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Autore: _Blanca_    19/12/2014    4 recensioni
| Assassin's Creed III | ● | Connor Kenway × Nuovo Personaggio | ● | storia in stand by |
1769. Colonia di Massachusetts Bay. Cecilia ha quattordici anni quando viene derubata di un'esistenza semplice e benestante. Rimasta sola in un mondo che si prepara alla rivoluzione e alla guerra, la ragazzina diventerà donna. E la donna scoprirà le difficoltà della vita e dell'amore.
"A Davenport Manor non si ricevevano mai visite. Così, quel tardo pomeriggio d'autunno, Cecilia, china sul focolare, quasi trasalì udendo un irruente bussare all'ingresso. Lasciò gli avanzi del pranzo a riscaldare nel caldaio, appeso sul fuoco, e attraversò di corsa la cucina: era l'ora del tramonto e rettangoli di luce si stiracchiavano pigramente sopra i porosi mattoni color tabacco del pavimento. [...] Nel buio salone da pranzo, [Cecilia] scostò qualche centimetro dei pesanti tendaggi verdi, odorosi di polvere e legna bruciata, e spiò oltre i pannelli di vetro della finestra. Era stata una giornata fresca e serena, ma nel fremere degli aceri gialli c'era un sentore di pioggia in arrivo. L'indesiderato visitatore era ancora davanti alla porta. [...] Era un nativo."
Genere: Generale, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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THE CORNFLOWER CAP 8

















VIII

L'Aquila e il lupo










Tenuta Davenport. 3o marzo 1770

Trascinato fuori dall'acqua, il relitto ricordava il torace di una gigantesca bestia marina, con una parte delle enormi costole di legno marcio esposte alla vista. Ma la prua era ancora intatta e, sotto al bompresso, la testa di aquila puntava lo sguardo verso l'apertura della baia. Cecilia immaginò di vedere il rapace scuotersi ed emergere dal legno, rivelando il resto del corpo con un maestoso frullio di ali e un'esplosione di schegge, per poi librarsi in volo sopra il mare aperto.
Il guizzo di fantasia venne bruscamente troncato dal faccione che le si parò davanti.
Un marinaio dalla testa calva, che per forma e colore ricordava in modo straordinario un uovo di tacchino, portava in spalla una piccola botte. Sorrise. Aveva un buco al posto dell'incisivo destro. «Trovato qualcosa da ammirare?» Allungò la mano libera per sollevare il mento di Cecilia.
Lei tirò indietro il capo, riassunse una risposta nella linea dura e diritta delle labbra e si voltò, piantando l'uomo lì, sulla spiaggia: il nugolo di marinai che ronzavano attorno alla nave, assoldati dal vecchio Davenport per rimettere in sesto l'Aquila, era il motivo per il quale Cecilia preferiva tenersi alla larga dalla baia.
Quella mattina stava facendo un'eccezione.
Raggiunse la baracca alla fine del pontile, rifilò due colpetti leggeri alla porta socchiusa ed entrò senza attendere inviti.
Il signor Faulkner era in piedi — abbastanza fermo sulle gambe da lasciar sperare in una discreta sobrietà — con i pugni premuti sul tavolino cosparso di carte: i progetti di ricostruzione del veliero. In un angolo del tavolo, tra un compasso e un calamio, stava una bottiglia color ambra.
«Buong—»
«Ah!» Faulkner l'azzittì, puntandole l'indice contro, come se avesse sorpreso un terrazzano a fischiettare sul ponte di una nave, in mare aperto. Socchiuse l'occhio destro. «Conosci la regola, miss» gracchiò.
