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Autore: CainxAbel    15/12/2014    1 recensioni
"Certo che il Foam e il Legno stanno bene per costruire le armi".
"Li shippiamo?"
Fu così che nacque questa storia... i materiali in una veste umana ehehhehehe
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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La vita è strana: ci sono momenti che sanno bene come mangiarti vivo.
 
Era stato brillante, in ogni parola e in ogni gesto. Aveva sorriso in modo affabile, alzando la testa con spiccato orgoglio. Aveva impressionato i suoi futuri compagni di classe che lo guardarono incantati, pendendo dalle sue labbra. Aveva iniziato col piede giusto, ma si era promesso di mostrare la sua superiorità rispetto agli altri. Prese posto rapidamente  individuando subito l’ultimo banco libero. Un ragazzo lo studiò con lo sguardo, affascinata.
“Niente male per essere uno nuovo” commentò lei, lanciandogli un’occhiata eloquente.
Non disse altro, ma continuò a fissarlo. A sua volta lui la osservò a lungo: era bassina e nemmeno tanto carina. Aveva un’espressione perennemente disgustata, senza contare l’orribile caschetto scompigliato.
“Comunque piacere di conoscerti” mormorò lei leggermente imbarazzata “ mi chiamo Nichel”.
“Io Stagno”.
Il ragazzo sorrise in modo amichevole, nonostante fosse irritato dalla sua presenza. In realtà era soltanto teso e si guardava attorno con circospezione, perché aveva notato per primo le occhiate di Gold e Silver. Fece finta di non guardarli e di concentrarsi sulle lezioni, ma per quanto si sforzasse e per quanto Nichel tentasse di parlargli, il suo sguardo e la sua mente erano altrove.
 
“Chi arriva per primo a casa di Legno vince!”
A parlare con quel tono entusiasta era stato Silver. Non sembrava quasi un bambino per lo sguardo particolarmente determinato e maturo. Indossava una t-shirt bianca e jeans Armani e Stagno era colpito dalla sicurezza con cui si muoveva. Anche quella di Gold era molto simile,se  non superiore. I due sembravano fratelli.
“Cosa ne pensi, Legno? Molti hanno creduto che tu fossi un piccoletto debole.” commentò Gold.
Il diretto interessato sorrise con grinta. Portava i capelli molto corti e indossava una semplice t-shirt rossa col numero 70, pantaloni neri di una tuta che gli andavano leggermente larghi e scarpe da ginnastica che avevano conosciuto giorni migliori.
“Chi ha detto tutte queste sciocchezze perderà dei denti” disse, minaccioso “ Mi sto allenando ogni giorno nella corsa e quando sarò più grande andrò in palestra”.
“Wow, il nostro Legno vuole diventare Superman” rise Gold.
Stagno guardava affascinato i suoi amici. Legno era di un anno più grande di loro e sembrava così pieno di determinazione e aspettative. Si sentiva in soggezione o forse avrebbe dovuto definire disagio ciò che provava. Gold e Silver trasmettevano sicurezza, oltre al fatto che ostentavano una certa classe.
“Allora iniziamo?” propose Gold.
Gli altri annuirono, Stagno più timidamente. Si guardarono tutti con aria di intesa e di sfida e iniziarono a correre. Legno superò subito gli altri, facendo lo slalom tra i passanti, seguito subito dopo da Gold, che gli stava alle calcagna, in attesa di superarlo. Silver li distanziava di poco e Stagno era l’ultima ruota del carro. Gold riprese velocità e si trovò presto al fianco di Legno, che non voleva permettersi di essere superato. Dopo alcuni metri Legno perse velocità, mentre il piccolo Stagno, sempre più irritato dalla sua stessa lentezza,  riprese a correre con maggiore foga. Silver si voltò subito, stupito. Proprio nel momento in cui Stagno lo superò, Silver lo vide scivolare dal marciapiede e cadere disteso a terra. Legno e Gold si fermarono, mentre Stagno imprecava sottovoce. Gold e Silver si guardarono, trattenendosi a stento dal ridere a crepapelle. Legno si avvicinò a Stagno, tendendogli una mano. Stagno lo guardò, indeciso se afferrarla o no. Nel frattempo tentò di ricacciare indietro le lacrime. Ancora una volta si era mostrato un fallito.
 
