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Autore: Melanto    25/12/2014    7 recensioni
Sotto Natale c'è sempre chi compra regali all'ultimo momento, ma c'è anche chi, all'ultimo momento, decide che è quello giusto per confessare qualcosa di importante.
Ma se il destino facesse di tutto per remargli contro? Chi la spunterà?
Difficile a dirsi. Perché... 'se la sfiga ti diceva 'oggi tocca a te', non ci sarebbe stato verso di scrollarsela nemmeno pregando.'
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Christmas Song

 

Se c'era una cosa che Yuzo amava delle vacanze invernali era di sicuro quella di godersi il tepore delle coperte al mattino.
Il piumone tirato fino alle orecchie e la consapevolezza che il freddo era fuori, ben distante da lui. Era come chiudersi in una bolla protettiva e sapere che anche se prima o poi bisognava abbandonarla, non era ancora giunto il momento.
All'esterno, lontano da quelle coperte e dall'intera casa, l'avrebbe accolto il bianco della neve che era caduta in abbondanza nei giorni precedenti e che, secondo il meteo, avrebbe continuato a rendere ancora più candido quel Natale ormai alle porte: il giorno seguente sarebbe stata la vigilia.
Con un sorriso beato il portiere si rigirò sotto le coltri, affondando il viso nel cuscino e sospirando soddisfatto. La sveglia sarebbe suonata a momenti, la stava aspettando. La sera prima l'aveva puntata alle otto perché aveva una cosa importante da fare, importantissima, e non aveva molto tempo.
Ancora qualche minuto e avrebbe sentito il trillo familiare del telefono, con il suo clock alarm non troppo deciso. Era una musica pseudo-brasiliana – molto alla 'Tsubasa' – che aveva note allegre dal sapore di sole, spiaggia e mare, e che sapeva farlo svegliare – il più delle volte – con un sorriso piacevole.
Poi nel dormiveglia iniziò ad avvertire una leggera agitazione.
La sera prima era stato così nervoso da riuscire ad assopirsi solo quando era crollato per la stanchezza.
Ora, quella stessa ansia stava tornando, seppur attutita ancora dall'intorpidimento del sonno.
E tutto perché aveva deciso di agire all'ultimo momento; non sarebbe stato disposto a far passare ancora un altro anno nel silenzio. Stavano diventando grandi, il prossimo sarebbe stato l'ultimo del liceo e lui aveva già diciassette anni compiuti.
Non era forse l'età giusta per iniziare a prendere decisioni importanti?
Anche per quello aveva deciso di alzarsi presto, perché la cosa che doveva fare o, meglio, quello che doveva dire, non era un argomento che poteva accompagnarsi alla fretta.
Su quei pensieri e sulle parole che la sera prima non era riuscito a trovare nel maldestro tentativo di prepararsi un discorso, l'agitazione iniziò a divenire fastidiosa. Il dormiveglia scivolava via, lasciando posto a una certa insofferenza e all'ansia di sentire quel suono che gli avrebbe detto senza mezzi termini: 'apri gli occhi e buttati giù dal letto!'.
Ma la sveglia continuava a farsi attendere tanto che, d'improvviso, gli occhi di Yuzo si aprirono di scatto nella penombra e un dubbio atroce iniziò a prendere corpo.
Il tepore e l'accoglienza delle coperte messe in secondo piano in uno sbatter di ciglia, la bolla protettiva rotta in uno scoppio e la mano che frugava veloce sotto al cuscino da cui fece emergere il cellulare.
Implacabile, l'orologio restituì l'orario sbagliato.
Perché lui aveva puntato la sveglia alle otto. Otto in punto.
E allora perché il display riportava le nove e venti?!
«Non è suonata?!» La voce arrochita dalla notte di sonno. «Proprio oggi?!»
Le coperte, la bolla, il calore e tutto il resto vennero gettati all'aria, in puro stile Hyuga durante la sua progressione diretta, in un disperato tentativo di scendere in fretta dal letto. Ma se la sfiga ti diceva 'oggi tocca a te', non ci sarebbe stato verso di scrollarsela nemmeno pregando. E così un piede gli rimase incastrato nel piumone e lui precipitò, poco virilmente, con la faccia sul pavimento.
«Mavaffanculo!»

