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Autore: verystrange_pennylane    15/12/2014    6 recensioni
John Lennon, giovane sognatore, punta a conquistare il cuore della bella Cynthia. Si trova dunque, in una notte d'estate, ad esprimere un desiderio ad una stella cadente.
Ma cosa succede se, quella stella, in realtà si rivela essere un ragazzo di nome Paul?
Storia ispirata a "Stardust" di Neil Gaiman.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mr. Moonlight
 
Capitolo 5


 

Ebbene sì, quello che avevano davanti era George, la stella scesa sulla Terra alcuni anni prima, la persona che avevano cercato inutilmente per tutto il pomeriggio.
Paul mise subito in imbarazzo l'amico, assalendolo con un abbraccio caloroso. Dopodiché, cominciò a fargli domande: come stava, cosa faceva, come sopportava la pressione atmosferica terrestre così bene?
George si limitava a rispondere a monosillabi, e alla fine scoppiò a ridere.
"Non mi eri mancato affatto, Paul!" scherzò, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
John intanto lo guardava, incerto se interrompere quella scena oppure no. Una parte di lui si sentiva messa da parte, ed era geloso di vedere un rapporto così intimo tra i due. Ma era normale, in fondo si conoscevano da secoli. Non come loro…
"E tu sei il suo umano? Qual è il tuo nome?" George interruppe così i suoi pensieri, porgendogli la mano.
“John, John Lennon."
"Mi dispiace amico, ti è capitata la stella più rompiscatole dell'intero creato." Doveva aver percepito il suo disagio iniziale, perché con parole e gesti misurati e calmi, stava facendo di tutto per mettere John a suo agio.
"Che bello sapere che non sono tutte così! Tu mi sembri già più simpatico!" rispose con una smorfia divertita il ragazzo.
"E aspetta che ti racconti qualche bella storiella!"
La verità era che George aveva una serenità contagiosa, e il suo sorriso trasmetteva pace e voglia di amicizia. Che fosse una qualità reduce dal suo passato di stella? John lo conosceva da pochi minuti e già si sentiva suo amico. Paul intanto aveva il viso di una vivace sfumatura di rosso, e si mordeva il labbro, preoccupato dalla piega che aveva preso la conversazione.
"Ma insomma ragazzi, contegno!" esclamò infine, frustrato.
John si sforzò di non scoppiare a ridergli in faccia. La stella aveva un'espressione imbronciata ed orgogliosa in modo adorabile. Non che volesse o potesse ammetterlo, chiaro, ma quel pensiero gli si era fissato in testa, e pensò di scacciarlo con l'ennesima battuta.
"Senti George, non è che avresti voglia di farmi tu da stella? Questa rompe troppo e non so come rimandarla al mittente!" e così dicendo, si avvicinò quanto bastava per scompigliare i capelli di Paul, facendolo arrossire ancora di più.
George di tutta risposta sorrise a quella scena, e approfittò degli istanti successivi di silenzio per invitarli a casa sua: lì avrebbero trovato una minestra calda e un divano accogliente su cui dormire. Al solo sentir pronunciare una parola così morbida, John percepì la stanchezza piombargli addosso, e fu molto felice di accettare l’ospitalità del ragazzo.
Attraversarono tutta la parte più borghese di Didsbury, quella dove avevano girato poche ore prima senza successo, e arrivarono nel quartiere irlandese, più in periferia.
George mostrò ai due ragazzi un piccolo pub dai mattoni di un bellissimo verde smeraldo. Si trovava lì poche ore prima, quando un suo coetaneo era corso a chiamare lui ed un paio di altri ragazzi. A quanto pareva, in pieno centro paese, un duo di musicisti aveva attirato una gran folla, mescolando borghesi e operai, e facendoli ballare tutti insieme. La cosa gli puzzava di magia, non capiva il perché.
George, dunque, era accorso immediatamente, un po’ spinto dalla curiosità e un po’ da qualche birra di troppo, peccato che fosse arrivato in tempo solo per sentire l’ultima canzone. Ma la sorpresa di trovare Paul con la chitarra in mano era stata troppa.
“All’inizio pensavo di sbagliarmi, ci vedevo poco a causa della folla. Ma la tua voce, Paulie, è inimitabile.”