Una gomitata di Nichel parve risvegliarlo da quegli incubi a occhi aperti. Dolorosi ricordi, frutto di un umiliante passato, pronto a graffiarlo con i suoi artigli.
“Ehi, Stagno, a cosa stai pensando? Da un po’ non scrivi nulla sul quaderno..”
La ragazza sorrise in modo amichevole, eppure lui si sentì irritato, studiato dagli sguardi altrui. Tutti gli occhi erano puntati sul nuovo arrivato: era inevitabile. Lui sentiva di odiarli, perché l’avrebbero giudicato. Lui era superiore a loro, non sarebbe diventato loro amico. Non era il loro zimbello. I suoi occhi si strinsero a fessura, mentre Gold e Silver lo fissavano divertiti. Era sempre stato così. Si guardarono con aria di intesa, tessendo segretamente le loro trame.
 
 
Sarebbe stato fin troppo semplice lasciare perdere ogni cosa e fingere che non fosse accaduto nulla, ma non era la via più facile quella che avrebbe fatto cessare il senso di oppressione all’altezza del petto. Nonostante le condizioni del suo occhio pesto e dei suoi lividi fossero migliorate, Legno avvertiva chiaramente quel dolore a livello fisico. Foam non aveva fatto altro che evitarlo per tutto il tempo. Erano così vicini, eppure così distanti. La fitta crebbe di intensità ed ebbe l’assoluta certezza di non riuscire a sopportala. Durante l’intervallo Foam fu sul punto di uscire dall’aula, guardandosi attorno, come se si sentisse minacciato. I suoi grandi e innocenti occhi color nocciola parevano smarriti. Legno si alzò dalla sedia e lo raggiunse rapidamente. In quell’incrocio di sguardi, Legno comprese che Foam non gli avrebbe rivolto la parola, nemmeno sotto tortura.
“Devo parlarti”.
“Senpai, ti prego..”
Lo sguardo di Foam era supplichevole e allo stesso tempo mortificato. Pareva lontano anni luce e la fitta divenne più intensa.
“Foam, non puoi fare così. Mi odi così tanto da voler evitarmi?” il tono di Legno era a stento controllato.
“Non è questo, è che potrebbe succedere di nuovo… ciò che è accaduto a casa del Mangiagatti, intendo. Senpai, dico davvero, lascia stare uno sfigato come me. Finiresti solo col rimetterci”.
Foam abbassò lo sguardo e si allontanò. Legno si sentì sprofondare e maledisse mentalmente la sua debolezza, Gold, Silver e la loro squallida compagnia. Era così straziante la prospettiva di essere impotente di fronte agli eventi. Strinse i pugni con rabbia e li serrò così forte da lasciare i segni delle unghie sui palmi delle mani. Foam scappava ancora da lui, nonostante i giorni trascorsi. Anche lui uscì dall’aula, ma non aveva intenzione di raggiungerlo.
Non posso seguire qualcosa che è stato perso.
Con quel cupo pensiero si districò tra la folla di studenti che si stava assembrando vicino ai distributori. Come al solito Leather squadrava la gente con la sua consueta arroganza. Lei era solo altezzosa e separava gli altri dal suo mondo. Allora era vero: lui e lei appartenevano a mondi diversi. Il suo unico attimo di conforto fu quando si affacciò a una finestra che dava sul cortile. Là fuori c’era qualcosa che andava al di fuori dei suoi problemi e dei suoi dispiaceri. Si sfiorò il collare borchiato nero che indossava e rimase lì a guardare le foglie ingiallite dell’autunno che stava per iniziare. Lui era come uno di quegli alberi che si stavano spogliando delle proprie foglie e avrebbe affrontato il gelido inverno. Sarebbe arrivata la sua primavera? Non avrebbe avuto bisogno di niente e nessuno e già odiava l’idea di essere forzato a dividere lo spazio e l’ossigeno con molte persone. Detestava tutti e chissà se odiava anche Foam… era bastato poco a separarli, giusto un po’ di paura da parte di quel piccoletto.
