Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Acinorev    17/12/2014    14 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

Capitolo sedici - My little girl

 

Un nuovo messaggio: ore 14.25
Da: Harry
“Alle 4 pm al mio appartamento?”
 
Per diversi minuti era rimasta bloccata ad un bivio: rispondere con una sviolinata sulla sua prolungata assenza dal mondo dei vivi avrebbe significato esporsi, dimostrare quanto si fosse indispettita per qualcosa che lei stessa aveva chiesto. Rispondere  positivamente, con la promessa di incontrarlo, sarebbe stato troppo accomodante: non voleva lasciargli credere di poter comparire e scomparire senza alcun problema – e di nuovo, nonostante fosse stata lei a chiedere una lontananza momentanea – soprattutto perché non era sicura che lui, testardo ed egoista come pochi, avesse semplicemente abbandonato i propri intenti per una richiesta. E per ben cinque giorni.
Fu tentata di non rispondere, in modo da evitare il problema e dimostrarsi in qualche modo troppo impegnata per potergli dedicare delle attenzioni.
Fallì clamorosamente.
 
Messaggio inviato: ore 15.07
A: Harry
“Perché?”
 
Una domanda neutra: non troppo interessata, non troppo disinteressata.
Patetica.
 
Un nuovo messaggio: ore 15.10
Da: Harry
“Perché no?”
 
Emma sbuffò come una bambina capricciosa, affondando il viso nel cuscino fresco e reprimendo un verso stizzito.
 
 
 
Harry l’aspettava sulla porta, con indosso un maglioncino grigio smesso e macchiato di bianco, abbinato casualmente ad un paio di shorts da basket. Aveva una sigaretta mezza consumata tra le labbra, che gli faceva assottigliare gli occhi mentre inspirava a lungo, ed i capelli legati in una crocchia alta e disordinata.
Quando Emma gli fu davanti, non si trattenne dal sospirare, alzando un sopracciglio.
«Sei in ritardo», la salutò lui, facendosi da parte per farla passare, mentre sul suo viso compariva un ghigno appena accennato.
Lei si morse il labbro inferiore ed evitò di guardarlo, arricciando il naso nel percepire un pungente odore di vernice fresca. «Stai pitturando?» domandò, sbirciando tutto intorno.
«No, è un nuovo profumo per ambienti», la prese in giro con un sorriso, chiudendo la porta e camminandole affianco.
Emma si voltò indispettita giusto in tempo, colpendogli il braccio con un pugno poco convinto. «Smettila di essere così simpatico, potrei non riuscire a smettere di ridere», lo canzonò, rivolgendogli una impercettibile smorfia che non poteva vedere, dato che lo stava seguendo in quello che ricordava sarebbe diventato un piccolo salotto.
«O potresti innamorarti di me», la corresse con noncuranza, dedicandole uno sguardo provocatorio ed inumidendosi le labbra, nello spegnere la sigaretta in un bicchiere di plastica, con poche dita d’acqua, appoggiato sul davanzale della finestra socchiusa.
Emma scacciò lo strano effetto di quelle parole, soprattutto per non dargli una soddisfazione. «Le tue battute scadenti non hanno il fascino che credi», precisò.
Sul pavimento era disteso un telo in plastica trasparente, che aveva già raccolto diverse gocce di pittura pallida: la stanza era vuota, luminosa e con una sola parete ancora da trattare, sporca di una vecchia verniciatura color paglierino. Osservò Harry chinarsi per raccogliere un pennello dal secchio che aveva ai propri piedi.
«Infatti tendo a sottovalutarle», concordò lui, dandole le spalle e cominciando a pitturare la parete con gesti decisi.
Emma alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Sbruffone».
Harry la ignorò, sicuramente nascondendole un sorriso. «Avanti, prendi il rullo e dammi una mano», la esortò, costringendola a guardarsi intorno per cercare l’oggetto in questione e per chiedersi se fosse uno scherzo.
«Mi hai fatta venire qui per farmi… Lavorare?» gli chiese scettica, corrugando la fronte. Non che si fosse creata delle aspettative, ma a tutto c’era un limite.
«Non la metterei proprio così», rispose lui, continuando a non guardarla. Ad ogni movimento del suo braccio, le sue scapole si muovevano sicure sotto il tessuto del maglioncino. «Ho solo pensato che di questo passo non avrei più finito».
Non poteva dire se stesse mentendo, se quella fosse solo una scusa per motivare il suo invito a casa. Poteva averne solo il sospetto.
«Quindi negli ultimi giorni è qui che ti sei nascosto?» indagò, muovendo un paio di passi nella sua direzione. Era certa che la domanda implicita che gli stava rivolgendo, troppo orgogliosa per poterla effettivamente pronunciare, fosse chiara e che stesse rimbalzando rumorosamente contro le pareti ancora impregnate di un aroma vagamente fastidioso.
Harry si voltò e la osservò con un sopracciglio sollevato, poi si passò il polso sulla fronte e si piegò per intingere il pennello nel secchio. «Sono stato impegnato», spiegò con un’alzata di spalle, tornando a preoccuparsi del muro, forse nella speranza di infastidirla.
«Davvero?» perseverò, senza arrendersi di fronte ai suoi tentativi di depistaggio. «Oppure hai semplicemente pensato di darmi ascolto?»
Era un azzardo, ma aveva un fondamento: Harry non sarebbe mai scomparso in quel modo, se fosse stato per uno screzio, anzi, si sarebbe ripresentato con più urgenza delle volte precedenti solo per dire la propria. Di conseguenza, c’erano poche possibilità che il suo silenzio fosse stato causato da un’insoddisfazione o da una ferita al suo ego.
Lui la guardò di sfuggita, inclinando le labbra in un sorriso aperto e lento. «Non sono troppo egoista per cose del genere?» domandò soltanto, riferendosi alle innumerevoli occasioni nelle quali Emma l’aveva considerato tale.
«Già», sospirò lei, nascondendo un sorriso. «Hai ragione».
Qualcosa di aspecifico nell’espressione di Harry insisteva per confermare la propria ipotesi: qualcosa nel suo modo di non guardarla, o di guardarla solo a modo suo, qualcosa nel suo modo di parlare ma di non dire tutto, qualcosa nel suo tono lascivo. E lei si sentiva in dovere di ringraziarlo, di dar credito a quel gesto compiuto sotto mentite spoglie, genuinamente soddisfatta e lusingata: così, tenendo fede a quel gioco di sottintesi, non si espresse a parole, ma camminò verso la parete opposta della stanza, raccolse il rullo da terra e tornò accanto ad Harry, intingendo l’attrezzo nel secchio e fingendo che un paio di occhi divertiti non la stessero osservando.
 
