CAPITOLO QUARTO: RABBIA.
“Bastarda! Non provarci più!”
–Gridò Tisifone, balzando addosso a Castalia e sbattendola a
terra, mentre i suoi affilati artigli le strappavano via un pezzo della
maglietta che aveva indosso, ferendole la pelle e facendo zampillare getti di
sangue. –“Ti ho soltanto chiesto come ti senti, che cosa hai provato a rivedere
Ioria e a poter parlare di nuovo con lui, anche soltanto per un minuto, e tu mi
hai aggredito in questo modo!” –Aggiunse rabbiosa, indicando un graffio che la
Sacerdotessa dell’Aquila le aveva causato poco prima, rispondendo stizzita alle
sue domande.
“Togliti, Tisifone! Non vorrei
essere costretta a farti del male!” –Esclamò agitatamente Castalia, scagliando
Tisifone indietro con un calcio e rimettendosi in piedi. –“La mia vita
appartiene a me soltanto, non a te! E per quanto ti piaccia considerarti come
mia amica, non lo sei affatto!”
“Neanche tu lo sei, se è per
questo! Ma almeno io mi sforzo di comportarmi come tale!” –Rispose Tisifone,
sollevando le braccia con le lunghe unghie affilate.
“L’unico sforzo che fai, l’unico
motivo per cui io posso interessarti, è per arrivare a Pegasus! Soltanto lui ti
interessa! Non credere che non abbia capito che falsa persona opportunista si
nasconda dietro quella maschera!” –Le sputò in faccia la verità Castalia. –“Ma
da me non avrai aiuto alcuno! Non ti permetterò di fare del male al mio adorato
discepolo!”
“Taci, bugiarda e
calunniatrice!” –Ringhiò Tisifone, scattando avanti e muovendo rapidamente le
braccia, liberando violenti fendenti di energia che si abbatterono su Castalia,
obbligandola a sollevare le braccia avanti a sé, per proteggersi. –“Proprio tu
parli! Tu che ti sei abbandonata tra le braccia del Luogotenente dell’Olimpo,
rinnegando l’amore nascosto per Ioria che ti ha corroso l’animo per anni? Sei
un’ipocrita!” –Gridò Tisifone, muovendo il braccio destro con forza e
affondando i lunghi artigli nella carne di Castalia, all’altezza del suo polso.
“Tisifone!!! Non sono più una
bambina, per quanto ti piaccia considerarmi tale! Ed ho anch’io artigli che
possono offendere!” –Rispose irata Castalia, scansando la donna bruscamente e
colpendola con un pugno in pieno sterno, facendola sputare sangue e accasciare
in avanti. Ma Castalia non le diede tempo di rifiatare, colpendola dal basso
con un violento calcio sulla mascella, che la spinse indietro, sbattendola a
terra e facendole perdere la maschera.
“Bastarda!!!” –Gridò Tisifone,
rialzandosi prontamente e asciugandosi il sangue che le colava da un labbro.
Sollevò il braccio destro al cielo e lo caricò del suo cosmo dai riflessi
violetti. –“Cobra incantatoreee!!!” –E si lanciò su Castalia, mirando al
suo viso con i suoi artigli affilati. Ma la Sacerdotessa dell’Aquila, che ben
conosceva quel colpo, lo evitò spostandosi di lato, venendo raggiunta soltanto
alla spalla destra, la cui spallina protettiva andò in frantumi, potendo così
contrattaccare con la sua Cometa pungente da distanza ravvicinata.
L’attacco di Castalia scaraventò
Tisifone indietro vari metri, danneggiando la sua cotta protettiva e causandole
numerosi lividi sul corpo, ma neppure questo servì per placare l’improvviso
sfogo di violenza che era avvampato tra le due Sacerdotesse. Attirati dal
rumore della lotta, alcuni soldati semplici si avvicinarono, chiamando inorriditi
i due Cavalieri d’Argento, intimando loro di smettere e ricordando che lotte
intestine al Grande Tempio, per motivi personali, erano strettamente vietate da
Atena e, come tali, suscettibili di punizione. Castalia e Tisifone non
risposero, limitandosi a scambiarsi un’occhiata carica di rabbia e balzando di
scatto contro i soldati semplici. Li travolsero tutti, uno dopo l’altro,
affondando i loro artigli affilati nella carne degli uomini, dilaniando le loro
effimere protezioni e lasciandoli a terra, ad agonizzare in una pozza di
sangue.