La stella aprì la bocca per rispondergli, quando fu interrotto.
“Eccoci alla mia reggia!”
John sgranò gli occhi: chiamarla casa era un gran complimento.
Era una delle tantissime dimore di operai della zona, dai mattoni rossi e dalle porticine scure. Già da fuori si notava però che era la più piccola della strada, tanto da avere una sola finestra.
I ragazzi capirono subito che non si erano sbagliati. L’ingresso era in comune con l’appartamento del piano di sopra e con quello del piano di sotto, e la “reggia” di George era composta solo da tre stanze: camera da letto, salotto e cucina comunicanti. Il bagno era all’esterno, nel piccolo giardino sul retro. Chiaramente, in comune anche quello con tutti gli altri.
John era immobile sulla porta. Non era mai entrato in una casa operaia, e si sentì profondamente stupido e fortunato allo stesso tempo.
Fortunato per quello che aveva a Liverpool, per la sua villetta grande e spaziosa, con una stanza da bagno all’interno, con un bel giardino curato. Stupido perché aveva passato troppi anni a voler scappare dalla sua vita, a lamentarsi di quello che aveva, mentre c’erano persone che con poco o nulla vivevano felici e grate. Prima gli Starr, ora George..
John si voltò immediatamente verso Paul, per studiare la sua reazione, e fu sollevato di vedere che non era stata tanto diversa dalla sua. Si era zittito, e il suo sguardo continuava a vagare da un angolo all’altro della piccola casa, senza tregua.
“Ma George..” riuscì a dire, dopo qualche istante. Il suo tono era basso, sia per l’ora tarda, sia per lo sgomento.
“Signor Harrison, le sembra questa l’ora di rientrare?” li interruppe una voce di donna, calda e sensuale.
L’attenzione di tutti si spostò verso la porta della camera da letto, da cui uscì una ragazza. Aveva all’incirca la loro età e sul suo bel viso, incorniciato da lunghi capelli biondi, risaltavano i grandi occhi azzurri.
La vestaglia da camera con cui era vestita faceva intendere che non si aspettasse degli ospiti, e cercò di nascondere l’imbarazzo mordendosi il labbro inferiore, mettendo in risalto la sua bocca carnosa.
Insomma, anche se mezza addormentata, era una visione paradisiaca. I due ragazzi si ammutolirono all’istante, e si sentirono un po’ a disagio davanti a quella presenza femminile così bella.
“Paul, John, vi presento mia moglie: Pattie Harrison!”
Moglie?!” esclamò Paul, sorpreso, sgranando gli occhi.
La reazione esagerata del compagno aveva fatto calare un silenzio imbarazzante, e John pensò di sdrammatizzare dicendo quanto George fosse fortunato ad essersi accaparrato una donna così bella. Quando poi lo vide avvicinarsi a lei per stringerla a sé e darle un bacio sulla fronte, non poté non pensare che fossero una coppia perfetta.
“Tesoro, le presentazioni: John e Paul. Paul è un collega, mentre John è un suo amico. Staranno qui per stanotte.”
La ragazza annuì e strinse la mano ad entrambi.
“Domani lavoro tutto il giorno, all’alba devo essere già fuori casa, quindi buonanotte ragazzi. Non fate troppo chiasso eh!” e sorridendo in direzione del marito, ritornò a letto.
“John, Paul, vi preparo una tazza di brodo, così possiamo parlare senza essere disturbati. Aspettatemi sul divano.”
La stella era estremamente curiosa di sapere cosa avesse fatto l’amico sulla Terra per tutto quel tempo. In realtà pensava più ad essere aggiornato su Pattie che alle domande su come tornare in cielo.
Si sedette accanto a John, e si preoccupò nel vederlo ombroso.
“Tutto bene, Jay?”
“Sono solo stanco, stellina. Molto stanco.” Disse, strofinandosi gli occhi chiusi.
Paul lo guardò per qualche istante e si trovò a sorridergli teneramente.
“Dovresti riposare allora.” Neanche il tempo di dirlo, che sentì i respiri dell’altro farsi più profondi.
Era tanto stupido volerlo accarezzare?
Era stupido voler appoggiare la testa sulla sua spalla e riposare, solo per qualche minuto?
Paul non ebbe una risposta a questa domanda, perché non appena si appoggiò a John, si addormentò all’istante.
 

