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Autore: Eibhlin Rei    19/12/2014    2 recensioni
La C.A.T.T.I.V.O. non si è limitata a seguire gli esprimenti dei gruppi A e B, ma ne ha anche condotto un altro, parallelo ai primi due. Stavolta però, le Variabili sono diverse e si tratta di un unico soggetto.
Lei deve solo osservare...
"Nonostante la sua giovane età credeva di aver smesso di avere paura, ma in quel momento la barriera che si era costruita intorno si incrinò e la realtà le arrivò addosso come una valanga: non provò più solo dolore per tutto ciò che stava abbandonando, ma anche un terrore cieco. Le avevano soltanto detto che avrebbe avuto un ruolo chiave nella cura dell’Eruzione e che avrebbe salvato la razza umana. Ma a quale prezzo? Cosa sarebbe successo a lei?"
Spoiler fino a "La rivelazione" e riferimenti a "La Mutazione".
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Saaaalve... questa cosa potrei scriverla alla fine, ma preferisco mettere le mani avanti e togliermi il dente subito.
Questa storia la covavo da quanto? Mesi? E ora finalmente(?) mi sono decisa a buttarla giù e pubblicarla.
Il signor Dashner mi ha rovinata, spero che sia soddisfatto: mi sono letteralmente divorata i suoi libri quest'estate e sono stati tutti un colpo al cuore (in senso positivo, credo...). Quando poi è uscito "La Mutazione" mi ci sono buttata a pesce neanche fossi stata in crisi d'astinenza (ma forse lo ero...). Anche il film mi sono fiondata a vederlo appena è uscito (e mi è piaciuto molto, nonostante le differenze dal libro). Niente, quando si parla di questa saga torno ad avere quindici anni (ossia l'età da fangirl per eccellenza).
Comunque... questa storia parte da molto prima dell'entrata nel Labirinto e arriva fino a "La Rivelazione", quindi saranno presenti degli spoiler. Si parla anche della "vita" alla Cattivo e per farlo sono andata un po' a braccio, pur cercando di rimanere fedele alle "informazioni" rese note finora. Non andrò a cambiare la storia originale, ma ne creerò una "parallela" che andrà ad interagire con la prima in alcuni momenti non descritti o non approfonditi nel libro. E ci sarà un personaggio che sarà la "chiave" per queste interazioni.
Non so che altro dire, ma mi sembra di aver detto anche troppo. Io ci ho provato e spero di essere riuscita a scrivere qualcosa di quantomeno decente, ma questo sta a voi deciderlo.
Scusate se vi ho annoiato e beh... (spero sia una) buona lettura!
 
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Prologo
 
Johanna, adesso mi chiamo Johanna.
Si era ripetuta talmente tante volte quella frase che quasi le sembrava non avesse più senso.
Ma doveva ricordarselo o, per meglio dire, convincersene. Nessuno l’avrebbe più chiamata con il suo nome, le avevano spiegato i due signori che erano venuti a prenderla. E quando, stupita, ne aveva chiesto il motivo, si era sentita rispondere «Funziona così nel posto dove ti portiamo».
Le era sembrata una cosa davvero strana: perché mai dovevano cambiarle il nome? Aveva provato a porre nuovamente la domanda, sperando in una risposta più sensata di quella variante di “perché sì” che le era stata data, ma non aveva ottenuto nulla se non un “Ti chiami Johanna, da Giovanna d’Arco. Qual è il problema, non ti piace?”.
Non era la risposta che voleva, ma aveva capito che insistere sarebbe stato come prendere a testate una parete di cemento: non volevano dirglielo e non avevano intenzione di farlo. Quindi aveva smesso di fare domande, ma non si era rassegnata e si era promessa che prima o poi lo avrebbe scoperto.
Adesso però doveva fare buon viso a cattivo gioco e quindi farsi entrare in testa che il suo nome era Johanna. Si domandò quanto le ci sarebbe voluto per abituarsi e cosa ne avrebbe pensato la zia Maggie se l’avesse saputo. Gliel’avevano detto prima di portarla via con loro?
«Mia zia lo sa?», chiese. Poteva essere una domanda sciocca, ma voleva saperlo.
La donna magra e dai capelli neri raccolti saldamente sulla nuca, che le aveva detto di chiamarsi Ellen, la guardò sorpresa. «Scusami?»
«Mia zia sa che mi avete cambiato il nome?», ripeté pazientemente lei.
«Perché ce lo chiedi?»
«Semplice curiosità, voglio solo saperlo.»
Ellen sospirò e le sembrò infastidita. «Sì, hai altre domande o posso avere tregua?»
Jack, l’uomo che l’accompagnava, le diede una lieve gomitata nelle costole. «Ellen, per favore…», la riprese, poi si rivolse a lei. «Ascolta, è normale che tu abbia tante domande da farci, ma all’arrivo ti verrà spiegato tutto ciò che devi sapere. Per adesso, sappi solo che il tuo nome è Johanna per chiunque te lo chieda.» Le aveva parlato in modo gentile, ma con fermezza, come a voler far intendere che non avrebbe ammesso repliche.