“Pe... perché?!” –Mormorò
l’ultimo soldato, prima di crollare al suolo esanime.
“Perché siamo in guerra!”
–Ringhiò Castalia. –“E in ogni guerra può esservi un solo vincitore!” –E si
voltò verso Tisifone, in piedi davanti a lei, con le braccia tese avanti e gli
artigli carichi di energia cosmica. Senz’altro aggiungere, Castalia balzò in
aria, gettandosi contro la sua rivale. –“Volo dell’Aquila reale!!!”
–Gridò, mentre la sagoma di un aquila, con gli artigli pronti a ghermire,
compariva dietro di lei.
Tisifone, preparata a tale
assalto, incrociò le braccia di fronte a sé, contenendo l’impatto dell’attacco,
prima di rispondere con violente scariche di energia, dal colore violetto, che
avvolsero il corpo di Castalia, stritolandolo con forza e schiantando la sua
maschera e parte della sua protezione, mentre Tisifone portava il braccio
destro avanti, caricando il Cobra Incantatore. La Sacerdotessa
dell’Aquila riuscì a rispondere con la sua Cometa pungente e il
contraccolpo tra i due poteri, così accesi e così vicini, scaraventò entrambe
indietro di una decina di metri, facendole schiantare a terra, dove rimasero,
perdendo conoscenza.
Pochi minuti dopo arrivò Kiki,
teletrasportatosi direttamente al Cancello Orientale, attirato dai rumori dello
scontro, e si trovò di fronte una distesa di corpi feriti e massacrati,
dilaniati da violenti segni di lotta. Vicino ai corpi dei soldati semplici,
Kiki rinvenne quelli di Castalia e di Tisifone, chinandosi immediatamente su di
loro, preoccupato per le condizioni delle Sacerdotesse. Le chiamò a gran voce,
pensando che le due fossero state sorprese da un attacco improvviso, magari
portato dallo stesso nemico che aveva assalito Asher al cimitero un paio d’ore
prima.
“Tisifone! Tisifone!!!” –La
scosse Kiki. –“Come stai? Cos’è successo?!”
“Ooh, Kiki! Sei tu?” –Balbettò
la Sacerdotessa del Serpentario.
“Non parlare, conserva le forze!
Vi porterò subito all’infermeria del Grande Tempio! Chi è stato a ridurvi così?
Dov’è il nemico?!” –Esclamò Kiki confusamente, stringendo la donna a sé.
“Ca… Castalia…” –Mormorò
Tisifone, prima di perdere i sensi, stanca per la lotta sostenuta.
“Castalia è qua, anche lei è
ferita! Non temere! Vi salverò io!” –Aggiunse il ragazzo, usando i propri
poteri per teletrasportare la donna all’ospedale del Grande Tempio, affidandola
alle cure delle giovani infermiere, alcune delle quali erano proprio le allieve
delle due Sacerdotesse. Quindi Kiki ritornò al Cancello Orientale, sollevando
il corpo di Castalia e portando anch’esso all’infermeria, prima di avvisare un
gruppo di soldati di andare a controllare lo stato di salute della decina di
guerrieri massacrati vicino al Cancello.
Un nuovo nemico! Commentò il ragazzo, mentre le infermiere portavano
dentro i corpi feriti di Castalia e Tisifone. Questo Grande Tempio è davvero
un luogo irto di pericoli! Riusciremo a starcene un po’ in pace? Si chiese,
mettendosi le mani in tasca e tirando un calcio ad un sasso, nel polveroso
piazzale antistante l’ospedale. E allora, dopo qualche giorno in cui non aveva
pensato a loro, indaffarato con l’addestramento, che Mur aveva deciso di
ricominciare, Kiki lasciò volare via la mente, pensando a Pegasus e ai suoi
quattro compagni, gli amici al cui fianco aveva affrontato numerose battaglie.