Cecilia si morse il labbro — Buon Dio, tutte le volte la stessa storia — imponendosi il silenzio, mentre Faulkner circumnavigava metà del tavolo per avanzare verso di lei, scandendo il saluto per primo: «Buon-gior-no.»
«Ma non vi sembra di esagerare un tantino?» azzardò Cecilia. «Chiaramente nessuno salperà oggi. E i miei capelli non sono poi così rossi.»
«Sono rossi abbastanza» ribatté Faulkner. «La malasorte s'infila ovunque, di questi tempi!» [1] Sulla sua faccia cotta da sole, e circondata di barba grigia, si dipinse un'espressione bonaria. «Ma veniamo a noi... a che devo la visita?»
«Achille vi manda questi.» Cecilia aprì la piccola sacca che portava legata alla vita. Ne tirò fuori due fogli piegati a metà e li porse a Faulkner.  «Credo siano nuove disposizioni per i tipi di cannoni con cui—»
«—equipaggiare la mia splendida signora.»
«Già. La nave.»
Faulkner tornò al tavolo e scambiò la presa sui fogli con una sul collo della bottiglia. «Come mai il vecchio ha mandato te e non il ragazzo?» Fece saltare il tappo della bottiglia.
«Connor non è alla magione.» Cecilia aveva preso l'abitudine di usare il nome scelto da Achille, almeno quando si parlava di Ratonhnhaké:ton in presenza degli altri abitanti della tenuta. «Credo sia uscito all'alba, perché non l'ho incrociato a colazione. Sarà da qualche parte. Ad allenarsi». Aggrottò la fronte. «Non s'è fatto vedere quaggiù, vero?»
Faulkner disse di no, aggiungendo che non vedeva il ragazzo da almeno un paio di giorni.
A quel punto, sbrigata la commissione, Cecilia augurò buona giornata e si affrettò a lasciare la baracca. Non che avesse antipatia per Faulkner: il vecchio era stato un lupo di mare, al comando dell'Aquila e nei ranghi dell'ordine degli Assassini, e si comportava esattamente come ci sarebbe aspettato da un vecchio lupo di mare. Era il lezzo della baracca a essere poco invitante: sembrava che l'odore di alcol e di rum avesse impregnato pareti e mobilio.
Allontanandosi dalla baia, Cecilia non prese la direzione della casa.
Era una bella giornata. Le montagne restavano imbiancate, ma sulla collina, e tra i boschi, iniziava a riaffiorare il verde, mentre il vento, che per settimane aveva sibilato tra gli alberi spogli e gli abeti sempreverdi, aveva ceduto il posto a una brezza fresca e quieta. Mancando più di tre ore al mezzogiorno, Cecilia soppesò l'idea di una visita a Diana. Magari per rifornirsi di piante medicinali. Insieme al cantiere nella baia, l'arrivo delle famiglie dei taglialegna, e di O'Donnell, il falegname di Boston, aveva portato alla tenuta una parvenza di vita. Achille aveva dato il permesso agli affittuari di costruire sui suoi terreni: abitazioni, botteghe, perfino un mulino; anche Cecilia era rimasta coinvolta nel cambiamento di rotta del padrone. Ora che la magione stava tornando quella di un tempo, aveva dichiarato Achille una settimana prima, mentre la ragazza gli serviva la colazione, poteva far comodo un aiuto per governare la casa. Non vedeva motivo di mandarla a lavorare altrove, tanto più che dalle strade Boston, tra rivoltosi e Templari, sarebbe stato saggio tenersi alla larga. Fu così che Cecilia ottenne un lavoro autentico e la promessa di otto sterline l'anno.

