Non
so quanto tempo riuscii a dormire in pace. Ma so per certo che Durza
si accorse subito quando la mia visione -che sembrava avermi ormai
abbandonata- ricomparve in tutta la sua potenza, trascinandomi in un
vortice di sofferenza e disperazione. Mi svegliò scuotendomi
violentemente le spalle e schiaffeggiandomi leggermente il
viso.
Aprii gli occhi per fargli capire che era riuscito a
riscuotermi, ma poi ero così stanca che mi riaddormentai
nuovamente,
di un sonno di poco più leggero.
Tornai alla realtà con la
luce
del sole che picchiava violentemente sui miei occhi. Doveva essere
ormai la seconda ora del pomeriggio e io mi sentivo sporca
-probabilmente non avevo mai puzzato tanto in vita mia-, indolenzita
e dolorante.
Mi sarei alzata a sedere ma lo Spettro era
praticamente steso su di me e il suo peso mi teneva premuta a terra,
con un sasso scomodamente affondato nella schiena. Gli scostai i
capelli inzaccherati dalla fronte e sussurrai un paio di parole per
incitarlo a svegliarsi.
Riuscii nel mio intento e Durza si scostò
bruscamente da sopra di me, guardandosi intorno un poco spaesato.
Solo in quel momento mi ricordai che eravamo ancora braccati.
«Ho
bisogno di lavarmi» lo informai, sollevandomi dal terreno e
massaggiandomi la schiena, dove il malefico sasso aveva scavato un
solco.
Trovai il mio zaino gettato scompostamente accanto a me e
lo portai con me sulle sponde del lago, dove mi immersi con piacere
nell'acqua fredda. Mi frizionai la pelle, gli abiti e i capelli con
energia, piangendo la perdita del sapone dell'erborista Gamall.
Lo
Spettro mi seguì e mi imitò. Insieme, svuotammo i
nostri zaini e
gettammo buona parte delle provviste che avevamo radunato nella
cucina del Covo, tenendo solo le mele e sciacquando le borracce
vuote, le coperte e le nostre spade.
«Possiamo lasciare
Dras-Leona?» mi accertai, intrecciando i miei capelli
grondanti
d'acqua.
«Dobbiamo,
direi. E di corsa, prima che qualcuno trovi le nostre tracce con la
magia. Perderemo il cavaliere, ma se i Ra'zac ci trovassero e
riferissero al re saremmo finiti».
«I Sacerdoti..»
«Non
parleranno» mi rassicurò. «Sanno bene
che la priorità dei loro
dei è servire Galbatorix, volenti o nolenti, e non andranno
a
sbandierare il loro tradimento e il loro fallimento in faccia a loro.
Sanno che la pagherebbero cara».
Annuii e mi concentrai sulla
domanda cruciale. «Hai ciò che
cercavamo?»
Sorrise, con un
pizzico di amarezza. «Sì. Ed è
più semplice di quanto credessi,
anche se non facile».
Una feroce esultanza mi montò in petto e
una scarica di energia mi percorse le membra. Lo Spettro
ammiccò,
allargando il sorriso e cedendo per qualche istante a un'allegria che
mi parve sincera.
Poi asciugò entrambi con poche parole, quindi
mettemmo gli zaini in spalla e corremmo verso nord, cercando il punto
in cui il fiume Toark sfociava nel lago Leona. Non avevo chiesto
nulla ma immaginavo che la nostra meta sarebbe stata Gil'ead.
Non
ci fermammo -se non per riempire le borracce- fino a che la luce non
cominciò a calare. A quel punto crollammo a terra,
nuovamente
sfiniti e decisamente affamati. Mangiammo le nostre mele e bevemmo
abbondantemente l'acqua del fiume, che in quel punto si gettava a
estuario nel lago.
Durza riuscì anche a pescare un paio di pesci
con la magia e accese un fuoco per cuocerli prima che facesse buio e
il bagliore diventasse localizzabile a miglia di distanza. Tuttavia
anche la colonna di fumo che si levava sopra di noi era abbastanza
evidente nella sera grigiastra.
Non sentivamo la presenza di
nessun inseguitore alle nostre spalle, ma la prudenza non era mai
troppa.
«Ne vuoi un po', Arya?» mi chiese Durza, porgendomi
del
pesce. E per la prima volta non percepii del sarcasmo nella sua
proposta di mangiare le carni di un essere che aveva pensato e
respirato.
«No, grazie» risposi.
Non avevo così fame da
dovermi abbassare a quello.
«Non so se troveremo altro» mi
avvisò lo Spettro, un poco titubante. «Non avevo
previsto di dover
fare un tuffo da testa a piedi in quella schifezza o mi sarei
risparmiato di riempire gli zaini».
Sarebbe successo quello che
era successo se lui non avesse riempito gli zaini? Forse sarebbe
andato lui stesso a chiudere la porta della cucina e quindi non mi
avrebbe toccato il braccio. Era da quel contatto che era partita la
pelle d'oca in tutto il mio corpo, ma forse non era stato quello il
vero principio.