“Sei proprio tu, non è vero , Legno? È strano vederti contemplare la natura”.
Quelle sgradevoli parole furono seguite da una risata altrettanto sgradevole. Legno si voltò rapidamente e per qualche istante gli mancò il respiro. Ricordava il bambino che piangeva, cercando il suo aiuto, che era estremamente sensibile e si emozionava per poco. Tutto era ancora nella sua mente, ma non aveva mai visto quello stesso bambino diventare un giovane che lo fissava con arroganza. Dello Stagno dei suoi ricordi era rimasta qualche caratteristica fisica, come gli occhi tra l’arancione e il giallo che in quel momento erano stretti a fessura e il naso leggermente allungato.  Portava i capelli castano rossicci e qualche ciocca a malapena gli sfiorava le orecchie. Ciò che non era passato inosservato a Legno era il suo abbigliamento, tra la felpa Moncler, che sicuramente aveva pagato un occhio o due della testa e i jeans D&G chiari che contrastavano con il severo grigio scuro della felpa ( altro occhio della testa). In quel momento somigliava a Gold e Silver più che mai, forse persino nella piega delle labbra.
“Gli ex amici sono tutti uguali, ecco come finiscono” si trovò a pensare.
“Stagno, non ti avevo riconosciuto” disse, guardandolo a lungo “ Non sapevo se fossi tu dopo un lavaggio del cervello, ma l’hai confermato, a quanto pare. In questi giorni si parlava di uno studente che si sarebbe trasferito e molti dicevano che si trattava di te”.
“ A quanto pare parlavano di me prima ancora che arrivassi. A te come va , Legno? Sei il solito asociale?”
“Non c’è una persona che riesca a sopportare e vale anche per te”.
“Ma quanto siamo cattivi” Stagno si finse offeso “ Forse è perché tutti hanno capito come sei in realtà, soltanto uno…”
“Per favore, Stagno, rovina la vita a qualcun altro. Se proverai a farlo con la mia, renderò la tua un inferno”.
Il tono di Legno era assolutamente minaccioso e costrinse il diretto interessato a tacere. In fondo Legno non temeva che la sua vita potesse diventare un inferno, visto che lo stava davvero vivendo.
“Mi dispiace solo di aver buttato nel cesso anni della mia vita, credendo di essere tuo amico”.
Le parole di Legno erano sincere e cariche di emozione. Stagno si morse le labbra.
 
Era tra i colori dell’estate che aveva scoperto come momenti felici potessero sprofondare nel grigio.
“Wow, come passa in fretta il tempo. Abbiamo già finito tutti la scuola media”.
Legno voleva recuperare qualcosa con quelle parole, tra l’altro inutilmente. Stava seduto su un muretto con lo sguardo assente, pensieroso. Stagno si rifiutava di guardarlo.
“Ormai è finita”disse con rabbia.
Il sole illuminava i volti di entrambi, ma nel loro cuore c’era solo buio e dopo quelle parole solo silenzio.
“Non andrò alla tua scuola superiore, Legno” proseguì “Non posso sopportarlo ancora”.
Lo guardò con rabbia, come se fosse il suo acerrimo nemico e gli occhi di Legno sembrarono farsi grandi. Era mortificato.
“Mi hai sempre protetto, ma questa non era amicizia! Per colpa tua sono stato lo zimbello di tutti. Gold e Silver hanno cercato di aiutarmi, perché volevano rendermi forte”.
Legno non rispose, ma incassò il colpo. Tacendo acconsentiva e la rabbia di  Stagno non si placò. Una smorfia addolorata affiorò sul viso di colui che era stato un suo grande amico.
“Pensala come ti pare!” sbottò Legno “ Ma non piangere davanti a me quando mi vedrai di nuovo, se mai succederà”.
 
