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Autore: Queen of Superficial    13/12/2014    5 recensioni
“Immagino fosse la conseguenza naturale delle suore francesi e del corso di danza classica e buone maniere. I miei sono gente all'antica.”
Brian sbuffa sarcastico, essendo lui un fervente attivista contro le suore francesi, la danza classica e le buone maniere.
“E ve la fanno un po' di educazione sessuale, in collegio?”
“Siamo un collegio femminile.”, risponde la bionda quasi in tono di scusa, dopo un attimo di tentennamento.
Lui ride, offensivo. “Quindi non sapete proprio nulla della cosa più divertente del mondo?”
Matt armeggia con la pulsantiera, infastidito.
“Brian, ti sembra il momento di tenere un comizio sulle api e i fiori? Nel caso non te ne fossi accorto, siamo bloccati in un ascensore.”
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Johnny Christ, Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“I ricordi si appiccicano al petto, alla schiena, a tutta la pelle,
e formano pian piano una patina invisibile che separa dal mondo.”
- Alejandro Jodorowsky

 

 

Entriamo nel ristorante accompagnati da un refolo di aria fresca che ci siamo portati da fuori; checché se ne dica, l’aria di Natale è aria di Natale ovunque, perfino in California. Per tutto il tragitto ho pensato a un miliardo di cose, nello specifico all’odore di guai e vaniglia che avevano le ragazze nel retro di quella limousine nera, al tanfo di amido delle camicie dei loro padri, alla posa impettita e compatta delle loro madri. Mentre la guardavo chinarsi verso Jimmy, ho formulato un pensiero anche su Lilian: alcuni dettagli stavano smantellando a poco a poco tutte le impressioni che avevo avuto su di lei in ascensore. All’improvviso, non mi sembrava affatto innocente e candida come prima; forse, l’aria rarefatta di un abitacolo pensato forse per trasportare venti casse di lumache (certo non venti persone) in cui stavo bloccato e pensavo di dover morire in sola compagnia delle cose che ancora non avevo fatto in tempo a realizzare e dei quattro deficienti più deficienti che il Signore abbia avuto la sfortunata idea di creare ottundeva leggermente la mia capacità di ragionamento. Comunque, entriamo al ristorante. Shadows praticamente mi pesta, sorridendo alla signora Cartwright nel reggerle la porta. La vecchia non sembra subire il fascino delle sue fossette, e se per quello manco io; sbuffo. Nella sala non si ode un rumore, fatta eccezione per un lieve tintinnio di posate e conversazioni sussurrate talmente a bassa voce che credo che la gente debba fare un grande sforzo di immaginazione per sentire quello che dice il commensale di fronte.
Jimmy è perplesso. “Ma che posto è?”
“Non lo vedi?”, sibila Brian, che ormai si è abbonato a un sorriso di circostanza, tra i denti, “È una cripta.”
In effetti, siamo circondati di cadaveri vestiti a festa.
“Se i signori vogliono accomodarsi nel lounge, facciamo subito preparare il tavolo.”
Tutti e cinque saltiamo alle parole del cameriere. “Cos’è? Un pinguino?” sibila Jimmy, il cui già precario senso estetico sembra essere stato irrimediabilmente offeso dalla livrea che l’uomo indossa per servire ai tavoli. Lilian e Ivy stanno attente a mantenere una distanza di sicurezza che non insospettisca i genitori, ma ci orbitano intorno come due piccole farfalline desiderose di spiegare le ali. Non so perché, inizio a trovare questa situazione lievemente patetica.
E ci addentriamo nel lounge, uno spazio semi-aperto dove, se non altro, si può fumare. Mi attiro due sguardi sconvolti e non meno di tre maledizioni voodoo mentre do fuoco alla mia sigaretta. Alzo lo sguardo. La signora Cartwright mi fissa come se mi avesse appena visto staccare la giugulare a un cerbiatto con un paio di pinzette da sopracciglia. Mi guardo intorno alla ricerca di cartelli con su scritto vietato fumare, e non ne trovo. Scuoto lentamente la testa, per segnalarle che non capisco dove sia il problema. Stira le labbra. Mi guarda malissimo. Disapprova me, i miei capelli, le mie sigarette, la mia stessa esistenza, in un modo non dissimile da quello in cui io disapprovo la sua. Fortunatamente, l’intero consesso di genitori apprensivi identifica, dall’altro lato della sala, altri genitori apprensivi. “Se ci volete scusare un secondo, dobbiamo salutare.”, ci dice il signor Cartwright, e si porta appresso tutti, comprese le riluttanti ragazze. Lilian, allontanandosi, fa indugiare il dorso della mano pericolosamente vicino al cavallo dei pantaloni di Jimmy. Io sbuffo per la seconda volta in quattro minuti, lui invece nemmeno ci fa caso perché sta ordinando da bere.
