L'urlo
di orrore di Leonardo si perse nel fragore del nulla che consumava e
cancellava tutto, ogni porzione di New York che svaniva con un boato.
Lei
era scomparsa definitivamente, sotto i suoi occhi. Prima quella
semplice e normale, poi quella che aveva conosciuto e amato, -con la
sua magia che esplodeva nei momenti meno opportuni,- e infine anche
l'ultima, la mutante che aveva ucciso senza pietà la vera
sé.
Morta
a sua volta per mano di Raphael. Non ce n'era più nemmeno
una,
Isabel era svanita per sempre.
“Che
cosa hai fatto?” gridò fuori di sé,
provando ad alzarsi.
Una
raffica di vento violenta lo riportò ad accucciarsi,
coprendosi la
testa con le braccia per proteggersi. Una parte del parco si
sgretolò
in fine sabbia e venne risucchiata nel vortice, nel nulla e
nell'oblio.
Sollevò
con fatica lo sguardo e Raph era sempre lì, congelato
nell'occhio
del ciclone, immobile, forse nella gelida comprensione di
ciò che
aveva fatto.
Ma
per pentirsi era troppo tardi.
“CHE
COSA HAI FATTO!” urlò Leo, spiccando una corsa
verso di lui,
piegato in due. Lo gettò a terra con uno spintone violento e
quando
furono entrambi giù, iniziò a colpirlo con furia
e disperazione,
come se ogni colpo potesse farlo poi sentire meglio o riportare
indietro lei.
“Hai
ucciso Isabel!” lo investì, inorridito da quello
che stava
effettivamente dicendo, tempestandogli il viso di pugni, tenendolo al
suolo con un ginocchio premuto contro il suo torace.
Anche
se ciò che gli infliggeva era solo una percezione mentale
del
dolore, non di meno lo strazio che sentiva, il furore, doveva
sfogarlo in qualche modo.
“Quella
non era Isabel!” si difese Raph, bloccando infine le sue mani
e
cercando di sospingerlo indietro.
“Era
l'unica che rimaneva! Era comunque una parte di lei. Invece adesso
non... resta più... nulla” esalò il
leader, spegnendosi ad ogni
parola, cedendo alla consapevolezza e al dolore, che lo investirono
in pieno.
Le
sue spalle si incurvarono sotto quel peso, la testa si chinò
verso
il basso e sentì gli occhi bruciare; poteva sopportare
l'idea di
saperla con Raphael, poteva perché lei sarebbe stata felice
e ogni
suo sorriso gli avrebbe ricordato, ogni volta mentre moriva di un
dolce dolore, che era stata la scelta giusta.
Ma
non poteva sopportare che fosse morta, che il suo sorriso si fosse
spento per sempre.
Sentì Raphael che lo spostava per potersi muovere, ma lui non reagì, lo lasciò fare; suo fratello si alzò deciso, come se il devastante tornado non fosse niente più che una brezza leggera per lui, un venticello primaverile sulla pelle. Eppure i detriti e le macerie gli volavano intorno con violenza, fischiando vicino a lui più di una volta.
Si
incamminò a grandi passi verso la leonessa, rimasta sola,
che si era
accasciata a terra nel momento in cui tutte le manifestazioni erano
scomparse, ormai spenta di ogni vitalità: il suo manto era
diventato
più scuro e lo squarcio che prima era solo sulla zampa,
correva ora
su tutta la schiena, doloroso a vedere; respirava a fatica e gli
occhi dorati si stavano spegnendo.
Lo
sguardo scintillò un secondo nell'osservare Raph che le si
faceva
vicino incredibilmente calmo, sicuro, fiducioso; alzò
repentinamente
il muso e snudò i denti affilati contro di lui, quando si
fermò e
si inchinò al suo fianco, allungando una mano verso di lei.
Il
respiro corto e sofferto fischiava attraverso le fauci.
“Mi
dispiace” sussurrò Raphael, tendendo la mano verso
la sua testa,
pronto anche a farsela mozzare. “Stai soffrendo per colpa
mia, hai
sempre sofferto per colpa mia.”
