Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Acinorev    23/12/2014    18 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

Capitolo diciassette - Replay

 

Emma arrivò al Rogers Museum con un certo anticipo, come richiesto: nonostante il museo si estendesse su due piani, la mostra avrebbe occupato solo il primo, dal pavimento in marmo scuro e dalle venature di un grigio pallido, ripreso dalle pareti alte.
All’entrata, ebbe modo di guardarsi intorno ed accertarsi velocemente che tutte le opere fossero disposte come da programma: Miles era a qualche metro di distanza, immobile dinanzi ad uno dei suoi ultimi dipinti. Le dava le spalle, tenendo le mani nelle tasche dei pantaloni scuri: aveva un abbigliamento più casual rispetto alla mostra precedente, ammorbidito da un maglioncino beige ben stirato e dal quale faceva capolino il colletto di una camicia bianca.
Emma dovette chiudere gli occhi ed inspirare profondamente, stringendo tra le mani la pochette nera e lucida. Camminare verso di lui necessitava di uno sforzo immane, in grado di mettere a dura prova la sua perseveranza: non poteva tirarsi indietro, non poteva evitarlo, ma come poteva incontrarlo senza sentirsi schiacciare da un peso asfissiante sul petto?
A pochi passi da lui, si trovò a riflettere su quanto fossero ormai distanti e diversi, dall’ultima volta che si erano trovati in una situazione simile.
«Miles», lo chiamò piano, alzando lo sguardo verso il suo viso ed attirando la sua attenzione: i lineamenti spigolosi, ma non privi di armonia, le si rivolsero contro come per sfidarla con i ricordi che trascinavano con sé.
«Hey», sussultò lievemente lui, schiarendosi la voce e guardandosi intorno per un istante. «Non ti ho sentita arrivare», confessò: i suoi pensieri dovevano esser stati piuttosto profondi, se erano riusciti a coprire il rumore dei tacchi di Emma, sempre più vicini.
Lei si strinse nelle spalle e si obbligò a spiare il quadro di fronte a sé, nel disperato tentativo di sentire un po’ di meno. Miles la stava osservando senza essere insistente, ma privo di esitazione: l’aveva sempre fatto, aveva sempre dimostrato la sua sicurezza inespugnabile, ed anche in quel momento non si tratteneva dal reclamare dei diritti.
«Manca solo mezz’ora», sospirò Emma, incapace di sopportare il silenzio e le proprie emozioni. Quando si voltò nella sua direzione, vide il suo sguardo spostarsi dalle sue gambe ai suoi occhi, come di ritorno da un’attenta analisi: le venne da chiedersi se si fosse soffermato sul suo corpo con una certa amara nostalgia, se anche lui si stesse confrontando con il naturale istinto di toccarla, se fosse stato attratto solo dalla jump suit nera ed elegante che indossava.
«Sembra un’infinità di tempo», rispose lui a bassa voce. L’espressione delle sue iridi, tanto scure da sembrare vuote, sembrava volerle suggerire un riferimento più intimo nascosto tra quelle parole di circostanza.
Emma inspirò lentamente e strinse i pugni, rabbrividendo.
Un’infinità di tempo da quando Miles aveva rappresentato il tutto del quale nutrirsi.
«Sai, stasera ci sarà anche Lea», aggiunse lui poco dopo, quasi si fosse accorto dell’atmosfera nella quale erano improvvisamente precipitati.
Lei forzò un sorriso, ma dovette abbassare lo sguardo: non le dispiaceva per la sua presenza, ma temeva che avrebbe commentato la loro rottura ed era proprio quello di cui non aveva affatto bisogno. Non si sentivano da molto, praticamente dalla festa di compleanno di Zayn, ma non era lei l’unica fonte di informazioni.
«Le ho chiesto di farsi gli affari suoi», aggiunse Miles, come leggendole nel pensiero ed ammorbidendo la voce in una leggera rassicurazione. Era  difficile ammonire Lea, perché la sua vivacità non era pienamente controllabile, ma si poteva comunque tentare.