Emma controllò il tessuto del proprio maglione a trama larga e storse il naso, delusa dalle piccole macchie circolari che si era procurata. «Avresti dovuto dirmi di portarmi qualcosa di ricambio», mormorò.
«Avresti dovuto fare più attenzione», ribatté Harry, con una nuova sigaretta tra le dita: seduto a terra, aveva le gambe incrociate ed una lattina di Sprite di fronte a sé.
Lei corrugò la fronte e raccolse le ginocchia al petto. «Senti chi parla: ti sei sporcato persino i capelli».
Si erano presi una pausa, nonostante fosse passata poco più di mezz’ora, soprattutto perché avevano iniziato a discutere su come bisognasse effettivamente tenere un pennello e su quante passate di vernice fossero necessarie.
Harry si portò una mano sui capelli ancora raccolti e scosse piano la testa, inspirando del fumo: l’odore si mischiava a quello più forte della pittura, creando una strana combinazione alla quale si erano abituati. «È da stamattina che io sgobbo qui dentro, mentre tu ti sei conciata in questo modo nell’arco di pochi minuti», precisò, pronto a difendersi e a stuzzicarla.
«Be’, scusa se è la prima volta che faccio qualcosa del genere», replicò con una smorfia, rubandogli la lattina per poter godere di un sorso dissetante.
«Mi sento onorato», commentò Harry, sorridendole ancora con le fossette accentuate.
Pensandoci lucidamente, era assurdo che lei avesse deciso di aiutarlo senza alcuna esitazione, come se il loro rapporto fosse in ordine ed ordinario, fatto anche di piccolezze del genere. «Non ti ci abituare», lo ammonì infatti, come per smorzare la sua consapevolezza.
Lui alzò le mani in segno di resa, scherzando silenziosamente.
«Quando ti trasferirai qui?» chiese Emma, incuriosita dalla sue tempistiche.
«Non ne ho idea», sospirò lui. «Ci sono state diverse spese impreviste, quindi ora è un casino con tutti i mobili e il resto. Non ho ancora trovato un lavoro e non posso di certo prosciugare tutti i miei risparmi: credo che ci vorrà ancora un po’», spiegò.
Lei si limitò ad annuire, pensando che forse era anche quello il motivo per cui Harry aveva deciso di ridipingere casa con le proprie mani, anziché chiedere un aiuto professionale.
«E tu?» le domandò, espirando lentamente del fumo. «Come stai?»
Emma trattenne il respiro senza nemmeno accorgersene, continuando a sostenere il contatto visivo.
«Bene», mentì velocemente, deglutendo a vuoto.
Non stava bene, anche se cercava di convincersene ed anche se cercava di non pensarci. Le difficoltà derivanti dall’assenza di Miles, il rimpianto di tutti i propri errori ed il peso di quelli di qualcun altro, la presa di coscienza degli effettivi danni riportati, erano tutti fattori che incrinavano il suo umore, la sua integrità. E lei tentava di nasconderli, sorridendo e parlando tanto, persino dipingendo il nuovo appartamento di Harry Styles, ma era comunque consapevole della loro deleteria presenza.
Harry alzò impercettibilmente un sopracciglio, restando immobile a fissarla e come prendendo nota della menzogna di quella singola parola. Respirò lentamente. «Miles?»
Senza soffermarsi sullo sventare i suoi tentativi di protezione, le aveva fatto una domanda apparentemente generale, ma piuttosto infida: non le aveva chiesto in modo diretto come stesse andando la situazione con lui, non le aveva chiesto se l’avesse sentito o visto, ma avrebbe potuto averlo fatto, così come avrebbe potuto voler sapere se Miles fosse ancora nella sua testa, nelle sue giornate.
Di conseguenza, non sapendo a cosa rispondere, Emma cercò rifugio in qualcosa di più pratico. «Lo rivedrò tra qualche giorno, immagino», rispose, abbassando per un istante lo sguardo e reprimendo la stretta allo stomaco. «Dobbiamo partecipare ad una mostra».
«Un’altra?»
Lei annuì piano, chiedendosi quale strana ironia avesse deciso di giocare con la sua vita. «È stata una cosa improvvisa, l’abbiamo saputo nemmeno una settimana fa», commentò, con l’abbozzo di un sorriso amaro.