Forse la sua battuta irriverente sulle mie
gambe?
Probabilmente non aveva senso cercare di capire come il
tutto fosse partito: era successo e basta.
«All'altezza dell'ansa
del Toark, quando ripiega sulle montagne, potremmo spostarci di
qualche miglio verso Taurida. Troveremo delle fattorie e dei frutteti
dove potremmo rubacchiare qualcosa» dissi, tornando al mio
lato
pratico.
Mi guardò da sotto le corte ciglia. «Lo sai per
certo?»
«Ho percorso questa via ad anni alterni, per quindici
anni, portando l'uovo con me. Io e i miei compagni cercavamo di
evitare i centri abitati e non viaggiavamo con troppe provviste,
quindi non era raro che facessimo qualche deviazione per
rifornirci».
Sollevò un sopracciglio. «Elfi che rubano agli
uomini?»
«Ho passato più tempo tra gli uomini che tra la
mia
gente, qualche brutta abitudine devono avermela passata» mi
giustificai debolmente.
Ridacchiò. «Tranquilla, non lo dirò a
nessuno. Forse non sarò amabile come i tuoi amici elfi, ma
direi che
stavolta ti accompagno io nelle tue.. scorrerie».
«Si trattava
di piccoli furti» minimizzai.
«Arriveremo entro domani al
tramonto?»
«Sì».
«Bene, perché credo che moriresti di
fame se tardassimo ulteriormente». Mi lanciò
un'altra mela, che
afferrai al volo. «Prendi anche questa, io per stasera sono
più che
sazio».
«Grazie» dissi, stirando le labbra in un sorriso
accennato.
Si strinse nelle spalle e spense il falò. «Ti
dispiace camminare altri dieci minuti? Giusto per allontanarci un
poco dal bivacco, non si sa mai».
«Non credo che qualcuno ci
abbia seguito» lo rassicurai.
E tuttavia acconsentii ad
allontanarmi di un poco.
Stendemmo le coperte lontano dalla strada
e dal fiume.
«Sai una cosa?» fece lo Spettro dopo avere slegato
la spada dallo zaino e averla posata accanto a sé.
«Non abbiamo
pagato le ultime settimane di permanenza al locandiere del Covo
Segreto. E per di più gli abbiamo anche rubato del cibo e
delle
coperte».
Sbuffai una risata. «Potrai tornare a pagarlo una
volta che tutto sarà finito. Mi fai leggere la
pergamena?»
azzardai, cambiando discorso prima che i pensieri di entrambi
indugiassero sulla cucina e sul tavolo della cucina in
particolare.
Durza parve sorpreso della richiesta, ma stranamente
non si oppose. Forse non aveva pensato che, se il suo giuramento gli
impediva di rivelarmi il segreto di Galbatorix, nulla gli impediva di
lasciarmelo scoprire da sola.
Tuttavia quando estrasse la
pergamena macchiata di inchiostro dalla tasca della casacca realizzai
immediatamente che le mie speranze erano state vane e persino un po'
ingenue.
Avevamo fatto un bagno in del liquame e poi in
dell'acqua. Cosa poteva essere rimasto delle parole se non qualche
sparuta macchia nera a testimoniare il loro passaggio?
«Ricordi
ciò che c'era scritto vero?» mi accertai, un poco
amareggiata.
Annuì. «Mi spiace, non ho pensato a
salvarla».
«Oh,
non fa nulla».
Mi avvolsi nel mantello e nelle mie coperte e mi
preparai a dormire. Ormai era calato il buio e nessun falò
rischiarava il nostro bivacco, la nostra unica luce era nuovamente
quella della luna, che però era un po' oscurata dalle nubi,
al
contrario della notte precedente.
«Arya», mormorò Durza in tono
morbido, «forse dopo dovrò svegliarti. Ed
è freddo».
Persino
un idiota avrebbe letto l'implicito invito nelle sue parole.
Raccolsi
il mio zaino e le mie coperte e mi spostai di qualche iarda, fino a
che non mi trovai accanto a lui.
Le nostre mani si trovarono. E
poi anche le nostre labbra.
Dovevo smetterla di comportarmi da
stupida e mettere in chiaro le cose con lui una volta per tutte:
potevo provare nuovamente a convincerlo a rinunciare ai suoi
propositi, oppure dovevo allontanarmi definitivamente da lui.
«Devo
parlarti, Spettro».
Tormentò i miei capelli e assunse
un'espressione corrucciata. «Domani, ti prego».
Mi riscosse dal
mio incubo e mi baciò di nuovo. E io lo baciai e poi lo
strinsi e
poi mi addormentai, tremando tra le sue braccia.