Poi la vedo io per primo, perché è sempre così. La vedo e la sento, una voce burrosa e ascendente, miele in senso buono, leggermente divertita.
“Ma quello non è il piccolo Baker?”
Il piccolo Baker? Mi volto alla ricerca del rumore, scansionando il lounge, e finalmente li vedo: una famiglia di tre persone, lui (vecchio), lei (vecchia), lei.
“Zack?”, dice, quasi sussurrando, gli occhi grandi aperti in un moto di gioiosa sorpresa. Zacky si volta e gli va di traverso il drink. Pianta gli occhi verdi dentro quelli profondi di lei, ne osserva per un lungo minuto i capelli, sinuosi, che le cadono in onde sulle spalle: ciglia chilometriche e fitte le sbattono sugli occhi, la bocca carnosa, tinta di un lieve rosato, si apre in un sorriso dolcissimo e felice. Le gambe lunghe si muovono verso di noi; il vestito bianco che ha addosso le ondeggia intorno, si ferma appena sotto le ginocchia. Lo sguardo di divertito stupore che aveva negli occhi mezzo secondo fa ancora non se n’è andato. Si avvicina a Zacky, che la fissa come Adamo deve aver fissato Eva la prima volta che la vide, nel Paradiso Terrestre: vale a dire, come uno che non sa assolutamente che cazzo è l’oggetto tridimensionale che gli sosta davanti. “È una donna.”, gli sussurra infatti Brian per aiutarlo, a titolo informativo. “Sembra anche a me.”, provo ad aggiungere.
“Zack?”, ripete lei. Poi fa una cosa che nessuno di noi si aspetta: sporge il labbro inferiore e spalanca ancora di più gli occhioni, ostentando un finto broncio. Zacky si illumina di immenso, quell’espressione di lei evidentemente gli accende qualche lampadina in testa.
“Gin?”, dice, infatti.
“Sì, anche io. Due gin.”, ne approfitta Brian, intercettando il cameriere.
Zacky scuote la testa. “No”, dice, indicandoci quel batuffolo di gioia, “Lei è Gin.”
Gin e Zacky si fissano per alcuni intensi secondi, ancora storditi dalla sorpresa: d’un tratto, inscenano quella bizzarra danza a passetti tipica delle persone che non sanno se è il caso di abbracciarsi o meno. Alla fine, Gin prende una decisione, e gli butta le braccia al collo lasciandosi stringere. La stanza si congela, colta di sorpresa dall’evidenza di un contatto fisico tra due entità umane di sesso opposto. Che cosa disdicevole e oltremodo inopportuna.
Gin sorride, si scansa da Zacky, spiega con gesti delicati delle mani: “Mi sono laureata. Da poco. In psicologia! Ci pensi?”
“Io non mi sono laureato per niente, invece. Anzi, sono diventato un chitarrista.”, conclude Zacky, ridendo leggermente a disagio. Fortunatamente è arrivato il gin.
Gin sorride ancora, è allegra: “Lo so, siete una band. Vi ho visti, un paio di volte. Veramente bravi!”
Siamo tutti, di nuovo, un po’ sbalorditi. Neanche lei sembra tipa da Avenged Sevenfold. Nessuno, qui dentro, sembra tipo da Avenged Sevenfold. “E perché non sei passata a salutare?”, le fa Zacky, riemergendo dalle nebbie della sorpresa.
Lei scoppia a ridere. “Beh, cosa facevo? Entravo nel backstage e ti dicevo ciao, Zacky, ti ricordi di me? Sono Ginevra Kringe, la figlia dell’amica di tua madre, sai, la bambina che correva nuda nel giardino di casa tua?”
Zacky si stringe nelle spalle; da quando l’ha vista, la fissa contento e stordito come se fosse appena uscita da un sogno. “Perché no.”
Gin esita, uno sguardo dubbioso le offusca gli occhi dolci. “Non lo so, in realtà.”
