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Autore: Dregova Tencligno    24/12/2014    1 recensioni
Se la storia che conosciamo circa l'omone buono vestito di rosso e bianco che porta i regali a tutti i bambini del Mondo non fosse reale? Un presente, un passato e un futuro... questi i momenti che bisogna attraversare per conoscere la sua vera storia, per riuscire a adempiere ad una promessa fatta.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Accade ogni volta e non può far nulla per rendere possibile il contrario. Accade ogni volta ed il risultato è sempre lo stesso: si sente talmente fragile, tanto da far sembrare la sua vita un inutile pupazzo di cristallo, uno di quegli oggettini, spesso con sembianze di animale o di fiore, che riflettono le luci dell’arcobaleno quando un fascio luminoso li colpisce e che vengono posti su una libreria o su una credenza per bellezza e per far prendere loro polvere.
Accade ogni volta, ma con ogni tentativo di cambiare gli eventi si ritrova fra le mani un fallimento, un pugno di sabbia che scappa scivolando fra le dita lasciandogli stingere solo il vuoto.
Alla fine si è arreso ed ha vissuto una vita tranquilla, come una dolce melodia che aleggia nell’aria; una sinfonia di violini, pianoforti, bassi e flauti: una cristallina ed omogenea mistura di vari canti che creano sinestesie ed ammalianti illusioni nelle menti di chi ascolta. Ma non si può ignorare per sempre una parte della propria casa, anche se si ha gettato via la chiave; prima o poi si sente il bisogno di aprirla… così si incomincia un nuovo capitolo, pur sempre dello stesso libro, ma comunque nuovo poiché nasconde segreti che poche volte sono stati svelati e molti dei quali sono celati così bene che neppure lui sa come scovarli.
Ma la sua storia, quella vera, quella che soltanto quel preciso capitolo ignorato con cotanta perseveranza potrà raccontare, ha inizio molti anni prima, anche se parlare di secoli è più corretto…
 
C’è stato un tempo in cui l’oscurità era la regina e il caos il re, il freddo e il terrore erano in principi, mente la solitudine e la disperazione le principesse gemelle. Erano i tempi bui in cui l’uomo si nascondeva nelle grotte ed accendeva fuochi per tenere lontani gli incubi e il gelo di una notte in cui torreggiava tiranno il silenzio rotto solo dagli ululati del vento.
Allora gli uomini erano poco più che animali capaci di mettere insieme due o più parole formando frasi di senso compiuto o, come li avrebbe definiti in seguito suo padre, dei bozzoli grezzi e ancora da rifinire ma che avrebbero lasciato libere le farfalle ‘più meravigliose’ che i suoi occhi avessero mai visto.
Questo tempo era ancora lontano. Per il momento il terrore dilagava spietato distruggendo tutto ciò che toccava. Con i suoi tentacoli entrava nelle case e come un ratto zampettava fino ai letti degli uomini e delle donne instillando in loro la paura della vita, dei sogni e delle speranze lasciando solo il desiderio di una fine quantomeno indolore.
Gli uomini trascorrevano le giornate nell’oblio del non far nulla che potesse far provare giovamento agli altri, pensavano solo a loro stessi. In definitiva, perché avrebbero dovuto fare qualcosa per qualcun altro se, in fine, tutto ciò che avrebbero compiuto sarebbe andato inevitabilmente perso per sempre una volta che la morte li avesse presi? Un pensiero egoista, ma pur sempre veritiero… avevano troppi timori dati dal freddo che mordeva loro i piedi e le mani e strappava quanto la terra riusciva ad offrire.
E che dire delle due sorelle, solitudine e disperazione? Quante vite avevano infranto col loro solo sguardo.
Ma, sfortunatamente, c’era una più succulenta ed ambita preda da ghermire: i bambini.
Era proprio con loro che, infatti, si divertivano di più; davano la caccia ad ogni bambino e piegavano, con estrema facilità, quello che vi trovavano dentro. Il piccolo tesoro che contenevano era come un frutto succulento, una mora prelibata che andata assolutamente assaporata. In questo modo era possibile udire i pianti strazianti dei bambini e persino il suono delle loro lacrime che stridevano come punte di acciaio su un vetro per poi infrangersi e riempire l’aria con un tetro frastuono di lampi lontani scagliati sulla terra.