Harry aspirò a lungo dalla sua sigaretta, finendola. «Posso venire?»
Emma sbatté più volte le palpebre e corrugò la fronte, osservandolo gettare il mozzicone della sigaretta nella lattina di Sprite ormai vuota. «Perché?» si lasciò scappare.
«Cosa si fa ad una mostra d’arte, scusa?» rispose lui, in tono ovvio ma non annoiato.
L’idea della sua presenza non la rassicurava: avrebbe già dovuto confrontarsi con Miles e tutti i loro fantasmi, con l’opinione dei partecipanti che forse li sapevano ancora insieme, figurarsi se qualsiasi altro elemento disturbante si fosse aggiunto alla lista.
«Allora, posso venire?» ripeté, schiarendosi la voce sicura, quasi di pretesa.
«No», esclamò lei. «Meglio di no».
Harry assottigliò lo sguardo, infastidito. «E per quale motivo? Si può sapere?»
«Non voglio che Miles ci veda insieme», spiegò.
«Insieme?»
«Non voglio che veda te», precisò.
Lui sospirò e scosse il capo. «Dovrebbe essere felice di avere un fan in più», ribatté piccato.
«Non se quel fan sei tu», gli ricordò. Non voleva turbare Miles con la sua presenza, mostrarsi così insensibile nei suoi riguardi, obbligarlo a sopportare qualcuno del quale non si era mai fidato e fargli dubitare della propria buona fede.
«Tu vuoi che venga?» le chiese Harry all’improvviso, con un’espressione seria.
«Te l’ho già detto».
Si inumidì le labbra, lentamente. «No, mi hai detto se posso venire. Io ti ho chiesto se lo vuoi».
Emma si lasciò accarezzare dalla durezza altera di quelle parole, permettendosi per un istante di immaginare come sarebbe stato avere Harry al proprio fianco, tra una fotografia e l’altra a sostenerla o a prenderla in giro, tra la folla ad osservarla parlare con qualcuno di più o meno sconosciuto e a lasciarsi osservare a sua volta.
Non poteva negare che le sarebbe piaciuto.
«Non ha importanza», rispose, alzandosi in piedi solo per non dover sottostare al suo sguardo: sapeva dove voleva arrivare e non gliel’avrebbe permesso così facilmente. Le sue difese dovevano rimanere solide ed inespugnabili, persino e soprattutto per lui.
«Invece sì», la contraddisse Harry.
Lo sentì alzarsi da terra, mentre lei si avvicinava al muro per riprendere a pitturare: improvvisamente era diventata la sua occupazione preferita. «Hai già visto le  mie foto e hai già visto i suoi dipinti, non c’è motivo per cui tu debba insistere così tanto».
«Vorrei essere io a deciderlo, se non ti dispiace», replicò con un accento di stizza.
Nell’aria, oltre la nicotina e l’aroma della vernice, si stava infiltrando anche il preavviso del litigio che quasi sicuramente sarebbe esploso da lì a pochi istanti.
«Harry, smettila», sbuffò Emma, imprimendo più energia nei suoi movimenti. «Non puoi venire, non sarà questa grande mancanza». Non capiva se si divertisse a metterla in difficoltà – altamente probabile – o se fosse in qualche modo preoccupato da Miles, quasi volesse esserci a tutti i costi per controllare qualcosa.
«Credi davvero che basti un tuo “non puoi”?» le chiese in modo provocatorio, mentre i suoi passi sul telo di plastica trasparente risuonavano nel vuoto della stanza. Le si stava avvicinando sempre di più.
«Confido nella tua intelligenza, sì», esclamò caparbia, sperando che si arrendesse in fretta.
«Non mi sono mai vantato della mia intelligenza», le ricordò. «Solo del mio egoismo».
«Quante volte ancora pensi di tirarlo fuori?» si lamentò lei, intingendo il rullo nel secchio.
«Fino a quando mi servirà», fu la risposta beffarda che ottenne.
Si morse un labbro e serrò la mascella, tornando a dedicarsi ad una porzione della parete che non aveva nemmeno bisogno di un’ulteriore passata di vernice. Alzandosi sulle punte dei piedi, cercò di arrivare più in alto.
Quando la mano di Harry si posò sulla sua per rubarle il rullo, Emma quasi sobbalzò.
«Sei sempre stata troppo bassa», mormorò lui, restando alle sue spalle e sostituendola nel suo ruolo.