Emma fu nuovamente attirata dai suoi occhi, sollevata. «Grazie», esclamò semplicemente: nemmeno si meritava un aiuto simile, Miles avrebbe dovuto disprezzarla, almeno quanto lei avrebbe dovuto disprezzare lui. Sarebbe stato tutto più semplice.
«Verrà qualcuno della tua famiglia?» le domandò curioso, ma forse anche lievemente preoccupato.
«No», rispose, scuotendo la testa. «Ormai hanno smesso di chiedermelo», spiegò, arricciando il naso e sperando di spezzare la tensione con un sorriso. 
L’unico che aveva insistito era stato Harry.
«Prima o poi dovrai invitarli ad una di queste mostre», le ricordò Miles. Nonostante la loro lontananza, non mancava di andarle incontro.
E lei non mancava di rispondere con la propria caparbia. «Non fino a quando non avrò la certezza di fare un buon lavoro».
«Tu stai facendo un ottimo lavoro, lo sai bene».
«Se ti riferisci ad un mucchietto di fotografie, mi semb-»
«Va bene», la interruppe, abbozzando una risata arresa e scuotendo la testa. «Va bene», ripeté, inumidendosi le labbra ed osservandola attentamente.
Emma gli sorrise appena, cogliendo la nostalgia nelle sue iridi, ma subito dopo tornò a scrutare il quadro astratto che stava facendo loro da testimone: erano pochi gli attimi in grado di farle dimenticare ciò che era successo, e una volta terminati, il dolore pungente tornava ad infastidirla.
«Io… Vado a controllare una cosa», esordì Miles dopo una manciata di instabili secondi. «Ci vediamo dopo».
Lei annuì, senza guardarlo: non si sentiva in grado di poterlo fare e non voleva rischiare di averne una conferma. Si concentrò solo sul rumore dei suoi passi lenti, lo immaginò passarsi una mano dietro il collo ed abbassare le palpebre, magari imprecare e poi allentarsi il colletto della camicia.
Sarebbe stata una lunga serata.



Dopo circa un’ora, Emma ebbe il presentimento che stesse per andare tutto a rotoli: la sensazione di un imminente disastro le innervosì ogni centimetro di pelle, ogni parola da pronunciare.
E quella sensazione portava il nome di Harry Styles.
Lo osservò varcare la porta d’ingresso con indosso un giaccone nero, i capelli liberi che gli sfioravano il volto attento e gli occhi che probabilmente la stavano già cercando: non poteva credere che fosse davvero lì, che avesse avuto così poca considerazione della sua richiesta e delle sue motivazioni. Lo odiava per essere così sprezzante del volere degli altri, per la semplicità con la quale riusciva a metterla in difficoltà.
Emma restò immobile tra tutti i presenti, aspettando di controllare i propri istinti più violenti  per lasciare il posto a qualcosa di più diplomatico: non aveva nemmeno voglia di parlargli, di rimproverarlo, di dargli importanza. Se lui era disposto a tenerla così poco in considerazione, lei era pronta ad ignorarlo senza alcuna esitazione: non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione, non si sarebbe scomposta di fronte a lui. Avrebbe vinto.
Stizzita, lasciò scappare un sospiro e si passò una mano sull’acconciatura poco articolata che le teneva in ordine i capelli: decisa ad evitare Harry, mosse il primo passo nella direzione opposta, ma si arrestò subito dopo. I suoi occhi si soffermarono su Miles, che la stava osservando con un bicchiere di vino in una mano: la sua espressione era tesa, furiosa.
Ebbe la conferma della sua supposizione, quando lui si voltò verso Harry e poi di nuovo verso di lei: sembrava disprezzarla con tutto se stesso, sembrava glielo stesse già urlando di fronte a tutte quelle persone, tanto che Emma sentì la necessità di nascondersi e allo stesso tempo di ribellarsi. Quando lo vide camminare nella sua direzione, quindi, non esitò a fare lo stesso.