Mi
risvegliai sentendo Durza canticchiare una ballata popolare, stonato
come poche altre persone che avevo sentito cantare in tutta la mia
vita. Parlava di due nemici che si scontravano sul campo di
battaglia. Lui uccideva il suo avversario, il migliore che avesse mai
sfidato, ma quando gli sfilava l’elmo scopriva che era la sua
amata, che apparteneva all’esercito avversario. Lei moriva
piangendo, spiegando che aveva fatto tutto quello perché il
conflitto tra lealtà e amore la stava uccidendo
più di qualunque
spada. E quale morte migliore di quella per mano sua?
Le mie
palpebre chiuse tremarono, riconoscendo l’ombra della nostra
situazione in quelle parole.
«Non farmi mai uno scherzo del
genere, Elfa» borbottò ridacchiando, ma la sua
voce era fioca e
debole.
Schiusi gli occhi e restai a fissare i suoi in silenzio,
ritardando il più possibile il momento in cui avrei dovuto
erigere
nuovamente un muro tra di noi.
«Comincio
io se permetti» mormorò lo Spettro, stringendomi
la mano
sinistra.
Ne
baciò le dita, poi si staccò e iniziò
a pronunciare una lunga
cantilena nell’antica lingua. Mi imposi di non muovermi e di
non
intervenire, ma ero spaventata e non riuscivo a capire cosa stesse
facendo e perché.
«Toglilo» disse infine.
«Cosa..?»
«L’anello»
puntualizzò.
Ah. Lo tirai quasi con pigrizia e, con mio estremo
stupore, si tolse con facilità.
Sentii vagamente Durza dire: «Sei
libera».
Ma la mia mente vagava ad altro. Sentivo la mia energia
tumultuosa premere per uscire, potevo fare una magia, una qualsiasi,
quando volevo e come volevo.
Una fiammella danzò sul mio palmo
senza neanche bisogno di parole, seguita da globi luminosi che mi
fecero pizzicare tutto il corpo per l'emozione.
Poi abbandonai la
solitudine della mia mente ed espansi tentacoli di coscienza tutto
intorno a me, percependo all'improvviso la natura brulicante che si
risvegliava nella primavera, insetti, piante, piccoli animali. Da
mesi ero costretta in me stessa come dietro ad un muro e in quel
momento sentire la vita, il suo flusso, i suoi misteri.. Mi si
riempirono gli occhi di lacrime bollenti e le membra mi formicolarono
di rinnovata energia.
E mi sentii forte, potente, invincibile,
letale, pronta a colpire.
Infine sentii la coscienza di Durza e il
vuoto lasciatomi al dito dall’anello. Dopo tutti quei mesi
avevo
fatto l’abitudine a sentirlo lì, a stretto
contatto con la mia
pelle, dove ormai si era disegnato un pallido cerchio.
Era il
simbolo schiacciante della mia sconfitta, della mia umiliazione e
inferiorità, delle mie illusioni, delle mie sofferenze,
delle mie
paure più oscure, delle sue menzogne e delle sue
crudeltà.
Eppure
lo rimisi al suo posto, d'impulso.
Tornai
faticosamente a concentrarmi sullo Spettro e lo trovai guardingo,
teso e inquieto, con
gli occhi così socchiusi che sembravano scomparire sotto le
ciglia
corte e sottili.
Mi
parve bello e pericoloso allo stesso tempo. E sembrava
quasi aspettare un mio attacco.
«Se
lo desideri,» disse lentamente, «puoi tornare a
casa».
«Cosa?!»
esclamai sconvolta. «Ma.. e il piano per deporre il re? I
tuoi
segreti?»
«Ormai non importa» replicò con voce
monocorde,
sfilando delicatamente il braccio da sotto il mio corpo e alzandosi a
sedere, privandomi repentinamente del suo calore. «Il
cavaliere mi è
scappato, quindi non c'è nessuno dei miei piani che potresti
intralciare facendo rapporto al tuo popolo o ai Varden. Vado ad
affrontare Galbatorix, ma credo che non avrai nulla in contrario su
quello» concluse con una risatina. «Per quanto
riguarda ciò che
succederà dopo.. immagino che non arriverai in tempo per
ostacolarmi. Al massimo potrai tentare di depormi più
avanti. Hai
fatto il tuo dovere e anche di più, non credi?»
Mi accigliai e
mi alzai a mia volta. «Hai bevuto qualcosa mentre io dormivo,
Spettro?»
«A quanto pare devo sempre essere ubriaco quando
succedono cose interessanti» fu la sarcastica risposta.
Nel
tumulto che sentivo crescermi dentro trovai a malapena la
lucidità
di chiedere: «Perché?»
«Devo veramente spiegarti il perché?
No, credo che tu lo sappia già alla perfezione».
«E quindi mi
mandi via? Non dovevo servirti contro il re?» insistetti.
Mi
pareva incredibile di essere improvvisamente sciolta da ogni vincolo
dopo più di quattro mesi. E se da un lato mi sentivo
esultante,
dall'altro ero terrorizzata.
Non mi aspettavo un allontanamento
così brusco e improvviso né dalla missione
né da Durza
stesso.
Mise le mani sugli occhi. «Vai via prima che mi venga
voglia di trattenerti, piccola Elfa».