***

Un cumulo di neve ghiacciata circondava una roccia larga e piatta. Un tappetino di violette spuntava tra i cristalli della neve. Cecilia, scendendo lungo il lieve pendio, vide i fiori e si fermò, per inginocchiarsi accanto alla roccia. Liberò i fiori, scavando con le dita nude — indossava i lunghi guanti di lana, che lasciavano scoperte le mani, e uno scialle per tenere al caldo il petto e la gola.
Raccolse una violetta. Poi, un'altra. E altre due.
Alla quinta, si bloccò.
Al placido fruscio del vento, e agli ininterrotti cinguettii tra la vegetazione, si era appena aggiunto un rumore nuovo.
Un suono basso e continuo. E minaccioso. Un ringhio.
Cecilia alzò la testa di scatto. Scivolò all'indietro per lo spavento, finendo con il sedere sull'erba bagnata.
C'era un lupo davanti a lei.
La sovrastava dalla roccia, sulla quale era balzato, silenzioso come uno spettro, ed era pronto al secondo balzo. Le orecchie puntate in avanti, il muso arricciato e il ringhio che vibrava tra le zanne. Spuntavano come coltelli di avorio dal rosso sanguigno delle gengive.
Cecilia non si mosse. Non ci riusciva. Le sembrò di aver perso il controllo delle proprio corpo, schiacciata a terra come una calamita contro il ferro.
Poi, udì un sibilo. E un guaito. Infine, un tonfo.
Il lupo era caduto giù dalla roccia e giaceva adesso riverso su un fianco, con una freccia dall'impennaggio bianco e nero conficcata tra le costole. La punta doveva essersi fatta largo tra la carne fino a trafiggere il cuore, perché la sventurata bestia smise subito di respirare.
Cecilia sbatté le palpebre, come un cieco miracolato, raccapezzando un briciolo di padronanza di sé, e voltò la testa di lato: Connor, a venti passi di distanza, stava abbassando l'arco. La guardava con la sua solita espressione che — se Cecilia non lo avesse conosciuto — sarebbe parsa di noia mista a sopportazione.
Il ragazzo la raggiunse e le tese una mano, ma non si sprecò in parole.
Cecilia si lasciò aiutare.
«Te... te l'ho mai detto il tuo tempismo è pari solo alla tua... piuttosto inquietante... capacità di avvicinarti di soppiatto?» Aveva ancora il mazzolino di violette nel pugno serrato.
Connor rilassò la mano lungo il fianco, indietreggiando di mezzo passo. «Dovresti portare un pugnale con te».
«Oh... n-non... credo servirebbe a un granché» balbettò Cecilia, che non aveva ancora ripreso colore. Scosse la sottogonna. «E poi... non so usarlo, un pugnale».
«E allora impara.»
Non c'era asprezza o cattiveria nel tono di Connor, solo la ferma calma con la quale si sottolinea l'ovvietà di un fatto. Ciononostante, Cecilia annaspò tra sorpresa e dispetto, come se lui le avesse appena dato un pizzicotto. Tirò fuori un sorrisetto forzato. «Ma le mie ti sembrano le mani o le braccia di un combattente?»
Connor arretrò di un altro mezzo passo. Fissò Cecilia da capo a piedi, inclinando appena la testa di lato e sollevando il mento, come faceva sempre quando sembrava intento a ponderare qualcosa.
«Prova a colpirmi» disse.
«Come prego?»
«Colpiscimi. Con un pugno.»
Cecilia aveva ancora il batticuore, un eco di paura che le rimbombava per tutto il corpo e pochissima voglia di interpretare il comportamento del nativo. «Se... se stai cercando di capire chi, tra noi due, è il più forte... una dimostrazione pratica è superflua. Tu hai più muscoli. Sei più grosso. Sei più alto. E ti alleni ogni santo giorno. Vinci tu.»
«Il lupo è più forte e veloce di me. E l'orso è più grosso. Eppure, posso batterli entrambi.»
«Quelli sono animali. Tu sei una persona. Hai le armi... e l'intelligenza... dalla tua.»
«Sono anche dalla tua.»
«Ma stai parlando di fronteggiare uomini o animali?»
«Sto dicendo che se la sola cosa che riesci a pensare, davanti a un nemico, è a quanto sia più forte, grosso e alto di te, allora hai perso prima ancora di provare a combattere.»
«Facile per te parlare così. Vorrei vedere se fossi bloccato in... in un corpo come il mio.»
«Sano e intero?»
«Debole.»
«La tua volontà lo è molto di più.»
A quell'ultima frase, la risposta salì alla lingua di Cecilia come una scintilla tra due pietre focaie.
«Lieta di sapere che mi consideri una persona senza spina dorsale.»
«Io penso solo che tu scelga di essere debole.»
La scintilla divampò in una fiammata: «Io non posso scegliere un bel niente!» sibilò Cecilia. Superò Connor, sfilandogli accanto, senza guardarlo in faccia. Lui non la seguì, se non lo con lo sguardo. Forse. Cecilia non si prese la briga di controllare, ma immaginò si fosse fermato a recuperare carne e pelliccia dalla carcassa del lupo. Lei, dal canto suo, abbandonò il proposito delle visita a Diana e tornò in fretta alla magione.