Sua madre capì che era sveglio quando udì il rumore di una mandria di bufali che veniva giù dalle scale del piano superiore.
Con espressione incuriosita, si affacciò dalla cucina verso l'ingresso, dove lo vide agguantare il giaccone al volo mettendosi, contemporaneamente, le scarpe.
«Tesoro? Tutto bene?»
«No!»
«Non è suonata la sveglia, caro?»
«No!»
La donna si portò una mano al viso, pensierosa. «Ma esci già? E non fai colazione?»
«No!»
Poi, d'improvviso, sua madre parve ricordarsi. «Ah! Ma Mamoru non partiva questa mattina?»
«Sì!»
E spalancando al porta di casa, si precipitò fuori, richiudendo l'uscio con uno schianto.
Perché era per quello che aveva deciso di alzarsi presto.
Perché Mamoru sarebbe partito per l'Hokkaido, dove avrebbe passato il Natale e il Capodanno con i suoi genitori che già lo stavano aspettando lì, a casa di non sapeva quale zio, e non si sarebbero visti per intere settimane.
Lui l'aveva saputo solo un paio di giorni prima e tutti i programmi che si era fatto – mentalmente, come sempre – erano praticamente andati in fumo.
Si era convinto che avrebbe avuto tempo, quell'anno, e difatti ne aveva avuto fin troppo, ma al solito aveva rimandato, rimandato e rimandato ancora, dicendosi:
'Sì, la prossima volta'.
'Sì, prima delle vacanze estive'.
'Sì, prima del suo compleanno'.
'Sì, prima della fine dell'anno…'.
E poi era venuto a sapere che non si sarebbero visti fino all'anno successivo, dove la tiritera sarebbe ricominciata da capo, come nelle migliori tradizioni.
Il freddo esterno contrapposto al calore della casa che aveva abbandonato alla velocità della luce fu come uno shock contro la pelle scoperta del viso di Yuzo.
Era uscito talmente di fretta da non prendere né guanti né cappello. E ora che l'aria gli scivolava addosso, mentre correva, sentiva che qualche pezzo iniziava a congelarsi: uno zigomo, il naso, le dita.
Di lontano, vide la fermata del bus e quest’ultimo passargli accanto e superarlo in maniera arrogante.
Yuzo sapeva che ci sarebbe arrivato, bastava correre solo un po' di più, ma che avevamo detto della sfiga?
Il corteo di bimbetti dell'asilo, accompagnati da un paio di mamme, gli tagliò la strada all'improvviso, camminando ordinatamente, in fila per due e… a passo di lumaca, tanto da costringere lui a una frenata busca per non travolgerli in pieno come palla da bowling su un gruppo di birilli.
«Andate piano, bambini, guardate quanta neve. Potreste sci-»
Il tonfo che fece, nel momento in cui il suo piede slittò su un sottile strato di ghiaccio, fu così forte che Yuzo pensò l'avesse udito chiunque nel raggio di tre chilometri.
«…volare. Visto? Proprio come quel ragazzo» ridacchiò la mamma, e di certo non solo lei.
Un coro di risate, infantili e non, si levò allegro davanti e attorno a lui, che era ancora a terra; chiappe doloranti e orgoglio sotterrato.
«Non si deve correre con la neve, onii-san» gli disse un bambino, serio serio, e con l'aria di chi la sapeva lunghissima, molto più di lui, prima di passare oltre e riprendere la loro lumacosa marcia.
Come sempre, Yuzo fece buon viso a cattivo gioco, cercando di stentare un sorriso qualunque, anche se doveva avere una sfumatura piuttosto omicida visto che il pensiero che continuava a frullargli nella testa era: 'sparisci o ti uccido'.
Tra i ragazzini in transito, i suoi occhi misero a fuoco la sagoma del bus che era a solo una manciata di metri da lui, spiccioli di centimetri, e qualcuno stava ancora salendo.
Yuzo si rialzò in tutta fretta, girando attorno a quel lombrico di marmocchi, e attraversò senza nemmeno guardare.
L'inchiodata dell'auto gli fece perdere dieci anni di vita nel lasso di due secondi netti.
«Ma come diavolo attraversi, ragazzo?! Vuoi morire?!»
L'uomo s'affacciò dall'utilitaria sbraitando e agitando minacciosamente un pugno. Il suono dei clacson s'alzò veloce come uno sciame alle spalle della prima vettura ancora ferma, nonostante il semaforo indicasse il verde.
