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Autore: _ayachan_    13/11/2008    14 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 17
Capitolo diciassettesimo

Prima dell’alba





Lasciando il Paese della Roccia, Natsumi Muto aveva portato con sé solo una manciata di fotografie di famiglia, dando fuoco alla maggior parte delle altre insieme ai pochi effetti compromettenti nascosti nella sua casa. Molte delle fotografie superstiti ritraevano tutti e quattro i Muto, un paio ritraevano solo i genitori e le restanti erano immagini delle due sorelle.
Era stato grazie a quei cimeli che Jin aveva potuto vedere il volto di sua madre. Natsumi gli aveva regalato una fotografia di Haruka scattata poco prima che la comparsa di Kakashi la costringesse a far saltare la propria copertura: nell’immagine le due sorelle non indossavano divise né coprifronte e sorridevano sporgendosi da una balaustra in pietra, i visi illuminati dai riflessi di fuoco della chioma di Haruka.
Jin non aveva mai chiesto dove fosse stata scattata la fotografia o chi l’avesse fatta, ma l’aveva piegata e nascosta con cura nel manuale di strategia del primo anno d’accademia, un libro che nessuno avrebbe mai aperto. L’aveva guardata così a lungo che gli angoli si erano rovinati e ammorbiditi come stoffa. Di notte, seduto sul letto con la fotografia tra le mani, aveva studiato i tratti di Haruka alla ricerca di somiglianze con i suoi, di dettagli, particolari, qualunque cosa che potesse permettergli di riconoscerla se l’avesse incontrata: l’aveva immaginata bionda, pelata, sfigurata, vecchia, aveva memorizzato la disposizione delle poche lentiggini che aveva sul naso e del neo sopra la clavicola, aveva immaginato decine e decine di incontri con lei.
Si era preparato spasmodicamente per non lasciarsela sfuggire, alla completa insaputa di Kakashi, e quando se la trovò danti agì come il suo addestramento lo aveva preparato a fare: non fallì, riconoscendola nonostante i capelli fossero corti e castani e ci fossero rughe profonde attorno alla bocca. Nella nube di polvere scatenata dal crollo del sottotetto individuò il neo sopra la clavicola e la forma delle sopracciglia, gli occhi blu - come i suoi - la bocca dal taglio severo e gli zigomi poco accennati. Gli bastò una frazione di secondo per notare tutti questi dettagli, ma in quello stesso lasso di tempo lei vide il suo coprifronte e serrò i denti in una morsa.
«Un ragazzino?» domandò infastidita. «La Foglia è a corto di shinobi?»
Jin annaspò per liberarsi dalla stretta della concubina che cercava di proteggerlo. La parola che voleva gridare era sulla punta della sua lingua, allettante e dolce, ma esitava a pronunciarla.
In un balzo Haruka oltrepassò le donne urlanti e fu davanti a lui, un corto coltello stretto nella mano sinistra. Lo afferrò per il bavero, lo fece voltare a forza e si premette la sua schiena contro il petto, avvicinando la lama al suo collo.
Al contatto del metallo gelido Jin realizzò che sua madre non aveva la minima idea di chi lui fosse.
«E’ Saibatsu che ti manda?» chiese lei in un sibilo.
«Non farlo» disse un’altra voce.
Le donne cacciarono alte grida, disperdendosi in un fruscio di piedini goffi. Haruka si immobilizzò, sentendo la punta di un kunai tra le scapole.
«Non farlo» ripeté la stessa voce dietro la sua nuca. «Se tu sei Akiko Kato, quello è tuo figlio.»