Luce
sembrò quasi intenzionata ad azzannarlo per davvero; gli
ringhiò
contro, forse di dolore o di rimprovero, ma poi avvicinò il
muso
alla sua mano aperta e fiduciosa e la sfiorò con il naso,
dolcemente, e smise di mostrargli i denti.
Raphael
carezzò il suo muso e il collo, ma la mano si
fermò quando
raggiunse l'inizio della dolorosa ferita; Luce aveva riappoggiato il
capo al suolo, sofferente, eppure in pace.
“Mi
dispiace, non volevo davvero farti soffrire” disse lui,
sollevandola appena e stringendosela contro con amore e Luce chiuse
gli occhi, forse pronta a svanire insieme a tutto il resto.
“Però”
continuò Raphael, carezzandole il collo,
“lasciarti morire per
punirmi... non credi che sia eccessivo, Isabel?”
Luce
spalancò di colpo gli occhi dorati, più luminosi,
più vivi.
“Tu
sei la vera Isabel” le mormorò convinto,
chinandosi verso di lei,
stampandole un bacio sulla fronte ambrata, che risplendeva sempre
più
ad ogni sua parola.
Così
come il nome suggeriva, Luce divenne pura luce, brillante tanto da
costringerlo a chiudere gli occhi, con forza, anche se
continuò a
stringerla, nonostante bruciasse, con l'intensità del sole.
Leo si accorse del bagliore che si spandeva crescendo attorno a lui, secondo dopo secondo, e combattendo il suo stato di apatia, sollevò lo sguardo verso di loro, sul nucleo luminoso che era Luce, e che stava cambiando in qualcos'altro, una forma che conosceva bene. Gli occhi gli facevano male tanto da lacrimare, o forse stava già piangendo da prima, ma non distolse lo sguardo nemmeno un secondo. Piantò le mani a terra e si sollevò lentamente, come in trance, per non perdere nemmeno un secondo di quel miracolo.
La
luce fermò ogni cosa: il vortice distruttivo, il cielo nero
e rosso
che inghiottiva ogni cosa; la distruzione del parco si
congelò e
tutto scomparve, in un bianco assoluto e puro, un nulla luminoso e
avvolgente.
Il
tempo sembrava sospeso, un frammento di secondo fermo, che non
scorreva, immobile.
Isabel
smise di brillare, tra le braccia di Raph, e lì rimase,
immobile e
scoperta, riparando il viso nel suo petto, vergognandosi da morire.
Ormai,
nel perfetto silenzio, si sentivano solo i loro lievi respiri,
cadenzati, che sembravano musica.
“Se
non mi avessi riconosciuta, se non mi avessi trovata,
sarei
scomparsa... come lo sapevi?” chiese, quando si
sentì di parlare.
“Non
lo sapevo” fu la sincera risposta di lui, che la stringeva
con
tutta la felicità concessagli, incurante di ogni altra cosa.
“ E
allora come...?”
“Non
c'è una Isabel magica o una normale o una mutante...
c'è solo
Isabel. E lo sguardo di Luce è stato capace di farmi
vergognare e
contemporaneamente sentire speciale, come solo lo sguardo della vera
te è sempre riuscito a fare” le
confessò, con il viso nascosto
tra i suoi capelli.
La
sentì singhiozzare, commossa e imbarazzata, e poi allungare
le
braccia per stringerlo.
“Torniamo
indietro” le disse, carezzandole i capelli, un bacio sulla
testa di
sollievo, d'amore, di felicità.
Gli
occhi di Isabel si spalancarono d'improvviso, mentre traeva un grosso
respiro sofferto e liberatorio, come se stesse riemergendo da
un'apnea di giorni, forse di anni, con la gola che bruciava.
Riconobbe
il soffitto della sua camera da letto, il suo lampadario in carta di
riso e bambù, giallo come il sole; ma era confusa, confusa
sul
perché fosse lì, sul come ci fosse arrivata.
L'ultima cosa di cui
era certa era di trovarsi in cucina e di aver preso la dose di
mutageno lavorato... e poi l'oblio. Dolore forse, ma non ne era
sicura.
Lo
sguardo saettò vigile a destra e sinistra, frenetico e a
scatti,
finché non incontrò gli occhi di Raphael puntati
su di lei e lì si
fermò.