«M-mi scusi… io…» Yuzo guardò il bus e vide stava chiudendo le porte. «…oh no. No! No! No! Aspetti
Riprese a correre lasciando l’automobilista a rimbrottare che i giovani di adesso non avevano rispetto e stavano sempre con la testa tra le nuvole e 'che cavolo! Voleva morire proprio sotto le mie ruote?! Tsk! Ai miei tempi…'
Il suo chiacchiericcio si spense nell'alzarsi del finestrino, ma per Yuzo era già lontanissimo mille miglia mentre percorreva quasi volando gli ultimi metri che lo separavano dal bus, ora in movimento.
Qualcuno azzarderà: mh, la sfiga?
Giustappunto.
La sfiga vinse di nuovo e il mezzo si allontanò senza nemmeno fingere di volergli dare una possibilità di salire. Le porte erano ormai chiuse, gli autisti rigidi e lui estremamente iellato; quel giorno più del solito.
«Merda!» imprecò, fermandosi qualche metro più avanti.
Quella non ci voleva: l'autobus era il mezzo più veloce per arrivare in stazione e lui non aveva più molto tempo. Guardò il cellulare e segnava già le dieci passate. Mamoru aveva il treno alle dieci e mezza e a lui rimaneva meno di mezz'ora per arrivare e trovare il binario e trovare lui e parlargli e…
«Merda…» esalò, con una nota più rassegnata.
Non ce l'avrebbe mai fatta, era chiaro, così come non sarebbe mai riuscito a fare tutto quello che avrebbe già dovuto nei giorni, mesi, anni addietro.
Richiamò svelto il numero di Mamoru dalla rubrica e gli telefonò. Voleva almeno sapere se era sul treno e da che binario sarebbe partito.
«Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile…»
La vocina preregistrata doveva essersi messa in affari con la sfiga, senza dubbio.
Sembrava quasi che qualcuno stesse facendo di tutto affinché non riuscisse a parlargli così sarebbe tutto slittato all'anno successivo e la tiritera del 'sì, glielo dico' sarebbe ricominciata.
Cos'era quello? Un messaggio subliminale? Un tentativo di fargli capire che doveva lasciare perdere?
Lo aveva fatto anche per troppo tempo e quando di solito veniva messo con le spalle al muro, sapeva incredibilmente tirare fuori tutta la grinta che normalmente lasciava a macerare da qualche parte nel suo spirito.
Una scintilla di orgoglio brillò negli occhi di Yuzo quando tornò a guardare la strada.
«Ah, è così?» A mezza bocca si mise a parlare con una specie di avversario invisibile. Il Destino, forse. O forse la Sfiga. O forse tutti e due e chiunque avesse voluto unirsi al gruppo del 'tanto non ci riesci!'. «Ve la faccio vedere io!»
Yuzo si rimise a correre, e stavolta niente e nessuno sarebbe riuscito a fermarlo.
Nel vero senso della parola.
Non lo fermarono un fattorino e le sue consegne, un postino e le sue lettere, un paio di signore impellicciate, dei ragazzi che uscivano da un caffè.
Non lo fermarono gli improperi che ricevette dopo aver travolto ciascuno di loro e variarono a seconda del malcapitato che aveva avuto la sfortuna di trovarsi sulla sua strada.
La risposta, invece, fu sempre la stessa.
«Ma che diavolo-!»
Sumimasen.(1)
«E guarda dove vai!»
Sumimasen.
«Che razza di modi!»
Sumimasen.
«Ehi, stronzo!»
Sumimasen.
Sempre di fretta, senza rallentare. Un inchino al volo, l'espressione seriamente dispiaciuta per non fermarsi ad aiutarli o a scusarsi come si doveva.
Ogni volta, a ogni persona scansata con malagrazia, urtata, investita nemmeno fosse un carrarmato riprendeva a correre, sapendo che la stazione era ormai vicina, fino a che non ne vide la struttura e allora corse anche più veloce.
A rotta di collo si infilò nell'ingresso, attirandosi più di qualche occhiata sospetta da parte degli agenti di polizia che facevano i giri di controllo. Tant’è che iniziarono a seguirlo, almeno fino a che non lo videro guardare freneticamente il tabellone delle partenze.
Si convinsero che fosse il solito ritardatario e lo lasciarono perdere.