La stretta contro il collo di Jin si sciolse tutt’a un tratto. Il ragazzino scivolò via e si voltò, abbassando la maschera che gli copriva metà del volto. Finalmente, con un tremito, la parola che da tempo avrebbe voluto pronunciare oltrepassò le sue labbra, e per la prima volta nella sua vita Jin chiamò sua madre.
Le concubine trattennero il fiato subodorando le prime battute di un intrigo succulento. Kakashi, la mano priva di kunai posata sulla spalla di Haruka, sentì il suo cuore accelerare di colpo e poi forzarsi a rallentare. Nonostante quella chioma irriconoscibile, non appena si era ripreso dal crollo del sottotetto non aveva avuto dubbi: quella era la donna che aveva amato, e la sua esistenza tra i vivi significava che Tsunade aveva ragione, e in qualche modo li aveva traditi.
«Riconosci la mia voce?» chiese, costringendosi a comportarsi da shinobi.
«Sì» rispose Haruka dopo un attimo di incertezza. «Perché sei qui?»
«Mi hai mandato un messaggio.»
Le spalle della kunoichi si rilassarono visibilmente, accompagnate dall’allontanarsi del kunai dalla sua schiena. Haruka rimase ferma, gli occhi fissi su Jin e le labbra dischiuse, le pupille che correvano dalla punta dei suoi capelli fino all’ultima pagliuzza sotto i sandali. Si soffermò sui suoi occhi con una punta di orgoglio, quindi si riscosse bruscamente, dandogli le spalle.
«Non abbiamo tanto tempo» disse in fretta a Kakashi. «Dobbiamo andarcene, il crollo ha sicuramente attirato il mio compagno di guardia. Passeremo dal tetto, con un po’ di fortuna non...»
«Il passaggio!» squittì una delle donne, coprendosi la bocca subito dopo. Tutti la guardarono, e quella, un esserino minuto ma rotondetto, arrossì di piacere. «C’è un passaggio segreto creato per la nostra incolumità» spiegò vergognosamente. «Voi mercenari non dovevate saperne niente...» Un’altra concubina le sferrò una gomitata tra le costole.
«Dove?» insisté Haruka puntando il coltello verso di lei.
«Vi accompagno!» si affrettò ad assicurare la donnina.
«Mitsuru!» sibilò una concubina alta e ossuta. «Non è saggio!» La lama del coltello si spostò nella sua direzione, e quella tacque precipitosamente.
Kakashi non esitò: se Haruka era viva non poteva fidarsi di lei come avrebbe fatto tredici anni prima. Con un gesto brusco la privò del coltello e le strinse i polsi dietro la schiena. «Adesso ci aiuterai ad uscire di qui senza avere problemi. In caso contrario, sarò costretto a prendere provvedimenti.»
Haruka deglutì ma non ribatté, conscia che ogni minuto perso era un rischio in più. Kakashi ordinò alla concubina che si era offerta di aiutarli di condurli al passaggio segreto, poi si girò verso Jin, che era precipitato in una sorta di torpore istupidito. «Dopo» sussurrò, afferrandolo per un gomito e costringendolo a seguirlo.
La donna chiamata Mitsuru li guidò fuori dalla stanza e lungo il corridoio da cui erano arrivati, ma nella direzione opposta. I suoi piedi nudi facevano molto più rumore di tutti quegli degli shinobi messi insieme, ma le svolte attraverso cui li condusse sembravano sicure. Li portò fino a una stanza priva di finestre, un magazzino buio in cui erano conservati sottaceti e vasi di verdure sotto sale. Accese una candela e cercò tentoni sopra uno scaffale. Dopo un paio di secondi si udì il rumore del legno che gratta contro altro legno e la donnina spinse il mobile su cardini invisibili fino a rivelare un passaggio stretto e odoroso di muffa, evidentemente scavato nella roccia della montagna.