Certo, non aveva combattuto in prima linea, non avendo i poteri per farlo, ma
Kiki non si era mai tirato indietro, nonostante la sua giovane età, lanciandosi
senza indugio nelle fredde terre di Asgard e poi nel Regno Sottomarino, ove la
sua presenza si era rivelata quanto mai necessaria per portare l’Armatura di
Libra ai Cavalieri suoi amici alle sette Colonne dei Mari.
I suoi amici. Era così che Kiki
considerava ormai Pegasus, Dragone, Cristal, Andromeda e Phoenix. Ed anche loro
avevano riconosciuto il valore del fratello di Mur, considerandolo non soltanto
un apprendista, ma un ragazzo sorretto dagli stessi valori, dalla stessa
determinazione che albergava in loro. Nell’ultimo anno avevano avuto modo di
vedersi molto poco, prima a causa del Talismano della Dimenticanza, che li
aveva privati della memoria, riportandoli nelle loro terre natali, poi,
terminata la Grande Guerra contro Ares, ognuno di loro aveva voluto prendersi
un momento per se stesso. Per quanto Pegasus avesse avuto intenzione di lanciarsi
a capofitto alla ricerca di Flegias, dopo la sua scomparsa dalla Tredicesima
Casa, aveva dovuto riconoscere di non avere più la forza per muoversi, come non
l’avevano i suoi quattro compagni. Lady Isabel li aveva pregati di non
affaticarsi ulteriormente, mentre Ermes, il Messaggero degli Dei, che aveva
accompagnato Atena al Grande Tempio dopo la caduta di Tifone, aveva spiegato
che se ne sarebbero occupati i Cavalieri Celesti di catturare Flegias e
condannarlo per gli atroci crimini di cui si era macchiato.
Così Pegasus e i suoi quattro
compagni si erano nuovamente separati, decidendo di trascorrere del tempo con
le persone che amavano, quelle stesse persone da cui la guerra continuamente
voleva separarle. Andromeda era tornato con Nemes sull’Isola di Andromeda, per
rendere omaggio al suo maestro Albione e ai discepoli di lui, mentre Sirio e
Libra erano rientrati ai Cinque Picchi, per ricostruire la pagoda distrutta e
per trascorrere del tempo con Fiore di Luna. Pegasus aveva fatto altrettanto,
rientrando a Nuova Luxor e perdendosi nel caldo abbraccio di sua sorella
Patricia, mentre Cristal aveva fatto rotta su Asgard. L’unico che non aveva
annunciato il luogo ove si sarebbe recato era stato Phoenix, ma Andromeda non
se l’era presa più di quel tanto, immaginando che anch’egli, come tutti loro,
fosse soltanto in cerca di un po’ di serenità.
Il tempo del riposo è
nuovamente finito, amici miei! Una nuova prova attende tutti noi! Mormorò Kiki, incamminandosi verso la Prima Casa di
Ariete e accorgendosi soltanto allora che l’intero paesaggio era costellato da
rose rosse, i cui petali parevano intrisi del colore del sangue.
Quella notte al Grande Tempio
nessuno parve dormire sonni tranquilli, né la Dea, che si rigirava ansiosa tra
le lenzuola alla Tredicesima Casa, né i Cavalieri e i soldati rimasti,
preoccupati per l’aria di guerra che nuovamente sembrava aleggiare su tutti
loro. Il Grande Mur dell’Ariete, dopo aver addormentato Asher con un
potente sedativo naturale, era sceso di persona alla fine della scalinata di
marmo della Prima Casa, ove l’anno prima Lady Isabel aveva giaciuto per dodici
lunghe ore, per dare ordine ai soldati di rafforzare la vigilanza e di chiudere
tutte le possibili vie di entrata al Grande Tempio, accendendo i fuochi lungo
le ricostruite mura e vegliando continuamente, certo che qualcosa di grosso
fosse nell’aria. In quell’aria che nelle ultime ore si era inspiegabilmente
fatta sempre più soffocante, sempre più torrida, giungendo a incombere
sull’intero Grande Tempio con un perverso colorito rosso sangue. Quasi volesse
annunciare un’alba di tragedia.
