggiò, mentre la macchia scura
s’espandeva sempre più sul
pavimento della cucina.
L’altra
ragazza sorrise estasiata, sedendosi su una sedia e poggiando il mento
sulle
mani, osservando rapita quello spettacolo inquietante. Non si accorse
perciò di
un rumore proveniente dall’ingresso.
Ma
Caffè
scattò fuori dalla cucina, andando ad abbaiare
disparatamente ai piedi di
Yamato.
Il ragazzo
vide il cucciolo venirgli incontro e lo seguì in fretta fino
alla cucina.
Ma appena
ebbe messo piede nella stanza s’immobilizzò.
-
Buonasera,
Yamato. – cinguettò Mimi,
senza voltarsi a guardarlo.
-
Mimi,
cosa…?! –
-
Sssh…
- si portò un dito alle labbra
lei – È da un anno che aspetto questo momento. Non
vorrai rovinarmelo! –
Yamato
allungò il collo oltre la ragazza seduta e scorse Rumiko.
-
RUMIKO!
– si slanciò verso di lei.
Ma un
corpo si frappose tra loro, facendolo finire contro la parete al fondo
della
stanza.
-
Non puoi
toccarla. –
Yamato
scosse il capo, stordito dal duro colpo.
-
Abbi ancora un
po’ di pazienza. –
sorrise allegramente Mimi – Ancora un paio di minuti e potrai
abbracciare il
suo corpo gelido. –
-
Mimi…
-
La ragazza
voltò il capo verso l’ingresso e
incrociò uno sguardo scuro e affranto.
-
Koushiro!
– squittì lei – Anche tu
qui, a cosa devo l’onore? –
-
Ero al telefono
con Yamato quando
Rumiko ha urlato… - lo sguardo del rosso si posò
sulla ragazza in mezzo alla
pozza di liquido nero.
-
Sei venuto anche
tu a soccorrerla? –
lo canzonò lei, ma il tono di voce era stridente, come
infastidito da qualcosa.
-
Ero sicuro che
ti avrei trovata qui.
–
Il suo
sguardo serio era impenetrabile. Lei non ribatté.
-
Cosa stai
facendo, Mimi… -
Non
sembrava una domanda, quanto un’affermazione, come se
già conoscesse la
risposta.
-
Sembra che tu
sappia già le mie
intenzioni. – si leccò le labbra lei,
avvicinandosi con fare provocante – Sei
talmente perspicace… -
-
Cosa ti sei
fatta alla mano? –
Le
sfiorò
il braccio ferito, ma lei lo ritrasse rapida.
-
Ti fa molto
male? – chiese Koushiro
con voce preoccupata.
-
Certo che no!
– rise lei – Io non
sento nulla di questo corpo! Né il caldo, né il
freddo, né… -
-
Lo so.
– rispose lui, gelido – Mi
stavo rivolgendo a Mimi. –
La
creatura vacillò.
Yamato
vide la ragazza aggrottare le sopracciglia e contrarre la mascella,
come se
fosse combattuta.
-
Mimi…
-
Lei
indietreggiò.
-
Stammi lontano,
Koushiro… - sibilò.
-
Dobbiamo curarti
quella mano, stai
perdendo molto sangue… -
-
NON TOCCARMI!
– strillò la creatura,
continuando a indietreggiare.
Lui non si
mosse.
-
Se tu non vuoi
non lo farò… - la
guardava dritto negli occhi – Ma ti prego, lascia che ti
aiuti… -
-
Non ho bisogno
del tuo aiuto! –
Mimi si
voltò a guardare Rumiko.
“
Manca
poco” pensò “il processo è
quasi ultimato, devo solo attendere un altro poco…”
Ma
qualcosa aveva preso a vacillare.
Mimi non
sapeva cosa le stava accadendo. Che fosse tutto solo un brutto sogno?
Eppure il
tocco di Koushiro le era sembrato tanto caldo e gentile quanto
reale…
Il suo
sguardo nocciola volò sull’espressione preoccupata
del rosso, poi su Yamato che
tentava di rialzarsi a fatica. Infine sul corpo immobile di Rumiko.