Kakashi lasciò libere le braccia di Haruka, ma premette il manico del coltello contro la sua schiena come monito. «Attenta a quello che fai.»
«Non uccidetemi» sussurrò la concubina adocchiando la lama, rannicchiandosi timorosa contro le grandi otri dei sottaceti. «Vi ho mostrato il passaggio.»
Se lo avesse fatto per paura, idiozia o desiderio di emozione non potevano dirlo. Comunque nel palazzo c’era un’intera stanza piena di testimoni che potevano descriverli, e quella donnina rotonda stava probabilmente evitando loro un mucchio di grane. Kakashi le fece un cenno, dicendole di tornare con le sue compagne. Quella trottò via impaurita, non senza aver gettato al gruppo un’ultima occhiata.
Haruka non lasciò che l’imbarazzo riempisse il silenzio. Prese la candela rimasta accesa e si avviò senza indugio attraverso il passaggio segreto.
«Saibatsu sa che sei venuto?» chiese a bruciapelo, mentre tutti insieme avanzavano nel cunicolo a passo sostenuto.
«Chi?» rispose Kakashi senza perderla di vista.
«Saibatsu» Haruka si voltò per guardarlo nervosamente.
Kakashi la fissò senza capire, e vide sul suo viso un'espressione confusa, in parte spaventata.
«Non ho idea di chi sia questo Saibatsu.»
«Che bastardi!»
L’imprecazione sulle labbra della donna colse Jin impreparato, riscuotendolo dallo shock. Aveva sempre immaginato che le madri fossero incaricate di sopprimere le parolacce dalla bocca dei figli, non che le pronunciassero per prime. Quel piccolo pensiero ne sbloccò molti altri, e mentre camminavano nel cunicolo freddo la sua mente fu sommersa dalla furia di dodici anni di domande mai fatte.
«Mi devi molte spiegazioni» mormorò Kakashi tenendo dietro al passo rapido di Haruka. «Cosa sta succedendo?»
«Credo che vogliano uccidermi» rispose lei, e la sua voce era la stessa, ma più tesa, più distante, priva dell’inflessione dolce che una volta gli aveva riservato.
«Chi?»
«La Foglia.»
«Non è possibile» Kakashi accelerò e la affiancò. «Alla Foglia nessuno sa che ti trovi qui. Ufficialmente sei in missione sotto copertura nel Paese delle Risaie, ho fatto in modo che tutti lo pensassero.»
«Nessuno sa che sono qui?» ripeté Haruka con voce acuta. «Non è vero. Sono alle dirette dipendenze del Consiglio di Konoha. Sono tredici anni che lavoro per voi!»
Kakashi ebbe un sussulto, ma si costrinse a riflettere rapidamente. «Per chi lavori? Il Saibatsu di prima?»
«Sì. E’ un consigliere. L’ho incontrato solo un paio di volte, poi ha sempre agito tramite intermediari. Dei del cielo, Kakashi, dimmi che sai cos’è la Radice...»
«L’organizzazione di Danzo?»
«Non è come allora.»
Kakashi la afferrò per un braccio e la costrinse a fermarsi e guardarlo. «Stai dicendo che Saibatsu ha ripristinato la vecchia Radice e ti ha reclutata come spia?»
Haruka esitò. Il tono di Kakashi le faceva intuire che non fosse una cosa di cui andare fieri. «Pensavo fosse un’organizzazione autorizzata dall’Hokage» si giustificò, sentendosi comunque stupida.
«La Radice è fuori legge da quasi vent’anni!» Kakashi soffocò la voce per non gridare, stringendo la presa sul suo braccio. «Eri presente quando abbiamo preso Danzo!»
Haruka si liberò con uno strattone e fece un passo indietro. «Quando hanno arrestato Danzo ero appena rientrata a Konoha!» replicò, ricordando improvvisamente il lontano processo a Sasuke Uchiha, dove il Quinto Hokage aveva fatto arrestare il suo Consigliere più importante. «Ho visto solo il suo arresto, non sapevo niente dell’organizzazione! Me ne hanno parlato per la prima volta dodici anni fa, e mi hanno mostrato i documenti che scagionavano la Radice dai crimini di Danzo! Sulle carte che ho firmato c'erano i timbri dell'Hokage!»