Mur aveva trascorso l’intera
giornata rinchiuso nella Prima Casa, per prendersi cura di Asher, la cui
agitazione aveva iniziato a diminuire solamente nel tardo pomeriggio, dopo
numerosi impacchi di erbe che sembravano aver raffreddato la fiamma che ardeva
dentro al suo corpo, e che lo stava divorando con rabbia. Fu solo allora che,
dopo essere stato avvisato da Kiki, era riuscito a tirare un’occhiata verso il
cielo, notando la cappa di nebbiolina rossastra che sovrastava il Grande
Tempio. Aveva sospirato preoccupato, augurandosi che il vento della sera
disperdesse quella sinistra foschia, che rimaneva per il momento ad una certa
distanza dalle Dodici Case, quasi rappresentasse l’avamposto dell’assedio che
il nuovo nemico di Atena stava preparando.
Durante la notte, Mur non riuscì
a prendere sonno, rigirandosi continuamente nel letto, inseguendo pensieri
sfuggenti che ronzavano nella sua mente, lontani insegnamenti di Sion e di sua
madre che aveva ricevuto durante l’infanzia. Un grido lo risvegliò di scatto,
obbligandolo ad alzarsi e a correre attraverso le ampie stanze della Prima
Casa, richiamato da quella voce terrorizzata che ben conosceva. La voce di suo
fratello Kiki.
Quando raggiunse la stanza dove
riposava suo fratello, Mur impiegò qualche secondo per comprendere cosa stesse
accadendo, tra le grida terrorizzate di Kiki e i latrati, o forse i grugniti,
inferociti di una creatura che lo aveva afferrato per la maglietta, sbattendolo
al muro, intenzionato a cibarsi della sua giovane carne. Il Cavaliere di Ariete
scattò subito in aiuto del fratello, generando un piano verticale di energia in
mezzo ai due contendenti, in modo da separarli e da spingere il suo nemico
indietro bruscamente. Con apprensione, Mur corse da Kiki, ma non ebbe tempo di
sincerarsi delle sue condizioni che dovette fronteggiare l’imbestialito assalto
della creatura avvolta dalle ombre che balzò contro di lui, in un nido di versi
osceni, sbattendolo con la schiena al muro, sfoderando fauci risplendenti di un
acceso rosso sangue. Il sangue di suo fratello Kiki, che il suo avversario
aveva azzannato a un braccio poco prima. A quel pensiero, Mur reagì d’istinto,
scaraventando indietro la creatura deforme con la sola forza del pensiero,
schiacciandolo contro la parete dall’altro lato della stanza.
Solo in quel momento poté
avvicinarsi a Kiki, rannicchiato a terra, indebolito per essere stato
stramazzato come un cencio, e ferito a un braccio. Sentì il battito accelerato
del suo cuore, dovuto alla paura che era montata in lui, quando era stato
svegliato di corpo, dall’alitare affamato di qualcuno, o di qualcosa, che si
era avvicinato al suo letto per affondare i canini nel suo giovane corpo,
lasciando avvampare la rabbia che covava dentro. Kiki, ansimando a fatica, poté
pronunciare soltanto due parole, che terrorizzarono Mur, prima che il Cavaliere
di Ariete fosse obbligato a voltarsi, per fronteggiare il nuovo assalto del suo
nemico.
“È Asher!!!” –Gridò Kiki, con il
cuore in gola, mentre Mur evitava l’attacco del suo avversario, spostandosi di
lato e fermandolo di scatto, afferrandolo per il collo con una poderosa stretta
della sua mano. Lo spostò, roteando la sua testa all’indietro, tra i gemiti
imprecanti, fino a portarlo in direzione della luce della luna, proveniente
dalle alte finestre della stanza, e solo allora lo riconobbe. Anche se di Asher
c’era rimasto veramente poco.