Lei finse di non riuscire a percepire il suo profumo e di non poter immaginare il suo addome contro la propria schiena, chiuse per un attimo gli occhi e riacquistò un contegno. «E tu sei sempre stato troppo gentile», protestò, dandogli una leggera gomitata ed insistendo per riappropriarsi del suo fedele attrezzo.
Harry non si allontanò.
«Sai», sussurrò invece, avvicinandosi in modo da parlarle accanto all’orecchio, «c’è ancora la mia ragazzina, qui da qualche parte», continuò, muovendosi lentamente fino a posarle le mani sui fianchi magri. Leggere, inattaccabili.
Emma spalancò gli occhi ed arrestò qualsiasi intenzione, abbassando il rullo mentre il proprio petto si agitava con una nuova intensità. Le parole appena udite le avevano inferto un colpo difficilmente tollerabile, reso più aspro dal contatto con le mani di Harry, con le sue dita: non aveva mai voluto chiedersi se averle di nuovo su di sé avrebbe potuta sconvolgerla, non aveva mai voluto essere costretta a darsi una risposta.
«Esce fuori quando litighiamo», riprese lui, accarezzandole il viso con il proprio respiro regolare. «Quando scherziamo, quando mi guardi. Quando ti tocco».
Non era vero, la stava ingannando. Si rifiutava di credere di essere tanto trasparente.
E si rifiutava di dar peso a quelle mani, ancora lì. La stavano schiacciando pur rimanendo immobili.
Harry le sfiorò il collo con il naso, con le labbra, facendola irrigidire. «Ma ora c’è anche qualcos’altro», soffiò sulla sua pelle. Il tono basso, ipnotico. «Qualcosa che a volte ti fa pensare a qualcuno che non sia tu, prima di tutto il resto, che ti fa addirittura riflettere prima di parlare e di agire. Qualcosa che è meno egoista, meno infantile. Qualcosa che ti fa piangere di fronte a me», continuò, senza concederle il tempo di ribattere, come se di tempo nemmeno ce ne fosse. Una parola dopo l’altra, la stava forzando ad ascoltarlo, persino a dargli ragione. «Qualcosa che mi manda fuori di testa».
Emma si lasciò sfuggire un respiro più intenso, serrando i pugni e cercando di controllare il disastro che stava ospitando. Il pensiero che Harry stesse scavando così a fondo in tutti i suoi cambiamenti la destabilizzava: si sentiva quasi violata, come se non volesse che qualcuno potesse accorgersi delle sue sfumature. Allo stesso tempo, si sentiva accolta.
«È questo che volevi capire?» mormorò Emma, vergognandosi della propria voce spezzata. «Quanto di me fosse rimasto? Cos’altro ci fosse?»
Sentiva di aver finalmente ottenuto una risposta: si sarebbe spiegato il comportamento di Harry che, nonostante la disprezzasse per la metà del tempo, tornava sempre a cercarla – proprio come faceva lei – ma senza mai provare a prendersela davvero. La stava studiando, alla ricerca di informazioni e di squarci della sua interiorità, forse diversa o forse no.
Harry le strinse appena i fianchi, premendosela contro, e appoggiò le labbra sulla linea del suo collo. Non in un bacio, ma in un semplice e crudele contatto: sembrava volerla spingere a ricordare. «Volevo capire se fosse solo curiosità», rispose in un sussurro naturale, senza nemmeno sforzarsi di ottenere la sua completa attenzione, «nostalgia».
Non riusciva più a sopportare il contatto, avrebbe voluto semplicemente abbandonarsi contro il suo petto e restare con gli occhi chiusi, libera di non resistere.
«O se invece, nonostante tu faccia piuttosto schifo a gestire questi due lati di te», proseguì lui, «tu sia ancora in grado di farmi lo stesso effetto».
Emma cedette.
Si voltò velocemente, in modo da averlo di fronte, in modo da poter respirare e da poter osservare quelle iridi che avrebbero potuto dirle molto di più. Scottata dalle sue parole e dai suoi respiri che sentiva ancora tra i capelli, sulla pelle, doveva cercare delle conferme, qualcosa a cui aggrapparsi.
«E cos’hai capito?» riuscì a chiedere, sforzandosi di mantenere un certo contegno e sforzandosi di non guardare le labbra che le stavano così vicine.
Era come impaurita, frastornata dall’idea di provare un disagio così forte nello stare accanto a qualcuno. Qualcuno che non era Miles, qualcuno che era Harry.
