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Autore: Alex e Finger    30/12/2014    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Istanbul,

Safar 917

(Maggio 1511)

 

 

Ràhel, mio selvatico Karahindiba,

la vita è stata strana senza di te: solo dovere, quasi nessun piacere e una montagna di carte con cui combattere, fino ad oggi.

Oggi ho incontrato una persona molto particolare, dotata di grande carisma e notevole fascino che, sono certo, porterà una ventata di novità in questa mia ormai tediosa, complicata e solitaria vita. Non si tratta di un’avvenente signora, bensì di un Assassino, anche se è una verità comprovata che una cosa non escluda necessariamente l’altra… ma sto divagando. Ricordi quella lettera giunta da Roma che ci informava del viaggio in Terra Santa del Mentore Ezio Auditore? Informazioni giunte dalle nostre spie a Masyaf hanno documentato con dovizia di particolari le gesta di costui alla fortezza, pare che sia stato catturato dai Templari che se ne erano impadroniti e che sia riuscito a fuggire facendone strage senza l’aiuto di nessuno. Da settimane sorvegliavamo le banchine in attesa del suo arrivo…

 

Se ne stava appoggiato al tronco del ciliegio al centro del piazzale di attracco, con le braccia conserte e lo sguardo perso sull’imbocco del Corno d’Oro, dove la bella galea a tre alberi stava entrando in quel momento sottraendosi alle correnti del Bosforo.

L’inverno se n’era andato improvvisamente sui primi del mese, lasciando spazio per prosperare ad una primavera fresca e dai cieli limpidi. Con un sorriso che andava da una guancia all’altra, Yusuf pensò che era proprio un bel giorno per fare nuove conoscenze.

Ricordò la lettera che aveva ricevuto all’inizio di quell’anno. Era attraccata al Porto di Galata, puntualissima, su una nave che recava beni d’altro genere e poi, entrata nel Covo per mano di un informatore fidato, si era persa tre le centinaia di scartoffie che animavano la scrivania dello studiolo. Ràhel l’aveva pescata distrattamente una mattina e gliela aveva sventolata sotto al naso mentre russava tra i cuscini del salone centrale, strappandolo al sonno con uno starnuto.

— Cos’è? —

— Una lettera, Yusuf, e quando arrivano di solito si leggono. —

— Ma non mi dire… —

L’aveva aperta e spiegata per bene davanti agli occhi. Poi, perplesso, aveva chiesto: — Ràhel, sai se qualcuno dei nostri sa leggere l’italiano? —

— Sei tu il Maestro: certe cose dovresti saperle. —

— Ma è italiano! —

— Mi riferivo ai tuoi Assassini, Yusuf. —

— Amir lo sapeva scrivere. —

— Tu però un po’ lo parli. —

— Me l’ha insegnato lui, ma col ricatto! —

In giornata avevano fatto venire dal Covo di Costantino Sud un giovane di nome Dante, il cui cognome Yusuf si rifiutò anche solo di ricordare.

La lettera era di una certa Claudia Auditore, Assassina italiana della Confraternita di Roma, che li informava del soggiorno imminente, in città, del Gran Maestro del loro Ordine e fratello di lei: un tale Ezio… l’eco delle cui gesta in Europa si era spinta fino ad Istanbul, ponte tra questo e quel Continente, non senza suscitare la sostanziosa ammirazione dell’intera Confraternita ottomana.

Un Assassino ci faceva l’occhio con i cappucci, senza distinzione di etnie, perciò quando l’atteso ospite fece la sua comparsa sulla passerella, Yusuf lasciò l’ombra del ciliegio andandogli incontro. Dietro ad una donna riconobbe il principe Solimano, cui rivolse un piccolo chinar di testa; quindi posò fraternamente una mano sulla spalla dello straniero, che per la sorpresa si voltò nel gesto di richiamare la lama celata.

Lo sforzo di riallacciarsi ai precetti di Amir doveva essere evidente nella parlata del Maestro di Galata. Quando Yusuf lo salutò di rito e nella sua lingua nativa aggiungendovi lo sproloquio di un adulatore, Ezio si riaccomodò e lo guardò come un animale raro.

— Prego? — 

Ezio Auditore de là là là. Ho superato me stesso.