«Che diavolo ci fa lui, qui?» chiese Miles a denti stretti, ormai a nemmeno un metro da lei. Ogni tratto del suo viso era stressato da un fastidio acuto, sofferente. «Mi prendi in giro?»
«Non gli ho detto io di venire», precisò lei.
«Certo, tu non gli dici mai niente, eppure è sempre dappertutto», esclamò lui in risposta, bevendo nervosamente un sorso di vino bianco.
«Secondo te sono talmente stupida ed insensibile d-»
Miles serrò la mascella, prima di interromperla. «Non mi interessa», sussurrò con rabbia. «Io so solo che non mi è per niente facile stare qui con te, e cazzo!, come credi che possa sopportare che ci sia anche lui?»
Emma indietreggiò impercettibilmente, trovandosi di fronte alla conseguenza tanto temuta e che aveva tentato di evitare. «Nemmeno per me è facile, nemmeno io vorrei che Harry fosse qui!»
«E dovrei crederti?» domandò scettico, corrugando la fronte. «Non c’è bisogno di mentire, puoi tranquillamente dirmi che sei già andata avanti e che hai già trovato di meglio».
C’era un tale disappunto, nella sua voce, da scuoterla più di un’offesa. Si avvicinò di un passo e gli afferrò un mano, senza nemmeno pensarci. «Non sai neanche di cosa stai parlando», mormorò. Era solo per lui che stava lottando così tanto con se stessa, solo per lui se non riusciva più a capire cosa volesse e cosa potesse ottenere. 
Miles scrutò le loro mani a contatto, poi si divincolò lentamente dalla sua presa. «Tienilo lontano da me», disse soltanto, prima di voltarsi ed allontanarsi, prima di portare via con sé un po’ dell’aria che le serviva per respirare e andare avanti.
Strinse i pugni con così tanta energia da farsi male, poi si massaggiò la fronte e chiuse gli occhi per isolarsi dalla confusione che la circondava e per cercare una maggiore chiarezza, una maggiore lucidità. Quando li riaprì, Harry era distante alcuni metri e la stava osservando: probabilmente aveva assistito alla loro discussione, probabilmente ne aveva persino goduto, probabilmente era proprio un maledetto stronzo.
Emma lo guardò con un disprezzo aspro ed inconfondibile, imponendogli in silenzio di non avvicinarsi a lei nemmeno per sbaglio: un ordine così chiaro e determinato, da smorzare qualsiasi dubbio a riguardo. Si voltò velocemente, bisognosa di strappare le proprie iridi dalla sua figura, ed imprecò tra sé e sé. E lo fece di nuovo, quando subito dopo andò a sbattere contro qualcuno: per un attimo temette di essersi dimostrata troppo rude nei confronti di uno dei presenti inconsapevoli, ma il sollievo la fece sospirare nel riconoscere Lea.
«Emma, hey!» la salutò, abbracciandola calorosamente. «Scusa il ritardo, ho avuto da fare».
«Non ti preoccupare», borbottò lei, cercando disperatamente di sbarazzarsi di almeno metà della tensione.
«Cos’è quest’aria cupa?» le chiese Lea, accarezzandole un braccio. «Qualche ipocrita ignorante dell’alta classe ha osato criticare le tue fotografie?» ipotizzò, assottigliando lo sguardo scuro e guardandosi intorno circospetta. I capelli biondo grano le incorniciavano il volto con onde morbide, che rimbalzavano sulle sue spalle ad ogni parola pronunciata con un po’ più di enfasi. 
«No, nessuno si è ancora permesso di mettermi in dubbio», rispose Emma, forzando un sorriso divertito ed usando la propria consapevolezza per difendersi. «È solo che ho appena incontrato qualcuno che non è esattamente il benvenuto», spiegò, abbassando la voce per non tradire la rabbia che le ribolliva all’interno.
