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Autore: AsfodeloSpirito17662    22/12/2014    2 recensioni
Merlin lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo. Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva potuto fare niente per evitarlo.
Era rimasto completamente alla mercé di se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria identità, della propria unicità.
Merlin lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni - Cristo, mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.
Iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi degli alberi.
Il dolore era giusto. Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.
Merlin si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle persone.
Ed era tutta colpa sua.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Drago, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
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DICIASSETTESIMO CAPITOLO

17. In volo verso Glastonbury


In volo, 4 agosto 2020

Sera


L'oblio. L'oblio rappresenta la dimenticanza, intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione del ricordo, con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento.

Sì, l'oblio. Lo desiderava così tanto. Forse era a causa dell'intensità di quel desiderio che, non appena chiudeva gli occhi, crollava come addormentato in una sorta di limbo, di anfratto oscuro e caldo, che sapeva di squame lucide e resistenti e di fruscio di ali giganti.

Con l'aria che gli ingarbugliava i capelli e gli frustava la faccia pallida, Charles si addormentò di nuovo.

Per l'ennesima volta, constatò Alecto seduta avanti a lui, impegnata a tenere aggrappati sia lui che se stessa al drago sotto di loro. Dopo aver capito il meccanismo, era stato ironicamente un gioco da ragazzi, ordinare a quelle creature di trasportarli in volo sino alla dimora di Emrys; l'avrebbero sicuramente raggiunta in meno di un'ora, ma visto lo stato in cui Charles stava metaforicamente annegando, Alecto dubitava che avrebbero concluso qualcosa quella notte; magari il giorno dopo, con un po' di riposo alle spalle e la mente un poco più lucida. Avrebbero potuto comodamente viaggiare ognuno su un drago, se solo lui non avesse cominciato, già dal pomeriggio, ad alternare momenti di veglia a stati di incoscienza ogni cinque secondi. In altre circostanze Alecto l'avrebbe portato dritto in ospedale, perché era tutto fuorché normale.

Ma anche il casino in cui si trovavano poteva considerarsi tutto tranne che normale, per cui... aveva dovuto adeguarsi alla lista delle priorità. Ad essere sincera, le sembrava di stare vivendo come in un film: erano successe così tante cose, in modo talmente veloce che niente le pareva reale. Pensandoci bene, il primo attacco dei draghi era avvenuto a metà luglio, eppure le sembrava successo un'era prima. Aveva la sensazione di avere il ruolo di mera spettatrice e che, quella a volare su un drago maledettamente enorme, in realtà non fosse lei. Se lasciava la mente vagare, riusciva quasi ad auto convincersi che tutti gli attacchi dei draghi, le persone morte, il suo coinvolgimento in prima persona, la devastazione, Charles, Hester... fossero stati frutto di un'allucinazione. Alla fine però, la realtà dei fatti tornava sempre a schiaffeggiarla sulla faccia sotto forma di vento fresco.

In quell'esatto momento ebbe un brivido, ma non seppe dire se a causa all'aria fresca che le si infiltrava sotto la maglia o alla brutta sensazione che, sin dal momento in cui avevano spiccato il volo, le aveva fatto chiudere lo stomaco.

Una cosa era certa: la resa dei conti era praticamente giunta. L'indomani, in un modo o nell'altro, tutto sarebbe finito.


*


Il sole gli scaldava la pelle in un modo così dolce e lieve che sarebbe rimasto steso per tutto il resto della sua vita, sulle rive di quel fiume; il gentile gorgogliare dell'acqua si accompagnava al frusciare delle foglie degli alberi rigogliosi ed Arthur poteva ricordare poche volte in cui si era sentito così felice e così appagato. Con le guance accarezzate dall'erba e la testa teneramente appesantita dall'ozio, pensò che per una volta nella sua vita, soltanto una, avrebbe anche potuto permettere l'uso della magia nel suo regno: congelare il momento, ecco quello che desiderava. Se solo la magia avesse potuto bloccare tutto e farlo restare lì tutto il giorno, o tutto l'anno, o tutta la vita - per sempre, sempre, sempre.