 

 

... Il Mentore italiano non ha fatto neanche in tempo a riposare le sue vecchie ossa che è stato subito coinvolto nell’animata vita della città. Un agguato di Bizantini ha interrotto la nostra passeggiata fino al Covo principale, permettendogli di dimostrare molto del suo talento, poi ha scoperto la lama uncinata, di cui non conosceva l’esistenza, e ha accettato graziosamente i miei consigli riguardo al suo uso e, per finire, il Covo di Galata e quello di Imperiale Nord sono stati attaccati contemporaneamente. L’ho lasciato a Galata a comandare la difesa, che è stata un successo, mentre io mi precipitavo al Distretto Imperiale, non riuscendo, purtroppo, ad arrivare in tempo. Siamo comunque riusciti a riprendere il Covo entro la fine della giornata.

Il Mentore è arrivato qui alla ricerca delle chiavi per aprire la Biblioteca del Maestro Altaïr a  Masyaf, sigillata da quasi tre secoli, una delle quali si trova già in possesso dei Templari, che l’hanno ritrovata sotto il Topkapi, ma la situazione è critica: al di là del Corno d’Oro, a parte la zona nord del Distretto Imperiale, la città è in mano ai Bizantini e questo di certo non favorisce la libertà di movimento. Ezio Auditore non poteva scegliere un momento peggiore per il suo viaggio di conoscenza, e nemmeno uno migliore. Da quel poco che ho potuto vedere fin qui, il suo aiuto potrà  far pendere la bilancia dei delicati equilibri cittadini a nostro vantaggio e sono certo che avrà il suo peso nella riconquista dei Covi perduti.

Mentre sto scrivendo, quest’uomo determinato, aperto, capace e autorevole si aggira per la biblioteca, osservando tutto, facendo domande.

Non so ancora in cosa, ma mi ricorda Ishak.

 

 

Istanbul,

Rabî Al-Awwal 917

(Giugno 1511)

Mio splendente Karahindiba,

la presenza templare in città ha trovato pane per i suoi denti. Il Mentore Auditore è un uomo di infinite risorse e di altrettante energie e sembra aver fatto della riconquista dei Covi un suo punto d’onore. Non parla molto di sé, ma da alcuni suoi accenni all’apparenza casuali ho potuto trarre le mie conclusioni. Intuisco in lui una gioventù scapestrata e un brusco risveglio da essa, qualche rimpianto, ma ben pochi rimorsi. Un uomo dall’intento preciso, diretto al limite della brutalità, capace di adattarsi e aperto alle innovazioni. Passa parecchio tempo nella bottega di Piri Reis, a filosofeggiare sui principi, a rievocare il passato e a farsi raccontare ogni segreto della polvere pirica, che poi sperimenta con gran diligenza. Dai miei informatori ho anche appreso che trascorre altrettanto tempo nel luogo che ospitava la vecchia stazione commerciale  dei Polo, dove oggi si trova una libreria. A detta di Latif la libraia è una donna di notevole fascino, al quale il nostro Ezio pare non essere per niente immune. È una veneziana di nome Sofia Sartor, nata qui a Istanbul, fuggita con la famiglia all’inizio della guerra e ritornata poi a gestire la libreria appartenuta al padre. Non credo che il Mentore abbia rivelato a bayan Sofia chi sia veramente, ha trovato però una delle chiavi della biblioteca di Altaïr proprio sotto la sua bottega. Davvero un curioso oggetto, non ho mai visto nulla di simile, un disco forato, con strani simboli incisi sopra. Mi ha dato una strana sensazione, che mi è difficile descriverti, come di meraviglia e pericolo, non so...

 

Mio splendente Karahindiba? — Nalan ridacchiò alle sue spalle e Ràhel si voltò di scatto: non l'aveva sentita avvicinarsi.

— Da quanto sei lì? — chiese.

— Sono appena arrivata, giusto il tempo per apprezzare la vena poetica del Maestro. —

— E’ da maleducati spiare la corrispondenza altrui. — Rahel ostentò un’aria indignata.

— Già ti va bene che non ci sia Serdar qui. — replicò Nalan compunta. — Lui è il Maestro dei pettegolezzi e fa parte dei suoi compiti tenere traccia di ogni particolare piccante che riguarda la Confraternita. —

Ràhel scoppiò a ridere. — Bè, forse qualcosa di piccante c’è, — disse. — di sicuro Serdar ne sarà già al corrente. —

 

Ho detto al Mentore che i suoi sforzi per ricostituire la Confraternita a Roma sono giunti anche al nostro orecchio e ho avuto l’ardire di chiedergli di sfoderare il suo fascino per aiutarci nel reclutamento di nuovi Apprendisti. Con mia grande sorpresa ha accettato di buon grado e i primi risultati cominciano a vedersi: una fanciulla timida come un passerotto e un ragazzo un po’ troppo arrogante hanno fatto la loro comparsa al Covo principale per iniziare l’addestramento...