«Io voglio esserci!»
decisi, determinata, afferrandogli i polsi e spostandogli le mani.
«Voglio esserci quando il re cadrà».
«Non capisci», soffiò
con voce rotta, «che dopo Galbatorix sarà uno di
noi due a morire?
Io non voglio morire. E non voglio ucciderti».
Le lacrime mi
punsero gli occhi. «Nemmeno io».
«Allora, ti supplico,
vattene».
Solo in quel momento realizzai pienamente la portata
dei sentimenti che provavo per Durza lo Spettro.
Ciò che mi
legava a lui era così complesso, contraddittorio e
stratificato..
qualcosa che non avevo provato per nessuno, mai.
Avevo combattuto
contro di lui e poi al suo fianco, lo avevo ferito e salvato e lui
aveva fatto lo stesso per me, ero stata sua nemica e alleata, lo
avevo schiaffeggiato e baciato, gli avevo nascosto e confessato
segreti terribili, avevo tramato alle sue spalle e fatto l'amore con
lui, avevo pregato per la sua morte e la sua salvezza, avevo subito
le sue torture e goduto delle sue carezze, lo avevo definito un
mostro e poi avevo scoperto il ragazzino spaventato alle sue spalle,
accanto a lui mi ero sentita in pericolo e al sicuro, avevo decifrato
le sue espressioni e reagito impreparata alle sua azioni, riso e
protestato alle sue battute, negato e richiesto il suo
affetto..
Forse potevo andare avanti per delle ore.
E forse
era il caso di smetterla di pensare e cominciare a prendere decisioni
che avrebbero sconvolto la mia abituale esistenza, ma forse mi
avrebbero finalmente resa felice.
Ed era tutto così facile..
Volevo che Durza fosse mio. Non c'era niente di male in tutto
quello.
«Io.. tu hai detto di provare dei sentimenti per me,
quella notte nella cattedrale» balbettai.
«Sì, Arya. Tantissimi
sentimenti. Ed è per questo che..»
«Anche io» lo
interruppi.
Addolcì l'espressione disperata che aveva in volto.
«Lo so e so anche che non mi vorrai veramente, non
finché le cose
non cambieranno».
«E allora dovremmo cambiarle, non credi?»
«Non
sai quello che dici, Elfa».
Strinsi la presa sui suoi polsi. «Se
reclamerai il trono del re ti uccideranno, Durza. Gli elfi, i nani,
gli uomini, forse anche i gatti mannari. Nessuno vuole un altro
tiranno, tanto meno uno spettro, quindi se vuoi vivere devi
rinunciare al potere».
Mi scrollò bruscamente e iniziò ad
arrotolare le coperte. «Non voglio»
proferì gelidamente.
Lo
imitai e gli concessi qualche minuto di pace, anche solo per meditare
sulle mie parole. Ma poi, mentre camminavamo fianco a fianco lontano
dal sentiero, tornai all'attacco.
«Cosa te ne fai del trono di
Galbatorix?»
«Mi hanno schiacciato molte volte nella mia vita,
troppe. E ora non voglio sottostare mai più
all'autorità di
qualcuno. Ho capito che in questo mondo si ferisce o si è
feriti, si
schiaccia o si è schiacciati, e non c'è una via
di mezzo» fu
l'asciutta risposta.
«Non so con esattezza cosa ti abbia condotto
a queste conclusioni, anche se una vaga idea ce l'ho, ma ciò
che ho
detto è la verità: se prenderai il trono di
Alagaësia sarai
sicuramente e inevitabilmente schiacciato da forze superiori alle
tue. Sei potente, ma non abbastanza da sconfiggere tutti i membri del
mio popolo».
«Non credo che..»
«Si muoveranno» lo freddai.
«Sicuramente si muoveranno contro di te».
Fece una smorfia e
all'improvviso mi parve spaesato. «E dunque vuoi propormi
amnistia?
Posso rinunciare al potere, ma sarei in ogni caso condannato a
morire. Ci sarà un processo o qualcosa del genere e sono
abbastanza
sicuro che una buona fetta di Alagaësia vorrà
vedere il mio cuore
strappato dal mio petto».
«Rinunceresti al trono?» mi
accertai.
Esitò. «Ormai te lo dico, tanto peggio di
così non
potrà mai andare». Fece un respiro profondo.
«Fino ad un giorno fa
avevo intenzione di uccidere il re ed impossessarmi del suo potere,
ma ora so che se voglio sconfiggerlo devo distruggere la fonte della
sua magia e non avrò più possibilità
di recuperarla. Mi trovo ad
un bivio, ed entrambe le mie scelte sono vicoli ciechi, come puoi
vedere. Quindi continuerò sulla pista originale,
chissà che non mi
imbatta per sbaglio in Ajihad nel frattempo, magari almeno uno dei
miei progetti potrebbe essere realizzato».
«Verresti via con
me?» chiesi a bruciapelo.
Si fermò e sollevò le sopracciglia.