Aveva detto che le sarebbe stato spiegato tutto ciò che doveva sapere. Ma lei capì subito che c’era differenza tra ciò che voleva sapere e ciò che loro ritenevano dovesse sapere. Se non avevano intenzione di rivelarle un particolare apparentemente così sciocco sul suo nuovo nome, quante altre cose non le avrebbero detto?
Fa niente: se le cose non me le diranno loro le scoprirò a modo mio.
Annuì. «Va bene, e Johanna sia», disse semplicemente e questo sembrò accontentare i suoi interlocutori.
Non parlarono più e lei si ritrovò a pensare alla zia Maggie. Era l’unica persona che le era rimasta e quella mattina aveva dovuto salutarla per sempre. Cercò di ricacciare in gola le lacrime e strinse i pugni: zia Maggie le aveva fatto promettere che non avrebbe pianto e che sarebbe stata forte.
Circa mezz’ora di silenzio dopo il furgone si fermò.
Ellen, che si era appisolata con la testa sulla spalla di Jack, si svegliò quando quest’ultimo la scosse lievemente. «Ci siamo», disse lui, e si alzò per scendere dal furgone, mentre la portiera veniva aperta, seguito a ruota dalla sua collega. Si voltò verso di lei, che era balzata in piedi, ma ancora non si era mossa. «Vieni Johanna.»
Lei aveva cercato di mettersi in testa quel nome, ma sentirsi chiamare per la prima volta così le fece comunque uno strano effetto.
Jack dovette essersene accorto perché le sorrise e le disse, «È normale, Johanna, ci farai l’abitudine». La aiutò a scendere e lei rimase a bocca aperta: in uno spiazzo deserto grande all’incirca quanto un campo da calcio, a neanche una trentina di passi dal furgone, era parcheggiata una Berga. Non era certo la prima volta che ne vedeva una, ma non le era mai capitato di salirci sopra o di avvicinarcisi così tanto.
 Jack la fece mettere in mezzo a lui ed Ellen e tutti e due la presero per mano. Lei ebbe la sgradevole sensazione che le avessero messo delle manette. Invisibili e che non facevano male. Ma pur sempre manette.
«È la prima volta che viaggi su una Berga, Johanna?», le chiese Jack quando si avviarono verso il mezzo. Pronunciava quel nome ogni volta che le si rivolgeva, anche quando non era strettamente necessario, e lei ne capì subito il perché: stava cercando di imprimerlo a fuoco nella sua testa. La cosa le diede un po’ fastidio, quasi la ritenessero stupida, ma decise di non darlo a vedere. «Sì, ma non ho paura di avere le vertigini o di sentirmi male, se è questo che vuoi chiedermi», rispose.
Jack sorrise – sorrideva troppo spesso per i suoi gusti, come se volesse far passare quel viaggio come una gita in campagna –. «Tua zia ci ha detto che sai il fatto tuo, Johanna, e devo riconoscere che aveva ragione.»
«Solo perché non ho paura di salire su una Berga
Jack ridacchiò e lei non riuscì proprio a capire cosa ci trovasse di divertente. «Perché non sei così terrorizzata da tutto questo al punto da piangere tutto il tempo o non riuscire a parlare, Johanna. O, se lo sei, non lo dai per niente a vedere.»
«Avete intenzione di uccidermi o di farmi del male?»
Jack le sembrò sorpreso, «Certo che no, Johanna, ci servi viva e in salute».
«Allora non vedo di cosa dovrei avere paura», ribatté e quella affermazione parve divertirlo parecchio.
Raggiunsero la Berga. C’era un uomo ad attenderli, un energumeno con i capelli cortissimi e talmente grosso che un solo suo braccio era grande quasi quanto lei. Persino Jack, che poteva vantare un’altezza piuttosto considerevole, vicino a lui sembrava di un uomo di statura ordinaria.
L’uomo la indicò subito con il mento. «È questa?»
Fu Ellen a rispondergli, spostando il peso su un fianco e guardandolo come si guarda uno stupido. «Tu che dici, Fred? Di certo non sono io. Sbrighiamoci a partire.»
Fred non si scompose, annuì e si avviò verso i controlli. Aspettò che il trio salisse sulla rampa, poi premette alcuni tasti e il portellone cominciò a chiudersi, con un suono stridulo e sferragliante. «Tempo un paio di minuti e sarà chiuso. Vado a dire a Hector di prepararsi al decollo», aggiunse e si defilò.
«E noi invece andiamo a riposarci, vieni Johanna», disse Jack. Lui ed Ellen fecero per avviarsi all’interno della Berga con l’intenzione di tirarsela dietro, ma lei lasciò bruscamente le mani di entrambi.