Yuzo non riuscì neppure a esserne sollevato che corse dove, in teoria, avrebbe dovuto esserci Mamoru. Ma quando guardò l'ora, le dieci e mezza erano passate già da dieci minuti e con loro di sicuro doveva essersene andato anche il treno con la sua ultima possibilità.
Quando arrivò al binario, non aveva più fiato.
Yuzo si guardò attorno per un paio di istanti ma il convoglio non c'era e lui si piegò in avanti, appoggiando le mani sulle ginocchia.
«…perso!» buttò fuori in un'espirazione troppo forte, a bocca aperta, per farsi passare l'affanno. «Accidenti…»
«Anche tu dovevi partire? Non me l'avevi detto.»
Yuzo sobbalzò all'improvviso, girandosi di scatto.
Appoggiato alla colonna, proprio accanto a dove si era fermato, c'era Mamoru. Borsone ai piedi e schiena al cemento, le  mani nelle tasche, i capelli che spuntavano da sotto al morbido cappello di lana e l'espressione visibilmente sorpresa.
«Oddio, Mamoru!» Yuzo si portò una mano al petto, l'espressione stravolta. «Mi hai fatto prendere un colpo!»
L'altro sghignazzò senza un minimo di ritegno. Cambiò posizione, girandosi completamente verso il portiere; ora era poggiato con una spalla alla colonna e aveva le braccia conserte.
«Scusa.» Ma stava ancora ridacchiando. «Che fai qui? Sei comparso come un fulmine, nemmeno dovessi prendere il treno.»
«No! Io…-»
«Da dove stai arrivando? Sembra quasi che te la sia fatta di corsa fin da casa!»
Yuzo gli rivolse un'occhiata eloquente, tanto che Mamoru assunse una postura più composta.
«Eh?! Ma sei matto? Casa tua è lontana dalla stazione!»
«Più di quanto immagini.» L'altro ingoiò a vuoto; il fiatone che passava piano e la bocca secchissima. Si mise a gesticolare animatamente. «Non ne hai idea! Mi è capitato di tutto, oggi! A partire dalla sveglia che non ha suonato!»
Il terzino inarcò un sopracciglio con palese perplessità. «Ma… si può sapere che dovevi fare?»
«Ero venuto per salutarti!»
Mamoru sgranò i begli occhi scuri, sbattendo più volte le palpebre. «Ci eravamo salutati ieri sera.»
«Lo so, però…» Yuzo si guardò attorno e d'improvviso tutti i suoi propositi, la scintilla d'orgoglio che gli era brillata negli occhi per farlo arrivare lì e la convinzione di parlare chiaro una volta per tutte… svanirono di colpo, come sempre accadeva quando si decideva a prendere il coraggio a due mani. Tergiversò, mentre il freddo ora non sembrava più essere così pungente dopo la corsa a perdifiato. «Ho provato a chiamarti.»
Mamoru agitò una mano. «Ah, brutta storia. La batteria del mio cellulare è definitivamente morta. Non mi fa accendere il telefono nemmeno quando è attaccato alla corrente. Mamma me ne aveva presa una di ricambio ma l’ha lasciata in borsa, quindi ora ce l'ha lei in Hokkaido.» Sorrise. «Comunque il treno è in ritardo. Sei stato fortunato.»
Anche se la parola 'fortunato' forse era l'ultima che Yuzo avrebbe potuto associare a sé stesso quel giorno, ma Mamoru ancora ignorava le peripezie affrontate per riuscire a essere lì.
«Ritardo?»
«Pare per la troppa neve.» Mamoru sospirò alzando gli occhi al cielo. «E gli Dei solo sanno quanta me ne aspetterà in Hokkaido. Non che mi dispiaccia, eh, solo che avrei preferito passare qui queste feste.» Gli sorrise svelto e poi abbassò lo sguardo sulle scarpe, trovando improvvisamente interessante la punta dei boots color cammello che aveva ai piedi.
– Anche io avrei voluto passarle con te. – Yuzo lo pensò, ma non lo disse, però qualcos'altro gli scivolò di bocca assieme al fiato che si condensava in chiare nuvolette di vapore.
«Devo dirti una cosa, per questo sono venuto qui.»
«Che cosa?» Mamoru tornò a guardarlo e solo allora Yuzo si rese conto che il suo problema nell'affrontare il discorso stava tutto in quello: negli occhi di Mamoru.
Quando il terzino lo guardava, finiva col perdere interamente il coraggio che era stato in grado di animarlo fino a qualche istante prima, come non fosse mai esistito.
«Ah… ecco…» Distolse di nuovo lo sguardo, la mano spettinava i capelli quasi non avesse saputo che altro fare. «Io… volevo…»