«Una fuga d'amore, Principessa?»
Mi fermai a mia volta.
«Sì».
«Quando ti è venuta in mente un'idea
simile?»
«Adesso»
ammisi.
Contrasse il viso in un'espressione sospettosa. «E me lo
stai proponendo per tenermi con te o per tenermi lontano dal trono di
Galbatorix?»
«Una cosa implica l'altra. Non disdegnerò di
prendere due piccioni con una fava» ammisi.
Ammutolì,
spiazzato.
Capii che aveva creduto di avere solo due misere ed
infelici opzioni tra cui scegliere e che la mia proposta gli aveva
aperto un baratro.
Individuato quello spiraglio di incertezza nel
suo esitare, decisi di insistere.
«Non devi né diventare re, né
consegnarti ai Varden o agli elfi. Sono d'accordo sul fatto che in
entrambi i casi verresti probabilmente ucciso, ma sono sicura che se
sparissi semplicemente dalla circolazione, prendessi nuove sembianze
e un nuovo nome, allora potresti vivere in pace la tua vita. Potresti
difenderti da qualsiasi essere umano e stare alla larga dagli Elfi,
per sicurezza. Non sarebbe un'esistenza così
terribile».
«Con
te?» chiese semplicemente
«Con me» confermai. «Ma non tentare
di ingannarmi con finte promesse o ti giuro sulla mia vita e su
quanto ho di più caro in questo mondo che non avrai mai e
poi mai il
mio perdono. A quel punto avresti creato la tua più acerrima
nemica,
per di più custode di parecchi dei tuoi segreti»
aggiunsi con voce
terribile.
E in effetti Durza parve quasi spaventato.
Ripresi a
camminare davanti a lui, dandogli nuovamente il tempo per
metabolizzare le mie proposte e le mie intimidazioni.
La sua voce
suadente mi accarezzò le scapole. «E il tuo
popolo? La tua casa? I
tuoi amici?»
«Nessuno mi mancherà particolarmente. Dopo che il
re sarà sconfitto gli elfi nomineranno un nuovo ambasciatore
e se la
caveranno alla perfezione anche senza di me».
Lo Spettro sbuffò.
«Devo piacerti davvero parecchio per abbandonare tutto come
se
niente fosse, solo per stare con me».
«Oppure non mi piace
l'ambiente in cui vivo e tu sei la mia prima vera occasione di fuga
da quando sono nata» dissi con leggerezza, ma quella
confessione
pesava terribilmente sulla mia anima e avrei tanto voluto vedere
l'espressione del suo viso mentre la condividevo con lui.
Tuttavia
Durza pareva intenzionato a convincermi a rinunciare.
«Non credo
che tu sappia esattamente quello che stai facendo, piccola Elfa. Io
sono pur sempre Durza lo Spettro, ho fatto cose orribili e non sono
sicuro che riuscirò a trattenermi dal farne delle
altre».
«Ti
fermerò io» quasi lo ammonii. «E anche
Ajihad deve restare fuori
dai tuoi pensieri».
«Sto lavorando alla mia vendetta..»
«..
da decenni» conclusi per lui. «Ma puoi voltare
pagina. Mi dispiace
per ciò che ti è successo, per ciò che
la famiglia di Ajihad può
averti fatto, però potresti guardare avanti, per una
volta».
«Non
sono sicuro di poterlo fare».
Mi voltai a fronteggiarlo, fermando
il suo passo. «Durza ascoltami: hai ucciso due elfi la notte
che mi
hai catturata. Uno era un mio caro amico e fedele compagno, l'altro
era come un fratello per me e giusto qualche ora prima mi aveva
chiesto di.. diciamo sposarlo».
Lo Spettro sgranò gli occhi.
«Per la miseria..»
«E poi mi hai torturata» proseguii
imperterrita, «e mi hai ingannata. Eppure io ti sto chiedendo
di
stare con me. Credi che non sia stato difficile per me perdonarti e
accettarti? L'ho fatto. E non sono affatto migliore di te, quella
è
solo una scusa. Ti chiedo di rinunciare alla tua vendetta per me, per
noi. Puoi farlo?»
«Non voglio che tu sia mia solo per senso del
dovere».
«Sai che non è così» risposi
prontamente, mettendo a
tacere la sua flebile protesta.
Insistette. «Dimmi solo una cosa:
è considerato normale tra gli elfi fuggire con un uomo che
conosci
da.. quattro mesi e mezzo? Cinque? Magari ti stuferesti di me nel
giro di una settimana, Principessa. E dopo?»
«Non tutte le
persone sono in questo mondo per ferirti, Durza. Io non sarà
la
compagna perfetta: sono più brava a maneggiare una spada che
un ago
da ricamo, e ho visto più sangue che minestroni di verdure,
però
sono sicura di ciò che provo per te. Non posso giurarti che
non mi
stancherò mai, perché la mia vita è
appena iniziata, ma i miei
sentimenti sono autentici e non si dissiperanno tanto in
fretta».