“Amore così li svegli.” Era.. era la voce di George quella?
“Lo so, ma devo andare a lavorare! Hanno dormito così tutta notte?” Questa era una voce femminile, Paul ne era sicuro.
“Credo di sì. Li ho trovati nella stessa posizione di ieri sera.”
“Oh poveretti, si sveglieranno con il mal di schiena.”
“Sei incredibile, amore.”
“Ci possiamo fidare a lasciarli da soli in casa nostra tutto il giorno?” se solo avesse avuto la forza di aprire gli occhi, la stella avrebbe potuto anche mandare a quel paese quella donna mal fidente.
“Sì. Gli lascio un biglietto prima di uscire, e poi alle sei io sarò a casa.” 
“Va bene, buona giornata amore.” La ragazza se n'era andata. Il tonfo della porta d’ingresso lo fece svegliare definitivamente. 
Paul non era ancora abituato ai nuovi orari umani, il suo sonno era incredibilmente leggero e nonostante il corpo gli chiedesse di dormire ancora, la sua mente era già attiva.
Ora ricordava: si trovava a casa di George, e la voce femminile di prima era quella della moglie, Pattie.
Incredibile, il suo amico si era sposato. Chissà se era lei la famosa donna per cui si era fatto cacciare dal cielo!
Decise di aprire gli occhi e di alzarsi, un po’ perché cominciava a sentire davvero la schiena dolorante, un po’ perché voleva parlare con George finché John era ancora addormentato.
Già, John.
Lo sentiva ancora respirare profondamente sotto di lui. Sciogliere la posizione in cui si erano incastrati fu difficile, perché nonostante tutto, tra le braccia del giovane umano stava bene, ma si fece forza e si alzò.
Si diresse a passi leggeri in cucina, prendendo alla sprovvista il giovane amico mentre beveva del tè nero, rischiando di far cadere la tazza dallo spavento.
“Cristo, Paulie, vuoi farmi morire di infarto?”
La stella chinò il capo a mo’ di scusa e si sedette al tavolino accanto a George.
“Allora, di cosa dovevi parlarmi ieri sera?” la sua voce era roca, ma il suo tono era stranamente serio e preoccupato.
“No Paul, non chiedermelo. Non alle sei della mattina. Ora io finisco il mio tè e vado a lavorare. Stasera voi due mi aspettate a casa e ne parliamo tutti insieme, va bene? Pattie torna alle otto, avremo un paio di ore per discutere liberamente.” E si alzò. Alla stella non era sfuggito il fatto che George si fosse rabbuiato a quella domanda, e non sapeva se fosse solo colpa dell’orario o del discorso scomodo che dovevano affrontare.
Si salutarono con un cenno della mano e Paul si trovò all’improvviso solo e senza nulla da fare.
Moriva dalla voglia di rompere le scatole a John, di svegliarlo e stare con lui, ma non poteva... stava dormendo così bene! Gli faceva una gran invidia.
La sua pancia brontolò rumorosamente e si ricordò all’improvviso che era da un giorno che non mangiavano; la sera prima erano così stanchi da essersi dimenticati dei morsi della fame. Alzò lo sguardo verso la dispensa degli Harrison, ma con quale cuore poteva privarli del cibo, quando chiaramente avevano problemi economici?
Gli venne un’idea. Prese dalla tasca dei pantaloni qualche scellino e si diresse verso il centro paese.


