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Autore: Reyvateil    14/12/2014    3 recensioni
"E’ assurdo, mi sembra di aver vissuto più di cent’anni e allo stesso tempo sono ingenua come una ragazzina. Ricordando ciò che sono stata, la mia anima si carica di un peso che a malapena riesco a sopportare, ma voglio scrivere. Come se fosse il primo giorno, il momento in cui un soldato mi puntò la pistola contro, in una notte piovosa e senza Dio. Il giorno in cui venni catturata, e paradossalmente la mia allora miserabile vita cambiò."
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Una storia che intreccia le la vita della protagonista e degli altri personaggi a cavallo fra due Mondi; infanzia e adolescenza da una parte, età adulta dall'altra. Una storia di crescita, consapevolezza, paure e principi per cui imparare a lottare. Enjoy.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era passato diverso tempo da quando Alphonse mi aveva fatto visita, credo due settimane; degli addetti venivano solo a svuotare la mia latrina e a darmi da mangiare, anche se li avevo visti sì e no 4 volte in tutto.
Lo spiraglio di luce dalla porta tornò a farmi visita. Ero assopita e non l’avevo previsto, ma fortunatamente mi ero rintanata nella gabbia prima di coricarmi, la sera prima. Non vidi entrare nessuno, ma dalla porta socchiusa si sporse la canna di quello che doveva essere un fucile di precisione. Prima che me ne accorsi fui sedata.

Chapter Three: Fresh air.

“E’ mattina?” pensò la bambina, stropicciandosi gli occhi dal lettino della sua stanza. Si spostò dal viso i capelli, lunghi e arruffati, di color biondo scuro. La luce tiepida filtrava dalla finestra, decise dunque di alzarsi ed andare in quella che doveva essere la cucina. La sua era una casa povera, ma ricca di tradizione. Suo padre, figlio di Ishibar, l’aveva ornata con pochi umili arazzi e tappeti dai disegni antichi, qua e là diversi cuscini dalle calde tonalità orientali. Sua madre invece, originaria del Nord, esprimeva la sua cultura unicamente attraverso i vestiti che indossava (e alle volte cercava di influenzare i figli). La donna dai folti capelli chiari e la pelle ormai abbronzata dal sole del sud-est stava preparando la colazione.
La bambina le corse incontro stringendosi al suo grembiule, mentre i tre fratelli erano già seduti a tavola, affamati.
Un bell’uomo dalla pelle ambrata, gli occhi rubino come i suoi figli e uno sguardo sempre giovane entrò in casa. “Papà!!” esclamarono i ragazzi e la piccola, unica ad aver ereditato gli occhi chiari della madre “Sei tornato finalmente!”
“Com’è andata tesoro?” chiese ansiosa la donna. Il marito le rivolse uno sguardo triste, ma riservò un sorriso ai suoi figli che intanto erano già venuti ad abbracciarlo “Andrà meglio, vedrai. Ishvara veglia su di noi.”
A queste parole ella sospirò scoraggiata; era sempre stato così da quando aveva deciso di lasciare tutto per sposare quell’uomo dell’est. Per quanto si sforzasse di vedere la sua vita in modo positivo nonostante la povertà e la costante preoccupazione per il futuro dei suoi figli, ella non riusciva a sorridere come suo marito, e tantomeno poteva aggrapparsi alla fede di un Dio che non era mai stato suo.
“Kuriah, Laisa, Mourin, Levi” disse seccata “La colazione è pronta, venite a tavola.”
 