«Ah, ignoralo», le consigliò l’altra, facendo una smorfia di indifferenza. «Anzi, a proposito, sai chi mi ha chiesto di questa mostra?»
Emma soppesò la sua espressione euforica, ma aspettò una spiegazione.
«Ti ricordi quel ragazzo di cui ti avevo parlato? Quello assurdamente bello della festa di compleanno del tuo amico?»
Non può essere.
«Io pensavo fosse acqua passata, sai, dopo che mi ha scaricata senza troppi giri di parole, ma evidentemente deve essersi reso conto del madornale errore commesso: un paio di giorni fa mi ha scritto chiedendomi se sarei venuta, stasera, ed eccolo qui!» Lea continuava a parlare con il suo solito entusiasmo, senza nemmeno fermarsi per riprendere fiato. «Avrebbe almeno potuto darmi un passaggio, ma immagino non sia proprio il tipo. Ho l’impressione che sia abbastanza riservato, forse anche un po’ stronzo, e che di sicuro sappia quanto ben di Dio Madre Natura gli abbia donato… Dovrei fartelo conoscere, ti piacerebbe».
Emma semplicemente non poteva credere che il destino potesse accanirsi in quel modo nei suoi confronti, non poteva accettare una tale sequenza di eventi beffardi: si sentiva presa in giro e si sentiva una completa idiota, incapace di guardare oltre le misere emozioni provate in miseri istanti, che stando alle ultime novità non erano state altro che… Niente. In fondo Harry non poteva essere davvero così contraddittorio, non poteva riempirla di parole e poi ignorare le sue richieste, chiedere a Lea di vedersi alla mostra, in un’ulteriore schiaffo alla sua dignità.
«Ma scusa, ti sto annoiando con tutte le mi chiacchiere», continuò Lea, arricciando il naso con aria dispiaciuta. «Immagino che tu abbia altro a cui pensare: per esempio, devi ideare un autografo per tutti quelli che te lo chiederanno», scherzò, aprendo le labbra in un largo e spensierato sorriso.
Emma si strinse nelle spalle e si limitò ad annuire lentamente: era talmente incazzata, da non riuscire a fare altrimenti. E proprio quando credeva di essere arrivata al limite della tortura sopportabile, Lea si preoccupò di smentirla.
«Allora è peggio di quanto credessi…» sussurrò, con una nuova consapevolezza negli occhi neri. «Stare qui con Miles non deve essere così facile. Mi dispiace davvero molto per voi due-»
«Devo andare», la interruppe Emma, quasi bruscamente: non ascoltò nemmeno un’altra parola, troppo impegnata ad impedirsi di crollare, e si allontanò velocemente con la viva speranza di non essere fermata da nessuno.



Era riuscita ad evitare Harry per tutta la sera e forse lui glielo aveva concesso: talvolta aveva percepito la sua presenza, altre volte lo aveva notato al fondo della sala nell’attento ascolto delle spiegazioni delle sue fotografie – compresa la loro, sulla quale non era però intervenuto – e altre volte ancora lo aveva visto fissarla intensamente, o in compagnia di Lea. Ma era stata forte nella propria determinazione, si era sempre voltata dall’altra parte, aveva sempre finto che non esistesse e, purtroppo, si era sempre preoccupata di quanto fosse difficile.
Non era ancora riuscita a smaltire il nervosismo accumulato, né a processarlo a dovere: era ancora lì, incastrato ed intrappolato dalle ossa rigide del proprio corpo, a ricordarle in ogni istante qualcosa che preferiva non fosse presente. A nulla servivano i complimenti dei presenti, gli approfondimenti richiesti su alcuni aspetti della mostra, la pretesa di un’altra esposizione: qualsiasi cenno di soddisfazione personale era scacciato da un’ombra di delusione, fedele persecutrice.