Si
guardarono in silenzio. Lui era seduto su una sedia al fianco del suo
letto, rigido e teso, con le braccia conserte, in una posa
scomodissima da vedere, eppure immobile; aveva tolto la bandana e la
osservava con gli occhi scuri pieni di serietà.
Per
interi, silenziosi minuti continuarono solo a guardarsi, senza
battere nemmeno le palpebre; Isabel aveva una dannata paura che se
l'avesse fatto, qualcosa di orribile sarebbe accaduto.
“Cosa
sono?” chiese alla fine con voce roca, riferendosi al suo
aspetto.
Sapeva
che se lui era lì era solo per quello che aveva fatto, non
sapeva
ancora se per rimproverarla o altro, ma non era quello a cui pensava
in quel momento.
Era
ancora umana o si era trasformata? Non si sentiva diversa. Non si
sentiva e basta. Il suo corpo sembrava intorpidito. Addormentato.
“Una
dannatissima idiota” rispose lui, alzando la voce e perdendo
un po'
della sua compostezza.
Isabel
si sollevò lentamente per mettersi seduta, combattendo un
violento
senso di capogiro e nausea, poi, con un grosso respiro alzò
le mani,
presa dal timore di guardarle e le portò davanti al viso,
rigirandole come pallidi ventagli, sorpresa.
Era
rimasta umana.
“Ti
sei resa conto di quello che hai fatto? Rischiare la tua vita per
diventare qualcosa che non sei, per piacere all'uomo che vuoi.
È
disgustoso! Sei la vergogna per ogni essere umano, per ogni
donna”
la aggredì lui, con un tono cattivo e velenoso.
Perché
sì, lei si meritava un rimprovero, si meritava di essere
ripresa,
sgridata e Dio solo sapeva se non l'avrebbe anche voluta
schiaffeggiare per la sua pazza decisione.
Isabel
si bloccò, sconvolta. Abbassò le mani, mentre il
respiro si faceva
più corto.
“Cosa
diamine stai dicendo? Ma quale vergogna? Quale cambiamento per
piacerti? Quale disgusto? Non hai capito nulla! L'ho fatto
perché
non mi importa nulla del mio aspetto, se è un ostacolo per
stare con
te. Questo corpo non ha senso, non ha valore, è solo
l'involucro di
ciò che sono. Questo volto, questa pelle, queste dita...
niente di
tutto ciò dice chi sono io. Niente di questo mi rende
Isabel. Così
come il tuo aspetto non ha nulla a che fare con ciò che sei.
Io ti
amo. Amo l'uomo che sei. Amo la tua dolcezza nascosta, amo la
passionalità che metti in tutto ciò che fai, amo
le tue paure, che
ti rendono fragile, amo la tua testardaggine, le tue insicurezze, amo
la tua impazienza. Non importa che aspetto hai, tu mi vai bene...
semplicemente così come sei. E non mi importa di diventare
una
mutante, se potrò stare con te!”
Era
arrossito, nonostante la rabbia che sentiva e la voglia di sgridarla
per la paura che si era preso.
Perché
quella era stata la cosa più bella che qualcuno gli avesse
mai detto
in tutta la sua vita. Ma era troppo. Isabel non poteva parlare sul
serio. Non poteva davvero volere il pacchetto “mutante
scorbutico”,
non era giusto.
Lui
doveva assolutamente farle capire che non potevano stare assieme, che
non era possibile.
“Ma
allora non hai capito...” iniziò, seppellendo il
calore che
sentiva nel petto sotto una finta indignazione. Ma Isabel lo
interruppe sollevando la voce, sporgendosi un po' in avanti.
“Ho
capito che mi ami. Ma che non vuoi stare con me, perché sei
un
mutante” dichiarò, interrompendo le sue bugie.
Non
gli avrebbe dato tregua. Non l'avrebbe lasciato scappare, non ancora.
Raphael
si sentì scoperto e il panico si trasformò in un
secondo in rabbia,
come suo solito, perché reagire con furore lo avrebbe
distolto dalla
verità che lei sapeva e che lui doveva assolutamente
schivare,
negare, rifiutare.
Si
alzò in piedi, una scarica di nervosismo a percorrerlo
per tutto
il corpo, che non poteva farlo rilassare.