 
“E’ mattina?” avrei voluto dire, se solo non mi fossi trovata un bavaglio a serrarmi la bocca. Ero ancora stordita ma non avrei comunque potuto fare molto, considerando che mi avevano legata con dei lacci di pelle. Dei soldati mi stavano portando via come un sacco di patate. Mi avevano cambiato i vestiti, o meglio mia avevano levato i cenci che continuavo a indossare da settimane. Avevo un paio di pantaloni color grigio chiaro, molto comodi devo ammettere, ideali per l’esercizio fisico, e una canotta abbastanza impersonale, leggera ma che non accennava a mostrare le mie curve da adolescente. Non si sprecarono a mettermi dei calzari e fu un bene, perché i miei piedi erano abituati da ormai troppo tempo a correre nudi, forse tutta la mia vita.
Mi mollarono per terra senza il minimo tatto, svegliandomi del tutto. Potevo vedere diverse reclute accerchiarmi, mi trovavo in quello che pareva un cortile, o un’area all’aperto, avevo terra sotto di me. Mi schioccarono le dita davanti al muso per vedere se ero ricettiva, dopodiché rividi Mustang, davanti a me, con un fare freddo e una cartella in mano.
“Soggetto n° 147” lesse “Sarai protagonista di una serie di test a scopi militari. Non ribellarti, non fuggire, renditi disponibile per il bene della ricerca, e non ti sarà fatto alcun male.” Mi guardò negli occhi per cercare un segno di approvazione; ricordai le parole di Alphonse e feci cenno col capo. Non vedevo nessun viso familiare attorno a me… mi mancava quel ragazzo.
Il moro sfogliò la prima pagina “Iniziamo dal tuo nome”
“Laisa.” Già alla mia risposta gli uomini parvero sorpresi. Dovevo dimostrare loro che ero più umana di quel che pensavano.
“Laisa… e basta?”
“Senhanger.”
“Originaria di…?”
“Neara.”
“E’ un paese vicino a East City se non sbaglio, ci sono stato. Insolito, il tuo cognome è tipico del Nord” aggiunse l’uomo. Nonostante questa imprecisione annotò comunque tutto sul foglio. Pensai infatti che sarebbe stato meglio dare il cognome di mia madre, non volevo essere ulteriormente discriminata. In fondo, credo che lei avesse sempre voluto così, una piccola protezione in un mondo di odio insensato.
I soldati iniziarono a rasserenzarsi, ma i loro sguardi continuavano a comunicarmi chi comandava. “L’intervista” andò avanti, risposi come potevo alle loro domande, quasi tutte mentendo. Mustang non mi pareva certo l’ultimo degli stupidi e credo mostrasse una certa complicità, visto che non contestò nessuna delle informazioni che gli fornivo. Pensavo che “la prova” sarebbe stata più difficile, che avrebbero davvero testato la mia pazienza, cosa che mi preoccupava non poco.
“Bene” concluse “Credo sia arrivato il momento di un buon caffè.”
“Se permettete… Io dovrei usare il bagno.”
Stupii tutti con quella affermazione. Fino al giorno prima avevo una misera ciotola nella gabbia in cui fare i miei bisogni, ero stata lasciata a un metro dalle mie stesse feci, ma questo non significava che non sapessi usare un water. Il Colonnello incaricò tre dei suoi uomini per portarmi alla latrina del campo.
Io stessa mi trovai un po’ strana a comportarmi come una persona normale dopo tanto tempo; mentre sfruttavo la privacy che mi avevano concesso tra le quattro scarne mura del “bagno” sperai che le cose sarebbero migliorate da quel giorno in poi.
Mi dovetti ricredere non appena uscii. Le mie guardie del corpo non c’erano più, ma davanti a me trovai altri due uomini, sempre in divisa da soldato semplice, con dei sorrisi poco raccomandabili.
“Che ti dicevo” commentò il primo “E’ quasi carina per essere una mezza cagna, guarda che bel visetto”
“Hai ragione” rispose il secondo “Ma vedo che non c’è nessuno a prendersi cura di lei qui. Forse dovremmo rimediare” si avvicinò a me e fece per prendermi il mento fra le dita, ma indietreggiai bruscamente, guardandoli in modo minaccioso. Sapevo già come volevano che finisse la faccenda, era già successo. Non vedevo nessuno in quell’angolo del campo a parte noi; eravamo all’improvviso completamente soli.
“Non ti va, mocciosa? Guarda che siamo signori per bene noi…” iniziai a ringhiare in risposta.
“Guarda che questa cagna morde” un ragazzo mi spinse contro il muro e mi fermò saldamente la mascella con una mano, e prima che me ne resi conto mi bloccò le gambe con una delle sue. Era forte abbastanza per fermare una ragazzina, le mie mani non riuscivano ad arrivare al suo collo per fargli del male; sentii la tachicardia prendere piede in me e l’istinto lottava contro la ragione, cominciarono i soliti tremolii.
“Non ora, Blue, da brava” pensai “Lascia che qualcuno venga a salvarci. Forse stavolta sarà diverso…” ma una forza si ribellava, come se cercasse di uscirmi dal petto; sentivo le sue unghie, la sua fame, non avrei fermato la Lupa ancora a lungo… Ma a quel punto sarebbe stato un guaio, con due soldati grondanti di sangue il Colonnello non mi avrebbe mai più fatto vedere la luce del sole.
“Dici che è davvero così feroce?” chiese intanto l’altro uomo “Peccato, volevo darle qualcosa da mettere in bocca. Vorrà dire che la domeremo alla vecchia maniera” abbassò la zip dei pantaloni e cercò di fare lo stesso con i miei, bloccarmi le braccia.
“Non voglio… Non voglio” supplicavo silenziosamente. Stavo pregando per mantenere la calma mentre i miei canini cominciavano già ad allungarsi, come anche le mie unghie. Pensavo che ormai non sarebbe più arrivato nessuno e che avrei dovuto scegliere tra la possibilità di tornare a vivere libera o uno stupro; ma proprio in quel momento vidi la terra sotto i miei piedi prendere le mie difese, si formarono degli spuntoni giganti che respinsero violentemente i due, facendoli cadere a qualche metro di distanza. Finalmente libera, caddi sulle mie ginocchia, cercando di trattenere le lacrime. Edward, il biondino che mi pareva di ricordare, ci corse incontro urlante.
“Cosa diavolo cercavate di fare?!?” era furioso, intrappolò i soldati tra delle sbarre alzatesi dal terreno e altrettante lastre appuntite minacciavano di tagliare loro la gola.
“Se non fossi passato di qua…” continuò “…Siete dei mostri! Molestare una ragazzina alla luce del sole, come fosse niente! Vi comportate così con le persone sotto la vostra protezione? Eh?!?”
“V… Veramente non eravamo noi le guardie incaricate… Le… Le abbiamo viste allontanarsi per fare una pausa…” rispose uno dei due tremante.
Edward era sempre più incollerito, ma decise di concentrarsi su di me. Mi chiese se ero ferita e se fossi in grado di alzarmi, cosa che prontamente feci, tenendo sempre la testa bassa dalla vergogna: l’avevo scampata bella, soprattutto perché Blue, il Lupo dentro di me aveva smesso di agitarsi.
“Brava lupacchiona… calma… respira…” Inspirai ed espirai profondamente, anche se con qualche difficoltà.
“Laisa… Giusto?” Ed sorrise, mi prese per polso delicatamente e mi portò via da quella orribile scena.
 