Approfittando dell’approssimarsi del termine della mostra, Emma raggiunse velocemente l’uscita del museo, cercando di sfuggire a sguardi indiscreti che avrebbero potuto carpire sul suo volto emozioni contrastanti: Miles si era accorto di lei, ma era subito tornato ad ignorarla, proprio come aveva fatto per tutta la durata della serata. 
Rabbrividendo per le braccia nude e l’aria fredda della sera, si appoggiò alla parete dell’edificio e chiuse gli occhi: respirava temperature più basse nella speranza che potessero congelare il fuoco che la stava animando, pregando per un attimo di tregua.
Tregua che, ovviamente, sembrava essere lontana anni luce.
«Ti ammalerai di nuovo», furono le parole che la fecero sobbalzare.
Harry le stava di fronte, con le mani in tasca e senza giacca: una camicia in lino bianco gli accarezzava il torso definito.
«Ti consiglio di andartene», quasi ringhiò Emma, senza guardarlo ed incrociando le braccia al petto.
«È una minaccia?» domandò lui, inarcando un sopracciglio.
Lei alzò gli occhi al cielo e serrò la mascella, prendendo a camminare lungo il marciapiede per allontanarsi da lui e dalla sua espressione provocatoria. Stava cercando di non urlare, di non colpirlo fisicamente.
«Non puoi evitare il teatrino, restare qui e magari parlare?» le chiese alle sue spalle, obbligandola a fermarsi. 
«Parlare?!» sbottò lei, tornando verso di lui e chiedendosi perché mai si stesse trattenendo, se in fondo aveva tutti i diritti di essere infuriata. «Dio, sei un tale idiota!»
«Non iniziare ad insultare», la ammonì, come se ne avesse avuto il diritto.
«È quello che ti meriti!» ribatté lei, alzando la voce. «E smettila, smettila di guardarmi così! Sai perfettamente perché io sia così incazzata, quindi risparmiami tu il teatrino e assumiti le tue responsabilità!» Non riusciva a sopportare il suo sguardo fintamente innocente, la sua tranquillità, il contrasto tra i loro stati d’animo.
«Tutto questo solo perché sono venuto?» domandò lui, facendo un passo avanti. «Non mi sembra il caso di farne un dramma».
Emma spalancò gli occhi, incredula. «No, razza di stupido!» lo contraddisse, puntandogli un dito contro. «Tutto questo perché non te ne frega un cazzo di quello che ti chiedo e del perché io lo faccia! Ti basta ascoltare il tuo immenso ego e tutto il resto perde di importanza! Dovrei ringraziarti per essere venuto? Per avermi fatto litigare con Miles per l’ennesima volta, quando io stavo cercando di mantenere quello straccio di rapporto che era rimasto?! Per avere portato qui Lea?! Di’ un po’, credi davvero di potermi prendere per il culo in questo modo?!» 
Harry sbatté le palpebre, con il nervosismo che gli conquistava il corpo centimetro dopo centimetro. «E a te? A te frega qualcosa di quello che io ti chiedo?!» ribatté lui, imitando il suo tono e gesticolando. 
«Tu non chiedi niente! Vuoi solo prendere, prendere tutto quello che vuoi, e non importa se per farlo devi calpestar-»
«Ah, piantala di dipingermi come un cazzo di mostro!» la interruppe, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«Non voglio continuare questo discorso», mormorò Emma, scrutandolo senza deporre le armi. «Mi hai già rovinato abbastanza la serata», continuò, superandolo per tornare dentro il museo. 
«Perché cazzo te ne stai andando?» domandò dietro di lei, ma senza seguirla. «Dio, sembra che tu non sappia fare altro!»
«Perché non ti sopporto!» gli rispose lei, voltandosi solo per dedicargli altro disprezzo.
«Certo, perché non fai che incolpare me per qualsiasi cosa ti succeda!»
«E in questo caso non è colpa tua?!»
«Sarebbe colpa mia se la tua amica Lea non capisce assolutamente niente? Ma tu hai un’opinione troppo bassa di me anche solo per pensare che forse sia stata lei a fraintendere, vero? Perché io non sono venuto con lei, le ho solo chiesto se sapesse l’ora ed il posto di questa cazzo di mostra!»