Magnifico. Semplicemente meraviglioso. Quel pensiero languido come il miele lo fece sorridere scioccamente e gli ingigantì il cuore. Si sentiva forte come un leone, Arthur Pendragon. Inarrestabile, coraggioso, impetuoso, determinato, giusto Arthur Pendragon.

Se avesse potuto portare con sé ovunque la sensazione di quel calore sulla pelle, era sicuro sarebbe diventato immortale.

Arthur Pendragon, l'Immortale. Suonava bene, no? Chissà che cosa ne avrebbe detto Merlin - conoscendolo, probabilmente avrebbe riso di lui.

Arthur aprì lentamente gli occhi sul cielo azzurro d'estate che faceva da tetto alla sua testa e sospirò con pienezza.

Merlin. Anche se ne avesse avuto davvero la possibilità, non avrebbe mai potuto restare lì a vita... non avrebbe mai potuto abbandonare Merlin. Sapeva che lo stava aspettando, che c'era qualcosa che doveva fare, ma l'erba era così soffice e l'aria così amabile... cos'era, che doveva fare? Merlin...

Sopra di lui, uno stormo di uccelli volò in modo leggiadro tra le correnti di aria fresca ed il loro canto si unì al ronzio degli insetti che sfrecciavano tra i fili verdi del prato, proprio vicino la sua testa. Chiudere gli occhi, doveva chiudere gli occhi, gli diceva tutto quello. Il mondo intorno a lui era diventato una culla affettuosa e lui non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente, mai, mai più. Sarebbe bastato solo chiudere gli occhi.

Doveva chiudere gli occhi.

Andava tutto bene.

Era al sicuro.

Era protetto dal sole, dagli alberi, dal fiume, dal cielo, persino dagli insetti. Andava tutto bene. Ad occhi chiusi.

Come se qualcuno avesse iniziato a premere sulle sue palpebre per abbassarle, Arthur si sforzò di combattere quella pressione. Voleva chiudere gli occhi, lo voleva davvero, ma prima aveva bisogno di vederlo, voleva vedere Merlin. Allora, soltanto allora, si sarebbe sdraiato nuovamente sull'erba e sarebbe rimasto lì fino al termine dell'eternità. Ma non poteva farlo, se prima non avesse visto Merlin ancora una volta. Merlin.

E lui dov'era?

Con una sofferenza quasi fisica abbandonò quello stato di semi incoscienza per mettersi seduto; immediatamente, una forte sensazione di disagio lo gettò in una confusione tremenda: essersi messo a sedere era equivalso ad aver abbandonato brutalmente il grembo materno... ma del resto, che ne poteva sapere lui? Il paragone non poteva esistere, eppure era proprio così.

Si stropicciò la faccia cercando di scacciare la sonnolenza, ma la sensazione di pesantezza alla testa non se ne andò del tutto, come se fosse davvero molto stanco. Cercando di concentrarsi e di recuperare un po' di lucidità, iniziò a guardarsi intorno e scoprì di trovarsi in uno dei terreni che erano vicini al castello; si voltò verso la foresta ed oltre le fronde degli alberi, non molto lontano, riuscì a scorgere le torri di Camelot innalzarsi come vessilli verso il cielo; le bandiere di un rosso acceso sventolavano pigramente lassù in alto, perfettamente visibili contro il cielo azzurro che faceva loro da sfondo.

Tutto quello era casa. L'aria che respirava, il terreno su cui giaceva, l'acqua che scorreva affianco a lui, gli uccelli che solcavano il cielo... tutto era casa. Ma come quando si abita da tanto tempo sempre nella medesima dimora, ci si accorge subito di quando qualcosa improvvisamente cambia, oppure sparisce; ci si accorge subito di una mancanza.

In quella casa mancava qualcosa.