Da qual giorno in poi, strano a dirsi, le cose migliorarono. Edward ed io iniziammo a conoscerci e lui contestò apertamente il modo in cui ero stata trattata fino a quel momento. Si lamentò con Mustang per giorni e devo ringraziare lui se mi diedero una stanza solo per me, lontana dai dormitori dei soldati, al quartier generale. Ricordo ancora la prima volta che vi entrai.
“E’ piccola da far schifo, ma è decente. Sono certo che starai meglio qui.” disse Ed “Ma ci sono dei patti: dovrai continuare a farti studiare dagli esperti, non hai possibilità di ribellarti. Inoltre non ti è concesso per nessun motivo lasciare il quartier generale. E per finire…” sospirò rassegnato “Per i primi tempi, dovrai essere accompagnata.”
Nel frattempo io mi ero già silenziosamente adagiata sul nuovo letto, e trattenevo a stento le lacrime dalla gioia, sembravo una bambina il giorno di Natale “E chi mi accompagnerà? Sarebbe la volta buona che stacco la mano a qualcuno” dissi vagamente cinica, con la faccia sulle lenzuola.
“Mio fratello.”
Edward accennò un sorriso complice mentre mi voltavo verso di lui con il volto illuminato.
“Io non ho tempo per starti dietro e Alphonse è senz’altro più disponibile di me… So che ti sei comportata bene con lui e immagino che andrete d’accordo. E poi in questo modo non rischi di metterti nei guai.”
Feci un cenno, sorridente: doveva davvero essere Natale. Non parlavo molto all’inizio, soprattutto perché non riuscivo bene ad inquadrare Edward. Mi aveva salvata, ma i suoi modi bruschi mi confondevano.
Non potevo sapere che un giorno saremmo diventati grandi amici e che entrambi gli Elric, ognuno a modo proprio, avrebbero stravolto totalmente la mia esistenza.
Finendo dove non mi sarei mai immaginata di arrivare.
 
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Salve a tutti, sono Reyvateil, l'autrice. Non ho avuto occasione di parlarvi direttamente di questa storia finora. Vorrei prima di tutto avvertire che, nonostante sia un What if, verrà preso come punto di riferimento la prima serie animata di FMA (con rispettivo film): spero che questo non vi faccia perdere la voglia di leggere. Sono ancora nuova qui su EFP quindi non so bene come funzionano le dinamiche per quanto riguarda le recensioni (per questo il secondo capitolo è arrivato in ritardo e il terzo quasi subito) Immagino di dover pubblicare in fretta per non far perdere la curiosità, giusto? Sappiate che ci tengo moltissimo ai vostri commenti, sono gli unici feedback che mi permettono di capire cosa sto davvero combinando! Non credo che continuerei se alla lunga non ricevessi le vostre impressioni. 
Credo di aver detto tutto. Buon proseguimento!
   
 
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