«Ed io non ti credo!» asserì Emma, caparbia. «Ti ricordo che volevi portartela a letto, non molto tempo fa, quindi niente ti vieterebbe di averne ancora voglia! E lei non è così stupida da immaginarsi tutto!»
«Niente me lo vieterebbe?» chiese Harry, assottigliando lo sguardo e la voce. Avvicinandosi ancora. «Stai attenta a cosa rispondi, Emma», precisò subito dopo, rendendo ancora più esplicito il riferimento.
Lei si sentì smarrita, per un istante, ma non perse il suo coraggio. «Qualsiasi cosa sia successa con Lea, non puoi negare di essertene fregato di me e Miles!» esclamò, cercando di riportare il discorso su qualcosa di indiscutibile, non in grado di metterla in difficoltà.
«Credi che dipenda da me se tu litighi con il tuo ex-ragazzo?! Sai, forse è merito tuo se non si fida delle tue parole, se crede che tra noi ci sia qualcosa e se la mia sola presenza gli fa girare le palle!»
«Merito mio?!»
«Sì, merito tuo! Pensaci, cos’ho mai fatto di così assurdo per farlo preoccupare tanto?! Mi ha visto due volte in tutta la sua vita ed è come se fossi il suo peggior nemico! Sei stata tu a non dargli abbastanza certezze, quindi non prendertela con me per delle tue mancanze!»
Emma lo spinse con le mani sul suo petto, così forte da farlo indietreggiare di qualche passo. «Tu non sai niente!» urlò, con i polmoni alla disperata ricerca di aria. C’era traccia di verità, nelle parole che le erano state rivolte, ma non era una giustificazione per il cinismo con il quale erano state pronunciate.
«Forse, o forse non sono così cieco da non vedere che tu tieni a lui più di quanto voglia ammettere!» la contraddisse. «E non lo ami! Cristo, Emma, non lo ami! Eppure vivi in base a quello che potrebbe ferirlo o renderlo felice! Ti trattieni in tutto solo perché hai paura di sbagliare ed io mi chiedo cosa diavolo te ne importi!»
Lei fece un passo indietro, rabbrividendo nell’incontrare la parete fredda alle proprie spalle: lo sguardo vacuo e le parole spezzate in gola, si sentiva improvvisamente priva di energie.
«Lui è importante per me», sussurrò, fissando il marciapiede ai suoi piedi. «Non l’ho mai negato», continuò, come alla ricerca di una giustificazione con la quale difendersi. Era vero, aveva paura di commettere un altro errore, ma non si trattava di vera e propria debolezza, si trattava di rispetto nei confronti di una relazione che, a prescindere dalle sue complicazioni e dalla sua fine, era stata un pilastro per due anni della sua vita.
«Ed io? Io lo sono?» domandò Harry, eliminando la distanza tra di loro e sovrastandola con la sua altezza, mentre il suo petto si alzava e si abbassava velocemente.
Emma spostò lo sguardo sul suo volto, inerme: qualsiasi fosse la risposta, alla quale comunque avrebbe dovuto pensare, non voleva pronunciarla. Voleva solo porre fine a tutte quelle infinite discussioni, a tutte le urla e le ferite. «Lasciami stare», gli ordinò, più debolmente di quanto avrebbe voluto.
«No».
«Devo tornare dentro, lasciami… Lasciami stare», ripeté, nonostante non osasse muoversi di un millimetro. Harry le era semplicemente davanti, non la stava trattenendo, ma era come se la sua sola presenza potesse fungere da prigione.
Subito dopo, la fine.
«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda: il ricordo della prima volta che aveva usato quel paragone le serrava lo stomaco, il cuore. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?
A quel punto, Emma lo spinse di nuovo. «Che razza di domanda è?» chiese allibita. «Come credi che potrei amarti, adesso?»