Tossisco. Zacky si riprende dalla trance. “Oh, scusa, li conosci? Lui è Matt.”
Shadows vorrebbe una colonna a cui appoggiarsi per dare sfoggio di tutto il suo sex appeal, ma deve accontentarsi di trasudare sensualità virile all’impiedi, dentro un completo da sera. Le sorride. Lei è sensibile alle fossette, pare. “Ma certo.”
“E Brian...”
Brian dice “come va?”, giuro, dice proprio come va, alzando il mento in un modo che vorrebbe essere sexy, penso, però a me pare soltanto un coglione. Gin ride. “Il figlio di Brian Haner, vero? Tuo padre è una leggenda.”
“Lui è Johnny, l’amico di mio fratello!”
Lei ride di nuovo, entusiasta di quella passeggiata nel viale dei ricordi.
“E lui è Jimmy.”
Il sorriso un po‘ si attenua, mentre lei annuisce, sospesa. “Jimmy Sullivan.”, dice. Il modo in cui pronuncia il suo nome ha un sacco di sottintesi e mi rende pensieroso. Sembra un po‘ ferita, ma è sempre leggera, non c’è rancore nella sua espressione. Jimmy la guarda un po‘ stordito. “Siamo stati a letto e poi non ti ho richiamata?”
Il sorriso sul viso di Gin si allarga di nuovo. “Non che io ricordi. Dici che me ne ricorderei, se fossimo stati a letto insieme?”, gli risponde, semplicemente. Brian si produce in un’espressione di selvaggio divertimento per il colpo che lei ha assestato e che Jimmy non può fare altro che incassare con dignità. Addirittura si piega sulle ginocchia, quel deficiente di un chitarrista.
“Non credo di ricordarmi di te.”, le dice, per niente risentito.
“Ho un anno in meno di Johnny.”, risponde lei, indicandomi, “È probabile che ricordi mia sorella Delia, però. La chiamavano DN.”
L’espressione di Brian sconfina nel sublime. Questa situazione lo entusiasma a non finire. “Deadly Nightshade!” sibila, estasiato. La serata si sta mettendo bene; scivoliamo velocemente tra le pieghe di un inusitato dramma, anche se per il momento non facciamo altro che percepirne appena i contorni. Jimmy conosce quel nome, ma non batte ciglio: regge lo sguardo di Gin, tranquillo. Delia, per quanto ne so, è stata una sua fiamma parecchio infuocata; così infuocata dal portarlo a scriverle una canzone.
“Perché non mi ricordo di te?”, insiste invece Jimmy, con il savoir fare di un coccodrillo, glissando elegantemente sull’argomento.
“Sono tornata a vivere qui in pianta stabile da pochissimo, sono sempre stata fuori. Da quando avevo tredici anni. In collegio, poi in un’università cattolica, in Europa. Grazie a Delia. I miei volevano, non so, risparmiarmi le sue esperienze. Le sue devianze, come le chiamano loro. Mia sorella è stata una teenager, e poi una giovane donna, piuttosto turbolenta. Ma questo già lo sai.”, spiega lei, ma non è arrabbiata e non sta accusando nessuno. Mi chiedo come faccia a prenderla così.
“E lei come sta?”, si sforza di dire a quel punto Jimmy, perché non ha alternative.
“Bene, si è sposata. Vive in Louisiana con il marito.”, poi si volta verso Zacky, “Sai chi è lui? Carl.”
“Ma dai! Dull Carl? Quel bacchettone che veniva a scuola con il papillon?”
Gin scoppia di nuovo a ridere, annuendo. Improvvisamente, si volta alle sue spalle e fa cenno ai due vecchi che avevo visto prima di raggiungerci: sono i genitori. Gin si volta verso Jimmy: “Non ti preoccupare, loro non sanno che sei tu quello che Delia definiva lo stronzo che mi ha rovinato la vita per sempre. È sempre riuscita ad infilarsi nei guai in modo molto discreto, tenendogli nascosti tutti i dettagli. Con me le riusciva facile, parlare, tanto io ero a un oceano di distanza. Per quello so di te. Almost easy è bellissima, a proposito.”, dice, tranquillissima, ricca di riferimenti e cenni, trasudando dolcezza, come se stesse parlando della cosa più naturale e accettabile del mondo. Sua madre si avvicina, ci saluta, afferra le guance di Zacky. “Ma guarda come sei cresciuto!”