«E non ti è passato per la mente di parlarmene?»
«C'era una clausola di segretezza!»
Kakashi si passò una mano tra i capelli e ne strinse una ciocca per costringersi a recuperare la calma. «Va bene. Di questo discuteremo dopo. Pensi che ora ci siano uomini della Radice sulle tue tracce?»
«Sì. Negli ultimi mesi ho subito non meno di tre agguati, e l’ultimo dei sicari aveva addosso il tatuaggio dei Nekozuka. Probabilmente sono diventata troppo vecchia come spia. Ma non pensavo che...» Haruka deglutì e involontariamente si lasciò sfuggire un brivido. «Credevo che mi avrebbero fatta tornare a Konoha, non che mi avrebbero uccisa. Mi sono spaventata. Ho provato a chiedere spiegazioni tramite i soliti corrieri, ma nessuno mi ha più risposto.»
«Quindi hai cercato di contattarmi tramite altri canali» comprese Kakashi.
«Ho pensato che se una volta ero riuscita a raggiungerti privatamente, allora potevo farlo di nuovo» confermò Haruka. «Ho usato un nome in codice che solo tu potevi conoscere e ho sperato che non fossi d’accordo con loro.»
«Hai davvero pensato che avessi approvato l’ordine di eliminarti?» chiese lui sbalordito.
«Ho pensato qualunque cosa» sibilò lei. «Quando sei diventato Hokage ho dato per scontato che controfirmassi gli ordini che ricevevo.»
Nella grotta scese il silenzio. Kakashi e Haruka si fissarono per alcuni lunghi secondi, mentre Jin, immobile, passava lo sguardo dall’uno all’altro. La voglia di chiedere gli faceva fisicamente dolere la mandibola, ma aveva giurato. Pur di tacere si morse la lingua.
«Adesso dobbiamo tornare a Konoha» mormorò Kakashi dopo qualche istante. «Qui non abbiamo tempo per un interrogatorio. Dobbiamo evitare sia i mercenari sia sicari di Saibatsu... Non saremo al sicuro finché non saremo davanti a Naruto. Più tardi parleremo e mi racconterai tutto, per adesso considerati nostra prigioniera. Jin, andiamo» con un gesto brusco strappò la candela a Haruka e riprese il cammino.
Jin lanciò uno sguardo intimidito alla kunoichi, trattenendo un sussulto quando incrociò i suoi occhi, e aspettò che lei si avviasse prima di seguirli.
Nell’ultima mezzora si era sentito più vulnerabile che mai. Voleva capire più a fondo, voleva chiedere a Haruka qual era il suo piatto preferito e voleva sapere come la nuova Radice era riuscita ad ingannarla, ma inserirsi nel discorso tra i due shinobi sembrava impossibile.
Sperava che una volta raggiunta l’uscita del tunnel si sarebbe ripreso dall’intorpidimento, perché stentava a riconoscere se stesso: era come se tutti i suoi primi anni di vita fossero stati condensati negli ultimi trenta minuti e l’addestramento ricevuto all’Accademia relegato in un angolino minuscolo della sua mente.
Il sentiero sotto i loro piedi curvava e scendeva verso il basso, probabilmente dentro il fianco della montagna. Il rumore dei loro passi riecheggiava amplificato, dando l’impressione che fossero almeno in sei, ma da lontano non provenivano echi di eventuali inseguitori. Erano solo loro, una famiglia ritrovata. Quasi una scampagnata.
Eppure un brivido attraversò la schiena di Jin, mentre un pensiero sfrecciava nella sua mente: anche se finalmente è davanti ai miei occhi, io questa donna non la conosco.