Nessuno poteva fare qualcosa se non chiudersi in casa quando scendeva la notte e pregare a bassa voce per non richiamare l’attenzione dell’oscurità sempre presente, di riuscire a passere illese le ore di buio riuscendo a vedere l’alba del giorno dopo.
Ma i sei regnanti non erano l’unico pericolo da cui dovevano guardarsi, c’erano altri servi dell’oscurità, insidiosi e maligni esseri che attanagliavano le menti dormienti degli uomini torturandoli anche nel loro mondo onirico: uomini d’ombra, giganti orrendi e spettri muti erano l’ultimo avamposto di un’immensa armata che aveva il compito di distruggere quello che rimaneva dei sogni.
Non esisteva equilibrio tra bene e male, ad essere sinceri bisogna dire che non esisteva neppure questa distinzione perché il manto gelido e scuro che ricopriva ogni cosa nascondendo pure le stelle alla vista degli uomini, aveva anche circondato gli animi umani anestetizzandoli e rendendoli incapaci di agire secondo una morale. Non provavano il bisogno di andare oltre e migliorare, solo un confuso desiderio di rabbia misto a malcontento e insoddisfazione.
Il Mondo era un luogo inospitale in cui vivere, le persone che si potevano incontrare avevano il cuore rattrappito ed erano cechi. Vigeva una sola regola, una norma brutale dalla quale non si poteva evadere: la tua morte è la mia vita. Vinceva solo chi era più forte o più malvagio, gli individui più indifesi e puri trovavano ad aspettarli una rapida ed anonima morte.
Le guerre erano all’ordine del giorno, la paura costringeva gli uomini a compiere atti efferati, la terra era sporca di sangue e gli alberi si levavano verso il cielo secchi e polverosi.
Non c’erano colori, non c’era spazio per le emozioni.
Sui loro troni, oscurità, caos, terrore, freddo, solitudine e disperazione, osservavano estasiati uno spettacolo teatrale raccapricciante e godevano nel constatare quanto efficienti fossero le loro creature. Negli occhi era limpida la follia e nei sorrisi il sadico piacere.
Questi secoli bui trascorsero come un battito di ciglia, senza che nessuno cercasse di cambiare gli eventi, la storia divenne immutabile pietra.
L’aria continuava ad essere fredda e pesante, la terra dura e sterile e i cuori statici come statue di marmo, ma c’era qualcosa di diverso, qualcosa che aveva a che fare con lo scorrere del tempo stesso.
Ultimamente aveva cominciato a passare più lentamente come se qualcuno avesse trovato un motivo per vivere, qualcosa che bisognava assaporare giorno dopo giorno. Un cambiamento che tutti avevano percepito e se qualcuno avesse chiesto alle persone di descrivere la loro sensazione del tempo avrebbe ricevuto la stessa risposta: ‘era uguale a com’era prima, ma allo stesso tempo diverso’. Questa confusa descrizione rappresentava la verità, i regnanti lo sapevano bene, avevano avvertito il mutare del tempo durante le prime luci dell’alba. Era presente un estraneo flebile calore, una variazione leggera, ma altamente fastidiosa.
Sguinzagliarono i loro servi più fedeli in cerca della fonte della magia; tre di loro, i più letali, vagarono a lungo lasciandosi alle spalle distruzione e miseria, dolore e grida. Setacciarono ogni città, paese e villaggio che si trovarono davanti pur di trovare il puntino luminoso che aveva sporcato il globo scuro con cui i regnanti spargevano in tutti i Paesi del Mondo il loro oscuro incantesimo.
La resa non era contemplata, neanche la stanchezza, si muovevano a piedi o cavalcando ibridi orrendi: incubi selvaggi.
Ancora nulla.
La rabbia cresceva.
Un buco nell’acqua.
Stavano perdendo tempo e non potevano permetterselo.