“Dea Atena!!!” –Sussultò Mur,
spingendo il ragazzo indietro, intimorito dall’orrida visione. Il volto di
Asher era trasfigurato, simile al muso di una belva inferocita, desiderosa di
caccia e di sangue. I suoi occhi traboccavano odio e fiamme, mentre i denti
sporgenti parevano le zanne di una fiera pronta ad assalire la sua preda. Con
un nuovo scatto Asher si lanciò avanti, emettendo versi osceni, quasi incapace
di esprimersi in una lingua corrente, capace soltanto di muoversi, di dirigere
i suoi attacchi contro il Cavaliere di Ariete, il quale, per proteggere Kiki e
se stesso, creò la sua barriera difensiva, il Muro di Cristallo, che
scaraventò Asher indietro.
Ansimando, con rivoli di bava
che gli colavano dalle labbra, Asher si sollevò nuovamente in piedi, come se
non sentisse il dolore di crollare a terra ad ogni assalto che dirigeva contro
Mur. Una volta. Due volte. Tre volte. Sembrava una bestia priva di qualsiasi
raziocinio, mossa da semplici istinti animali. Mur tentò di parlargli, di
calmarlo, lo chiamò più volte, parlandogli anche di Atena, di Lady Isabel, ma
non vi era niente che potesse suscitare l’interesse di Asher. Non vi era niente
che potesse anche soltanto raggiungere le orecchie di Asher, refrattarie a
qualsiasi suono, salvo a quello dei lamentevoli grugniti che emetteva di
continuo, lanciandosi imbestialito contro la barriera di Mur.
“Fratello!” –Lo chiamò Kiki,
avvicinandosi alle gambe di Mur e fissando Asher strusciarsi con tutto il corpo
alla limpida protezione di cristallo, prima di percuoterla con violenti
attacchi e stridere le sue unghie su di essa, come a graffiarla, dominato da un
instancabile istinto animale.
“Perdonami, Asher!” –Mormorò
infine Mur, consapevole che non vi fossero altri modi per porre termine alla
sua agonia. Di scatto, mentre Asher scattava nuovamente verso di lui, tolse il Muro
di Cristallo, facendo ruzzolare il ragazzo in avanti, per l’eccessivo
slancio, portandosi dietro di lui e sollevando il braccio destro al cielo,
espandendo il suo cosmo, che scintillò nella semioscurità della stanza. –“Ragnatela
di Cristallo!” –Gridò Mur, scagliando contro l’Unicorno uno dei suoi
attacchi, con il quale fermò i suoi movimenti, imprigionandolo in una tela di
energia, come un ragno intrappola una mosca, in modo da precludergli qualsiasi
altro tentativo di attacco.
Asher cercò di sfuggire da
quella morsa, dimenandosi e bruciando il suo cosmo, ma pareva diventato
incapace persino di controllarlo. Era solo una bestia furiosa che si
barcamenava in trappola, fissando il suo cacciatore con occhi di brace. Mur si
avvicinò a lui, mentre Kiki rimase leggermente indietro, ancora impaurito da
quell’improvvisa e preoccupante trasformazione del ragazzo, e lo osservò con
aria rattristata, consapevole che ciò che stava accadendo al Cavaliere
dell’Unicorno non era affatto imputabile alla sua volontà. No! Rifletté
Mur, che aveva ormai compreso cosa stesse accadendo. È il veleno di quelle
rose! Aggiunse, medicando in fretta il fratellino e sistemando le sue
ferite con dei medicamenti, prima di pregarlo di prepararsi in fretta.
“Corri a Nuova Luxor, con i tuoi
poteri, e porta qua prima che puoi il Cavaliere di Andromeda!” –Ordinò Mur, con
voce calma ma decisa al tempo stesso. –“Egli è il solo che possa esserci
d’aiuto per risolvere questo delicato problema!”
“Andromeda?! Ma se fosse ancora
sulla sua Isola?” –Balbettò Kiki, senza comprendere molto.
“Allora è là che lo cercherai!
Sbrigati, Kiki, te ne supplico! Porta qua Andromeda! Ma soltanto lui!” –Incalzò
Mur, mentre Kiki annuiva, concentrando i propri sensi e scomparendo dalla Prima
Casa in un lampo di luce.