In quella casa mancava qualcuno.

Il nome di Merlin balenò di nuovo nella sua mente e fu proprio quello a spingerlo ad alzarsi. La certezza che dovesse fare qualcosa, che Merlin lo stesse aspettando divenne immediatamente più reale e concreta, più impellente. Dov'era Merlin?

Barcollò sulle gambe e mosse qualche passo incerto in direzione del castello. La testa gli girava ed una leggera, ma persistente sensazione di nausea gli chiudeva la gola. Un minuto prima, sdraiato lì sull'erba, stava benissimo; perché ora si sentiva così male?

"Arthur".

Arthur si fermò, richiamato all'attenzione da qualcuno che era sempre stato lì con lui, nella radura. Come mai non se ne era accorto? Con un cipiglio confuso, si voltò verso il fiume, ma non vide nessuno. Eppure era sicuro che la voce fosse provenuta da quelle parti.

"La vostra vista è peggiorata?"

Inseguendo la direzione del suono di quella voce, Arthur indirizzò lo sguardo verso alcuni alberi che costeggiavano le rive del fiume e finalmente lo vide: Merlin se ne stava seduto all'ombra, accovacciato su alcune grosse radici e con le lunghe dita incrociate sulla pancia; le fronde verdi e rigogliose gli regalavano un piacevole anfratto fresco ed al tempo stesso l'avevano in qualche modo protetto da sguardi indiscreti. Certo, che non l'aveva visto. Si era mimetizzato bene, l'idiota.

"Andavate da qualche parte?" domandò Merlin, arcuando le sopracciglia scure con quella classica espressione che solitamente gli faceva venire voglia di strozzarlo.

"Sì" rispose Arthur, "Venivo a cercare te, se proprio vuoi saperlo! Dove sei stato?"

"Bé, non mi troverete di certo se continuerete a restare qui" replicò l'altro, senza soddisfare la curiosità del Re, che corrugò la fronte con aria interrogativa.

"Di che diavolo stai parlando?" chiese, avvicinandosi a lui con cautela, poiché il suo equilibrio sembrava averlo abbandonato; Merlin non si alzò e restò a guardarlo avanzare con incertezza, senza nemmeno dare l'impressione di volerlo aiutare.

"Mi dispiace per quello che è successo" disse, in tono sommesso.

"Merlin, stai parlando per enigmi ed io non riesco a seguirti! Cos'è che è successo?"

L'altro si strinse nelle spalle. "Non lo so" esclamò infatti, "Ma se siete qui sicuramente qualcosa è successa di sicuro. E non di quelle belle, temo. Non ve lo ricordate?"

Arthur sgranò di poco gli occhi per esprimere la sua totale e sincera perplessità.

"No. No, certo che no! Se fosse successo qualcosa ti pare che non me lo ricorderei?!" sbottò, infastidito da tutti quegli strani giri di parole. "Ti comporti in modo più bizzarro del solito oggi, forse è successo qualcosa a te... ?!"

Merlin sorrise in modo un po' triste e lo guardò con un sentimento così liquido che Arthur provò un soverchiante senso di colpa, come se fosse lui stesso la causa del malessere che gli occhi del mago non riuscivano a celare.

"In effetti sì" rispose dopo un po' il suo valletto, "E mi avevate promesso che mi avreste aiutato. Come fate a non ricordarlo?"

Arthur si fermò a qualche metro di distanza da lui e lo guardò in modo vacuo, tentando disperatamente di capire, o ricordare, di cosa stesse parlando Merlin, che nel frattempo si era alzato e gli si stava avvicinando. Arthur lo guardò coprire la distanza che li separava con poche falcate e poi fermarsi davanti a lui in modo un po' timoroso, il mento basso ed i pugni chiusi strettamente lungo i fianchi magri.

"In che modo ho promesso di aiutarti?" si sentì chiedere Arthur, la voce leggera come un soffio di aria. Merlin lo guardò con intensità, sondando il suo sguardo, cercando in lui un barlume di consapevolezza e volontà.