La ricerca durò cinque anni, i più lunghi della loro storia. Cinque anni dal giorno in cui comparve quel puntino luminoso, quell’unica minaccia, la sola speranza ancora in vita, ma questi anni di incessante ricerca giunsero finalmente al termine quando incontrarono sul loro cammino una tenda di stoffe lerce e tappezzate.
Il vento la colpiva con forza, ma non riusciva a piegarla al suo volere, tutt’intorno ad essa crescevano dei sottili fili d’erba.
Mai i loro occhi avevano visto qualcosa di simile, mai era avvenuto un così spettacolare prodigio. Doveva essere per forza il frutto di qualche strana magia, forse un mago si nascondeva nella tenda improvvisata che, proprio in quel momento, doveva starsi sganasciando dalle risate prendendosi burla di loro creando ciò che era stato bandito dal regno dei loro sovrani: la bellezza della vita.
Erano i tre più abili incubi che mai essere vivente voleva incrociare sulla propria strada… no, erano molto più che incubi, il loro potere andava ben oltre, erano delle vere e proprie maledizioni.
Il più giovane era anche il più bello, era stato creato per primo per conquistare il cuore della solitudine, ma lei voleva passare da sola l’intera sua esistenza e così venne trasformato in un soldato. Era dotato di una magnifica voce, di un corpo esile e di uno sguardo da bambino, molto dolce, con dei boccoli dorati che gli ricadevano sulle spalle. Caratteristiche, queste, che servivano solo a nascondere l’entità del suo potere. La sua voce era bella, ma anche letale… chiunque udisse il suo canto avrebbe incontrato la morte rivivendo negli ultimi istanti di vita tutte le atrocità compiute. Era lui il più crudele.
Il secondo essere aveva le sembianze di un anziano bendato, si divertiva a torturare le sue vittime guardandole negli occhi dopo essersi tolto la benda. I malcapitati vedevano riflessa nelle sue iridi l’immagine della loro anima, una verità crudele che toglieva loro la vita per lo spavento. Questo lo divertiva così tanto che la sua risata si poteva udire a chilometri di distanza.
Il terzo, distintosi per malvagità, aveva l’incredibile potere di congelare all’istante chi toccava. Si dice che già gli occhi, chiarissimi in confronto alla sua pelle scura come la terra, fossero indice del gelo che aveva reso duro il suo cuore.
Si avvicinarono alla tenda e la strapparono dai chiodi e dall’intelaiatura che la tenevano stabile. Cinque bambini, il più grane di tredici e il più piccolo di otto anni, erano tenuti stretti in un abbraccio da un uomo e da una donna; come tutti gli abitanti di questo velenoso mondo, anche loro avevano gli occhi rossi e due profondi solchi sulle guance, segno che pure la loro vita era stata segnata dell’eterna sofferenza.
Sette prede facili e di cui nessuno, soprattutto loro, ne avrebbe sentito la mancanza. Li uccisero tutti, partendo dai figli, dal più piccolo al più grande, per arrivare ai genitori che chiesero loro stessi la morte perché non riuscivano più a sopportare la perdita della loro prole.
Quando terminarono il festino iniziarono a vedere cosa, tra i pochi oggetti di proprietà della famiglia, potesse essere utile a loro. Scostando una pesante coperta di pelle scoprirono un bambino, cinque anni suppergiù, che si guardò introno e poi fissò il suo sguardo sui tre estranei. Aveva i capelli color miele, gli occhi castano scuro e due gote rosse.
I tre assalitori erano sorpresi e provavano delle emozioni contrastanti. Emozioni? No, loro erano le maledizioni, non potevano provare delle cose così umane come le emozioni.
Prima era venuta la sorpresa, poi la tenerezza e la gioia, il rimorso per ciò che avevano fatto e il desiderio di riparare alle loro azioni.
Presero il bambino e fuggirono lontano, nessuno li vide più, alcuni pensarono fossero morti, ma i loro padroni sapevano che non era possibile.
Gli anni passarono, il Mondo sempre coperto da un manto spesso di oscurità, ma non faceva più così tanto freddo, la temperatura si era alzata di molto.
