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Autore: Eibhlin Rei    19/12/2014    2 recensioni
La C.A.T.T.I.V.O. non si è limitata a seguire gli esprimenti dei gruppi A e B, ma ne ha anche condotto un altro, parallelo ai primi due. Stavolta però, le Variabili sono diverse e si tratta di un unico soggetto.
Lei deve solo osservare...
"Nonostante la sua giovane età credeva di aver smesso di avere paura, ma in quel momento la barriera che si era costruita intorno si incrinò e la realtà le arrivò addosso come una valanga: non provò più solo dolore per tutto ciò che stava abbandonando, ma anche un terrore cieco. Le avevano soltanto detto che avrebbe avuto un ruolo chiave nella cura dell’Eruzione e che avrebbe salvato la razza umana. Ma a quale prezzo? Cosa sarebbe successo a lei?"
Spoiler fino a "La rivelazione" e riferimenti a "La Mutazione".
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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1.
 
«Papà, non ho così tanta fame!», protesta mentre suo padre continua imperterrito a riempirle il piatto.
«Non ci provare, signorina», ribatte lui. «Non ti voglio ritrovare di nuovo svenuta davanti al portico. Mangia e non fare storie», e le mette il piatto davanti, finalmente soddisfatto della quantità del suo contenuto.
Lei invece non è per niente contenta: ci metterà un’eternità a finirlo! «Ma papà…», tenta di nuovo.
Ma lui non ne vuole sapere. «Ma papà un bel niente! Sai che colpo mi hai fatto prendere?»
È da una settimana che va avanti così e la sorveglia come un mastino finché non ha finito tutto quello che ha nel piatto. Tutto per quello sciocco incidente.
Non che a lei non piaccia mangiare, anzi è il contrario. Ma detesta stare a tavola, ha sempre la sensazione di sprecare il suo tempo. In più, è anche lenta a mangiare – a volte le sembra quasi che il cibo le cresca nel piatto invece di diminuire – e non sopporta l’idea di stare lì seduta quando potrebbe fare tutt’altro. Come correre ed esplorare, ad esempio.
Il loro villaggio – anche se la loro casa è piuttosto isolata da tutte le altre – di poco più di cento anime si trova tra le montagne irlandesi, e a lei piace tantissimo girare per il paesaggio circostante alla ricerca di nuovi luoghi da scoprire. Vuole scovare le fate e i folletti. Finora non ne ha trovato nessuno, ma ha ancora tanti posti in cui guardare.
Ci va quasi sempre da sola, agli altri bambini non interessano certe cose e poi la ritengono anche un po’ strana, ma a lei non dispiace, si sente più libera.
Certe volte però, pur di non perdere tempo, afferma di essere sazia anche quando non lo è veramente. Solo che una di quelle volte, avendo corso e faticato più del solito, tornando a casa si è sentita mancare le forze ed è crollata a terra.
«Credevo ti fosse successo chissà che e cosa scopro? Che ti lasci morire di fame pur di avere più tempo per scorrazzare qua attorno», borbotta lui tutto imbronciato. «Che ci sarà da vedere poi… ringrazia che ti faccia ancora uscire.» Si serve a sua volta e si siede, iniziando a mangiare, e lei torna a guardare il suo piatto. Non riesce a trattenere una smorfia: le verdure quasi sommergono le fette di carne e per poco non strabordano sulla tovaglia.
Sarà meglio che cominci anch’io o non finirò mai.
Suo padre non borbotta più e per un po’ non si sente altro che il rumore delle posate contro i piatti. È lei a rompere il silenzio. «Come sta la mamma?», si azzarda a chiedere.
Lui appare visibilmente a disagio. «Ha sempre mal di testa.»
«Ma oggi posso vederla?» Da diversi giorni, sua madre non si sente bene: all’inizio le doleva la testa “a momenti”, quando si sforzava, poi è diventata una cosa fissa. Forse è per questo che ultimamente perde molto spesso le staffe e ha dei violenti scatti d’ira. Tanto violenti che suo padre da due giorni non la fa uscire dalla loro camera, se non per andate in bagno, e non permette a lei di entrarvi.
«Mangia. No, oggi non credo sia il caso», risponde lui con aria mesta.
Nessuno dei due aggiunge altro e finiscono di pranzare in silenzio. Ovviamente lui finisce prima e la tiene d’occhio fino all’ultimo boccone. «Bene», commenta, prima di toglierle il piatto da davanti. «Ora puoi uscire.»