Fischiò, tentando con scarso successo di recuperare i
modi di fare sfottenti che gli erano tipici. «Non avrei mai
creduto
di sentirti dire qualcosa del genere».
«Questa è la semplice
verità» insistetti, muovendo qualche piccolo passo
nella sua
direzione.
«Sembra
troppo facile e bello per essere vero».
Mi sentivo in biblico
sull'orlo di un baratro e sapevo che avrei dovuto fare del mio meglio
per portare lo Spettro con me. Durza era una persona importante ed
ero davvero disposta ad andarmene pur di stare con lui, tanto non
avrei lasciato troppe cose o persone dietro di me. Solo che.. per il
Wyrda di Alagaësia, stava succedendo tutto così in
fretta!
E lui
sembrava condividere il mio stesso timore, la mia stessa impazienza e
la mia stessa incertezza.
Sembrava incredibile che le nostre vite
si fossero sviluppate su due sentieri completamente diversi, tortuosi
e ben separati, che tante altre cose importanti fossero successe
prima che le nostre strade si incrociassero. Abbandonare i progetti
di una vita per un amore incerto e appena sbocciato era un azzardo,
quasi un atto incosciente.
Guardai Durza e vidi la sua postura
rigida saldarsi ulteriormente, ma quando i suoi occhi si alzarono su
di me, non li trovai tristi
e sconsolati, bensì cupi e voluttuosi, densi di sentimenti e
di
promesse.
Finii tra le sue braccia ancora prima di essermi resa
conto di aver mosso gli ultimi passi che mi separavano da lui. Lo
baciai, lentamente, chiudendo le palpebre con abbandono e
accarezzandogli la schiena.
Lo Spettro mi strinse la vita.
«Grazie» gracchiò, il volto premuto
contro la mia spalla.
«Avrai
ancora tempo per pensarci, fino a che non avremo raggiunto
Gil'ead»
sussurrai.
Sentii le sue labbra sfiorarmi il collo. «Non credo di
averne bisogno».
E mi morsicò appena la pelle con i denti
aguzzi, giocosamente.
Un peso enorme sparì dal mio cuore, ma un
leggero brontolio mi annunciò che il mio stomaco voleva la
sua
parte.
«Andiamo a cercare qualcosa da mangiare» mugugnai,
staccando lo Spettro da me.
Rise. «Se incredibile. Ardore e
calcolo da un minuto all'altro».
Scoprii i denti in un sorriso.
«Ma abbiamo un accordo, giusto?»
Mi guardò con aria di sfida.
«Sì, donna infida».
Non mi fu troppo difficile sorridergli di
nuovo. Avevo appena compiuto la seconda mossa più azzardata
della
mia vita, eppure sembrava essere quella giusta, finalmente.
Perché
in effetti mi sentivo felice, leggera, serena,quasi.. realizzata,
completa. Arrivata alla fine del mio viaggio.
Una piccola parte di
me continuava a guardare Durza con l'occhio sospettoso di chi ha
già
subito un tradimento e non sa se aspettarsene un altro, ma gli
credevo, volevo credergli. I suoi sentimenti erano reali e io potevo
forse offrirgli ciò che aveva perso in passato e non di era
mai
aspettato di ritrovare in futuro.
Amore.
Quella notte dormimmo
nel granaio della fattoria. Avevamo raggiunto i frutteti poco prima
del tramonto e avevamo saccheggiato la dispensa del fattore e l'orto
fino a riempire gli zaini. Forse il fattore si sarebbe accorto che
qualcosa mancava, ma noi avremmo affrontato i nostri quattro giorni
di viaggio fino a Gil'ead con più serenità. Ma in
realtà, dopo un
breve scambio, avevamo stabilito che avremmo tagliato in linea retta
in direzione della città, ignorando i sentieri tracciati e
accelerando il tutto.
Durza sembrava da un lato impaziente di
tornare a casa e dall'altro preoccupato. Mi chiesi se la sua ansia
derivasse dal fatto che, dopo Gil'ead, la meta seguente sarebbe stata
Uru'baen, dove avremmo dovuto tentare l'impossibile.
«Sei
preoccupato?» gli chiesi stringendomi a lui sotto le
coperte.
«Pensavo che la nostra avventura potrebbe finire ancor
prima di cominciare. Possiamo fare dei progetti per il nostro futuro,
ma nulla ci garantisce che non finiremo ammazzati da Galbatorix. So
che è una meta necessaria per riottenere la mia
libertà, ma ora che
è così vicino..»
«Ho paura anche io» ammisi.
Ridacchiò.
«Sei brava a non farlo vedere o a non pensarci».
«E se
andassimo direttamente ad Uru'baen?» gli proposi. Forse
l'attesa di
agire ci avrebbe scoraggiati ancor più di quanto
già non fossimo in
quell'istante.
Mi rispose quasi controvoglia. «Devo assolutamente
vedere Alba e parlarle».