“E
cosa ti rende così maledettamente sicura? E se ti fossi
sbagliata?
Se ti fossi trasformata permanentemente e io non provassi nulla? Hai
pensato che mi sarei sentito in colpa? Hai pensato che avresti messo
sulle mie spalle la responsabilità e la colpa di
ciò che saresti
stata, costringendomi a prendermi cura di te, per sempre, anche
contro la mia volontà?” sbottò fuori di
sé, arrabbiato dalla sua
testardaggine.
Non
poteva fare sempre come le pareva.
La
vide impallidire alle sue parole, nella presa di coscienza di una
verità che non aveva pensato fosse possibile, che non aveva
messo in
conto. I suoi occhi erano lucidi, come se fosse in preda alla febbre.
“Io...
no, non ci avevo pensato. Ero così sicura. Così
convinta che tu mi
amassi, che non mi sono fermata a valutare la
possibilità”
balbettò incerta.
“Non
puoi fare cose del genere a cuor legg...” incalzò
allora Raph,
approfittando di quella debolezza, con solo un lieve rimorso.
Ma
lei si riscosse sin troppo in fretta e con una espressione intensa e
molto più convinta, lo inchiodò lì
dove si trovava.
“Dimmi
che non mi ami. Guardami negli occhi e dillo. E io mi
scuserò. E me
ne andrò” esclamò con foga, stringendo
il lenzuolo tra le dita,
con nervosismo e paura.
Raph
era paralizzato dal suo sguardo. Era vivido. Bruciante, di speranza e
attesa. Sfolgorante. Non poteva guardare ancora in quegli occhi e
mentire. Se lo avesse fatto, il rimorso di vedere quella luce
spegnersi l'avrebbe tormentato in eterno.
“Sto
aspettando” soffiò lei, gli occhi fissi nei suoi.
Raph
distolse appena lo sguardo, fissandolo nel piccolo triangolo di pelle
tra le sue sopracciglia.
“Non
ti amo” disse poi, anche se un po' si sentì morire.
“Bugiardo!
Guardami negli occhi!” esplose con rabbia Isabel, le spalle
scosse
dall'ira per la sua continua presa in giro.
Raphael
serrò la mascella e gli occhi, troppo esposto, troppo
coinvolto. Il
respiro era veloce e pesante, per sopperire al bisogno di ossigeno.
Si fece forza. E riguardò in quegli occhi.
Ma
non riuscì comunque a mentire.
Isabel
sorrise, vittoriosa ed euforica, davanti alla sua espressione
rassegnata e titubante.
E
la rabbia lo invase.
“Cosa
accidenti vuoi da me? Vuoi che ti dica la verità? Ti amo. Ti
amo
così tanto che mi fa male il solo averti in una stessa
stanza,
perché ogni singola cellula del mio corpo lotta contro la
voglia di
stringerti e baciarti. Ti amo così tanto che il solo sentire
il
suono della tua voce mi fa battere il cuore dolorosamente contro le
costole, ad una velocità allarmante. Ti amo così
tanto che al solo
pensiero di saperti con un altro mi sento così male, che mi
trapasserei coi miei stessi Sai, per non dover soffrire ancora. Ti
amo, Isabel. Ti ho amata per ogni istante, da quel Settembre sotto la
pioggia.
Ma
non posso stare con te.
Perché
questa non è una favola, non c'è il lieto fine.
Alla fine di questa
storia la bestia non diventa uomo, il ranocchio non diventa
principe... resta il mostro che è sempre stato. E i mostri
non hanno
il 'e tutti vissero felici e contenti'.
E
perciò io non posso darti una vita normale. Non posso darti
una
famiglia. Una casa. Forse nemmeno figli. Non posso portarti a cena
fuori. Non posso passeggiare con te per le vie, mano per la mano,
sotto la luce del sole. Non posso portarti al cinema e abbracciarti
mentre guardiamo un film strappalacrime. Non posso darti nulla. Non
ho nulla da offrirti. Solo buio e umidità. Solo una vita da
reclusi
e reietti, per soffitto il pavimento del mondo!”
Ci fu silenzio, dopo la sua confessione, dopo che finalmente aveva estirpato la verità dal suo cuore e gliela aveva mostrata, con rabbia per la sua debolezza e il batticuore per aver rivelato alla fine quel sentimento, per ciò che avrebbe comportato.