“Hai sprecato quegli anni fingendo di essere mio amico” disse Stagno con disprezzo.
“Attento a non piangere, quando scarichi su di me le colpe dei tuoi problemi”.
Legno era pronto ad attaccare ancora una volta, per difendere la sua dignità e il suo desiderio di solitudine.
“In realtà sei tu ad avere problemi, basta guardarti” .
Con quelle parole cariche di rabbia, Stagno si allontanò, sotto lo sguardo di Legno, che ribolliva d’ira.
 
 
Plexi faceva ancora fatica a credere a ciò che aveva visto qualche giorno prima. Aveva sempre considerato Iron il solito ragazzo introverso con gli occhi incollati ai fumetti. Non si era aspettata che potesse opporsi così fieramente a Gold e Silver, con una grinta che lei non immaginava possibile da parte sua. In quel momento Iron la stava guardando sorridendo, mentre mangiava le sue patatine con un’espressione beata. Lei mosse le labbra, nel tentativo di articolare qualche suono e di esprimere la sua ammirazione. Ebbe occasione di rendersi conto di quanto fossero dolci gli occhi di Iron , sospesi tra il grigio e il color nocciola. Scosse la testa e si limitò a lanciargli una rapida occhiata, imbarazzata. In ogni caso le sarebbe sembrato di parlare con un Iron diverso da quello con cui aveva a che fare ogni giorno. Proprio in quel momento vide arrivare Foam, che salutò entrambi con un rapido cenno della mano. Sembrò rabbuiarsi. Plexi si sentì stringere il cuore a quella vista: avrebbe voluto abbracciarlo rassicurarlo, ma non era il tipo da abbracci. Lei era abituata all’indifferenza e al silenzio. Desiderava un abbraccio, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederlo.
“Foam, non puoi andare avanti così” disse, facendosi coraggio “ Isolarti è ciò che Gold e Silver desiderano”.
“Plexi, non puoi capire. Legno..”
“Allora è lui il problema. Lo stai facendo soffrire con il tuo atteggiamento. Non solo è stato picchiato, ma ora lo stai ignorando: ti sarebbe piaciuto se lui avesse fatto lo stesso con te?”
Il diretto interessato scosse la testa, profondamente turbato. I grandi occhi verdi di Plexi lo stavano studiando. Avvertì un groppo in gola, avrebbe voluto sfogare quel mare di emozioni che lo stavano scuotendo da cima a fondo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non dover scappare più da Legno e per vivere un altro momento gioioso come quello trascorso al Neko no hime.
“Plexi, basta”.
“Iron” lei lo guardò con intensità “ Sei stato fantastico quando hai alzato il medio davanti a Gold e Silver. Vorrei vedere Foam fare lo stesso”.
Abbassò lo sguardo, poi si fece coraggio, guardando i suoi amici. Gli occhi di Iron erano sbarrati dallo stupore.
“Mi.. hai visto”.
Era imbarazzato, fu quasi sul punto di balbettare, poi Plexi assentì timidamente col capo. Emise un grande sospiro, mentre le guance gli divennero rosse.
“Voi siete miei amici” disse determinato “ Nessuno può dirmi di non frequentarvi più. Non sono solo i pomeriggi al cinema  o in fumetteria, ma le vostre risate, le vostre parole e i vostri sorrisi. Non posso rinunciare a tutto questo”.
Plexi sorrise appena e avvertì l’improvviso impulso di abbracciarlo, ma le sue braccia non si sarebbero strette attorno alle spalle di Iron. Era un’altra la persona che voleva davvero attirare a sé.
 