Il fischio del treno che entrava finalmente in stazione lo interruppe e fece volgere entrambi. Lo videro camminare lentamente sul binario.
«Oh, era ora! Ci metterò un secolo prima arrivare ad Hakodate.» Mamoru sbuffò con insofferenza e afferrò il borsone, caricandoselo sulla spalla. «Accompagnami, forza. Così mi dici di cosa volevi parlarmi.»
Ma quel treno arrivato in ritardo, seppur non abbastanza, sembrava essere l’ennesima riprova della sensazione che Yuzo aveva avuto fin da quella mattina: le congiunzioni astrali di tutto l’universo gli stavano remando contro.
«Ehi, allora? Rimani lì?» Mamoru lo richiamò che si era già avviato e lui lo rincorse.
La gente saliva svelta attorno a loro e il portiere si accorse che ce n’era più di quanto gli era sembrato nell’arrivare al binario.
«E quindi? Che dovevi dirmi con tanta urgenza?»
«E’… una cosa un po’ lunga…»
«Santoddio, fammi il riassunto!» ridacchiò il terzino nella calca di persone che cercavano di salire. «Oh! Ma se si tratta di roba di scuola t’ammazzo! Non voglio sentir parlare di compiti fino al prossimo anno, sia chiaro!»
«No! No! Non si tratta di quello…»
«Idem per gli allenamenti! Ho bisogno di staccare qualche giorno anche dal calcio. Forse è per quello che per quanto avessi preferito rimanere qui, non ho protestato molto all’idea di questa vacanza in Hokkaido. Lo ammetto.» Mamoru tirò via un mezzo sorriso un po’ imbarazzato, quasi che dire ‘voglio staccare dal calcio’ fosse una bestemmia mortale.
«Ah, figurati. Non ti devi mica giustificare…» E un sorriso riuscì a sfuggire anche a lui, ma subito si perse quando si rese conto che ormai non aveva davvero più tempo: Mamoru era già salito sul treno. Il borsone appoggiato di nuovo ai piedi e le mani ai lati della porta.
«Allora? Ultima occasione per sputare il rospo, prendere o lasciare» scherzò il terzino, ma Yuzo ci vide qualcosa di molto più serio.
Prendere o lasciare.
O glielo diceva o non l’avrebbe fatto mai più, perché alla fine era così che sarebbe andata. E in fondo dentro di sé l’aveva sempre saputo, per questo si era impegnato così tanto per raggiungerlo prima che partisse.
Prendere o lasciare.
E anche se la prima faceva decisamente paura, la seconda era inaccettabile.
«Volevo… volevo dirti che io-…»
La voce dell’altoparlante che annunciava il treno in partenza coprì tutto il resto, tanto che Mamoru strinse istintivamente gli occhi e si portò una mano all’orecchio.
«Che cosa?! Non ho capito un accidenti!»
«Ho detto che tu-…»
Stavolta fu il fischio del treno a metterci lo zampino.
«Come?! Che diavolo, ma lo fanno apposta?!»
Yuzo sentì l’urgenza crescere in maniera esponenziale, palesandosi anche sul viso in un’espressione preoccupata. Guardò per una frazione infinitesimale il capotreno che rientrava nella vettura e poi di nuovo Mamoru. Anche lui s’appoggiò con le mani al treno e sentì il freddo del metallo sotto i palmi caldissimi.
«Non potevo far passare un altro anno né parlartene per telefono, per questo sono venuto qui. Perché devo assolutamente dirti che tu mi-…»
Il meccanismo di chiusura delle porte fece arretrare entrambi di un passo, gli occhi fissi sul battente fino a che non completò il movimento che li separò in via definitiva, poi tornarono a guardarsi.
Mamoru sospirò, o almeno a Yuzo così parve, i rumori dell’esterno erano rimasti chiusi fuori e lui non avrebbe più potuto sentirlo, ma il terzino gli fece comunque cenno di parlare, di provarci.
Yuzo, invece, si rese conto di dover ammettere la sconfitta. Il destino, o chi per esso, aveva vinto; gli aveva messo i bastoni tra le ruote fin da quella mattina e forse… forse era proprio così che doveva andare.
Mentre il Tokaido Shinkansen si metteva pigramente in moto, rilassò le spalle e infilò le mani in tasca, sorridendo al compagno che continuava a seguirlo con gli occhi e mani sul vetro.
Lasciò la sua confessione a un semplice movimento di labbra, senza alcun suono.