Lui restò serio, imperscrutabile, spostando gli occhi su qualsiasi centimetro del suo viso ed una mano sul suo collo, ad accarezzarla con movimenti impercettibili dei polpastrelli. «Ho capito che fino ad ora mi hai allontanato solo perché lo credevi giusto, ma non perché lo volessi sul serio», le rispose. Più vicino al suo volto. «Ho capito che mi hai fregato di nuovo».
Quel sussurro si spense a pochi centimetri dalla sua bocca, spingendola quasi a chiedere pietà, mentre le loro fronti si incontravano. Emma non era più in grado di ragionare lucidamente e non voleva nemmeno trovare le forze per farlo: era semplicemente incredula, confusa dal ritrovarsi di fronte a sensazioni che aveva lasciato anni prima, a desideri impellenti che credeva fossero sfumati definitivamente.
Si ostinava a restare immobile, a non toccarlo nemmeno per errore: temeva di scoprire qualcosa di troppo intenso, che l’avrebbe portata ad un punto di non ritorno.
«A cosa stai pensando?» le chiese lui a bassa voce, giocando a sfiorarle il naso con il proprio. E da quando parlava così tanto? Da quando lei non riusciva a fare altrettanto?
Lei si leccò le labbra, senza pensarci, e questo provocò una carezza più sofferta da parte di Harry. «A tutto», rispose soltanto: sbrogliare ogni sua più piccola ed ingombrante riflessione avrebbe richiesto troppo tempo, troppe energie.
«È davvero importante che sia giusto o sbagliato?» indagò lui, come in un blando ma deciso tentativo di dissuaderla: era facile immaginare le esitazioni di Emma, i pensieri che la ponevano al centro di una lotta tra pulsioni, la sua necessità di mettere ordine, Miles.
Lei serrò la mascella e continuò a tenere le iridi in quelle di Harry, tanto vicine da fare male. Avrebbe voluto schiudere le labbra e dire qualcosa, persino urlarla.
Il trillare del citofono, però, stroncò qualsiasi suo sforzo, facendola sobbalzare.
Harry tremò appena, forse non in attesa di una così brusca interruzione, e represse un respiro più profondo. Per una manciata di secondi si ostinarono a restare nella stessa posizione, forse chiedendosi se fosse meglio ignorare qualsiasi elemento di disturbo e perseverare. Ma il citofono richiamò ancora la loro attenzione e questo bastò a spezzare le loro intenzioni.
Emma fece un passo indietro, lasciando che la mano di Harry abbandonasse il posto sul suo collo e riappropriandosi di aria che non fosse intrisa del suo respiro e del suo profumo. Lui sospirò e la guardò un’ultima volta, allontanandosi lentamente per adempiere ai doveri del padrone di casa.
Lo osservò muoversi tranquillamente, o almeno all’apparenza: sperava di non essere l’unica ad avere un tale trambusto al centro del petto.
«È Walton», esclamò Harry pochi istanti dopo, aprendo la porta d’ingresso.
Emma non poteva vederlo dal salotto ed era meglio che anche lui non potesse vedere lei: temeva di avere ancora gli occhi sbarrati, in una reazione eccessiva a qualcosa di tanto inaspettato. Dio, non l’aveva nemmeno toccato. Sei anni prima, se lo sarebbe preso senza nemmeno pensarci: avrebbe portato le mani tra i suoi capelli, sulle sue scapole e sul suo petto, bramando sempre di più.
Attimi dopo, l’appartamento si riempì di una voce concitata e allegra, un po’ rozza e familiare. Walton entrò nella stanza con passi lenti, guardandosi intorno come per constatare a che punto fosse il lavoro. Appena la vide, ancora immobile nello stesso punto, corrugò la fronte e sorrise appena. «Clarke, hey», la salutò, accompagnato da un cenno del capo. «Non sapevo avesse chiamato anche te».
Emma gli andò incontro e si sporse per baciargli una guancia, sperando di risultare meno impacciata di quanto in realtà si sentisse: lei e Walton si erano mantenuti in contatto, durante tutti quegli anni, e si erano visti crescere e cambiare. Il ragazzo esile e dai lineamenti poco armoniosi aveva conquistato un carisma in grado di oscurare tutto il resto: portava i capelli corvini più corti e gli esercizi in palestra gli avevano garantito muscoli più definiti e qualche chilo in più.