Sobbalzai. Non avevo più pensato a lei
e quindi non ero ancora riuscita a dare un significato a tutti i
misteri nascosti dietro le sue mosse. Sapevo però che molte
di esse
le avevo tenute per me, nascondendole allo Spettro per evitare che la
poveretta facesse una brutta fine.
Ma forse era giunto il momento
di abbattere anche quelle ultime barriere e dirgli tutta la
verità.
Nessun rapporto può reggere se nato su menzogne o cose non
dette,
tuttavia c'erano altre vite implicate quindi dovevo agire con
cautela.
«Cos'è Alba per te?» domandai alla fine,
anche se in
realtà avrei voluto chiedergli direttamente chi fosse.
«Un'amica
e un'alleata, ma avevamo stabilito una sorta di patto al quale ormai
non posso più attenermi e le devo delle spiegazioni,
almeno».
Notai
l'esagerata lentezza nel suo tono e capii che entrambi ci stavamo
nascondendo buona parte della verità. Così gli
dissi tutto: della
volta che Alba mi aveva aiutata a fuggire dalla mia cella, dei suoi
avvertimenti, dei suoi consigli, della boccetta di veleno.
Evitai
di parlare dell'occhio bianco, così somigliante a quello
della
giovane. Non ero ancora certa che si fosse trattato di una mia
fantasia o della verità.
Durza mi ascoltò in silenzio sbigottito
e quando tornò a parlare il suo tono grondava amarezza.
«A
quanto pare non sono l'unico a volersi ribellare al proprio
padrone»
ringhiò.
«Mi dispiace».
«Dispiace anche a me, piccola Elfa.
Avrei dovuto capirlo da molti segnali che Alba avrebbe tentato di
ucciderti prima che fosse arrivato il suo momento».
«Uccidermi..
prima?» bofonchiai, un po' confusa. Alba era sempre stata un
personaggio ambiguo per me, ma in fondo ero sempre stata convinta che
avesse intenzione di aiutarmi.
Durza sospirò, mi baciò e vuotò
il sacco.
«Alba è un'elfa nera. Il tuo popolo l'ha esiliata
circa ottant'anni fa».
«Non credo sia possibile» lo interruppi.
«Se fosse veramente successa una cosa del genere ne sarei
stata
informata, avevo già più di vent'anni quando
è successo. Non ho
mai saputo di un elfo esiliato nell'ultimo millennio e non è
una
cosa molto frequente dalle nostre parti».
«Eppure è così»
insistette lui. «E se chiedessi a tua madre sono certo che
confermerebbe. Alba è stata scacciata da Islanzadi in
persona, che
ha anche provveduto a farle rimuovere tutti i ricordi legati alle
vostre terre».
Deglutii rumorosamente, sentendo il cuore
affondarmi nel petto. «Non è possibile..»
«L'hanno trovata i
miei uomini, mentre vagava sulle sponde del lago Isentar, con le
vesti stracciate e un'aria folle. Non ha saputo rispondere a nessuna
domanda e le orecchie a punta l'hanno tradita. A quel punto
è stata
portata a Gil'ead, dove ho provato ad interrogarla e a violarle la
mente, ma ho trovato la nebbia. Non un ricordo, solo la sua lingua
madre. Non sono un esperto di Antica lingua ma me la cavo e in breve
sono riuscito a rassicurarla e anche ad insegnarle la lingua degli
uomini. Tre anni dopo ha ricordato il suo nome e ha voluto
immediatamente cambiarlo, così da Aiedail ho iniziato a
chiamarla
Alba. Mi ha giurato fedeltà e si è messa al mio
servizio. Il re ha
voluto vederla, ma non ha potuto fare nulla, così le ha
concesso di
rimanere con me nella speranza che qualche ricordo riemergesse negli
anni. Ma non è accaduto nulla fino a che non sei arrivata
tu».
«Io?»
soffiai.
«Alba ti ha riconosciuta come la principessa degli elfi,
o non avrei mai e poi mai saputo il tuo nome, immagino».
Una
voce dolce, soave, incredibilmente argentina e musicale.
La
voce di un elfo.
«Complimenti,
mio signore. Hai tra le mani nientemeno che la principessa degli
Elfi, Arya di Ellesméra, figlia della regina Islanzadi e del
re..»
Le
parole di qualcuno che mi conosceva. Bene.
Quei ricordi mi
colpirono come una rivelazione. Ero divorata dalla febbre e quelle
parole erano scivolate sul fondo della mia coscienza.
E in quel
momento riemersero, portando con loro la prova schiacciante che
ciò
che lo Spettro mi aveva detto era la pura e semplice verità.
Poi
misi in ordine i ricordi confusi dei giorni di deliri che avevo
passato nella mia cella. L'odore di noce vomica, l'occhio, il foglio
di carta con il suo minaccioso “morirai” vergato in
inchiostro
rosso, poi sparito nel nulla il giorno seguente.