Yuzo si fermò sulla porta della cucina e rimase a osservare sua madre mentre lavava gli ultimi piatti.
Luci basse e candele, con gli addobbi che abbellivano i pensili, restituivano un’atmosfera piacevole e rilassata. Ad Haruko(2) piaceva dedicarsi alle decorazioni natalizie e ogni anno dovevano essere diverse. Così è tutto più magico, diceva sempre.
E anche ora che finiva di metter via le ultime stoviglie, non sembrava affatto stanca ma continuava a sorridere.
«Papà si è addormentato sulla poltrona.» Si palesò, infine.
«Poverino, è a pezzi. Fare la Guardia Forestale(3) non è una passeggiata; anche oggi hanno pattugliato le foreste; con tutta questa neve.»
Lui annuì e spostò lo sguardo alla tavola su cui spiccava una candela rossa in un vaso di vetro. Profumava di vaniglia.
«Sì, lo so.»
Haruko lo osservò per qualche istante, prima di chiudere l’acqua e asciugarsi le mani sul grembiule. Lo tolse e lo poggiò sulla spalliera di una sedia.
«E’ tutto a posto, tesoro?» domandò infine e gli fece cenno di raggiungerla. «Sei un po’ strano, oggi. Stamattina sei scappato via come una furia e da quando sei rientrato hai parlato pochissimo. Qualcosa non va?»
Yuzo ciabattò fino a lei. Le si fermò accanto, entrambi spalle al lavello e poggiati contro di esso. Stessa posizione a braccia conserte, ma consistente differenza di altezze.
«Sì, tutto ok.»
«Sei riuscito a salutare Mamoru?»
A Yuzo sfuggì un sorriso più ironico di quanto avrebbe voluto. «Sì.»
«Dovresti esserne contento, no? Non era quello che volevi?»
No, non proprio, ma questo non lo disse, limitandosi a fare spallucce.
Haruko però sapeva che doveva solo dargli il tempo giusto, lo spazio di cui suo figlio aveva bisogno. E il suo istinto materno non la tradì.
«Secondo te… che significa quando vuoi tantissimo una cosa, ma tutto sembra remarti contro nemmeno lo stesse facendo di proposito?» Yuzo inclinò leggermente il capo, fissando il pavimento, quasi gli suggerisse le parole. «E’ un modo brutale per dirti di lasciare perdere, che tanto quella cosa non fa per te e non la potrai mai avere?»
«E da quando in qua permetti alle avversità di fermarti?»
«Sì, lo so, è solo che… certe volte sembrano come essersi messe d’accordo, quasi fosse un segnale…»
La mano di Haruko si poggiò sul suo braccio, facendogli sollevare lo sguardo in quello della donna. Gli stava sorridendo con affetto e comprensione.
«Tesoro, non sempre le avversità sono sinonimo di negatività. A volte il destino, semplicemente, ha in serbo qualcos’altro per noi, qualcosa di meglio. Se non ha voluto che tu ottenessi una determinata cosa, magari era perché non voleva che tu la ottenessi in quel modo o adesso. O, magari, quella cosa l’hai già ottenuta proprio perché le cose sono andate come sono andate, solo che ancora non lo sai.»
Yuzo dovette ammettere di non aver ragionato sulla faccenda da quel punto di vista, e si domandò se confessare tutto a Mamoru così di fretta e senza aver modo di parlarne bene non avesse potuto fare più danno che altro.
E se fosse riuscito a dirglielo, invece, cosa sarebbe accaduto?
«Vedrai che le cose si aggiusteranno, Yuzo, qualunque cosa sia successa.»
Lui sorrise con affetto a quell’ottimismo così puramente materno, tanto da essere cieco anche difronte all’evidenza.
«Sì, mamma.» Le baciò la fronte e fece per andarsene in stanza quando il rumore del citofono annunciò loro che avevano visite.
«Chi sarà a quest’ora?» si chiese Haruko, lanciando un occhio all’orologio appeso alla parete. Le nove erano passate da meno di venti minuti. «Spero non i colleghi di tuo padre per qualche emergenza...»
«Vado io, non preoccuparti.» Yuzo la precedette, raggiungendo a passo svelto la porta. Premette sul pulsante attivando il ricevitore.
«Sì?»
«Yuzo?»
Tre secondi di silenzio e poi puro stupore.
«Mamoru?!»
«In carne ed ossa. Mi apri?»
Yuzo si rese conto di avere il cervello scollegato dal resto del corpo perché ci mise più di quella manciata di attimi prima di aprirgli il cancelletto che faceva accedere al cortile. Lo stupore mutò in incredulità e s’aspettò di esserselo solo immaginato quando aprì la porta.
Invece Mamoru era proprio lì, con il suo borsone e il capello di lana, da sotto al quale i capelli spuntavano come disordinati ciuffi neri.
«Che… che diavolo fai qui? Non dovresti essere ad Hakodate, ormai?»
«Sì.» Mamoru lo raggiunse sulla soglia aperta. «Solo che ad Aomori sono sceso… e ho preso il primo treno per tornare indietro.»
«Cosa?!» Yuzo sgranò gli occhi. «Che è successo?! Perché?!»
«Perché anche tu mi piaci.»
Diretto, senza rumori molesti a coprire le parole o fila di bambini a tagliargli la strada. Mamoru l’aveva pronunciato in un attimo e con una semplicità invidiabile.
«Era questo che mi avevi detto, quando si erano chiuse le porte, vero? Ho letto bene il labiale?»
Ma il terzino non ebbe bisogno di una risposta perché il modo in cui Yuzo arrossì gli fu sufficiente. Tirò via un sorriso divertito e affettuoso al tempo stesso.
«Hai ragione, non era una cosa che poteva aspettare l’anno nuovo.»
Colpito, affondato.
Yuzo si sentì come stesse giocando a battaglia navale e avesse appena perso. O vinto?
«Ti va di fare due passi? Arriviamo ai giardinetti qui vicino.»
«Prendo la giacca.»