Il pensiero di provare ancora una volta qualcosa di tanto forte nei suoi confronti la paralizzava: era troppo presto, era troppo pericoloso, prematuro ed irragionevole.
«Curiosa scelta di parole», commentò Harry, immobile di fronte a lei, con la camicia stropicciata e le labbra umide di brama. Aveva evidentemente prestato una meticolosa attenzione alla risposta ricevuta, a quell’adesso che era fuggito inconsapevolmente ed in modo innocente e che forse poteva essere frainteso.
Emma scosse la testa, respirando velocemente, e sentì la necessità di prendere una posizione. «Cerchi sempre di cambiare discorso, di…» Sospirò profondamente, massaggiandosi la fronte con una mano. «Tu stasera non saresti dovuto venire», gli ricordò. «Invece l’hai fatto lo stesso, l’hai fatto e vuoi farmi sentire in colpa per tutto il resto solo per non ammettere il tuo errore: ma la verità è che se tu non ti fossi presentato, io e Miles saremmo riusciti a convivere civilmente almeno per poche ore, Lea non mi avrebbe sbattuto in faccia il suo ipotetico appuntamento con te e tu non saresti stato ovunque. Non mi avresti rovinato la serata!», spiegò lentamente, con il nervosismo e la frustrazione a marcare ogni sillaba.
Harry la osservò a lungo, con un’espressione indecifrabile. «Non vuoi nemmeno fermarti a pensare al perché io sia venuto lo stesso», le rinfacciò.
«Ci ho pensato da quando mi hai detto di volerlo fare, ma io ti ho comunque chiesto di darmi ascolto», precisò. «E odio, odio il fatto che tu mi abbia ignorata: forse anche tu dovresti fare come me, forse dovresti pensare prima di parlare o di fare qualsiasi cosa».
Lui sembrò scottato dalle sue parole, prese da quelle che le aveva rivolto un paio di giorni prima. «Credi che non lo faccia?» le domandò.
«Non importa, se il risultato è questo!» rispose, alzando la voce e rendendo evidente quanto fosse stridula.
«Bene», disse lui soltanto, dopo qualche istante. Il viso impietrito in una maschera fiera.
Emma aveva temuto altre urla, ma si sentì sollevata nell’udire solo un insidioso silenzio. Harry serrò la mascella e schiuse le labbra, solo per poi richiuderle e scuotere la testa: mentre si voltava per andarsene, lei ebbe l’impressione di non avere le forze di restare in piedi. 
Le sembrava assurdo essersi di nuovo invischiata in un litigio del genere: era stanca della continua incompatibilità, che sembrava l’unico modo in cui potessero relazionarsi. Perché diavolo si erano incontrati di nuovo, quel giorno al Rumpel? Solo per confermare ancora una volta le loro diversità? Per soffrire ripetutamente come sei anni prima? Quale forma di sadismo li aveva legati in un’ulteriore rapporto autodistruttivo?
«Vorrei che tu non fossi mai tornato a Bradford», sussurrò appena, con lo sguardo fisso sul marciapiede, così spontaneamente da stupirsi persino dell’effettivo suono delle sue parole.
Harry si fermò, stringendo i pugni lungo i fianchi: quando si voltò a guardarla, nei suoi occhi vigeva puro ed orgoglioso risentimento. «Tranquilla», esclamò, con più foga di quanta ne fosse necessaria. «Non dovrai sopportarmi ancora per molto, tanto tra tre giorni torno a Bristol».
Emma spostò le iridi nelle sue e sentì il respiro mancare: non poteva sopportare un replay tanto crudele, una ferita tanto inaspettata e profonda. «Cosa?» chiese soltanto, senza muoversi.
Lui si strinse nelle spalle e le dedicò l’accenno di un sorriso, senza concederle altri dettagli da interpretare, altri particolari che avrebbero potuto rassicurarla. «Te l’ho detto, mi serve un lavoro per permettermi l’appartamento: quel mio amico me ne ha fornito uno sei anni fa, può farlo di nuovo», spiegò con una gelida tranquillità. 