*


La mandibola scricchiolò sinistramente mentre veniva distesa in uno sbadiglio di proporzioni sovrumane. La testa bionda ciondolò, ondeggiando avanti e indietro, e Koichi, al limite dell’esasperazione, arrivò ad accartocciare un importante documento per sbatterlo in testa a Naruto, il che provocò la sua totale perdita di equilibrio e il rovinoso abbattersi sui fogli che invadevano la scrivania.
«Che male!» si lamentò lo sfortunato shinobi, premendo entrambe le mani sulla faccia. «Koichi, maledetto traditore, stai cercando di liberarti del tuo Hokage? Per chi lavori? Parla!» piagnucolò con voce nasale.
«Non passa giorno in cui io non mi chieda perché lei è qui» sibilò Koichi, stirando con premura il documento. «Non fa altro che dondolarsi sulla sedia, guardare il soffitto e farsi portare ramen! Non è nemmeno in grado di firmare i documenti!»
«Questo doveva farlo Sakura...» bisbigliò Naruto risentito. «Insomma, perché sei venuto a buttare giù dal letto me e non uno dei miei assistenti? Sono solo firme, potevano occuparsene loro!»
Koichi snudò i denti nella brutta imitazione di un sorriso. «Perché il piacere che mi ha dato vederla arrancare fin qui non è minimamente paragonabile a quello che avrei provato con uno qualunque dei suoi assistenti» rispose. «Era tanto ansioso di essere Hokage...»
«Va bene, va bene! Ho capito!» lo interruppe Naruto incarognito, afferrando la penna con rabbia. «Ma prima o poi troverò il modo di metterti in mano a Morino, sappilo.»
Koichi si degnò di riversargli addosso il suo sorriso più compiaciuto, quindi rimase in piedi accanto alla sua sedia come un falco sulla preda. Naruto sbuffò sonoramente, scarabocchiando la sua firma sui fogli senza nemmeno leggerli.
Nel mondo succedevano milioni, miliardi di cose interessanti, e lui era costretto ad alzarsi prima dell’alba per firmare della stupida cartaccia! Che ne era degli Hokage eroici che salvavano il villaggio da nemici, demoni e calamità naturali? Perché non c’era mai un’alluvione a portata di mano quando serviva?
Sbuffò di nuovo, per sport ormai, e mugugnò tra sé. Se l’avessero svegliato per dirgli che c’erano importanti novità sulla spia di Konoha sarebbe stato quasi entusiasta. Insomma, era piuttosto convinto che, una volta chiariti i chi e i come, sarebbe sceso in campo personalmente per guadagnarsi il definitivo posto da settimo Hokage, dimostrando all’intero villaggio la propria intensa devozione e la grande, immensa, mirabolante abilità di cui era dotato. Solo che di novità non ce n’erano e tutto era irrimediabilmente, disgustosamente e idilliacamente – secondo Shikamaru – tranquillo.
Sul fronte ufficiale.
In effetti, a voler essere precisi, sul fronte personale qualcosa che non andava c’era. Ed era anche qualcosa di piuttosto grosso. Anzi, era qualcosa di probabilmente enorme: Sakura e Sasuke; tra loro era successo qualcosa, Naruto ne sentiva l’odore fin lì dentro.
Si rifiutava di credere che Sasuke fosse geloso del suo rapporto con Sakura, visto che, dati i presupposti, al massimo avrebbe dovuto essere il contrario; eppure non riusciva a non ripensare all’atmosfera che si era creata pochi giorni prima, quando era entrato nello studio dell’Hokage e li aveva trovati insieme. Al ricordo si accigliò, mentre era chino su un trattato per calmierare i prezzi del riso. Aveva ancora ben presente il periodo in cui era lui a irrigidirsi stando nella stessa stanza con Sasuke e Sakura, e la sensazione era stata inquietantemente simile.
Ma Sasuke era Sasuke. Era il suo opposto, era sicuro di sé, impassibile, intoccabile, ineguagliabile – sì, beh, con le dovute eccezioni. Sasuke non si ingelosiva se trovava lui e Sakura che ridevano insieme. Non Sasuke. Voleva vederlo e parlargli, maledizione!
«Narumaki Uzuto?»
La voce di Koichi trascinò Naruto di nuovo sulla terra, facendogli fissare il foglio che aveva appena firmato. «Oh cavolo» bofonchiò accigliandosi. «E questo che schifo è?»
«Per una volta siamo d’accordo» bofonchiò Koichi, sfilandogli il foglio di mano. «Vado a prepararne un’altra copia. Lei non si muova! Per quando torno deve aver firmato almeno cento documenti!» raggiunse la porta scrutandolo come un avvoltoio, e Naruto fece una smorfia indignata.
«Non posso non muovermi e firmare!» si lamentò petulante, ma Koichi non gli diede la soddisfazione di una risposta.
Naruto crollò la fronte su una pila di carta. L’Hokage doveva preoccuparsi di una spia, del villaggio, di Sakura e Sasuke... E invece lo costringevano a mettere timbrini su carta straccia! Afflitto, fissò il portamatite a forma di rospo che aveva insistito per tenere sulla scrivania; avrebbe tanto voluto richiamare Gamakichi e scappare per una scampagnata insieme. Sospirò, tirandosi su faticosamente.
Poche storie. Nessuna evocazione lo avrebbe salvato, e nessun miracolo avrebbe fatto sì che Sakura all’improvviso decidesse di parlare dei suoi problemi di coppia con lui. Sia per firmare quegli stupidi documenti sia per i suoi amici si sarebbe dovuto arrangiare da solo.
Stava già chiedendosi quante copie riuscisse a far stare nella stanza e quante penne ci fossero in archivio, quando le sue previsioni furono clamorosamente smentite da un becchettio alla vetrata alle sue spalle.
Naruto si voltò sorpreso. Nella luce grigia che precede l’alba vide un uccellino rosso e arancio che frullava oltre la finestra, avanti e indietro, avanti e indietro. Non sapeva ancora che sarebbe stato la soluzione a tutti i suoi problemi, ma lo riconobbe senza esitare un istante: cinque anni prima, mentre esausto si riprendeva dopo aver eliminato un’intera divisione della Roccia, quello stesso uccellino era arrivato a portargli il messaggio in cui gli dicevano che Hinata era stata catturata.
E oggi, proprio con un’evocazione, Chiharu sarebbe arrivata a fornirgli inconsapevolmente la più grande via di fuga dalla burocrazia.