“ Che
sta
succedendo?”
Koushiro
vide la ragazza guardarsi attorno un attimo spaesata, come se solo in
quel momento
si accorgesse di cosa stesse accadendo. O meglio, di cosa avesse fatto.
Che stesse
recuperando il controllo delle sue azioni?
Cos’era
quel liquido nero che sgorgava dalla bocca di Rumiko? Mimi non ne aveva
la più
pallida idea. Sapeva solo che, qualunque cosa fosse, attraeva il suo
corpo come
una calamita un pezzo di metallo. Eppure non le piaceva, anzi, provava
un’istintiva ripugnanza per quella sostanza.
Koshiro
vide Mimi incamminarsi verso Rumiko. Ma sebbene le sue gambe
sembrassero
risolute, la testa continuava a voltarsi ora da una parte, ora
dall’altra, a
scatti, come se tentasse di liberarsi da una presa invisibile.
Era stata
lei. Non ricordava come fosse entrata in quella casa, né
come potesse trovarsi
ora in quella situazione, ma era sicura di esser stata lei a fare tutto
quello.
Aveva
aggredito Rumiko e poi Yamato, probabilmente giunto in suo soccorso.
“ Ma
perché?! Perché l’ho fatto?!”
“
Perché
tu la odi…”
Non si
voltò cercando chi avesse parlato. Conosceva ormai bene
quella voce, che da un
anno ormai le si rivolgeva in sogno.
“ Ma
io
non…” tentò di protestare “
Io non volevo questo…”
“
Volevi
vendicarti.” le venne rammentato “ Volevi
vendicarti dell’assassina che aveva
ucciso centinaia di persone innocenti.”
“
No…”
“
Volevi
vendicarti della digiprescelta che aveva commesso un crimine tanto
terribile.”
“ Ma
non
così…”
Sentì
la
voce misteriosa ridere, crudele come non l’aveva mai udita.
“ Sei
sicura che non era questo ciò che volevi?”
Mimi
esitò. Le parve di percepire quell’oscura presenza
sorridere.
“ No
che
non lo sei… Tu non sai cosa c’è dentro
di te. Sei tanto impegnata a mantenere
una bella facciata, a compiacere gli altri che non ti accorgi dei tuoi
stessi
desideri.”
“ Non
è
vero!” protestò.
“ Ah
no?
Allora dimmi, piccola Mimi, cosa vuoi?”
White
Foxmon aprì gli occhi.
Yamato si
sentiva impotente.
Non era
uno sciocco, sapeva che se si fosse avvicinato nuovamente a Rumiko
l’esito non
sarebbe stato più felice. Dunque cosa poteva fare per
aiutarla?
“
Probabilmente nulla…”
-
I-io…
- balbettò – non lo so… Io non
lo so cosa voglio… Io… -
Mimi non
aveva mai avuto grandi ideali e obiettivi di vita, a volte bastava un
nuovo
paio di scarpe per farla felice.
Cadde a
terra sulle ginocchia. Le parve di sentire una piccola fitta di dolore,
ma proveniente
dal petto, anziché dalle gambe.
-
Io…sono
così frivola e…vuota? –
Avrebbe
voluto urlarlo, ma il suo lamento le parve più debole di un
sussurro, tanto che
nessuno avrebbe potuto sentirlo.
Abbassò
il
capo, sconfitta, e lasciò che gli occhi le si riempissero di
calde lacrime di
disperazione. In quella cucina sconosciuta, circondata dal dolore,
l’amarezza e
la delusione causate dalle sue stesse azioni si sentì
più sola e miserabile che
mai. Le pareva di percepire il suo cuore sanguinare, mentre
l’oscura presenza
dentro di lei diventava sempre più forte e il suo corpo
sempre più debole. Le
forme diventavano sempre più sfocate mentre il buio scendeva
di nuovo sulla sua
vista.
Poi un
tocco gentile sul suo capo le fece sollevare il volto. Koushiro era
chino di
fronte a lei, lo sguardo caldo come un abbraccio e la bocca piegata nel
dolce
sorriso che riservava a poche persone, quelle per lui più
importanti.