«Penso di poter riuscire a seguirvi anche senza che mi teniate per mano», disse, ignorando l’occhiataccia di Ellen. «Se avete paura che tenti la fuga potete tranquillizzarvi: non lo farò, voglio dire, dove potrei andare? E poi dovrei saper volare per scappare da una Berga e non mi sembra di esserne capace.»
Ellen la guardò in cagnesco, chiaramente pronta a dirgliene quattro, ma fu interrotta dall’allegra risata di Jack, che sorprese entrambe.
«Era a questo che mi riferivo, Johanna», disse lui, non appena riuscì a ricomporsi. «Hai appena, quanto? Sette anni? E già ci metti in riga in questo modo nonostante la situazione. Non c’è che dire: sei proprio quello che ci serve.»
Lei intuì che quella affermazione voleva essere un complimento, ma non riuscì a rallegrarsene o a sentirsene lusingata. Quel “sei proprio quello che ci serve” per qualche ragione la terrorizzò a morte. Non l’aveva fatto l’essere separata dalla zia Maggie, l’essere portata via per sempre da casa sua senza conoscere la destinazione, il sentirsi quasi un ostaggio nonostante i modi gentili o il salire la prima volta su una Berga. Ma quella semplice frase sì.
Nonostante la sua giovane età, credeva di aver smesso di avere paura, ma in quel momento la barriera che si era costruita intorno si incrinò e la realtà le arrivò addosso come una valanga: non provò più solo dolore per tutto ciò che stava abbandonando, ma anche un terrore cieco. Le avevano soltanto detto che avrebbe avuto un ruolo chiave nella cura dell’Eruzione e che avrebbe salvato la razza umana. Ma a quale prezzo? Cosa sarebbe successo a lei?
Per quel lungo attimo ebbe una terribile voglia di scappare. Il portellone non si era ancora chiuso del tutto e lei sarebbe passata senza problemi dall’apertura. Magari non si sarebbe fatta neanche troppo male cadendo, visto che la Berga non era ancora decollata. E poi avrebbe corso, in qualche modo avrebbe ritrovato la strada di casa, sarebbe tornata dalla zia Maggie e sarebbe rimasta con lei…
E l’avrebbe vista perdere il senno come era successo ai suoi genitori neanche due anni prima.
Non voleva mai più vedere un cosa del genere e adesso aveva la possibilità di fare in modo che non accadesse di nuovo. C’era solo una cosa da fare.
Fu un attimo, uno solo, poi la breccia si risanò e la sua barriera tornò ad essere solida e impenetrabile. Strinse i pugni, stupendosi della sua capacità di autocontrollo e complimentandosi silenziosamente con se stessa per non aver lasciato trapelare assolutamente niente.
Scrutò attentamente Jack e dopo qualche istante capì che non si era accorto di nulla, neanche con i suoi scrupolosi occhi indagatori. Su Ellen non ebbe il minimo dubbio: verso di lei, la donna aveva mostrato un certo disinteresse fin dal primo istante, intenzionata soltanto a fare ciò che le era stato ordinato.
«Lieta di sentirtelo dire», rispose con calma. «Andiamo?»
Jack annuì ed iniziò a salire la rampa. «Di qua.»
Si lasciarono alle spalle il portellone cigolante e si addentrarono dentro la Berga, fino ad arrivare in un stanza con almeno una decina di brande disposte lungo le pareti.
Ellen non fece complimenti e si buttò subito sul primo letto sulla destra, senza nemmeno togliersi gli scarponi o scostare le coperte.
«Non saranno il massimo del lusso, ma almeno sono comodi», sorrise Jack, sistemandosi a sua volta. «Scegline uno e riposati, Johanna, ci vorrà un po’ per arrivare.»
Fece come Jack le aveva suggerito, ma almeno ebbe cura di sfilarsi le scarpe e posizionarle accanto al letto. Sì tirò addosso la coperta fin sotto il mento, anche se non faceva così tanto freddo, e si sdraiò su un fianco, col viso rivolto verso la porta. In realtà non aveva sonno, ma fingendo di dormire non avrebbe dovuto affrontare eventuali conversazioni. Jack ed Ellen non erano intenzionati a spiegarle nulla, quindi non era interessata ad affrontare con loro altri argomenti.
Solo una cosa le premeva e non sarebbe stata zitta. «Jack, posso chiederti un favore?»
Lui le sorrise di nuovo, tirandosi su col busto per guardarla, e lei dovette trattenersi dall’alzarsi e correre a dargli un pugno dritto in faccia. «Certo, Johanna.»
«Potresti smettere di ripetere il mio nome anche quando non serve? Non sono stupida e so bene come mi chiamo.»
Non si era immaginata come Jack avrebbe reagito, ma non si sorprese affatto quando lo vide ridacchiare giovialmente ed annuire.
Levati quel maledetto ghigno dalla faccia o ci penserò io.
«Grazie.» Si voltò dall’altro lato, dandogli la schiena, e chiuse gli occhi. E, contro ogni sua previsione, si addormentò davvero.
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