Per strada c’erano solo loro, in quella zona di periferia.
I Morisaki avevano la villetta lontano dal centro, in un tranquillo quartiere residenziale in cui sorgevano graziosi parchetti sempre pieni di madri, figli e nonnetti intenti a fare tai-chi.
A quell’ora, e con la neve che copriva buona parte delle forme e dei marciapiedi, lasciando solo una striscia ripulita dagli operatori stradali, ognuno era al caldo della propria abitazione. Magari a godersi un po’ di televisione con i propri figli o a riposarsi dopo l’ennesima lunga giornata di lavoro.
Yuzo e Mamoru camminavano fianco a fianco, passo lento, per il marciapiede vuoto.
I negozi avevano già da un po’ le serrande abbassate; resisteva solo quella del conbini.
Stavolta, Yuzo si era coperto bene; cappuccio della felpa tirato sulla testa a mo’ di cappello e guanti senza dita; la sciarpa ben avvolta attorno al collo.
Mamoru aveva una mano in tasca e con l’altra teneva il borsone.
«Hai avvisato tua madre?» domandò il portiere rompendo il silenzio che li aveva accompagnati da che avevano lasciato casa.
«Sì, appena sono sceso ad Aomori.»
«E si è arrabbiata?»
Mamoru sbuffò via un sorriso storto. «Oh, sì. Le ho detto che mi ero dimenticato una finestra aperta e lei era furibonda!»
Yuzo gli rivolse un’occhiata colpevole e dispiaciuta prima di distogliere lo sguardo. «Avresti dovuto dare la colpa a me, piuttosto. Scusa…»
«Scherzi? E poi le ho assicurato che entro domani sera sarei stato ad Hakodate. In tempo per la cena di vigilia.» Stavolta fu lui a guardarlo, mentre il compagno osservava la strada. «Ho il treno alle otto del mattino.»
«Mh…»
Il silenzio scivolò di nuovo tra loro, freddo e leggero come la neve che sembrava minacciasse di cadere a momenti, considerando il cielo opalescente.
Mamoru lo osservò, pensieroso.
«Certo che ne ha fatta, quest’anno. Speriamo non nevichi anche domani o finisce che il treno ritarda di nuovo. E stavolta chi se la sente mia madre.»
«Già. Ah, e fai attenzione…» Yuzo guardò bene il marciapiede illuminato dai lampioni. «…in alcuni punti è ghiacciata. Le mie chiappe ne sanno qualcosa.»
«Sei caduto?!» Mamoru sbottò a ridere, incapace di trattenersi.
Il portiere arrossì. «Seeeh… e piantala! Non è stato divertente.»
«Ti sei fatto male?»
Yuzo si strinse nelle spalle.
«Ne ha sofferto più l’orgoglio.» Sbuffò e si passò le mani fredde sul viso, sistemando il cappuccio della felpa, poi iniziò a gesticolare e buttare fuori tutte le frustrazioni di quella giornata che non aveva potuto confidare a nessuno. «E’ che stamattina non è suonata la sveglia allora stavo correndo per non perdere il pullman! E poi quei marmocchi sono spuntati all’improvviso e andavano così leeeenti. Per cercare di fermarmi sono scivolato! E poi il pullman è arrivato, l’ho inseguito e una macchina mi ha quasi messo sotto! E l’ho perso! E mi sono messo a correre di nuovo! E ho travolto non so quante persone che mi hanno tirato almeno venti maledizioni ciascuno e non mi sono neppure fermato ad aiutarli!» Gli uscì un sospiro profondo e rassegnato, mentre Mamoru, invece, ne osservava attentamente il profilo.
«Correvi… per arrivare in stazione?»
Yuzo annuì e a lui le labbra si piegarono in un sorriso. Insieme attraversarono la strada deserta per entrare nei giardinetti.
«Davvero non ti sei fermato ad aiutarli?»
Il portiere si fermò un paio di passi più avanti e stavolta si volse a guardarlo, riuscendo finalmente ad affrontare i suoi occhi.
Scosse il capo, una smorfia mortificata restituì il broncio. «Lo so, sono una persona orribile, dillo.»
Mamoru lo superò, continuando a sorridere in maniera furba e con il sopracciglio inarcato. «No, non direi.»
Insieme si fermarono presso un’altalena. Fuori dai vialetti la neve non era stata accantonata ma i bambini l’avevano smossa per giocare. C’erano dei pupazzi arrangiati e vicino alle altalene ve n’era anche di più.
Si sedettero sui sedili ripuliti alla buona e con le mani. Mamoru lasciò il borsone a terra, il tonfo attutito dalla neve morbida.
Yuzo ne studiò ogni movimento e gli sfuggì un sospiro più basso quando capì che ormai era arrivato il momento di affrontare il discorso, e stavolta non ci sarebbero stati fischi di treno a interromperli. Afferrò una delle catene dell’altalena e vi si poggiò completamente, trovandovi sostegno con la testa. Con un piede, prese a dondolarsi appena. Giusto quel po’ di slancio impresso dalla punta della scarpa.
Per tutto il tempo era riuscito solo un paio di volte a guardare Mamoru dritto in volto e poi aveva sempre spostato altrove l’attenzione dei suoi occhi. Si sentiva un po’ a disagio. Però non aveva certo dimenticato cosa gli aveva detto il terzino, sulla soglia di casa.