-
Tu non sei
frivola, né vuota, Mimi… e
non è vero che non sai cosa vuoi. –
La sua
voce era vellutata e morbida e Mimi vi si aggrappò per non
ricadere nel buio in
cui quell’oscura presenza la stava nuovamente avvolgendo.
-
Tu sai
perfettamente cosa vuoi e
anche da parecchi anni! – il tono del rosso sembrava quasi
divertito – Vuoi
sposarti con un uomo bello e ricco, abitare in una villetta con
giardino dove
far giocare i vostri due bambini e il cane. Diventerai presidentessa di
qualche
club di signore, rappresentante del comitato genitori della scuola dei
tuoi
figli e una moglie modello che tuo marito sarà orgoglioso di
portare a ogni
ricevimento. –
-
M-ma a m-me
– balbettò tra i
singhiozzi – p-piacciono l-le scarpe… -
Koushiro
esitò e lei credette che la stesse giudicando una persona
superficiale. Invece scoppiò
a ridere.
-
Mimi, sei una
ragazza… a molte
ragazze piacciono le scarpe! Non c’è nulla di
male! –
-
M-ma…
-
-
Mimi –
le circondò il volto con le
mani – io ero un bambino che passava le sue giornate
attaccato al computer, che
faticava a parlare coi ragazzini della sua età e non aveva
amici. La cosa più
importante per me, esclusi i miei genitori, era una scatola di
microchip. Poi
ho conosciuto una ragazzina viziata a capricciosa ma con un cuore colmo
di
generosità e dolcezza. La digiprescelta della
Purezza… -
-
Ma lui non
le permise di abbassare nuovamente lo sguardo, fissando il suo negli
occhi
nocciola di lei.
-
Ai miei occhi
è sempre parsa la più
bella di tutte, così come lo sei sempre stata tu. –
Mimi
sgranò gli occhi.
-
La tua
sincerità, la tua purezza
d’animo hanno affascinato quel bambino solitario e chiuso in
se stesso. È
uscito dal suo guscio di silenzi per poterti stare accanto, per poter
vedere
con la tua stessa gioia il mondo che lo circondava. –
Mimi non
singhiozzava più, completamente rapita dalle parole di
Koushiro, la voce
malvagia nella sua mente ridotta a un eco lontano.
-
Tu non hai mai
avuto dubbi su ciò che
volevi, sul futuro che desideravi. Avevi già deciso perfino
l’abito che avresti
indossato per il tuo matrimonio! –
Lei
sorrise, ripensando agli scarabocchi che faceva da bambina e che un
giorno
aveva mostrato a Koushiro. Allora credeva che lui l’avrebbe
derisa per quella
sciocca idea, ma lui s’era invece dimostrato estremamente
serio, studiando con
attenzione i disegni e concludendo con un “starai
benissimo” che non aveva
nulla d’ironico.
-
Mimi…
- le accarezzò gentilmente il
volto lui – Non tutti sognano grandi gesta
d’altruismo per il mondo intero. Non
c’è nulla di male a desiderare la
semplicità di una vita felice e colma di
piccole gioie personali. Il fatto che un sogno non sia glorioso non
significa
che non sia importante. Gli uomini perseguono la felicità
individuale. Se desideri
lo stesso non significa che tu sia vuota o egoista, semplicemente
umana. –
-
Koushiro…
-
Mimi
esplose in un urlo di dolore. Koushiro la vide rotolarsi a terra,
reggendosi la
testa con le mani.
-
Mimi!
– la chiamò spaventato.
Che le
stava succedendo? Che quella cosa dentro di lei stesse riprendendo il
controllo
della sua mente e del suo corpo? Proprio ora che credeva di esser
riuscito di
far breccia dentro di lei…
-
Mimi!
– tentò di avvicinarsi – Non
dare ascolto a quella voce, non farti condizionare da quella presenza,
non è
reale, è solo… -
-
“Non
è reale”? –
sibilò
una voce crudele e gelida che nulla aveva a che fare con Mimi.
Con orrore
Koushiro vide la ragazza sollevare il capo ed esibire due iridi nere
circondate
da un bulbo sanguigno.