"Hai promesso di uccidermi, Arthur. Non è qualcosa che puoi dimenticare. Devi svegliarti adesso e mantenere fede alle tue parole".

Arthur non disse niente.

Merlin lo vide starsene in piedi tutto rigido, la mascella e le spalle contratte, gli occhi perfettamente immobili su di lui; il mago si sforzò di mantenere il suo sguardo, strinse maggiormente i pugni e le narici di Arthur fremettero. I suoi occhi azzurri, da immobili che erano, iniziarono a saettare lungo tutto il volto di Merlin, come alla ricerca di un dettaglio particolare e la sua espressione mutò gradualmente; il mago vide la sua perplessità svanire ed essere sostituita da un'aria interdetta, che a sua volta lasciò il posto al dubbio ed all'indecisione, poi ad una cauta consapevolezza che si riverberò sulla tensione delle spalle. Quando, dopo circa un minuto, Arthur esplose spingendolo bruscamente all'indietro, Merlin seppe che non aveva funzionato.

"TU!" gridò il Re, piantandogli l'indice al centro del petto con violenza, più e più volte; "SUL SERIO, MERLIN?! Pensavi davvero che alla fine non mi sarei ricordato niente? COME PUOI SOLO PENSARE DI RACCONTARMI UNA BUGIA COSÌ ASSURDA!"

Merlin strinse le labbra e non rispose, indietreggiando fino a quando non si trovò ad essere spalle al muro contro il tronco di un albero.

"MI CREDI COSÌ IMBECILLE? 'AH, ARTHUR NON SI RICORDA UN FICO SECCO DI QUELLO CHE È SUCCESSO, BENE! FACCIAMOGLI IL LAVAGGIO DEL CERVELLO!' NON CI PROVARE MERLIN, NON TI AZZARDARE MAI PIÙ!" Arthur lo spinse contro il tronco e gli intrappolò il viso con una mano, tra il collo ed il mento, come se volesse strozzarlo senza ucciderlo.

"IO NON TI HO MAI, MAI PROMESSO UNA COSA DEL GENERE! TI HO DETTO CHE TI AVREI SALVATO, MA NON SAREBBE STATO UCCIDENDOTI! NON LO FARÒ MAI! C'È UN'ALTRA SOLUZIONE!"

"NON C'È UN'ALTRA SOLUZIONE!" gridò Merlin di rimando, improvvisamente tutto rosso in viso.

"SE CI FOSSE STATA VE LO AVREI DETTO, MA NON C'È, MALEDIZIONE, NON C'È ! ILLUDENDOVI DI POTERNE TROVARE UNA NON FARETE ALTRO CHE ALLUNGARE QUESTA INSOPPORTABILE AGONIA! NON VI IMPORTA NIENTE DI ME?" la sua voce, non poté impedirlo, si incrinò paurosamente e Merlin inspirò bruscamente perché mai, mai avrebbe dato sfogo a tutta la sua rabbia e la sua frustrazione in modo così patetico. Non sarebbe servito a niente frignare e di certo non l'avrebbe fatto davanti ad Arthur.

"Non vi importa dell'inferno che sto vivendo ogni giorno?" aggiunse in maniera molto più quieta, nonostante la voce fosse vibrante di ira repressa. Merlin piantò i suoi enormi occhi blu in quelli di Arthur, implorandolo di aiutarlo, di fare qualcosa, di porre fine a quella sofferenza.