«Anche tu mi piaci.»

«Non era proprio così che me l’ero preparata. Davvero.» Si decise a cominciare. L’aveva capito che Mamoru stava aspettando una spiegazione, perché non aveva ancora detto nulla. «Avevo messo la sveglia alle otto, stamattina. Mi sarei alzato presto e sarei arrivato in stazione forse prima di te. Mi avresti già trovato lì.» Gli sfuggì un sorriso rivolto alla neve. «Colpa mia, che ho rimandato troppe, troppe volte.»
«Perché?»
«Peccavo di coraggio.»
«Tsk. Proprio tu?»
Ma lo sbuffo era avvolto da un sorriso, Yuzo lo capì anche senza guardarlo.
«I tuoi occhi mi mettono in soggezione, a volte.»
Erano troppo scuri, troppo penetranti. Così belli…
«Addirittura?» un altro sorriso, Yuzo lo sentì e sorrise a sua volta, mentre annuiva. «Dopo tutti questi anni?»
«Eh già.»
Mamoru fermò il leggero moto che aveva impresso alla propria altalena, ma il portiere non se n’accorse, così come non notò l’improvvisa serietà nelle sue parole.
«Se già sapevi che non avresti fatto in tempo, perché hai corso ugualmente per raggiungermi?»
Yuzo sospirò. Quella sì che era una bella domanda, cui però non aveva una risposta certa ma solo un’intuizione.
«Perché non potevo rimandare ancora. L’avevo fatto talmente tante volte che alla fine… non so, ho come sentito che se non te l’avessi detto entro quest’anno, allora non te l’avrei detto mai-» Si interruppe quando sollevò il viso e trovò che Mamoru lo osservava fisso, con quegli occhi che a volte lo spaventavano per la loro bellezza. Più vicino, si era sporto verso di lui, che adesso si sentiva paralizzato come l’agnello davanti al lupo. La gola secca d’improvviso e le guance rosse e calde.
«…mai più.»
L’espressione seria del terzino si sciolse nelle labbra che si incurvarono in un sorriso leggero che però seppe rendere caldo il suo sguardo; le iridi erano oro nero fuso.
«Anche io ho rimandato un sacco di volte, lo sai? Aspettavo sempre il Capodanno. Volevo che fosse memorabile, assieme a te.» Sospirò, un po’ rassegnato. «E poi finiva sempre in tutt’altri impegni, in troppi amici e troppi parenti. Anche quest’anno mi ero già convinto che l’occasione sarebbe sfumata.» Distolse lo sguardo per un attimo, poi tornò a puntarlo su di lui, a trafiggerlo da parte a parte. «Tu però non ti sei arreso.»
Gli cercò il viso, con la punta delle dita lasciata libera dai guanti. Il freddo della sua pelle contro quella calda di Yuzo gli tramise una sensazione stupenda. La stessa, doveva averla provata anche il portiere perché non si sottrasse al tocco, ma si poggiò completamente contro di lui, socchiudendo leggermente gli occhi. Il respiro più lento e profondo.
«Quando ti ho visto in stazione che ti guardavi intorno così disperatamente per un attimo ho temuto che stessi cercando qualcuno di importante. Di troppo importante.»
«Era davvero così…» Yuzo si beò del tocco contro la guancia, aprendo piano gli occhi che aveva socchiuso. Trovò Mamoru ancora più vicino, ma non ebbe paura del confronto con le sue iridi.
Seppe che non le avrebbe temute mai più.
«Mi è sempre piaciuta la tua perseveranza.» Mormorò il terzino, nell’attimo in cui i loro nasi si sfiorarono. «Mi è sempre piaciuto tutto di te.»
Si baciarono che dal cielo iniziavano a scendere i primi fiocchi di neve, leggeri come il tocco tra le loro labbra in quel primo contatto. Il contatto del coraggio, del sogno rimasto a lungo solo nella testa e nella notte, quando arrivava il sonno; il contatto della pelle che si incontrava in un punto diverso da una stretta di mano o un abbraccio, il contatto del ‘ora so chi sei e quello che provi’.
Un contatto puro.
E poi arrivò quello della passione. Delle labbra che si schiudevano e accoglievano sapori e intimità, il contatto del ‘non avrei atteso un secondo di più!’, il contatto dell’appartenenza reciproca e del riconoscere il tocco dell’altro fino a sentirne la mancanza quando sarebbe stato troppo distante.
Un bacio fatto non solo di labbra, ma di lingua, di denti e di mani. Di nasi che si sfioravano e respiri che si univano.
Un bacio caldissimo, nonostante il freddo della neve che si poggiava piano su di loro, con i suoi fiocchi di ghiaccio.
«A che ora… hai detto che hai il treno… domattina?» Yuzo lo chiese in un frammento di pausa in cui era tornato padrone della propria voce. Durò poco, Mamoru gli rubò le labbra per il frammento successivo, salvo poi prendersene uno per rispondere.
«Alle otto…»
Yuzo sorrise, il naso contro il suo. Trattenne un ultimo frammento, prima di donargli tutto il resto del tempo che avrebbero avuto quella sera. Improvvisamente capì che forse il Destino non aveva voluto remargli contro ma solo metterlo alla prova. E lui aveva superato il test.
«Ci sarò.»

 

“Although it's been said many times, many ways: Merry Christmas to you./
Sebbene sia stato detto molte volte, in molti modi: Buon Natale a te.

New Kids On The Block (NKOTB)Christmas Song

 


[1]SUMIMASEN: “Scusa” in giapponese.

[2] e [3]: ormai uso spessissimo, tranne particolari situazioni, i nomi di Haruko e Baiko per i genitori di Yuzo :3 Per me sono un po’ diventati i ‘nomi standard’ XD E in una delle tante storie che ho scritto (“The Bug”), Baiko faceva la Guardia Forestale :3 Ho deciso di ricicciarlo, perché con la neve ci stave a pennello!!! XDDDD


 

Fine.

 

Nota finale: l’anno scorso, scrissi una fic per Capodanno; quest’anno ne è spuntata proprio una natalizia! :333
Il tutto per augurare Buon Natale e Felice Anno nuovo a tutte/i voi, Autori e Lettori del fandom! :D
E auguri a questi amorevoli pg, che adoro con tutto il cuore! :3

Auguri!!! :D

   
 
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