I regnanti continuarono a dare la caccia al puntino di luce che non smetteva mai di muoversi, cosa che rendeva vani i loro tentativi di localizzarla.
Gli anni passarono e il bambino divenne un bel giovane sorridente, intelligente e vispo. Le tre maledizioni si erano affezionate al bimbo, sempre tale ai loro occhi, che avevano visto crescere e cambiare; non seppero mai se fossero stati dei buoni genitori, ma sicuramente furono fedeli alla promessa che si fecero sedici anni prima: resero il ragazzo forte e gli insegnarono l’arte della magia. Notarono subito che c’era qualcosa nel ragazzo che non andava… tutti gli incantesimi che originariamente dovevano essere causa di orribili eventi, nelle sue mani diventavano promotori di pace e felicità, di vita e speranza.
Non ebbero però modo di indagare oltre sulla natura di questa stranezza. Erano andati contro il loro vero essere, avevano compiuto una buona azione salvando quel bambino tanti anni prima, una piccolissima creatura, l’unica e sola, su cui i loro spregevoli doni non avevano effetto, ma prima di andare via per sempre presero una difficile decisione. Dissero al giovane che avevano una storia da narrargli e gli chiesero di non giudicarli poiché all’epoca erano stati ciechi e privi di quel strano rumore che ora potevano sentire nei loro petti e che di tanto in tanto li svegliava nel cuore della notte.
Gli raccontarono cosa avevano fatto alla sua famiglia e che il loro compito era quello di trovarlo e di ucciderlo perché i regnanti avevano paura che fosse lui la luce che avrebbe dissolto le tenebre.
Il ragazzo, che aveva letto nei loro animi il rimorso, l’amore e la sincerità, disse loro che li perdonava e che rappresentavano per lui la famiglia dei suoi sogni, non importava che non avessero un vero legame di sangue.
Le tre maledizioni piansero, questa volta di gioia e, mentre il ragazzo confessava il suo amore per loro, si dissolsero in un fumo nero che si levò lentamente verso il cielo.
Rimase da solo.
Qualsiasi persona sarebbe partita colmo di rabbia e voglia di vendetta e avrebbe sfidato i regnanti chiedendo le loro teste su un piatto d’argento, e il ragazzo aveva tutte le armi a disposizione per farlo, era un abile spadaccino e un mago di prim’ordine… avrebbe potuto fare di tutto, ma rimase nella radura in cui era cresciuto aspettando che i regnanti lo trovassero. E fu così.
Le tre maledizioni avevano occultato la radura con la magia e una volta scomparsi il loro incantesimo si era dissolto rivelando l’esatta posizione del puntino di luce.
Nessun combattimento venne ingaggiato, nessuno urlò e digrignò i denti. Semplicemente tutto sparì.
Il tempo di un sorriso. Quando si sorride a qualcuno la sua anima si alleggerisce e diventa più bella.
Il tempo di un breve canto. L’unica arma capace di trasportare l’amore.
Il tempo di un abbraccio. Perché così si trasmette il calore.
Solitudine, freddo, terrore, disperazione, oscurità, caos, tutti loro si ritirarono nel buco dal quale uno sfortunato giorno erano usciti. Il ragazzo non li uccise, non ne ebbe la forza, il suo cuore non glielo avrebbe concesso, fece solo in modo che i loro poteri fossero ridotti.
Tutte le lacrime che i vecchi regnanti avevano raccolto si riversarono sulla terra sotto forma di piccoli cristalli di ghiaccio soffici che davano la vita a piante di ogni genere ovunque cadessero.
L’oscurità era stata dissolta, anche se non definitivamente; aveva imparato che il buio faceva parte della natura degli uomini ma, cosa fondamentale, dove c’era il buio c’era sempre una luce pronta a rischiarare e a scacciare le paure.
Iniziò a viaggiare, visitò luoghi e conobbe persone. Viaggiò fino a quando trovò un luogo in cui mettere radici, un luogo che gli avrebbe permesso di realizzare il suo sogno, il sogno di Sguardo, Abbraccio e Canto. Il suo sogno… il sogno degli altri…
   
 
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