"Arthur, ti prego, ti prego, ti prego. Se ci fosse stata un'altra soluzione, sarei stato il primo a gioirne, ma non c'è. Non è facile per me chiederti una cosa del genere e non l'avrei mai fatto, se non fossi stato così sfinito. Io non ce la faccio più. E per quanto l'idea che tu sia l'unico che possa aiutarmi mi renda furioso e pieno di altri sentimenti che mi hanno fatto diventare quello che sono oggi, io ho preferito strisciare da te piuttosto che continuare in questo modo. Anche se tu avessi la possibilità di aiutarmi senza uccidermi, io non posso assicurarti che dopo non mi accadrebbe niente. Io sto già morendo, Arthur. Il senso di colpa mi sta divorando come un acido! Di chi pensi sia la responsabilità di tutto questo caos?! Io ho causato le calamità naturali! Io ho dato ordine ai draghi di distruggere tutto per riportarti in vita! Io ho calpestato le vite delle persone per raggiungere i miei scopi! Il dolore, il dolore che mi sta consumando non posso combatterlo e non voglio combatterlo! Io non potrei mai vivere con il peso sulle spalle di tutto quello che ho fatto. Non posso, non ce la faccio. Quindi, Arthur, per favore, ti prego, se la nostra amicizia è mai valsa qualcosa per te-"

"Non voglio sentire altro".

"Se il mio volere conta almeno qualcosa-"

"Ho detto che non voglio sentire altro".

"Allora per una volta non lasciare che-"

"BASTA, HO DETTO!"

Arthur strinse ancora di più la presa sulla gola di Merlin e quello si zittì. Passarono dei lunghi, interminabili secondi prima che il Re decidesse di mollare la morsa su di lui. Entrambi respiravano pesantemente, uno con il volto cinereo, l'altro accaldato e sudato. Restarono a guardarsi con la testa piena di pensieri e parole che si accavallavano l'una sull'altra, incapaci di far trovare loro un'ordine per poterle dire ad alta voce. Merlin si toccò la gola distrattamente ed Arthur inghiottì a vuoto.

"Quando ti salverò" esclamò quest'ultimo, con tono tremante di rabbia ma duro come la pietra, "Non ci sarà più niente, niente che dovrai sopportare o combattere da solo. Niente".

L'altro strinse i denti e voltò la testa per guardare da un'altra parte, i suoi pensieri in totale contrasto con quelli del Re. Arthur restò a guardarlo ancora per un po', cercando di guadagnare tempo per controllare almeno la velocità del suo respiro.

"Adesso, dimmi come diavolo faccio ad uscire da qui" esclamò, non appena fu soddisfatto dei suoi sforzi.


*


Fu una goccia d'acqua gelida a fargli aprire gli occhi. Cadde esattamente al centro della sua fronte e scivolò trasversalmente lungo la guancia, fino a morire sul mento. Charles sbatté le palpebre e vide che il mondo attorno a lui s'era fatto scuro come la pece; nonostante il cielo nuvoloso e grigio, che con sé portava promesse di piogge abbondanti, nonostante stessero volando sufficientemente in alto da poter contrastare la calura estiva, Charles stava sudando come fosse stato dentro ad una sauna. Si mosse dietro Alecto e cercò di stiracchiare le braccia, ma lei gli teneva le mani aggrappate insieme alle sue; lo lasciò subito però, quando si accorse che era sveglio.

"Scusa" esclamò quietamente, "Cercavo di non farti cadere". Lui non rispose e quando stirò i muscoli, un dolore lancinante lo colpì al retro del collo, a causa della scomoda posizione che aveva assunto decisamente troppo a lungo.

"Mmh" mugugnò, tornando ad afferrare la maglia di Alecto: volare su di un drago non era mai stato uno dei suoi desideri più forti e non si sentiva proprio a sua agio, lì sopra.

"Guarda" lo richiamò lei, indicando con l'indice l'orizzonte alla loro sinistra; Charles voltò la testa e notò che le nuvole cariche di pioggia si estendevano per qualche chilometro, per poi interrompersi bruscamente in una linea netta per lasciare spazio ad un cielo più che sereno.

"Anche di là" aggiunse, facendolo girare dall'altra parte. In effetti, adesso che ci faceva caso, si trovavano al di sotto di un cerchio perfetto, formato dalle nubi stesse, ma non aveva per niente l'aria di essere qualcosa di naturale.