Meno di un quarto d’ora dopo, con il cielo rosato e, ad est, color del fuoco, un trafelato e contrariatissimo Koichi si trovò a bussare alla porta di Reira, ex segretaria di Danzo, ex spia dell’Hokage nella Radice e attualmente pre-pre-prepensionata a carico del villaggio.
Di norma l’avrebbe squadrata con disapprovazione, perché era giovane e ancora perfettamente in grado di lavorare; ma ricordava che il suo stato di nullafacente era dovuto alla pericolosa missione di spionaggio condotta in gioventù, e sapeva quanto il suo ruolo avesse significato per l’inizio di quella che nei libri di storia era chiamata l’era del Quinto Hokage. Così quella mattina, quando la tirò giù dal letto maledicendo Naruto e la sua fortuna sfacciata, si sforzò con tutto sé stesso di essere cordiale quando lei venne ad aprire. E fu sorridendo che disse:
«Chiedo scusa per l’ora indecente, ma l’Hokage richiede con urgenza la presenza di suo figlio Akeru.»


*


«Qual è il bilancio?» chiese il capo dei mercenari di stanza ad Anka, dopo aver radunato tutti i suoi uomini nello spiazzo antistante il palazzo.
«Manca solo Tashigi. Tutti gli uomini sono illesi» rispose il suo primo ufficiale.
«Dove diavolo è finita quella baldracca?» sbottò il capo, un uomo di bassa statura ma piazzato come una vecchia quercia.
Qualcuno spinse avanti una donnina piccola e rotondetta che cercava disperatamente di coprire i frammenti di pelle che sfuggivano allo yukata. Nella luminosità incerta dell’ora prima dell’alba appariva pallida e terrorizzata.
«Le concubine hanno qualcosa da raccontare» spiegò il primo ufficiale.
«Mio signore, siate clemente!» strillò la donna gettandosi ai piedi del capo. «Vi supplico, sono solo una povera serva!»
«Cosa hai visto?» chiese lui allontanandola con la punta del piede.
«Due uomini, mio signore» riferì lei tremante. «Un adulto e un ragazzino. Sono entrati nel palazzo e hanno lottato con la donna che ci sorvegliava.»
«Due shinobi della Foglia» precisò il primo ufficiale.
«Il Paese del Fuoco!» esclamò il capo rabbuiandosi. «Chi ha vinto la lotta?»
«Nessuno, mio signore. L’uomo ha detto alla donna che il ragazzino era suo figlio e poi si sono allontanati insieme.»
Il primo ufficiale le diede un colpetto con la punta del piede. «Digli come si sono allontanati.»
«Mio signore...» la donna prese a tremare visibilmente. «Mi hanno minacciata! Volevano sapere del passaggio!»
«Quale passaggio?» domandò il capo.
«Il passaggio segreto che dal palazzo conduce a valle» spiegò il primo ufficiale. «E’ un’antica via di fuga scavata nella montagna. Il Signore del villaggio non ce ne ha mai parlato.»
«Portatelo qui!» tuonò il capo, e subito due mercenari si allontanarono dalle fila per entrare nel palazzo. «Avete mandato degli uomini all’inseguimento?»
«Sì, mio signore» confermò il primo ufficiale. «Sono partiti con molto ritardo, ma stanno percorrendo il passaggio nella speranza di scoprire le tracce dei fuggitivi alla fine del tunnel.»
Il capo fece un brusco cenno di approvazione e unì le mani dietro la schiena, sprofondando nei suoi pensieri.
Tutti i responsabili delle divisioni dei mercenari della Roccia avevano ricevuto ordini ben precisi: trovare un pretesto perché il Daimyo potesse dichiarare guerra al Paese del Fuoco. Le leggi belliche erano molto severe al riguardo: scaramucce tra gli shinobi non potevano costituire un valido motivo per l’entrata in guerra di due interi Paesi, ma se gli shinobi di un Paese avessero attaccato i civili di un altro la questione sarebbe stata diversa: si sarebbe trattato di un atto di aperta ostilità.
«Ci sono danni al palazzo o ai civili?» chiese il capo.
«La stanza da letto delle concubine è distrutta» rispose il primo ufficiale. «Ma non ci sono feriti.»
«Tashigi? Sappiamo qualcosa?»