Mur sospirò, voltandosi verso Asher
e collegando quanto avvenuto agli insegnamenti che aveva ricevuto da Sion e dai
discendenti di Mu anni addietro, quando era ancora un apprendista Cavaliere.
Adesso, ripensando alla nebbia che aveva visto sollevarsi sulla parte bassa del
Grande Tempio, alle rose di cui Kiki lo aveva informato, e all’attacco di cui
erano rimaste apparentemente vittime Castalia e Tisifone, il Grande Mur riuscì
a mettere insieme tutti i dettagli. E pregò che Pegasus e gli altri rimanessero
lontani da Atene.
Era quasi l’alba quando
l’affaticato cosmo di Kiki lanciò un appello al fratello, che attraverso lo
spaziotempo riuscì a percepirlo e ad aiutarlo a ritornare alla Prima Casa
dell’Ariete. Visibilmente sollevato alla vista che Andromeda era con
lui.
“Ma cosa sta succedendo, Mur?”
–Domandò il ragazzo, che indossava i suoi abiti informali, ancora stordito
dalla rapida concatenazione degli eventi. –“Kiki è venuto fin sull’Isola di
Andromeda a cercarmi!”
“Sono… stato bravo!” –Mormorò il
bambino, accasciandosi al suolo, esausto per il prolungato sforzo.
“Sì! Ti sei comportato da vero
Cavaliere, Kiki! Ma il sacrificio che devo chiederti temo che non sia ancora
finito! Perciò riposati, in questi pochi minuti che ti sono concessi!”
–Commentò Mur, guardando il fratello con occhi pieni di orgoglio, e di
rammarico al tempo stesso. –“Andromeda, la situazione è grave! Dobbiamo agire
al più presto, o corriamo il rischio di rimanere gli ultimi Cavalieri di
Atena!”
“Spiegati, Mur! Le tue parole
sono enigmatiche!” –Esclamò Andromeda, con apprensione.
Il Cavaliere di Ariete narrò al
ragazzo gli eventi verificatisi in quella lunga giornata, dall’aggressione di
Asher al cimitero al presunto attacco al Cancello Orientale, puntando il dito
contro le rose rosse che avevano infestato l’intero Grande Tempio,
responsabili, con il loro aroma, della nebbiolina infernale che stava
sovrastando l’intera struttura.
“Delle rose? Non capisco!”
–Balbettò Andromeda.
“E invece dovresti! Proprio tu,
che alla Dodicesima Casa di Fish hai avuto modo di tastare con mano quanto
pericoloso potesse essere quel nobile fiore!” –Commentò Mur. –“Non una specie
qualsiasi, bensì una che credevo estinta da secoli! La rosa di rabbia, una rosa
demoniaca creata dagli alchimisti di Ares millenni addietro!”
“La rosa di rabbia?! Un nome
foriero di morte!” –Mormorò Andromeda.
“Precisamente! La rosa di rabbia
era una specie particolare di rosa, dai petali dal macabro color rosso ombra,
capace di attrarre tutte le rabbie e i rancori del mondo, risvegliando così
negli uomini il loro istinto animale, azzerando il raziocinio e rendendoli
simili a delle bestie! Tali istinti bestiali avrebbero consumato l’uomo,
spingendolo ad azzannare il proprio vicino e quindi se stesso, fino a ridurlo
alla parvenza di ciò che era stato! Fino a ridurlo… ad un’ombra!”
“Inquietante!” –Disse Andromeda,
con occhi pieni di timore.
“Ares la fece creare da un
gruppo di alchimisti che si ribellarono ad Atena, con lo scopo di impiantarne
folti gruppi in tutte le zone che intendeva sottomettere, in modo da assistere,
divertito spettatore, al massacro operato dai suoi stessi nemici, i quali,
privi di difese contro i loro stessi istinti, finivano per uccidersi gli uni
con gli altri, lasciando campo libero al Dio della Guerra!”
“Ares hai detto, eh?!” –Rifletté
Andromeda. –“Che ci sia Flegias dietro tutto questo?”