«Ed io non sapevo avesse chiamato anche te», rispose Emma, stringendosi nelle spalle con un sorriso forzato. Credeva che Harry avesse chiamato lei e non anche qualcun altro, credeva che avesse voluto compensare quei giorni di lontananza, invece sembrava che non avesse capito un accidenti: probabilmente era vero, Harry aveva solo bisogno di una mano per ridipingere. Poco importava chi fosse ad aiutarlo.
«Be’, più si è meglio è», commentò Walton. «Anche se mi pare che siate già a buon punto».
«In realtà mancano ancora la cucina ed il bagno», intervenne Harry, riordinando secchi e pennelli. Senza guardarla.
Emma sentiva la stizza intorpidirle le mani. «Quindi… Buon lavoro», esclamò, con un’enfasi accentuata di proposito.
«Che significa? Te ne vai?» domandò lui, voltandosi verso il suo amico.
Harry incrociò le braccia al petto e la osservò a lungo, senza parlare.
«Dato che sono stata attirata qui con l’inganno, posso anche andarmene, ora che qualcuno può sostituirmi», spiegò velocemente, affrettandosi a recuperare la borsa dal davanzale sul quale l’aveva lasciata. Non voleva nemmeno inventare una scusa per congedarsi, voleva che la sua delusione fosse ovvia: le dava sui nervi il pensiero che Harry l’avesse sfiorata in quel modo, rivolgendole parole che l’avevano immobilizzata, quando in realtà l’aveva invitata per pura utilità. Ed era un capriccio, lo riconosceva, ma non le importava.
«Voi donne siete proprio assurde», la prese in giro Walton, scuotendo la testa mentre si toglieva la felpa scura.
«Non vuoi davvero iniziare un discorso con me su quale genere sia il più assurdo», lo ammonì lei, sorridendogli nervosamente.
«No, è vero», acconsentì lui. «Non ho proprio voglia di rovinarmi il pomeriggio».
Emma alzò gli occhi al cielo e gli infilò una mano tra i capelli per dispetto. «Buona giornata», salutò, senza voltarsi in direzione di Harry. Lo sentì comunque seguirla, senza fretta.
«Perché ti stai incazzando, adesso?» le chiese, non appena si trovarono davanti alla porta d’ingresso. Lei con una mano sulla maniglia e lui con una tra i capelli.
«Ti sbagli», tagliò corto, aprendo la porta e spostandosi sul pianerottolo: quando si diresse verso le scale, Harry la fermò per un polso.
«Non fare la stupida», la rimproverò, con lo sguardo duro.
Emma si divincolò dalla sua presa. «Lo stupido sei tu!»
«Si può sapere che ti prende?» domandò ancora, corrugando la fronte.
«Non lo so, Harry! Forse credevo che mi avessi chiamata perché volevi effettivamente vedere me, anche se con una scusa del cavolo, soprattutto dopo cinque giorni! Invece no, l’hai fatto solo per i tuoi comodi».
Lui sospirò e si passò una mano dietro il collo. «Secondo te, tra tutte le persone che potevo chiamare, la scelta è stata casuale?»
«Oh no, sono sicura che tu abbia studiato per bene la presenza di Walton».
«Sì, hai ragione», confermò lui, senza sforzarsi di mentire. «E sai perché? Perché non sapevo se tu saresti venuta o se te ne saresti di nuovo andata chiedendomi altri mesi di tempo», le rinfacciò, alterato.
Emma si sentì una stupida, arrivò persino a vergognarsi: si era lasciata talmente trasportare dagli attimi appena trascorsi, dal suo respiro sul proprio viso, da perdere di vista la reale situazione. Harry aveva rischiato, nel cercarla un’altra volta: aveva provato a capire se avrebbe potuto riavvicinarsi oppure no, forse dopo aver aspettato fin troppo, e l’aveva fatto unendo l’utile ad dilettevole. Lei non gli aveva nemmeno risposto al messaggio, non aveva confermato o smentito la propria presenza, e di conseguenza l’aveva lasciato in dubbio, obbligandolo a chiedere aiuto anche ad uno dei suoi più cari amici.
Era stata lei ad illudersi, a dare un’interpretazione personale a ciò che in realtà era molto più semplice, a non capire l’incertezza di Harry.
«Tu mi confondi troppo», sbuffò, voltandosi per andarsene.
Per scappare.