***

Le setole di saggina frusciavano sopra i mattoni, il tegame scoperchiato borbottava nel camino e la voce di Achille arrivava all'orecchio di Cecilia, intenta a spazzare il pavimento del cucina. La porta tra la cucina e il salone da pranzo era socchiusa. Nell'altra stanza, Achille parlava con Connor di un certo trattato dal titolo pomposo — De Principatibus — scritto da un Assassino italiano, ai tempi della famiglia Auditore. Un tale Macchiavelli. Gli insegnamenti di storia, di politica, di filosofia e di arte erano parte dell'addestramento di Connor e Cecilia faceva sempre in modo di trovarsi nei paraggi, durante le lezioni. A volte, se le faccende domestiche erano state sbrigate, sedeva nella stanza con Connor e il vecchio mentore.
Lei ascoltava. Ascoltava, stipava nozioni e riflessioni nella propria testa, con l'instancabile costanza di una laboriosa formichina, e capiva molto più di quanto lo zio Patrick, o Charlotte, o lo stesso Achille avrebbero mai potuto credere.
Quel pomeriggio, tuttavia, Cecilia ascoltava una parola sì e dieci no.
Fermandosi davanti a una finestra, appoggiò il mento alla scopa e dedicò un'occhiata imbronciata al mazzolino di violette. Le aveva riposte in vasetto dal collo lungo e sottile, sistemato sull'incavo del davanzale. I petali gialli e viola, lambiti dalla luce del tramonto, iniziavano ad appassire.
Cecilia aveva superato lo spavento dell'incontro con il lupo relativamente in fretta, ma non riusciva a scrollarsi di dosso le parole di Connor. Non era mai stato difficile andare contro i dettami dello zio Patrick riguardo ai molteplici limiti di una mente femminile. Capirò da sola quando avrò raggiunto il limite, si era sempre segretamente detta Cecilia, quando troverò un libro o un'idea da cui non riuscirò a cavare niente nemmeno al centesimo tentativo. Ma con il corpo era tutta un'altra faccenda. Cecilia li portava scritti addosso i segni della debolezza del suo sesso. Erano proprio sotto i suoi occhi, nelle mani piccoli, nelle carni morbide, nelle ossa gracili come quelle di un uccellino. Le donne erano vittime, non guerrieri. Le donne non potevano nulla davanti alla forza bruta. Era così, e basta. Lo diceva perfino Charlotte, che aveva uno spirito di ferro ma portava sulla schiena le cicatrici di quella metà della sua vita trascorsa alla mercé di una frusta mossa da un vigoroso braccio maschile.
Eppure... rifletteva adesso Cecilia. Eppure era stata proprio Charlotte a raccontarle le gesta di Grace O'Malley [2] e le imprese di Giovanna D'Arco. E il capitano Johnson, in quella sua Storia generale dei pirati [3] — sesto libro sul terzo ripiano della biblioteca, nella casa della sua infanzia — non aveva forse raccontato le avventure di due donne pirata? E Achille aveva forse mai fatto mistero del fatto che tanto sia gli Assassini quanto i Templari avessero sempre compreso le donne nelle loro fila? Non era stata la sorella di Ezio Auditore, Claudia, a guidare la Fratellanza per due anni? E se Connor si aspettava che lei andasse in giro con un pugnale, allora una simile attitudine doveva essere la normalità tra le donne irochesi.
Cecila stava sbucciando le patate quando sentì Achille lasciare la sala da pranzo, passando dalla porta principale. L'attimo dopo, udì il toc del bastone su per le scale. Mise giù coltello e tubero, pelato per metà, e si affacciò sulla soglia del salone.
Connor era rimasto nella stanza, seduto a un capo del lungo tavolo, lo sguardo chino su quello che doveva essere una versione in lingua inglese del trattato di Macchiavelli.
Cecilia strofinò le mani umidicce sul grembiule e si fece avanti.
Connor la udì. Si girò a guardarla.
«Posso... parlarti?» domandò la ragazza, fermandosi di fianco alla sedia.
«Lo stai già facendo» fece notare lui, con una logica a suo modo inattaccabile.
Cecilia sorvolò. Era in affannosa ricerca delle parole giuste per esprimere la sua richiesta. «Stavo pensando a quello che mi hai detto questa mattina» esordì. «E... uhm... a come... la paura mi abbia pietrificata, davanti al lupo. Il che mi ha fatto realizzare che forse tu... non hai tutti i torti. Riguardo alla mia volontà, intendo».
Connor la osservava dal basso della sedia e lei lo vide far salire un poco le sopracciglia sulla fronte, ma non lesse nulla di beffardo nel suo sguardo.
«Ti andrebbe di...» Cecilia lanciò un'occhiata alla porta, sebbene il rumore del bastone di Achille giungesse, fiaccamente ma inequivocabilmente, dal piano superiore. «Insegnarmi qualcosa? Non che mi sia messa in testa chissà quale strana idea. Non voglio andare in cerca di guai. Vorrei solo... solo non sentirmi sempre... costantemente... inerme.»
«Va bene.»
Cecilia battè le palpebre, più e più volte. «
Va... bene? Sul serio?»
«Sì. Va bene» ripeté Connor, con l'aria perplessa di chi si sta chiedendo quale bisogno c'è di dire le cose due volte. «Ti insegnerò. Quello che vuoi.»
A Cecilia sfuggirono un sospiro e un sorriso. Agì senza pensare, giacché in qualche modo sapeva che, se avesse riflettuto, la ragione l'avrebbe immobilizzata: si chinò verso il nativo e il silenzio del salone accolse lo schiocco di un bacio sulla guancia.
Quando lei si tirò indietro, Connor, rigido sulla sedia, abbassò gli occhi sul libro.
Cecilia non disse nulla. Tornò in cucina, pizzicandosi il labbro inferiore, ancora arricciato in un sorriso.










NOTE STORICHE
[1] Nella scena, si fa riferimento a due superstizioni di mari: il fischiare in mare aperto che attira le tempeste e le persone dai capelli rossi portano sfortuna, sopratutto se incontrate prima di salpare. L'unico modo per scongiurare la sfortuna è rivolgere per primi la parola alla suddetta persona. Cecilia, oltre ad essere una donna, è anche una biondina dai riflessi rossi e tanto dovrebbe bastare a Faulkner per preoccuparsi di vederla al cantiere.
[2] Grace O'Malley fu una famosa donna pirata irlandese, vissuta tra il XVI e XVII secolo.
[3] Storia generale dei pirati, scritto nel 1712, racconta le vite di pirati diventati famosi durante l'Età d'Oro della pirateria (dal 1650 al 1730). Le donne citate sono, come è facile immaginare, proprio Anne Bonny e Mary Read.









   
 
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