John si svegliò quando il sole era già alto nel cielo. Avrebbe dormito ancora, ma era stato svegliato dai morsi della fame e dai rumori sinistri che emise il suo collo dolorante.
Si stropicciò gli occhi e fece fatica a mettere a fuoco la realtà che lo circondava. Non era a casa sua, né a casa dei suoi amici di Liverpool. Dove diavolo era?
Neanche il tempo di pensare ad una risposta plausibile, che si trovò davanti la faccia di Paul, spaventosamente vicina alla sua.
Ah già, ora ricordava.
“Finalmente ti sei svegliato! E’ quasi ora di pranzo!”
“Dio, perché urli?”
“Non sono Dio, Jamal, sono Paul.”
Era una fortuna che John non sapesse dove nascondere il cadavere di una stella a Didsbury, o l’avrebbe ucciso. Oh sì, l’avrebbe fatto eccome.
“Cosa vuoi, Paul?”
“Mi annoiavo terribilmente. Ho fatto di tutto per svegliarti, ho persino fatto cadere accidentalmente qualche pentola, ma niente, ancora russavi.”
“Io non russo! Ehy, aspetta… quelle sarebbero ‘qualche pentola’?”
Già dal divano e nonostante i suoi problemi di miopia, poteva ben vedere che sul pavimento della cucina era stata rovesciata tutta la dispensa.
Si mise le mani nei capelli, incerto se ridere o piangere. Alla fine scelse di ridere, e fu difficile smettere.
“Avevi altri motivi per cui distruggere la casa del tuo migliore amico, o l’hai fatto solo per noia, stellina?” disse quando riuscì a ritornare serio.
Paul non aveva interpretato bene le grasse risate che l’altro si era fatto alle sue spalle, e lo squadrava con superiorità.
“Non mi prendere in giro, umano, ti ho preparato la colazione.” Gli rispose con tono stizzito, facendo un piccolo cenno del capo verso il tavolo della cucina.
“Davvero? Oddio, potrei baciarti, stellina!” esclamò John, alzandosi con uno scatto e fiondandosi verso il cibo.
E Paul, arrossendo, sgranò gli occhi e lo seguì con lo sguardo, dimenticandosi in un solo istante di essere arrabbiato.

La giornata era piovosa e cupa, e decisero di passarla in modo tranquillo e casalingo. Dopo il modesto pranzo, si limitarono a strimpellare la chitarra e a riposarsi.
Quella giornata di pausa era inaspettata nei piani di John, dopo tre giorni via da casa, pensava di essere già di ritorno a Liverpool. Ma in fondo non poteva dire che gli eventi avessero davvero seguito i suoi piani, da quando aveva lasciato la sua città di origine. E la cosa non gli dispiaceva affatto.
Gli scocciava ammetterlo, ma Paul non era poi così male.
Soprattutto perché, forse rispecchiando un po’ il clima, quel pomeriggio sembrava più riflessivo e pacato. Gli stava insegnando un brano semplice, per mettere in pratica gli accordi imparati, ma ogni tanto si incupiva, e diventava difficile concentrarsi sulla canzone, per John. La stella aveva un’ombra, in quei suoi grandi occhi, che non gli aveva mai visto prima. Forse era preoccupato di non riuscire ad esaudire il suo desiderio?
“Tutto bene, stellina?”
Paul si destò finalmente e spostò l’attenzione su John. Fu come se lo mettesse a fuoco di nuovo.
“Sì, mi sento solo stanco, molto stanco. Credo sia colpa della pioggia.” 
“Vuoi un tè?”
“Sì, grazie.”
La verità è che quella del tè era solo una scusa per John per allontanarsi un po’ da Paul, per lasciarlo da solo coi suoi pensieri e per poter a sua volta stare da solo con i suoi.
Era così distratto e preoccupato, in realtà, che aveva messo sulla stufa il bollitore senza l’acqua, e la cucina si riempì di fumo e puzza di bruciato. Cosa diavolo gli stava succedendo? Perché sentiva il bisogno di tenere lo sguardo fisso su quella dannata stella? Stella che di solito passava il tempo a rompere le scatole e ora sospirava e basta, senza aprir bocca?
Alla fine quando tornò sul divano, stringendo in mano le due tazze bollenti, sentì che quella che stava suonando Paul era una ballata irlandese, lenta e nostalgica.
So fare thee well, my own true love, 
And when I return, united we will be. 
It's not the leaving of Liverpool that grieves me, 
But, my darling, when I think of thee.
 