Isabel
tremava. Coi lucciconi agli occhi, incredula ed emozionata. Era la
prima volta che Raphael le diceva di amarla; mai, mai le aveva detto
prima quelle due parole, che si ripetevano nella sua mente con
incredulità, con una dolcissima eco, scandendo i secondi.
Ti
amo. Ti amo. Ti amo.
Scostò
il lenzuolo e fece per scendere, ma barcollò per la foga con
cui si
era mossa, forse, o ancora per i residui della droga nel suo corpo, e
lui si gettò all'istante in avanti, per sorreggerla.
Isabel
si aggrappò alle sue braccia, con forza, tanto che le unghie
stridevano contro il tessuto della tuta, con un rumore leggero.
“Chi
ha mai detto che io voglia qualcosa? Cosa mi importa di queste cose?
A cosa mi servono? Pensi che mi renderebbero felice? Voglio solo
stare con te, Raffaello! Ho già potuto scegliere e ho
rinunciato ad
una vita da regina, per starti accanto. Perché non mi
interessa
avere tutto, se non posso condividerlo con te!
Hai
la famiglia migliore del mondo, una casa fantastica al sicuro da
occhi indiscreti. E non importa se potremmo non avere figli, non sono
una priorità. Possiamo cenare di notte, sul tetto di un
grattacielo
e passeggiare mano nella mano sui cornicioni, sotto la luce della
luna. Guarderemo un film stretti sul divano, vicini tanto da sentire
l'uno il respiro dell'altra. Quello che mi offri è
più di quanto
potessi desiderare e mi sta bene stare sotto i piedi del mondo, se
sono con te. Non voglio niente di più!”
Fu
il suo turno di tremare, per l'intensità di quella
dichiarazione,
per la forza di quell'amore che non sapeva se meritasse davvero, che
voleva e non poteva concedersi.
“No!
Adesso parli così, ma un giorno... un giorno ti sveglierai e
capirai
che hai sbagliato, che io sono stato uno sbaglio. Capirai che puoi
avere di meglio e te ne andrai!”
Eccola,
la verità nascosta, eccola la paura che c'era dietro a
tutto, che
solo Leonardo aveva visto davvero e che alla fine, anche se
indirettamente, aveva ammesso.
“Tu
sei il meglio, Raffaello! Ti amo e sono sicura di ciò che
provo per
te come per nessuna altra cosa nella mia vita. Non tenermi a distanza
solo per la prospettiva di un futuro nato dalle tue paure. Stai
facendo del male ad entrambi” fu l'accorata replica di
Isabel,
infervorata e decisa a smontare quelle sue paure e convincerlo a
cedere, a darsi una chance.
“Io
voglio solo che tu sia felice” continuò
imperterrito lui, sempre
più incerto, sempre più flebilmente.
“E
allora amami! È tutto qui il segreto”
insisté lei, che a livello
di testardaggine forse era l'unica che poteva tenergli testa.
“ È
uno sbaglio....”
“Ti
amo, Raffaello.”
“No,
non capisci, tu...”
“Amami,
Raffaello.”
“Perché
non vuoi vedere la verit...”
“Ti
amo Raffaello.”
“Non
poss...”
“Amami,
Raffaello.”
“Smettila di ripeter...”
Isabel,
che si era avvicinata sempre più ad ogni botta e risposta,
si sporse
e tese verso l'alto, e afferrandolo per il colletto, lo
attirò verso
di sé e lo baciò, zittendolo definitivamente.
E
se per qualche misero secondo Raphael era rimasto immobile, sorpreso
dal suo gesto, e se per qualche altro ebbe l'insana idea di staccarsi
e allontanarla da sé, alla fine cedette e allungò
le braccia,
stringendola con tutto l'ardore possibile, ricambiando quel bacio dal
profondo del cuore.
Se
doveva pentirsene, lo avrebbe fatto per aver peccato fino in fondo.
E
niente era stato più bello sapendo che non era giusto, nulla
come
averla tra le braccia, e assaporarla e sentirla e amarla.
Fu
straziante quando lei si staccò, posando dei piccoli baci
consolatori sulle sue labbra, come per rendere il distacco
più
dolce, forse anche per sé stessa.