Alba aveva
cercato di ammazzarmi, più volte, cercando di non rimanerne
troppo
coinvolta da poter essere scoperta da Durza. Anche la mia fuga,
organizzata da lei, era una semplice farsa: mi aveva indirizzata ad
un portone di legno di quercia, che a quel punto sapevo celare la
camera da letto dello Spettro. Probabilmente nella speranza che lui
mi scoprisse e provvedesse ad eliminarmi.
Come avevo fatto a non
unire prima tutti quegli indizi, sparsi in quei tre mesi di
prigionia?
«Arya»
mi richiamò il mio compagno. «Io e Alba avevamo un
patto: io ti
avrei spremuto tutto le informazioni in tuo possesso, avrei asservito
il cavaliere e poi avrei trovato il modo di sconfiggere il re. Poi ti
avrei consegnata a lei, che avrebbe fatto di te ciò che
voleva. Non
è più valido, ovviamente, ma ha il diritto di
sapere tutto».
Ero
frastornata e schiacciata dal peso di tutte quelle verità.
Elfi
neri? Traditori? Mia madre aveva distrutto la mente di
un'elfa?
«Quale crimine ha commesso?» chiesi.
«Perché
l'hanno cacciata, chiedi? Stava cercando di resuscitare sua sorella.
Era morta per mano di uno dei rinnegati nella battaglia di
Ilirea».
Sussultai. «Resuscitare..»
Oh no! Non poteva
veramente esistere un incantesimo in grado di compiere una cosa
simile. Era sbagliato, dannatamente sbagliato. La morte è un
processo irreversibile. Quale persona oserebbe mai fare una cosa
così
innaturale? E sopratutto come?
«Non dirmi che non hai mai
desiderato che qualcuno che era morto tornasse a respirare. I morti
sono irrecuperabili, ma tutti sognano di vedere i propri cari tornare
alla vita» mi punzecchiò Durza.
«Non l’ho mai pensato»
ammisi, quasi con vergogna.
«Quanto sei arida, Elfa» sbottò
lui.
Non vedevo più il suo volto, così risalii le sue
braccia e
gli scompigliai i capelli con affetto.
Lui cercò nuovamente le
mie labbra e io divorai le sue con trasporto.
Poi mi sovvenne
un'ennesima affermazione di Alba.
«Alba mi ha detto di essere la
tua amante» dissi, quasi con timore.
Durza rise piano e passò un
braccio sotto di me, tirandomi al suo petto. «Sei tu la mia
amante,
Principessa».
«Ero seria, Spettro» borbottai in imbarazzo.
«Sì.
Due o tre volte. Ma è passato e non succederà mai
più» quasi
implorò.
«Non mi importa» lo rassicurai, «volevo
solo
accertarmi che non fosse un'ennesima bugia».
«Mi sa che entrambi
avremo qualcosa da dire ad Alba quando torneremo a Gil'ead».
«Temo
anche io».
L'incubo tornò anche quella notte e Durza mi
riscosse, così come mi risvegliò le notti
seguenti.
Fui io ad
usare la magia per orientarci al meglio fino a Gil'ead e fu
un'esperienza fantastica tornare ad usarla dopo tanti mesi di
inerzia.
Qualcuno tentò di divinare Durza, ma lui lo
ignorò
sempre, affermando con sicurezza che non si trattava di Galbatorix,
perché il medaglione a forma di sole non gli risucchiava
troppa
energia.
Nel giro di tre giorni arrivammo a Gil'ead. Era notte
fonda quando raggiungemmo il portone esterno e io fui colta dal duro
ricordo della notte in cui ero arrivata in città, a cavallo
davanti
allo Spettro, distrutta dalla morte dei miei amici, non sapendo cosa
mi avrebbe aspettato nei giorni seguenti e certa di morire entro un
paio di settimane.
Durza ripeté effettivamente la stessa
procedura della volta precedente. Si illuminò il volto e
esplicitò
la propria identità davanti ad ogni portone, anche quello
della
fortezza interna.
Per un attimo mi aspettai che lo Spettro mi
ridesse in faccia, schernisse la mia ingenuità e mi gettasse
nella
mia gelida e angusta cella. Durza invece mi condusse con sé
sulle
scale di pietra, oltre la porta di legno di quercia e infine nel suo
letto morbido, dove adagiammo il capo su grandi cuscini e dove lui
coprì entrambi con spesse coperte imbottite di piume.
Dormimmo,
sporchi e stanchi dal viaggio, fino a mattino inoltrato.
Ehilà, ciao a tutti! Spero abbiate passato buone feste e mangiato come non ci fosse un domani xD
Scusate il ritardo ma ho avuto problemi al mio povero pc!
Questo è un capitolo un po' statico e un po' di passaggio, avevo bisogno che Durza e Arya definissero finalmente il loro legame e prendessero una decisione e mi sembrava che un capitolo intero fosse necessario ^_^
Direi che ci vediamo domenica prossima (il prossimo anno)! Oggi vi auguro un felice anno nuovo e vi ringrazio nuovamente ;)
Baci,
Lalli