“Non abbiamo tempo per pensare a
chi l’abbia impiantata ad Atene, ma soltanto per decidere come noi la
estirperemo!” –Incalzò Mur, incamminandosi verso l’ingresso della Prima Casa.
Andromeda lo seguì, fermandosi in cima alla scalinata di marmo bianco e tirando
uno sguardo verso il basso, verso una fitta siepe di rose di rabbia cresciuta
ai piedi della Dodici Case. –“Osserva!” –Esclamò Mur, sollevando il braccio
destro al cielo e caricando il suo colpo segreto. –“Stardust Revolution!”
Una fitta pioggia di energia,
simile a stelle cadenti, sfrecciò nell’alba di Atene, schiantandosi contro la
siepe di rose di rabbia, distruggendola come fosse di carta. Ma i petali e i
fusti delle rose, crollati sul terreno, ne vennero immediatamente assorbiti,
dando vita a nuove e pericolose piante, forse anche in numero maggiore a quelle
preesistenti.
“È un circolo vizioso! Più le
tagli e più ricrescono!” –Affermò Andromeda stupefatto. –“Però… forse… Mur,
potrei spazzarle via con la mia Nebulosa di Andromeda!!!”
“Riusciresti a estirpare
soltanto la parte in superficie di quelle piante assassine, ma non le radici,
troppo penetrate nel terreno da poter essere sradicate da mano umana!”
“E allora cosa dobbiamo fare?
Rimanere qua impotenti mentre tutto il Grande Tempio viene contagiato? Quanti
altri, oltre ad Asher, ne saranno stati infettati?” –Gridò Andromeda,
rientrando con Mur all’interno della Casa di Ariete.
“Due soltanto, per il momento!
Castalia e Tisifone! Ma temo che gli effetti sui soldati semplici non
mancheranno di farsi sentire quanto prima!” –Commentò Mur. –“Il modo in cui
agisce la rosa di rabbia è singolare, ed è forse il nostro piccolo vantaggio
per batterla sul tempo! Tu sai, Andromeda, che il legame che unisce ogni
Cavaliere con la sua costellazione non è un legame di mera facciata, ma
un’influenza profonda, che agisce sull’animo del Cavaliere! Il tuo maestro ti
avrà certamente insegnato che tra noi e le stelle esiste una connessione
intima, per quanto non apparente, che ci permette di guidarle ed esserne
guidati! Di influenzarne il destino e di esserne a sua volta influenzati!”
“Ricordo che Albione una volta
mi fece un discorso simile!” –Annuì Andromeda. –“Ma questo cosa c’entra con la
rosa di rabbia?”
“Tutti voi, un tempo Cavalieri
di Bronzo, adesso Cavalieri Divini, avete avuto modo di provare sulla vostra
pelle tale intima connessione! Non è stato forse il tuo un destino di
sacrificio, fin dall’inizio, Andromeda? Non fosti immolato per superare
l’ultima prova del tuo addestramento, come nel mito greco la Regina Andromeda
fu offerta in sacrificio a Poseidone affinché le acque degli oceani in tempesta
si placassero? E non è Pegasus degno di incarnare il cavallo alato della
mitologia, le cui possenti ali sempre spiega verso il cielo? E non è forse
Sirio saggio e potente, come gli antichi Draghi di Cina, simboli di forza e al
tempo stesso di un’arcana saggezza? E cosa dire infine di tuo fratello, Ikki di
Phoenix, le cui continue lotte con la morte lo rendono più che meritevole di
essere la Fenice del nostro secolo?!” –Esclamò Mur. –“Il legame tra un
Cavaliere e la sua costellazione non è mai casuale, ma influisce sui destini di
un intero universo! Del suo personale universo! E la rosa di rabbia agisce
anche sui Cavalieri, per quanto essi, in virtù dei loro poteri, e
dell’addestramento che hanno ricevuto, dovrebbero essere maggiormente in grado
di tenere a freno i loro istinti! Ma quando è il legame stesso con la
costellazione ad essere intaccato, quando è l’istinto animalesco di Pegaso, o
del Drago, o della Fenice, ad essere risvegliato, privo di ogni razionale
controllo, cosa ne resta dei freni inibitori degli uomini?”