“Concedici
una possibilità, Raffaello” sussurrò,
poggiando un altro tenero
bacio.
Era
dilaniato, ma le sue convinzioni e le sue paure andavano via via
sciogliendosi, sradicate cellula dopo cellula dalle sue labbra.
“Promettimi
che non andrai mai più via, che non mi sveglierò
una mattina e
scoprirò che tu non sei più al mio fianco.
Promettimi che non ti
pentirai mai di amarmi, promettimi che saremo felici, promettimi che
questo non è tutto un enorme sbaglio” pretese, con
tutta la sua
insicurezza, desiderando ancora quei baci, che si portassero tutto
via e gli lasciassero invece quell'estasi paradisiaca, quel benessere
che solo lei sapeva donargli, per l'eternità.
Si
specchiò negli occhi lucidi di lacrime di Isabel,
così vicini da
poter cadere in quelle profondità e non riemergerne mai
più. Le sue
piccole mani lasciarono andare il colletto e risalirono come una
lieve carezza fino al suo viso e lo circondarono con amore.
“Ti
prometto che niente potrà mai più portarmi via da
te, nemmeno la
morte. Ti prometto che non lascerò mai il tuo fianco,
nemmeno per un
secondo, nemmeno per un respiro. Ti prometto che non mi
pentirò mai
di amarti, che saremo sfacciatamente felici, prometto che stare
assieme non è uno sbaglio. Prometto, Raffaello.
Prometto.”
Raph
le circondò il viso con le mani e lo attirò verso
il suo e fu lui a
baciarla, in un tacito consenso, cedendo alla fine. E non importava
se i baci erano salati per le lacrime di Isabel, sapevano solo
più
di vero, erano lacrime di felicità.
“Dillo
ancora un'altra volta, ti prego” chiese Isabel, tra un bacio
e un
altro, quando dovevano pur riprendere fiato.
“Ti
amo, Isabel” confessò Raphael, senza smettere di
stringerla e
depositare piccoli baci sul suo viso, ora che finalmente poteva
tenerla e amarla, e nessuno gliel'avrebbe più portata via.
Il
suo sorriso fu meraviglioso, splendido e il più luminoso,
contornato
da piccole lacrime lucide, così dolce, così pieno
di amore.
“Ti
amo, Raffaello.”
“Lo
so”1
fu la risposta di lui,
che la fece scoppiare a ridere, il suono presto soffocato dal bacio
successivo e da quello dopo ancora e ancora e ancora.
Nel salotto, seduti sul divano e la poltrona color crema, in perfetto silenzio, tre mutanti e un ragazzino evitavano di guardarsi in volto, tutti troppo imbarazzati da quello che avevano perfettamente e chiaramente sentito, fino a pochi secondi prima. Stranamente però, nessuno di loro aveva lasciato l'appartamento durante il battibecco tra i due amanti, seguendo dal di fuori con discreto interesse.
Rimasero
ancora un paio di secondi in silenzio, ma dalla camera non arrivava
più nessun suono.
“Ok,
ora di sloggiare” sentenziò in imbarazzo Don,
alzandosi dal
divano. La sua mano si chiuse sull'orecchio di Steve, sollevandolo
volente o nolente, costringendolo a seguirlo.
“Avremmo
dovuto dirgli che dal salotto si sente tutto quando parlano nella
camera?” domandò Mikey con innocenza, accodandosi
alla loro scia.
Donnie
aprì la finestra e uscì nel piccolo terrazzino,
seguito
immediatamente da Steve e poi gli altri due, nella notte scura
dell'equinozio d'autunno, primo giorno della nuova stagione.
“No.
E non avremmo nemmeno dovuto ascoltare” confessò
il genio, solo
lievemente risentito per ciò che avevano fatto.
Michelangelo
sorrise, un grosso sorrisone poco pulito. Tirò fuori il
Shellcell e
premette un pulsante e la voce registrata di Raphael si diffuse d'un
tratto attorno a loro.
“...Vuoi
che ti dica la verita? Ti amo. Ti amo così tanto che mi fa
male il
solo averti in una stessa stanza, perché...”
Mikey
ripremette il pulsante e la voce scomparve, ma non il suo sorrisone
maligno.