-
Io
sono più reale di quanto tu creda, Koushiro… e
anche meno paziente. - la bocca era
piegata in un sorriso
malvagio, che nulla aveva di rassicurante – Hai
parlato anche troppo per oggi. –
Con uno
scatto fulmineo si avventò sul digiprescelto, facendolo
schiantare a terra
alcuni metri più indietro.
Yamato
vide la creatura saltare addosso a Koushiro. Il movimento fu talmente
rapido
che quando se ne accorse Koushiro aveva già battuto la testa
sul pavimento.
Pregò
che
avesse semplicemente perso i sensi, mentre scattava più
veloce che poteva verso
Rumiko, approfittando della momentanea distrazione di Mimi.
Ma quando
la sfiorò la sentì gelida come un ghiacciolo.
Accostò le dita al suo collo: le
pulsazioni erano appena percettibili. Il suo cuore perse un battito.
“ No,
Rumiko, no…” la raccolse tra le sue braccia,
attento a non muoverla troppo,
quasi temesse che il suo corpo potesse spezzarsi.
Tremava
mentre le baciò le guance, attento a non toccare il liquido
nero che aveva
smesso di scorrere dalla sua bocca e s’era seccato sul suo
mento. Sentì
l’angoscia stringergli il cuore in una morsa.
“ Ti
prego, non te ne andare…io ho bisogno di
te…”
-
Allora
tienila, a me non serve più.
–
Yamato
alzò il capo e quasi si spaventò a vedere quegli
occhi sanguigni tanto vicini.
Istintivamente abbracciò Rumiko con più forza.
-
Umani… -
sibilò la creatura – Così
tumultuosi nelle loro passioni, così
pieni di sogni e illusioni…eppure così
fragili… -
Yamato
poteva sentire il suo alito gelido soffiargli sul collo e seppe che non
sarebbe
riuscito a sfuggirgli: era la fine.
Ma la
creatura si ritrasse, voltando il capo verso il salotto e annusando
l’aria.
Improvvisamente sembrava aver fretta.
Yamato la
vide immergere entrambe le mani nella pozza di melma nera. Per un
attimo si
immaginò il disgusto che avrebbe provato Mimi solo
all’idea di un simile gesto.
E mentre la creatura andava borbottando parole a lui incomprensibili,
sotto lo
sguardo sconvolto del biondo quella strana materia nera prese a
muoversi,
alzandosi e modellandosi in una creatura mostruosa.
Assomigliava
a un enorme cavallo nero dagli occhi bianchi e spettrali, quasi fosse
cieco. La
bocca era grande e irta di zanne, la criniera e la coda fiamme
terrificanti e
gli zoccoli circondati da lingue di fuoco. Braci ardenti ardevano nelle
sue
narici, crateri di vulcani pronti ad eruttare magma e fiamme.
Scalpitò
irrequieto e il fragore dei suoi zoccoli scosse l’intera
stanza. Urtò il tavolo
della cucina, che si rovesciò come fosse stato fatto di
carta e le sedie
vennero spezzate come stuzzicadenti. Yamato strinse al suo petto il
corpo
inerme di Rumiko per proteggerlo dalle schegge di legno.
Caffè aveva ripreso ad
abbaiare forsennatamente, senza però osare avvicinarsi alla
creatura infernale.
Dall’esterno
provenivano grida di terrore e le sirene delle volanti della polizia in
avvicinamento. Che fossero state quelle ad allarmare la creatura?
Yamato
vide Mimi sorridere e voltarsi verso il salotto.
-
Ben
ritrovata, White Foxmon, dormito bene?
–
Solo
allora il biondo s’accorse del digimon che era comparso nel
soggiorno. Una
volpe bianca dagli occhi di rubino li osservava in silenzio, o meglio
il suo sguardo
si spostava da Rumiko al cavallo demoniaco, a Mimi e poi di nuovo a
Rumiko. Sembrava
preoccupato per lei… e fremente di rabbia.
Yamato
ebbe un’intuizione: che si trattasse del suo digimon?