«Nulla, signore. Si è allontanata con i due shinobi della Foglia abbandonando tutti i suoi effetti personali. Li abbiamo perquisiti ma non ci sono indizi sulla sua vera identità.»
«Una spia!» borbottò il capo con disprezzo. «La feccia degli eserciti!»
Dal palazzo provennero alte grida. Il capo si voltò in tempo per vedere il Signore del villaggio che veniva trascinato fuori dagli uomini che erano stati mandati a prenderlo, tenuto saldamente per le braccia.
«Esigo delle spiegazioni!» strillò il Signore, un uomo di mezza età con pochi capelli e un paio di baffi spioventi lucidati con cura. «Questi non erano gli accordi!»
«Nemmeno tenere nascosto il passaggio segreto era negli accordi» replicò il capo bruscamente.
Il Signore sbiancò, afflosciandosi nelle mani dei due mercenari. Fu portato fino al punto in cui la concubina era ancora rannicchiata, e lì si sforzò di farsi sorreggere dalle ginocchia tremanti.
«Dove inizia e dove termina il passaggio?» chiese il capo.
«Inizia nella dispensa dell’ala delle donne» mormorò il Signore fievolmente. «Lo sbocco è sul lato ad est della montagna, in una piccola gola.»
«E’ raggiungibile da qui?»
«No. Il terreno è dissestato e non ci sono sentieri. L’unica strada parte dall’uscita del passaggio e si allontana verso est.»
«Avresti dovuto parlarmene...» gli occhi del capo si strinsero in due fessure.
Il Signore del villaggio sembrò ripiegarsi su se stesso in un goffo tentativo di umiltà. Dalla sua bocca presero a uscire scuse e giustificazioni, ma il capo non si prese la briga di ascoltarle. Osservando la lucida pelata sulla sommità della sua testa, invece, rifletté sulla magra figura che aveva fatto il suo drappello quella notte: non solo avevano lasciato che due intrusi oltrepassassero le difese del palazzo, ma avevano anche scoperto di essersi lasciati giocare dal Signore del villaggio e, dulcis in fundo, che uno dei loro uomini era in realtà una spia. Non vedeva come le cose sarebbero potute essere peggiori.
Però vedeva come sarebbero potute migliorare.
Fece cenno al suo primo ufficiale di seguirlo e si allontanò in direzione del palazzo. Salì i gradini che conducevano all’ingresso, le mani sempre allacciate dietro la schiena e la fronte solcata da rughe profonde. Doveva pensare al proprio bene e all’onore dei suoi uomini.
Una volta al riparo dalle orecchie dei suoi si fermò e guardò l’uomo che lo seguiva.
«Nozaki, mi hai sempre servito bene» esordì. «Sai quanto me che da questa notte deludente può venire il disastro per entrambi. Ma io cercherò di evitarlo. Confido che anche questa volta mi sarai fedele.»
«Senza dubbio» assicurò il primo ufficiale piegandosi nel saluto dei mercenari, un inchino rigido con il pugno al petto.
«Prima che il sole abbia raggiunto la sommità del cielo tutti i civili all’interno del palazzo devono essere morti» Il primo ufficiale esitò per un secondo, poi si inchinò nuovamente. «Scriverò una lettera per il Daimyo spiegandogli che un drappello di shinobi della Foglia ha fatto irruzione e trucidato tutti quanti. Questo dovrebbe essere sufficiente per dichiarare guerra al Fuoco e preservare il nostro onore. Fai in modo che gli uomini si convincano della verità del messaggio.»
Il primo ufficiale annuì e si inchinò per l’ultima volta. Nel momento in cui si voltava per uscire, il primo raggio di sole invase l’atrio, attraversando la decorazione in vetro colorato che sovrastava l’ingresso. Così facendo tinse le pareti della stanza del colore del sangue fresco.




La prima fiammella.






* * *

Gente che resuscita,
guerre che stanno per essere dichiarate,
organizzazioni segrete redivive.

Perché volevo semplificare il vecchio Penne, giusto?
(Si sente che ho riletto "Il peggior bla bla bla".)

Arrivederci alla prossima settimana,
e sempre un grande grazie a voi che leggete!

  
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