Non aspettò alcuna risposta, si congedò con un cenno del capo e si allontanò con le mani di nuovo in tasca: Emma restò con gli occhi fissi nello stesso punto, anche quando Harry rientrò nel museo e ne uscì pochi istanti dopo con la giacca addosso ed i passi lenti.



«Emma?»
La voce di Miles le sembrò di velluto, così morbida da poterla rassicurare. Lo sentì sedersi accanto a lei, su uno dei gradini che portava al secondo piano del museo: la mostra era ormai conclusa, le sale erano ormai vuote.
«Cosa ti è successo?» le domandò, cercando il suo sguardo ma non riuscendo ad ottenerlo.
Lei scosse la testa e non rispose.
Lui sospirò piano.
«Mi dispiace», riuscì a dire Emma, sperando di poter includere nelle sue parole qualsiasi colpa le fosse stata accreditata, consapevole o meno.
«E a me dispiace per la scenata di prima», continuò Miles: non le chiese se si stesse davvero frequentando con Harry, forse perché sapeva di aver esagerato o forse perché ne era semplicemente convinto, e lei gliene fu immensamente grata.
Trascorsero diversi minuti prima che qualcuno trovasse il coraggio o le forze di parlare di nuovo.
«Perché non possiamo essere come tutti gli altri?» sussurrò Miles, lentamente. «Perché non possiamo odiarci?»
Emma si voltò a guardarlo per la prima volta, nascondendo le innumerevoli occasioni nelle quali si era chiesta la stessa cosa: talvolta si chiedeva se si fossero presi cura delle proprie ferite a vicenda, con meticolosa dedizione e fino a risanarle per quanto possibile, rendendo il recupero meno doloroso e meno ostico. Talvolta aveva il dubbio che non fossero stati in grado di ferirsi come credevano.
«Perché non posso semplicemente smettere di amarti?» continuò lui, con una tale amarezza nella voce da farle tremare le mani. 
Gli si avvicinò piano, arrivando ad appoggiare la testa sulla sua spalla magra e a respirare il suo profumo. Non sapendo cosa dire, lasciò che lui la interpretasse come era sempre stato bravo a fare.
Miles le riservò un bacio tra i capelli, chiudendo gli occhi.

 





 


Buongiorno :)
Stavate aspettando questa benedetta introduzione ed eccola qui, finalmente hahaha Anche se temo che possa esser stata un po' deludente, per quanto ci avete fantasticato sopra! Ma spero di no, dai ahhaha
- Emma/Miles: il loro incontro è stato piuttosto difficile da scrivere, perché ho dovuto tener conto di tante cose e mi hanno fatto un po' dannare. Entrambi sono ancora piuttosto scossi da tutto quello che è successo, Miles ha anche ammesso di amarla ancora: la sua gelosia ed il suo sospetto nel vedere Harry alla mostra credo siano più che giustificabili, chiunque avrebbe reagito così o comunque in modo simile! Voi cosa pensate del loro rapporto? Del modo in cui influisce su Emma? 
- Emma/Harry: SANTO CIELO. Due deficienti ahahha Harry si presenta lo stesso alla mostra, con un contorno piuttosto sospetto, ed Emma dà di matto, dopo aver accumulato un bel po' di tensione. Mettici il litigio con Miles, mettici l'egoismo di Harry, mettici la propria confusione, mettici Lea che ha preso la richiesta di informazioni come un invito ad uscire, mettici lo stress della mostra... È scoppiata. Sul loro ennesimo litigio non ho molto da dire, anzi, più che altro vorrei che foste voi a commentare!
Riguardo la decisione di Harry di tornare a Bristol... Be', a voi la parola!!
Insomma, fatemi sapere :)
Grazie mille per tutto, come sempre, e buone feste :)



Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

 
   
  

 
  
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Acinorev