Alecto parve leggere i suoi pensieri, perché qualche istante dopo anticipò le sue domande: "Quando Emrys era arrabbiato capitava che facesse piovere, a Glastonbury. Eppure i suoi poteri non si erano mai estesi così tanto. Deve essere davvero fuori di sé".

"C'è un caldo insopportabile" rispose lui, per contro. Alecto annuì ed aggiunse: "Sì, è un effetto della sua magia. La potenza è tale che la avverti anche fisicamente".

Charles si rabbuiò a quella notizia e ripensò al sogno che aveva appena fatto. Si era sentito pronto ad abbattere le montagne, pur di trovare Merlin, ma ora che era sveglio e che aveva solo una vaga idea di quanto potesse essere realmente forte il mago... le sue sicurezze iniziarono a vacillare. No, non sono io quello pronto ad abbattere le montagne. È l'altro. È sempre e solo lui che mi spinge a fare queste assurdità.

Quel pensiero lo fece sentire anche peggio, perché solitamente ogni volta che diceva robaccia simile, Hester lo riprendeva e gli mormorava qualcosa che riusciva a consolarlo almeno un po'.

Ma Hester non c'era più.

Stropicciò tra le dita la maglia di Alecto e strinse i denti.

"Mi dispiace per quello che è successo".

"Merlin, stai parlando per enigmi ed io non riesco a seguirti! Cos'è che è successo?"

"Non lo so. Ma se siete qui sicuramente qualcosa è successa di sicuro. E non di quelle belle, temo. Non ve lo ricordate?"

"No. No, certo che no! Se fosse successo qualcosa ti pare che non me lo ricorderei?!"

Aveva praticamente sputato sulla memoria di quella che era stata la sua seconda madre. La certezza che non avrebbe mai, mai potuto dimenticarsi l'offesa che le aveva arrecato, lo sapeva, l'avrebbe accompagnato per tutto il resto dei suoi giorni. Guardò la nuca bionda di Alecto, seduta davanti a sé. Chi è senza colpe scagli la prima pietra. Non c'era nessuno, tra di loro, che fosse completamente innocente. Ognuno stava semplicemente facendo del proprio meglio ed in effetti era questo che Hester aveva sempre cercato di fargli capire. Fa' del tuo meglio, come Charles o come Arthur, non importa. Fa' sempre del tuo meglio. Era ancora in tempo per onorare la sua memoria, per far sì che non fosse morta invano. Si era sacrificata per lui, il minimo che potesse fare era smettere di piangersi addosso e di chiedersi in continuazione perché proprio a me.

Guardò Excalibur, incastrata nella cinta dei suoi pantaloni e ripensò al giorno in cui Hester si era inchinata davanti a lui chiamandolo Re - sembrava una vita prima. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui, sarebbe dovuto accadere il contrario. Sarebbe dovuto essere lui a farle quell'inchino.

Era arrivato il momento di mettere le insicurezze da parte. Come Charles, o come Arthur, la questione non cambiava: era inutile continuare a negare che Merlin fosse importante solo per l'altro. In un modo intrinseco e che non avrebbe saputo spiegare, neanche se avesse voluto farlo, lo era anche per lui. E poi, glie lo aveva promesso: aveva promesso che sarebbe andato a prenderlo.

"Charles" lo richiamò Alecto, guardandolo da sopra il profilo della spalla, felice del fatto che non avesse perso di nuovo conoscenza. Lui alzò gli occhi su di lei e attese.

"Io... stavo pensando..." la voce le morì e rimase in attesa, aspettandosi un rimprovero per il solo fatto che avesse osato pensare, come se, dopo tutto quello che aveva combinato, non avesse più anche solo il diritto di aprire bocca. L'altro continuò a guardarla in silenzio ed Alecto si sentì lievemente incoraggiata da quel tacito consenso, così decise di continuare: "Stavo pensando che forse... sai, forse dovrei dirti qualcosa su di Emrys. Non sai niente di lui, del nuovo lui intendo, quindi pensavo... che magari..."