 


Buoooooooooooongiorno!
Data l'impazienza che avete dimostrato per questo capitolo, spero di non aver deluso le vostre aspettative ahhaha
Ho deciso di dedicare uno spazio esclusivamente a loro, soprattutto per compensare l'assenza di Harry nello scorso capitolo (alla fine sì, ha cercato di lasciarle del tempo)! E credo che vi abbia fatto piacere :)
Che dire? Finalmente si ha una visione un po' più chiara di Harry e di ciò che doveva capire: la stava solo studiando, cercando di interpretare anche le proprie sensazioni (lui stesso dice che non era sicuro si trattasse di curiosità/nostalgia dettate da sei anni di lontananza, o proprio una bella botta: e direi che ora la cosa è stata appurata hahah). Quindi forse adesso sono un po' più chiare alcune sue parole, alcuni suoi comportamenti!
E lo stesso vale per Emma: diverse volte vi ho chiesto in cosa secondo voi fosse cambiata, ed Harry lo spiega piuttosto bene. C'è questa nuova parte di lei che "lo manda fuori di testa", perché è una parte più matura, molto distante dalla ragazzina che conosceva. Voi cosa ne pensate?
Poi poi poi, so che vi aspettavate un bacio, LO SO: ma c'è dell'altro a cui dare importanza e poi è meglio aspettare e fare le cose per bene :)))) E spero sia chiaro il perché Emma sia così "spaventata", inerme, così come spero di aver spiegato bene il motivo per cui lei si arrabbia e per cui poi scappa via sentendosi una stupida (l'ha proprio rincoglionita, poverina hahaha)! Se qualcosa non è chiaro, vi prego di farmelo sapere :)
E niente, grazie per tutto, come sempre!!! 
Vi avviso: nel prossimo capitolo ci sarà l'introduzione :)



Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

 
   
  

 
  
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Acinorev