“Buonasera?”
Ah, finalmente, sembrano passati mille anni: riecco i Cartwright, quegli altri che non sono i Cartwright e le figlie al seguito. Ci guardano storditi. Le ragazze guardano piuttosto intimidite Gin.
“Miss Kringe?”
“Ivy! Lilian! Cosa ci fate qui?”
Vedo Lilian combattere con se stessa per non prendere il braccio di Jimmy e marcare il territorio, andando incontro a qualche, non so, punizione medievale che comprende una gabbia, o qualunque cosa facciano i genitori-teiera quando devono punire le figlie disobbedienti e lascive.
“Siamo a cena con loro.”, risponde Ivy, e ci indica. I signori Cartwright e i genitori di Ivy si scambiano convenevoli con i signori Kringe e con Gin che, comprendo, è un consulente al collegio delle ragazze, tipo che tiene dei seminari per aiutarle a scegliere cosa vogliono fare all’università.
Ci chiamano per il tavolo.
“Aspetta”, dice Zacky a Gin, con una prontezza di riflessi che mi pare assurdo venga proprio da lui, questo uomo-cuscino pettinato male e vestito peggio,  “Lasciami almeno il tuo numero, così ci vediamo, qualche volta!”
I signori Kringe si bloccano e Gin fa un sorriso bellissimo. Afferra un tovagliolo dal bancone del bar e una penna dal taschino di un cameriere che si ferma, sconvolto, e attende che lei abbia finito di scrivere il numero per richiedergliela indietro. Porge il foglietto a Zacky, sorride ancora e ci abbraccia tutti con lo sguardo, uno per uno. “Ciao, ragazzi.” Poi i suoi occhi si fermano su Jimmy: “Ciao, Almost easy.”
Niente rancore, ma uno sguardo di quelli che bucano le montagne e fanno zampillare sangue dagli occhi delle statue delle Madonne.
La guardiamo voltarsi, rapiti dal movimento del vestito bianco sui suoi fianchi. Io mi sporgo in avanti, interessato da lei come persona, più che dal suo culo. Ve lo giuro. Sono affascinato, irretito dal modo spontaneo in cui ha tenuto testa a Jimmy.
Shadows, al solito, non capisce un cazzo e mi occhieggia con aria di sagace consapevolezza: “Non pensarci nemmeno.”
Io non rispondo. Brian ride come un ossesso, ormai, fissando Jimmy.
“Oltretutto, dovresti anche passare sul cadavere di Zacky.”, continua Matt, lo stronzo. Zacky fa un gesto come per scacciare una mosca, sottolineando disinteresse.
“Sul cadavere di Zacky, eh? Quanto danno per l’omicidio?”, mi informo a questo punto, “Da trent’anni all’ergastolo?”
“Credo di sì.”
Guardo Brian, serissimo. “Che vi devo dire. Vieni a portare le arance anche a me.”

 

Lilian ha passato tutto il tempo a sfiorarci le gambe sotto il tavolo, durante la cena. È nel momento in cui formulo il pensiero ma cos’hanno, le ragazzine di oggi che mi sento decrepito, e capisco simultaneamente di aver sbagliato carriera. Le nostre strade con le famiglie teiera si sono divise in maniera indolore, poco fuori dal ristorante. Ora ci siamo soltanto noi cinque, frastornati, ancora incapaci di comprendere per quale motivo Brian abbia deciso di accettare a nome di tutti quell’invito a cena, seduti sopra un muretto davanti al mare. In silenzio. Jimmy osserva con occhio clinico un paio di mutandine di seta rosa pesca. Le mutande di Lilian. No, dai.
“Allora.”, dico, tanto per dire qualcosa, fissando quell’indumento un po’ intimidito dall’idea del suo precedente contenuto. “Tu e questa Delia Kringe stavate insieme?”
“Hm?”, fa Jimmy, riemergendo da profondità a noi sconosciute. Per un attimo nessuno dice nulla. Poi Shadows rotea gli occhi come una signorinella impaziente in coda dal ginecologo, aprendo anche un po’ la bocca per prodursi in una favolosa espressione di noia mortale; si alza in piedi e storna lo sguardo su di me. “Secondo Delia stavano insieme, sì, secondo Jimmy non si sa. Come al solito.”
“È finita male, comunque.”, interviene Brian, inusualmente serio.
“Hm?”, fa di nuovo Jimmy.