“L’hai inventata tu?” e di nuovo, per John, fu come svegliarlo da una trance.
“No, è una ballata di parecchi anni fa. E’ stata scritta da un marinaio che stava partendo per l’America. Non chiedermi come faccio a conoscerla, vorrei saperlo anche io!” Rise nervosamente e si strinse nelle spalle, prima di riprendere a canticchiarla.
“Hai veramente una voce splendida, Paul. Proprio non capisco perché non volessi cantare.”
In preda all’imbarazzo, la stella abbandonò la chitarra sul lato vuoto del divano e si fiondò su una delle due tazze, bevendo un lungo sorso di tè.
Peccato fosse ancora bollente, e finì con il rovesciarlo tutto a terra, in preda allo shock.
“Ma perché non mi hai detto che era lava? Santo cielo, cos’è questa moda terrestre di avere tutto caldo? Cosa deve fare una povera stella per riscaldarsi mentre fuori viene giù il diluvio universale?”
John, di tutta risposta, scoppiò a ridere.
“Oh, bentornato Paul!”


Dopo qualche ora, finalmente George rientrò dal lavoro. Buttò le chiavi sul tavolo della cucina e si gettò sul divano, con un profondo sospiro. Si arrotolò una sigaretta, la accese e inspirò a lungo.
Paul si voltò a guardarlo, e per qualche minuto si sforzò di stare in silenzio, per lasciarlo riposare. Dopo un po’ il bisogno di sapere era troppo, e dovette parlare.
“Ne vale la pena, George?”
L’altro si limitò a guardarlo perplesso, non capendo a cosa si riferisse.
“Ne vale la pena, stare qui tra gli umani, sgobbare tutto il giorno per portare a casa due soldi da spendere in tasse e cibo, quando in cielo trovi tutte le comodità possibili e hai una vita perfetta?”
“Dimmelo tu, se ne vale la pena.”
Stavolta era il turno di Paul di essere perplesso, e così George decise di fargli un’altra domanda.
“Dov’è il tuo amico?”
“E’ andato a comprarsi il tabacco, perché?”
“Perché così so quanto possiamo parlare liberamente.” E con un gesto rapido, gettò il mozzicone fuori dalla finestra, lasciando che il vento e la pioggia lo sperdessero tra le strade di Didsbury.
Paul di tutta risposta si raddrizzò con la schiena, come uno scolaro richiamato davanti al preside. La verità è che aveva aspettato e temuto quel momento per tutto il giorno.
“Cosa vuoi dirmi?”
“Devo sapere cosa sai dell’esprimere i desideri.”
Ammettere all’amico che non sapesse assolutamente niente bruciava, bruciava moltissimo. Senza riuscire a controllarlo, il suo capo si irrigidì in un moto di ostentato orgoglio. La verità è che non credeva di aver bisogno di saperlo. Aveva insistito tanto per poter scendere sulla Terra, da non aver pensato di chiedere consigli prima.
Voleva solo fare qualcosa di diverso, come tutti i suoi amici, e non poteva umiliarsi mostrando le proprie lacune e debolezze. Ma non era stato comunque messo in imbarazzo dapprima da John e ora da George?
Che sciocco era stato!
“Come temevo. Non ne sai niente” Disse l’amico, come a leggergli nel pensiero.
Non provò nemmeno a giustificarsi o a difendersi. Serrò la mandibola così tanto da farsi male, e aspettò che George gli parlasse.
“Le stelle scendono sulla Terra per esaudire il desiderio del loro protetto. Come avrai visto, intervengono dei poteri magici che permettono alle stelle di facilitarsi il compito e aiutare l’umano, ma la verità è che esaudire un desiderio non è così semplice. Una stella deve essere in grado di raggiungere il suo massimo splendore e lì, lei e il suo protetto, pensando intensamente allo stesso desiderio, permetteranno a questo di realizzarsi. Ora, ti chiederai tu, come si raggiunge il massimo splendore?”
Paul scrollò le spalle, questa risposta la sapeva!
“E’ facile, è uno dei poteri di una stella. E’ uno dei più difficili, ci vogliono secoli di pratica.”
“E questo è quello che ti dicono i ‘capi’, amico. La verità è che c’è un altro modo.”
Il discorso fu interrotto brutalmente dalla porta che si spalancava, facendo entrare un John completamente zuppo e arrabbiato.
“Tempo di merda. Merda.”
George sussultò visibilmente. Proprio ora che stava arrivando alla parte importante del discorso, non poteva interrompersi. Aveva solo bisogno di qualche minuto…
“Jeremy, vai in camera a cambiarti. Credo che potrai prendere in prestito una camicia, vero?” Disse Paul, mosso da una curiosità morbosa, prendendolo sottobraccio e accompagnandolo, onde evitare che declinasse l’offerta.
La verità è che John bramava dei vestiti puliti e asciutti tanto quanto il suo amico bramava la fine della storia, e non si lamentò affatto della proposta. La stella dunque lo lasciò davanti all’armadio e tornò di corsa sul divano, dove si sedette più vicino a George.
“Allora, come posso fare?”
“Solo quando sarai immensamente felice potrai raggiungere il massimo splendore. Devi essere così felice da dimenticarti persino di essere al mondo.”
“E come posso fare? E’ impossibile!”
“Cosa è impossibile?” John era già tornato, e gli era capitato alle spalle, con i capelli fradici e arruffati, una camicia che si chiudeva a fatica e dei pantaloni che avevano visto tempi migliori.
“Amico, sei troppo magro!” disse a George, vedendolo ridere di quella scena.
“No, dai Jorgen, sei… bellissimo.” Commentò Paul, con un largo sorriso, cercando di non scoppiare a ridere.
John, frustrato, girò i tacchi e si diresse verso la cucina per prepararsi qualcosa di caldo.
“Ecco, così è un buon inizio.” Gli sussurrò nell’orecchio George, e la stella lo fissò perplesso per qualche istante.
A cosa si stava riferendo?