Il suo primo istinto fu quello di mettersi a ridere. Se lui non sapeva niente su di Emrys, allora i draghi non esistevano e tutto quello stava avvenendo soltanto nella sua mente. Eppure, Alecto non aveva tutti i torti: il Merlin che lui aveva conosciuto non c'era più, era assopito da qualche parte. Charles acconsentì quindi ad ascoltare che cosa l'altra aveva da dire.

"C'è una vecchia casa a Glastonbury che, da quanto ho capito, è sempre stata abitata da lui. Non gli piace molto parlare e quelle poche cose che so, le ho ottenute sudando, mi devi credere. L'unica stanza della casa che occupa è il salotto, forse perché lì si trova anche il ragazzo di cui ti ho parlato l'ultima volta. Sono legati l'uno all'altro da una sorta di... ramo, o radice, non saprei dire bene. Credo che questo legame impedisca ad Emrys di allontanarsi fisicamente da lui, ma questa è solo una mia supposizione. Purtroppo non so dirti chi sia il ragazzo e se non fosse che non si è ancora decomposto, ti avrei detto che è morto. Non ha l'aria di uno che se la passa bene, comunque".

"Come l'hai conosciuto?" intervenne Charles, approfittando della sua pausa. Sapeva già chi era il ragazzo di cui Alecto parlava, o almeno se n'era fatto un'idea, perché le aveva già chiesto di descrivere il suo aspetto la prima volta che ne avevano discusso.

"Noi esseri magici abbiamo la possibilità di poter comunicare tra di noi telepaticamente. È così che mi ha attirata a sé. E comincio a pensare che l'abbia fatto proprio per mandarmi a fare cose che lui di persona non avrebbe mai potuto e non potrà mai fare. Non può semplicemente allontanarsi da quel ragazzo, ecco tutto. Il solo modo che aveva per avvicinarmi era cercarmi telepaticamente e così ha fatto".

"Perché non sai cosa fare con i draghi? Possibile che non ti abbia mai detto niente?"

"No" rispose subito Alecto, facendo una smorfia. "È sempre stato restio a toccare l'argomento ed ogni volta che ci provavo si infuriava. Diceva che dovevo avere pazienza, che non ero pronta. Ma ora sono convinta che il suo unico scopo era quello di tenermi all'oscuro di tutto, per evitare di farmi diventare una minaccia. Non credo si sia mai fidato totalmente di me e forse l'idea che qualcun altro oltre a lui potesse avere controllo sui draghi, non gli piaceva poi così tanto. Le uniche cose che so con certezza è che soltanto un signore dei draghi può uccidere un drago. Qualsiasi tipo di arma su di loro non ha effetto, a meno che non sia appunto una come me ad utilizzarla".

Charles ricordò vagamente che anche Hester gli aveva detto una cosa del genere.

"Come se i draghi non bastassero, Emrys ha risvegliato altre diverse creature, tra cui i grifoni ed i wildeon - scommetto che li ricordi. Ed io, come la stupida che sono, l'ho aiutato".

Confessa le tue colpe adesso e forse, con altre venti o trenta vite, avrai diritto a chiedere il perdono.

Charles non commentò poiché, in tutta onestà, non aveva nemmeno la forza di ideare una frase che potesse farla sentire meglio. E poi un po' la incolpava, su quello non poteva farci niente. Aveva compreso che i trascorsi di Alecto erano tutto tranne che rosei, ma non poteva accettare ciò a cui aveva preso parte. Stava cercando di capirla e forse perdonarla, ma quello non implicava accettare le sue azioni.

"Inoltre la sua magia si è talmente rafforzata da aver cominciato ad interferire con i segnali radio, strumentazioni militari, radar, antenne e quant'altro. Infatti-" fu costretta ad interrompersi perché di punto in bianco, una gelida cascata d'acqua investì entrambi.