“PRONTO” gli urla Brian in un orecchio, infastidito, “STAVAMO PARLANDO DI TE E DI DELIA KRINGE!”
“Chi?”
“Deadly Nightshade.”
“Ah.”
Il mare divora la sabbia a una cinquantina di metri da noi, e mi sorprendo a pensare a quanto siamo diversi. Ogni tanto mi verrebbe da dire che con loro, a parte la nostra passione e un rapporto decisamente conflittuale con i parrucchieri, non ho niente in comune. Io sono sempre stato piuttosto fedele a Lacey. Non ho mai avuto le loro tormentate storie d’amore, che poi erano amore quasi sempre solo dal punto di vista delle loro fidanzate del momento; belle donne, o donne normali, o donne interessanti, comunque donne folli, che li facevano impazzire e gli piantavano grane e li mandavano al manicomio con liti e pretese, sfuriate epocali in cui volavano piatti e ti telefonavano esasperati, con le voci rotte dalle urla, per chiederti se potevano stare un po’ da te. Erano sempre loro a lasciare il campo, chissà perché. Mai una donna si era voltata e se n’era andata di casa, lasciandoli nei loro spazi. Io e Lacey siamo sempre stati una coppia piuttosto ordinaria, in confronto; mai esagerate esplosioni di meraviglia, mai abissi oscuri di rabbia e sgomento, mai assurde litigate senza fine e senza motivo. Mai una volta avevo avuto bisogno di, per così dire, scappare da lei, rifugiarmi dai miei amici e cercare di recuperare un equilibrio che tanto, comunque, non avevo mai avuto. Noi siamo noiosi, in confronto a loro. Perfino Matt e Valary - così solidi, così indivisibili - vivono un continuo psicodramma: sono arrivato addirittura a pensare, in certi punti, che quello che in realtà li unisce così tanto è un sottofondo di sospetto e risentimento, il che non è necessariamente un male. Per loro, tutti e quattro i miei amici di una vita, i miei fratelli... per tutti loro, il rimpianto è un’abitudine. Allora forse, penso, fissando quelle mutandine rosa, forse siamo io e Lacey quelli che dell’amore ne sanno davvero qualcosa.
“Quello sguardo che lei ti ha lanciato quando ti ha detto ciao, Almost easy è stata una delle cose più cariche di significato che io abbia mai visto accadere in vita mia.”, osservo. Gli altri si voltano a guardarmi come se mi fossero spuntate le antenne. “Scusate.”, mi affretto a dire, vagamente risentito. Ma guarda tu questi quattro cretini: fanno tanto i cantautori e poi non sanno gestire un’affermazione un po’ più profonda, che non sia seguita da una parolaccia e salutata da un rutto. Ma che vado a pensare? Forse sto diventando gay. 
“Quale sguardo?”, mi chiede Jimmy. Jimmy si fida di me, e io di lui. È sempre stato così: in mezzo alle angherie, agli scherzetti da liceali un po‘ invecchiati e al fatto che ogni tanto si divertono a menarmi, questi mi tengono in gran considerazione. Bella consolazione. Comunque, serafico, lo guardo condiscendente e gli rispondo: “Dormi, Jimmy, non ti preoccupare.”
Brian agita le braccia per fare la mia imitazione, cosa che non gli riesce affatto, ma gli altri ridono.
“Veramente non vi siete accorti di nulla? Ho una notizia per voi, casanova: non ne capite proprio un cazzo di donne.”
Jimmy mi sventola davanti le mutande dell’educanda, come a volermi smentire.
“Bravo. Hai fatto colpo su una diciannovenne ninfomane e falsa come una banconota da tre dollari. Tu sì che sei un professionista.”
Lui si stringe nelle spalle: “Me la devo scopare, mica sposare.”
Mi incazzo: “No, ma ormai non hai più vent’anni, sai, bello? Prima o poi qualcuna te la dovrai sposare, e non perché devi, ma perché vorrai farlo! A maggior ragione, dopo che ti sei lasciato con-”
“NON NOMINARLA!”, urlano gli altri tre, spaventati.
Sospiro e aggiusto la frase: “Dopo che ti sei lasciato con colei che non deve essere nominata, capisco che tu abbia voglia di avventure, ma alza il tiro, amico! Che ci fai con quello scricciolo di donna che non fa altro che metterti il culo in faccia, in barba alla scuola di buone maniere e a tutte le pose da signorina dell’ottocento con tanto di mamma a cui dà del voi?”