Angolo dell'autrice:

Buonasera a tutti!
Comincio già da subito con le informazioni riguardanti questo capitolo: la canzone cantata da Paul, è questa. Mi sono divertita moltissimo a cercare qualche ballata tradizionale, e ne ho cambiate parecchie nel corso della stesura della trama, ma alla fine questa è capitata per caso ed è stato amore a primo ascolto! Spero vi piaccia tanto quanto è piaciuta a me :3 
Questo capitolo è un capitolo di transizione, un "corridoio" insieme al prossimo... ci saranno dei dialoghi importanti, ecco perché mi sento buona (che sia colpa del Natale?) e ho deciso di pubblicare ben due capitoli nel corso di questa settimana! Questo oggi, il prossimo giovedì sera!
Sono inoltre felicissima di comunicarvi che ho praticamente finito di scrivere tutta la storia, e sono arrivata a 10 capitoli! Con questo siamo dunque a metà!
Detto questo, passiamo alla parte noiosa. Noto con piacere che le visite sono numerose, ma i pareri restano pochi... non mi interessa molto del numero delle recensioni, vorrei solo sentire qualche lettore silenzioso cosa ne pensa della storia, se gli piace, se non gli piace, il perché, cosa potrei migliorare. Ecco perché rinnovo l'invito: vi prego, scrivetemi, anche in messaggio privato.
Nell'attesa di ricevere qualche feedback in più, ringrazio le meravigliose personcine che ogni settimana recensiscono i miei capitoli con puntualità e fedeltà: Astoria McCartney & Paulmccartneyismylove. Inoltre, menzione speciale, specialissima alla mia beta preferita, nonché sostegno serale, Kia85. Grazie di cuore ragazze.
Che dire? Ho parlato fin troppo! Ci si legge giovedì!
Anya

 

 
   
 
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