Lei sorride, corre a dargli un bacio sulla guancia e si fionda subito fuori.
«Torna prima che faccia buio», si raccomanda lui e questo le strappa un altro sorriso: glielo dice ogni volta che esce.
Scende velocemente le scale del portico, ma non si allontana da casa. Si accerta che suo padre non stia guardando fuori dalla finestra e corre sul retro, dove l’edera rampicante ricopre quasi tutta la parete fino al tetto. Si guarda attorno – probabilmente più per scrupolo che per accertarsi che nessuno la stia osservando – ed inizia ad arrampicarsi per arrivare alla finestra della camera dei suoi. Anche arrampicarsi le piace da matti: è utile ad esplorare, nonostante per più di una volta sia tornata a casa piena di graffi e sbucciature.
La finestra è aperta, ma lei non sente il minimo rumore. Magari sua madre sta dormendo.
Farò il più piano possibile, voglio solo dare un’occhiata per vedere come sta.
Quando arriva abbastanza vicina alla finestra, allunga prima un braccio e poi l’altro verso il davanzale e si tira su, posandovi sopra un ginocchio.
All’interno della stanza c’è un silenzio quasi innaturale, ma non è questo a colpirla. Sua madre è sdraiata sul letto, il busto rialzato e sostenuto da alcuni cuscini e le gambe coperte da un plaid con diverse macchie. È dimagrita paurosamente, nota lei, i suoi begli occhi ambrati sono infossati e circondati da occhiaie e la pelle ha un aspetto flaccido e malsano. E probabilmente sono anche diversi giorni che non si lava, a giudicare dall’odore penetrante che aleggia nella stanza nonostante la finestra sia aperta. Muove la bocca senza parlare, dondolando la testa seguendo un ritmo che sente solo lei, ed agita la mano destra come se stesse dirigendo un’orchestra immaginaria. Ha un’espressione felice, quasi estatica, sul viso scarno.
Non sa bene cosa fare e valuta che forse sarebbe meglio andare via, ma sua madre si gira di scatto verso di lei e la sua espressione muta in un attimo: non è più estatica, ma furiosa.
«Che ci fai lì sopra?», ha una voce strana, stridente, con una spaventosa rabbia dentro. Serra le mani a pugno sul plaid, e non le da neanche il tempo di rispondere che subito aggiunge, «Te l’ho detto mille volte, ma proprio non vuoi capire, eh? Se cadi ti rompi l’osso del collo!».
Lei la guarda terrorizzata, le pare impossibile che quella donna sia sua madre.
Sua madre si afferra i lunghi, sporchi e arruffati capelli rossi, scuotendoli come a volerglieli mostrare. «Vuoi fare come Raperonzolo? Lo sai che il principe quando cadde dalla torre fu accecato sai rovi, lo sai?», le strilla contro, alzando sempre di più la voce. Scaraventa via la coperta e si alza per andare verso la finestra.
Devo andare via, pensa lei, ma per qualche strano motivo – forse per il terrore – non riesce a muoversi e sua madre la agguanta per un braccio.
«Ma io non ti ho calato la treccia, come diamine hai fatto a salire? Non va bene! Non va bene! Non è così che devi arrivare qui!», sbraita, sputacchiando e scuotendola violentemente. Le vene del collo e della fronte pulsano minacciosamente, gli occhi paiono iniettati di sangue. E la sua presa è ferrea, è troppo forte. E le fa male.
 Le si gela il sangue e si accorge di aver iniziato a piangere. Vorrebbe urlare e chiamare suo padre perché venga ad aiutarla, ma non ce la fa. «Mamma, per favore…», riesce solo a balbettare con un filo di voce.
«Stai zitta! Stai zitta! Mi fai venire mal di testa con quella tua vocetta da marmocchia! Smetti di parlare! Stai zitta!», le stringe il braccio ancora più forte e lei tenta inutilmente di farle allentare la presa.
La guarda con gli occhi che improvvisamente si accendono di gioia. Ma è una gioia malata e sadica. «Ma che bella idea! Vuoi che ti lasci? D’accordo! Non ci sono i rovi, però con un po’ di fortuna magari ti rompi l’osso del collo!», la solleva e lei si dimena per liberarsi, muovendo braccia e gambe come se fosse un insetto che steso sulla schiena non riesce più a rigirarsi.