Brian sente la eco di nugoli di femmine morte ai suoi piedi non appena sale sul palco e si leva il cappello, e alza gli occhi alle stelle, riflettendo seriamente sulla mia affermazione. Shadows penso si sia sempre considerato sposato con Valary, in un certo senso, anche quando erano talmente piccoli che stavano ancora cercando di capire come funzionassero i rispettivi organi di riproduzione. Zacky è felicissimo, la sua Gena è la donna più bella e - secondo lui - fortunata del mondo. E poi ci siamo io e Lacey, la nostra storia normale e le nostre serate sul divano tra i biscotti e i vecchi film di vampiri.
Zacky sta giocherellando con il portafoglio. Ne estrae una foto, con uno sguardo appannato negli occhi. “Ah, eccola qui.”, dice, come se tutti sapessimo di cosa sta parlando. Sono quattro bambini in un giardino. Due sono in lontananza, si schizzano con la pompa dell’acqua: in primo piano, invece, ci sono un ragazzino con sorprendenti occhi verdi e una bambina più piccola, biondissima, che gli sta stringendo il collo con una smorfia di trionfo e due denti in meno in bocca.
“È Delia?”, si informa Shadows, ostentando l’intuito di uno scaldabagno.
“È Ginevra.”, rettifica Zacky, con un sospiro nostalgico.
“Quanto è diventata alta!”, osservo.
“Non so se te ne sei accorto, ma anche messo su due belle pere. E un culo che parla. E due gambe lunghe come autostrade.”, aggiunge Brian, esperendo un’analisi da libro di anatomia patologica.  “E come le si muovevano bene i fianchi in quel vestito.”, continua poi, non riscontrando in noi reazioni apprezzabili o commenti da camionisti sull’immagine evocata. Ancora niente. Si volta verso Jimmy.  Jimmy si volta verso Brian. “Brian, senti, a stento l’ho guardata.”, fa Jimmy, giustificandosi.
“Sì, stocazzo.”, Shadows, provocatorio.
“Grazie per il tuo contributo, Matt.”, Jimmy, tracotante.
“Scusa, ma non puoi dire una cosa del genere! Sono stato testimone oculare dello sguardo da maniaco che le hai lanciato!”, Shadows, scientifico.
“Quello è il mio sguardo solito. Io guardo tutto così. Non ti ricordi l’opinione diffusa del vicinato? James Sullivan è un pazzo.”, Jimmy, esegetico.
“Non è che avessero torto.”, io, mettendomi in mezzo.
“Questi sono dettagli di nessuna importanza.”, chiude infine Jimmy, rifiutandosi categoricamente di ammettere che sì, in effetti, tutti abbiamo guardato Ginevra Kringe e Ginevra Kringe ci ha guardati tutti. Oltretutto, ha anche assestato una sonora stoccata al suo orgoglio maschile con quel soave dici che me ne ricorderei, se fossimo stati a letto insieme?, che Jimmy ha apparentemente incassato con un certo signorile distacco, ma io lo conosco e so che dentro di lui si stava attivando un particolare tipo di enzima al solo scopo di significargli, dentro il cervello, la scritta intermittente al neon CENTRO PERFETTO, 50 PUNTI, SEI UN COGLIONE.
Improvvisamente mi punge un dubbio. “Zacky, hai conservato il foglietto con il suo numero di telefono?”
Zacky salta. Si tasta come se si stesse perquisendo da solo. Estrae un tovagliolo, visibilmente sollevato. Allora, e solo allora, dice: “Sì, perché?”
Sto per rispondere, ma Shadows fa prima: “Invitiamola al barbecue di Natale, sabato prossimo. Possiamo estendere l’invito anche ai suoi genitori visto che ci saranno i tuoi, Zacky.”
Segue pausa generale a scopo meditativo.
“Sì.”, chiosa infine Brian, dando una pacca sulle spalle a Jimmy talmente forte che lo sbilancia in avanti rischiando di farlo finire a faccia in giù nella sabbia, “Invitiamola al barbecue.”

 

 

 

Allora.
Ovviamente, siete tutti invitati al barbecue.
Mi sa che "multicapitolo breve" non è proprio il termine esatto, comunque - tanto per avvertirvi. 
L o v e, 
Q. 
   
 
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