Aveva iniziato a piovere così violentemente e così all'improvviso che entrambi boccheggiarono dalla sorpresa e dallo shock della differenza termica. In un lampo, tutti e due avevano i capelli appiccicati alla faccia ed i vestiti incollati addosso. "CREDO SIA MEGLIO SCENDERE!" gridò Charles, per sovrastare il fragore della pioggia e dei tuoni.

"HAI RAGIONE!" rispose Alecto. "PIÙ CI AVVICINEREMO E PIÙ PEGGIORERÀ !"

Guardarono giù, cercando di scorgere un punto favorevole dove poter far scendere i draghi e solo così si accorsero di aver già raggiunto la loro meta. Erano arrivati a Glastonbury. Si scambiarono brevemente uno sguardo e dopo qualche istante, Alecto gridò qualcosa nella lingua dei draghi; le creature, compreso Drem, iniziarono a planare verso il basso con precisione ed un minuto dopo avevano tutti toccato terra vicino le rive del lago, lo stesso dove Charles aveva recuperato Excalibur. Scesero dal drago con qualche difficoltà, il tempo di incespicare un po' sui propri piedi ed in un lampo vennero circondati da altri Fomorroh. Charles sfoderò istintivamente la spada e si frappose tra loro ed Alecto.

"Che facciamo?" chiese lui, che ad una veloce analisi soppesò fossero una ventina. Alecto gli si affiancò e poi voltò la testa verso di lui.

"Percorri il sentiero che porta sulla strada principale e segui le indicazioni per Green Hill. Alla fine di quella via troverai la casa di Emrys. Dei Fomorroh mi occupo io. Ti raggiungo appena posso, ok?"

Anche Charles si girò verso di lei e fece saettare gli occhi sul suo volto.

"Sei sicura?" domandò, alla ricerca di ogni minimo sentore di cedimento. Tuttavia Alecto annuì con determinazione.

"Adesso che ho capito come funziona questa storia dei draghi, direi che è arrivato il momento di fare qualcosa di utile, non è vero? Avrei voluto saperlo fare prima, ma per affogare nei sensi di colpa ho tutto il resto della mia vita. Non credo sia questo il momento adatto. Va', ti copro io".

Lui restò con le braccia tese a brandire la spada ancora un po'; lasciò indugiare gli occhi su Alecto, perfettamente in grado di nascondere l'inquietudine che in realtà stava provando. Avrebbe fatto bene a lasciarla da sola? Ma poi, aveva altra scelta? Nella sua scala delle priorità c'era Merlin al primo posto, ci sarebbe stato sempre e solo lui. In fondo era soltanto un essere umano, non poteva pretendere di essere sempre gentile, sempre altruista, sempre impavido. Quando c'era di mezzo Merlin, in realtà, diventata un essere umano un po' stupido.

E forse molto innamorato.

Abbassò lentamente le braccia e distolse bruscamente lo sguardo da lei, imboccando il sentiero che lo avrebbe portato sulla strada principale.

Con gli occhi fissi sulla sua schiena ed una sorta di paura liquida dentro lo stomaco, Alecto ordinò a Drem di andare con lui e di proteggerlo, dopodiché dedicò la sua totale attenzione ad i Fomorroh.

"Adesso vediamo un po' cosa riesco a fare con voi".












NOTE DELL'AUTORE: Ci siamo ragazzi. La resa dei conti è finalmente arrivata. Il prossimo capitolo sarà decisivo e tutte le vostre sofferenze raggiungeranno il punto massimo, la conclusione. Dopo il prossimo, ci sarà la discesa verso la fine (vi ricordo che la storia si compone di 20 capitoli). Se sarà un'allegra discesa o irta di angst, lo scoprirete solo leggendo. Voi mi conoscete... cosa ne pensate? Non vorrei dirlo troppo ad alta volte ma credo che con questa storia, saluterò per un bel po' di tempo il fandom di Merlin. Anche se... mai dire mai :)

Asfo

   
 
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