Lasciami! Lasciami!
Ma sua madre non la lascia e la sporge pericolosamente fuori dalla finestra.
Lei cerca in ogni modo di aggrapparsi con tutte le sue forze al telaio mentre sente che un piede è già lontano – troppo lontano – dal davanzale. È una lotta disperata, con sua madre che la spinge e lei che tenta di tirarsi dentro.
«Perché non vuoi fare come il principe, eh? Perché non ti vuoi rompere il collo? Non vuoi fare contenta la tua mamma?»
La porta si spalanca, cogliendo di sorpresa entrambe, e dopo un attimo di sconcerto suo padre si fionda all’interno della stanza. «Meaghan, fermati! Lasciala stare!», le grida mentre con una mano afferra il braccio della donna e con l’altra cerca di tirare su lei. «È tua figlia! Lasciala stare!», le ripete.
Quell’assurda colluttazione si svolge in pochi istanti, ma è come se fossero ore interminabili. In qualche modo suo padre riesce, lei non capisce neanche come, ad allontanarle entrambe dalla finestra e sua madre la lascia finalmente andare.
È un’occhiata di soltanto un secondo, mentre il pavimento sale velocemente verso di lei, ma sul legno del telaio della finestra vede i sottili segni lasciati dalle sue unghie.
Cade carponi sul pavimento, picchiando molto violentemente il gomito, ma il gelo ormai è sceso anche nella sua gola e non le esce nemmeno un’esclamazione di dolore. Si tira su, riuscendo almeno a mettersi seduta e quando alza lo sguardo vede sua madre che si dibatte come una furia, mentre suo padre la trattiene a fatica.
«Lasciami! Lasciami!», si lamenta lei. «Dobbiamo giocare a Raperonzolo! Deve rompersi il collo! Il collo! Quel suo bel collo sottile sottile!»
Rimane seduta a terra a fissarli paralizzata dallo spavento, incapace di dire qualsiasi cosa e tenendosi il gomito dolorante. Trema. Piange. Sono le uniche cose che riesce a fare.
Sua madre scalpita e si protende con busto verso di lei, come se volesse morderla, non facendo altro che gridare di doverle rompere il collo.
«Fuori!», tuona suo padre, il viso sudato e bianco da far paura. «Esci fuori e chiudi la porta a chiave, io ho una copia!», ma lei non riesce a muoversi, il suo intero corpo non le risponde.
«Il collo! Il collo! Il collo!»
«ESCI!»
Improvvisamente, da qualche parte ritrova la forza di muoversi. Si alza barcollando e in pochi istanti raggiunge la porta, tra le urla che sembrano inseguirla.
«Il collo! Il collo! Il collooooooo!»
Si chiude con uno schianto la porta alle spalle, gira ripetutamente la chiave nel buco della serratura, come se avesse paura che una volta sola non possa essere abbastanza, tira via la chiave e la getta via. Scende di corsa le scale, rischiando di inciampare da quanto le tremano le gambe. Esce di nuovo di casa, vuole allontanarsi il più possibile e corre tantissimo, fino a non avere più fiato.
Alla fine le gambe le cedono e cade in ginocchio. Ha il respiro pesante ed i vestiti le si appiccicano addosso per il sudore. Chiude gli occhi e cerca di non pensare, ma nelle sue orecchie risuonano le grida folli di sua madre e il suo viso le fluttua davanti persino nel buio. Esangue, magrissimo, con gli occhi accesi dalla pazzia.
Mamma…
Respira profondamente per riprendersi e piano piano l’aria smette di bruciarle nei polmoni. È ancora stravolta, ma almeno non trema più. Nemmeno il gomito le fa più così male. Riapre lentamente gli occhi e si guarda attorno. Sa che non serve, ma non riesce a trattenersi dal farlo: e se fosse riuscita a liberarsi di suo padre e lei l’avesse seguita fin lì?
Nessuno. Non c’è nessuno, pensa con sollievo.
Sta per rialzarsi, ma si rende conto di avere lo stomaco sottosopra. Riesce appena a trattenersi i capelli dietro il collo con una mano, poi rigetta anche l’anima, reggendosi a stento su un braccio solo.
Sua madre ha cercato di ucciderla. Si accorge solo adesso che sta ancora piangendo e realizza sgomenta che ne avrà ancora per molto.
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