“Dei dell’Olimpo!” –Mormorò
Andromeda, che aveva compreso la gravità della situazione. –“Se mio fratello e
gli altri fossero ad Atene… in virtù dei simboli che li rappresentano… sarebbe
una strage!”
“Una catastrofe senza
precedenti!” –Concordò Mur, con voce pacata. –“Per questo ho mandato Kiki a
cercare proprio te, che, oltre a essere l’uomo con il cuore più puro di questo
mondo, e come tale teoricamente inattaccabile, sei anche privo di qualsiasi
istinto animalesco, non essendo la tua costellazione legata a bestia alcuna! Ma
fai comunque attenzione a non esporti troppo! Questo non ti differenzia dalla
massa di uomini comuni che, aspirati gli odori della rosa di rabbia, presto o
tardi scivolano nella pazzia!”
“Cosa devo fare?!” –Disse infine
Andromeda, con un gran sospiro, consapevole del suo delicato ruolo in quella
situazione.
“Secondo i testi antichi dei
discendenti di Mu, c’è solo un modo per distruggere la rosa di rabbia! Un
liquido che deve essere cosparso sulle sue radici, in modo da impedirle di
riprodursi! Il sangue di Biliku!” –Spiegò infine Mur.
“Biliku?! Non ho mai sentito
questo nome! Chi è?”
“Chi o cosa è!” –Precisò Mur,
spiegando la storia della creatura. –“Si tratta di una creatura primordiale che
vive nelle isole Andamane, al largo della Birmania, il cui aspetto, narrano i
libri, è quello di un’enorme donna-ragno! Un essere in parte umano e in parte
bestia!”
“Una donna-ragno?!” –Sgranò gli
occhi Andromeda.
“È una delle creature più
antiche del mondo, adorata un tempo dagli indigeni del golfo del Bengala!
Abbiamo bisogno del suo sangue, poiché pare proprio che si tratti dell’unica cosa
in grado di estirpare queste rose maledette! Probabilmente in virtù della sua
origine animalesca, a tratti oscura, pare che il sangue di Biliku sia capace di
rendere sterile persino il giardino meglio coltivato!” –Spiegò Mur.
“D’accordo, Mur! Troverò questa
Biliku e ti porterò… il suo sangue?! Dovrò dunque ucciderla?!” –Chiese infine
Andromeda, preoccupato dalla possibilità di dover ferire una creatura che, per
quanto disgustosa potesse essere, rimaneva comunque innocente, ed estranea alle
loro guerre.
“Non sarà necessario! Tieni,
prendi quest’ampolla e riempila fino alla cima!” –Esclamò Mur, fissando
Andromeda negli occhi. –“Il destino di tutti i Cavalieri è nelle tue mani
Andromeda! Andrei io stesso, ma non posso muovermi, con Asher in queste condizioni,
e con il Grande Tempio indifeso! Inoltre, a differenza tua, potrei risentire
maggiormente degli effluvi delle rose di rabbia! Certo, il cosmo di Atena tiene
per il momento queste piante maledette lontane dalla soglia delle Prima Casa, e
anche le pozioni di Mu dovrebbero rallentare gli effetti di quell’animalesco
odore, ma non possiamo rischiare! L’incertezza è un lusso che adesso non
possiamo permetterci!”
“Sarò degno della tua fiducia,
Grande Mur!” –Esclamò Andromeda, accennando un sorriso.
Mur fece un cenno a Kiki, e il
ragazzo si avvicinò ad Andromeda, prendendolo per mano. Lo avrebbe accompagnato
in quella nuova avventura, fin nelle perigliose Isole Andamane. Scambiarono un
ultimo sguardo con il Cavaliere di Ariete, che augurò loro buona fortuna, prima
di scomparire in un lampo di luce.
“Fate attenzione, amici miei! Se
chi ha ricreato le rose di rabbia è a conoscenza anche del segreto di Biliku,
potreste incontrare inconvenienti spiacevoli!” –Mormorò.