Era stanco. Della giornata, delle persone, di tutto. Quando tornò a casa, Legno gettò in malo modo la giacca sul letto. Voleva disfarsi di ogni cosa. Era come se ogni secondo gli bruciasse addosso. Lo specchio del bagno gli rimandò un’immagine che lo turbò. Era di un ragazzo che sembrava avercela col mondo intero, i capelli castani scompigliati, gli occhi segnati e le labbra piegate in una smorfia.
Si voltò dall’altra parte: quella vista gli era insopportabile. Per qualche istante pensò che gli andasse bene così, solo e senza amici, a pensare solo a se stesso.
Aiutare gli altri non serve a nulla, se non a ferirsi.
Era quello il pensiero che stava diventando un’ossessione. Si trovò a pensare a Stagno e alla sua aria saccente e arrogante, come se conoscesse tutto di lui.
“Non capisce un cazzo”si ripeté con rabbia.
Lo ricordava ancora da bambino, quando sorrideva timidamente, quando piangeva, quando lo ringraziava per il suo aiuto. Lui non aveva fatto altro che dargli consigli e incoraggiarlo. Aveva raccolto solo astio e solitudine.
Tirò un pugno rabbioso al muro, divorato da quella stessa angoscia che l’aveva avvinto mesi prima, quando aveva capito di non contare nulla per la ragazza che gli piaceva davvero. Non era in grado di amare qualcuno e nemmeno di essere un buon amico. Il suo ambiente naturale era nella libertà, da solo, dove nessuno poteva avvicinarsi a lui. Anche Foam… non ne valeva davvero la pena. Avrebbe dovuto evitare di sacrificarsi in quel modo assurdo. Cosa aveva guadagnato? Solo la fuga precipitosa di quel ragazzo.
Ti è piaciuto camminare sui vetri rotti, Legno? Continua a camminare.
Se lo ripeté mentalmente, poco dopo si sedette sul letto e rimase a guardare la sua stanza. Il suo sguardo cadde subito sulla custodia della sua chitarra elettrica. Era leggermente impolverata. Con un gesto molto deciso aprì la cerniera, rivelando il suo contenuto. Era una vecchia Ibanez nera e bianca che aveva personalizzato con alcuni adesivi a forma di teschio dalla cui bocca uscivano fiamme. Era la sua chitarra, la sua Kuroshi*1 . Se fosse stata una persona, l’avrebbe conosciuto meglio di chiunque altro. Aveva visto i suoi sorrisi, la sua costanza e la sua passione per la musica, ma anche il suo scoraggiamento, la sua rabbia, la sua inquietudine. Dopo il rifiuto di Leather, Legno l’aveva lasciata nella sua custodia, senza riuscire più a suonare. Era come se le dita si opponessero alla prospettiva di sfiorarla di nuovo. Legno trasse un gran sospiro e la riprese, sfiorando il manico e poi le corde a una a una. Forse avrebbe dovuto almeno lucidarla. L’affetto per quello strumento era ciò che gli impediva di venderlo. La tenne sulle ginocchia, lasciandosi inondare dai ricordi, sia lieti sia tristi. Avrebbe voluto trovare qualcuno che accettasse i suoi sorrisi assieme alle sue inquietudini e che il suo cuore diventasse duro come pietra, impossibile da scalfire.
 
 
Lo so, mi sono fatta viva solo dopo molto tempo, ma l’università chiama. Devo spiegarvi una cosa *1 che riguarda la chitarra di Legno. Il nome della sua chitarra è anche il nome della mia che giace nel dimenticatoio e deriva da Kuro ( che in giapponese significa “ nero” ) e Shiro ( che significa “bianco”).
p.s Legno fa tenerezza e Stagno mi innervosisce. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
 
 
   
 
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