Il sorriso
crudele sul volto di Mimi s’allargò.
-
Con
permesso, io levo il disturbo.
–
Eseguì
un
inchino. Ma sotto lo sguardo scioccato di Yamato, Mimi restò
chinata e un volto
butterato e dagli occhi sanguigni si levò dal suo corpo.
Con un
balzo, l’orrendo troll uscì dal corpo della
ragazza, che cadde a terra priva di
sensi. Era alto poco più di un metro, gobbo e deforme. La
sua pelle era simile
a sabbia giallastra e tutta la sua piccola e malvagia persona era
avvolta da
stracci. In mano reggeva un bastone di legno marcescente, lungo forse
due metri
e nodoso almeno quanto lo era il suo proprietario.
Yamato era
insieme disgustato e terrorizzato da quella scena che in un solo modo
avrebbe
potuto definire: da incubo.
L’orrenda
creatura riportò lo sguardo si di lui, o meglio su Rumiko,
ma la volpe bianca
fu lesta a frapporsi tra loro.
Il troll
ghignò malignamente.
-
Con quanta
trepidazione ho atteso
questo momento… il momento della vendetta. – la
sua voce era distorta, come se
non provenisse da un punto solo – Ma sono di gusti
più raffinati di quanto tu
creda, White Foxmon. –
Il sorriso
crudele s’allargò, mentre la volpe rizzava il pelo
ringhiando minacciosa.
-
Non le
torcerò un solo capello, non
ne ho bisogno. Ormai il suo cuore s’è spezzato,
schiacciato dal terrore e
dall’angoscia, dal rimorso per ciò che lei stessa
ha provocato. Le pulsazioni
sono solo un’eco e presto anche quello si
spegnerà. Ecco la vendetta per me più
deliziosa: Rumiko si lascerà morire perché
disgustata dal sangue di innocenti
di cui s’è macchiata e tu, White Foxmon, sarai
costretta a sopravvivere e soffrire
per non esser stata in grado di salvarla. È questa la
peggiore delle pene per
un digimon prescelto… –
-
No… -
sussurrò quasi fra sé e sé
Yamato – Rumiko non morirà…lei non
merita di… -
-
Ne sei sicuro?
– gli si rivolse il
troll con voce melliflua –
Tu cosa sai di
quello che accadde realmente nella metropolitana di New York?
–
-
Non è
stata lei a provocare quella
strage. – gli rispose con convinzione.
-
Sembri molto
sicuro di ciò che dici.
– commentò l’altro.
-
Sua madre era
tra le vittime. –
-
Già,
che shock deve esser stato per
la povera Rumiko sapere di aver ucciso pure la sua cara mamma.
– recitò quello
in tono lamentoso – Capisco come mai sia fuggita in fretta e
furia da New York,
senza dare spiegazioni a nessuno. Capisco come mai sia tanto cambiata
da allora.
Capisco come mai non parli volentieri del suo passato persino con te
che tanto
ti sei aperto con lei… -
Yamato non
rispose: quella voce persuasiva aveva insinuato il dubbio dentro di lui.
Il troll
rise maligno, per poi balzare agilmente in groppa al gigantesco cavallo
nero.
La terrificante creatura nitrì e le pareti vennero
nuovamente scosse dalla
potenza dei suoi zoccoli. Poi balzò verso la finestra della
cucina.
Yamato
abbassò il capo, pronto a proteggersi dalla pioggia di vetro
e cemento. Ma
nulla accadde. Quando sollevò nuovamente il capo, la coppia
infernale era
scomparsa.
All’esterno
i richiami della gente s’erano fatti sempre più
insistenti e le sirene della
polizia quasi assordanti. Ma tutto si spense alle orecchie di Yamato
quando
accostò le dita al collo di Rumiko: il suo cuore aveva
smesso di battere.
Continua…
N.d.a:
Un
ringraziamento in particolare a lovegio92, che è stata tanto
gentile da
commentare subito i capitoli precedenti. Spero che la storia continui a
entusiasmarti e non temere per la tua coppia preferita…ho in
serbo ancora
qualcosa per loro!
Monalisasmile