“E
perdermi questo? Lo ricatterò a vita con questa
registrazione!”ghignò felice, davanti alle loro
facce sorprese e
forse un po' sconvolte.
“Almeno
sappiamo per quale motivo ti ritroveremo morto nel tuo letto”
soffiò ironico Don, salendo nel cornicione e tirando su
Steve, che
barcollava per l'altezza, con lo sguardo incollato sulla strada di
sotto, pieno di paura.
Poi, Donnie si voltò verso Leo, e si bloccò, con un sospiro affranto. Il leader chiudeva la loro fila, silenzioso e spento, cercando di nascondere la sua sofferenza. Scese dal muretto, -mentre Steve ci si aggrappava imprecando perché lo aveva lasciato lì sopra da solo,- e lo raggiunse; Leo non si accorse della sua presenza finché Donnie non gli poggiò una mano sulla spalla. Allora, e solo allora, alzò lo sguardo e incontrò il suo.
“Sono
fiero di te” gli disse, stringendo la presa. “Lo
sono sempre
stato, ma beh, adesso anche di più.”
Mikey
si unì, circondando ognuno di loro con un braccio.
“Anche
io! Ho adorato soprattutto il pugno che hai dato a Raph!”
ridacchiò
allegro, contagiandoli con la sua risata.
“E”
incalzò quando ebbero smesso di ridere alle spalle del loro
fratello, “sono sicuro che ti innamorerai ancora, O fearless
leader. E che questa volta sarà quella giusta. Chi non
vorrebbe uno
perfetto come te come fidanzato?”
Leo
sorrise commosso della sua premura, e l'abbraccio divenne per un
secondo più forte, loro tre stretti nella notte.
“Ma
comunque sarò io il prossimo a trovare la ragazza,
assicurato. Sono
il più carino” aggiunse ancora Mikey, rompendo il
momento.
Stavano
ancora ridendo, quando la voce terrorizzata di Steve li raggiunse.
“Qualcuno
vuole per favore venire a salvarmi da questo cornicione?”
esalò
esasperato, aggrappato alla pietra come un'edera.
Con
una risata ancora più grossa, i tre corsero in suo soccorso,
poi,
con un grande balzo si lanciarono nella notte, lasciando ai ritrovati
innamorati tutta la privacy per parlare, amarsi, parlare, amarsi e
parlare ancora, senza fretta, con tutto il tempo del mondo davanti a
loro.
1:
“Lo so” è la risposta che Han Solo da
alla principessa Leia
quando lei gli dice di amarlo, in Star Wars! Mascalzone! Ma sempre
d'effetto.
Note:
Fine.
Ecco,
anche questa avventura è finita.
Mi
sento felice, triste, un gran calore nel petto per il vostro affetto,
un grande vuoto per aver finito un'altra storia. Spero che vi sia
piaciuta, con tutto il cuore.
Grazie
infiniti, come l'universo in continua espansione, per aver letto, a
chi ha commentato con affetto accompagnandomi nel viaggio, a chi ha
messo questa e le altre storie tra i preferiti, i ricordati, a chi
l'ha seguita in silenzio.
Vi
ringrazio, con tutta la gratitudine che provo.
Ora,
l'avventura continua, per chi vorrà continuare a seguire
questa
serie: la terza storia si intitola “Don't let me
go” e inizierò
a postarla subito dopo una miniraccolta di momenti dolciosi e buffi
tra i nostri due piccioncini, storie che coprono l'arco di tempo che
intercorre tra la fine di questa e l'inizio dell'altra, quasi un
anno.
Certo,
le storie come vedete sono fine a sé stesse, sono sempre
conclusive
e quindi non siete obbligati a leggere i sequel, ma più si
va avanti
più le cose crescono, evolvono, si fanno interessanti. Spero.
E
poi continuerò le OS sui comics, ho una nuova storia in
programmazione che non c'entra nulla assoluto con questa serie, e
un'altra raccolta di OS ancora, più qualcuna singola, a
sé.
Perciò,
ecco, non vi libererete tanto in fretta di me, ma fino al prossimo
incontro, arrivederci e un grandissimo, caldissimo e affettuosissimo
abbraccio!
Switch