 

 

 

Istanbul,

Rabî Al-Awwal 917

(Giugno 1511)

 

Ràhel,

voci inquietanti giungono dall’Anatolia che da più di due mesi è insanguinata da una rivolta contro l’Impero da parte di sostenitori dello Shah Ismail. Attraverso i rapporti dei nostri infiltrati sono venuto a conoscenza del fatto che l’uomo che uccise Amir si trova ora alla testa della ribellione, e si fregia del titolo di Şahkulu. Ha avuto l’ardire di attaccare il convoglio del principe Korkut in viaggio verso Manisa, di saccheggiare Alaşehir impadronendosi di una parte del tesoro reale e di uccidere il Governatore Karagoz Ahmet Pasha davanti alle mura di Kütahya. Queste imprese gli hanno guadagnato fama di invincibilità tra i suoi seguaci, è sfuggente come una serpe, astuto, ben protetto e la lama dell’Ordine non riesce a raggiungerlo. Un nuovo esercito sta per essere inviato contro di lui, con alla testa il Gran Visir Ali Pasha e lo stesso Şehzade Ahmet. La mia speranza al momento è che la forza militare dell’Impero possa riuscire dove noi abbiamo fallito, che la rivolta sia soffocata e il suo capo spiccato dal collo sulla pubblica piazza, se non massacrato in battaglia. Giunti a questo punto non mi importa di chi si incaricherà di uccidere quel dannato bastardo, purché qualcuno lo faccia! La sua morte non ci restituirà Amir, ma darà soddisfazione all’intera Confraternita e riuscirà forse ad attenuare il senso di fallimento che mi porto dietro da quella notte maledetta.

 

C’era voluto un tempo infinito per mettere giù quelle poche righe. Yusuf osservava le parole sulla carta senza riuscire a liberarsi della frustrazione che il rapporto dall’Anatolia aveva scatenato in lui. Trovava insopportabile dover ammettere che Dönek gli era sempre stato un passo avanti e continuava ad esserlo, come se quegli anni che separavano le loro nascite rappresentassero un divario insormontabile, qualcosa contro cui non poteva combattere e che avrebbe decretato la sua disfatta per sempre.

Sognava spesso di uccidere Dönek, nelle infinite varianti che la sua immaginazione osava mettere in scena e non si trattava quasi mai di uno scontro leale, come se anche in sogno riconoscesse la sua inadeguatezza, la sua inferiorità. Immancabilmente si svegliava in preda all’angoscia e si infuriava per non star invece provando soddisfazione. Altrettante volte vedeva se stesso trapassato dalla lama, morto sul tavolaccio di Sami e Amir alla testa degli Assassini Ottomani. Amir… quell’uomo non aveva mai smesso di pensare con la propria testa, dando prova di una solida indipendenza dall’Ordine e dai i suoi dogmi, pur rispettandoli, pur incarnandoli. Yusuf continuava a ripetersi che quel siriano piazzato dal cuore grande sarebbe stato uno squisito Gran Maestro, forse il migliore degli ultimi anni. Ishak stesso, nella stima che aveva sempre avuto per lui e prima per suo padre Saad, forse lo aveva immaginato come suo successore. Se Yusuf non avesse mai deciso di unirsi alla Confraternita degli Assassini lasciando al tempo di fare il suo corso, ci sarebbe stato Amir seduto a quel tavolo nello studiolo, ne era certo. Era sicuro anche del fatto che avrebbe guidato l’Ordine su strade meno oscure, nessun dubbio lo avrebbe piegato, nessun indugio lo avrebbe rallentato, e soprattutto sarebbe stato vivo.

Tutto, ancora una volta, riconduceva a Dönek. Quella presenza doveva essere cancellata, estirpata dalla sua vita e Yusuf, malgrado odiasse farlo, avrebbe atteso.

 

 

 

Kaymaklı, Anatolia Centrale,

Rabî Ath-Thânî 917

(Luglio 1511)

 

 

Maestro,

se la notizia del trionfo delle truppe di Ali Pasha è già giunta alle tue orecchie, ti prego di essere pronto a mettere in dubbio la verità come il tuo Credo suggerisce e ascoltare questo umile informatore.

 

Sahkulu è vivo.

 

Dopo aver inscenato la sua morte a Sivas, è fuggito a sud, verso Kaymakli. Ha trascorso solo pochi giorni nella grande città e in totale discrezione, per poi addentrarsi nell'arido entroterra della Cappadocia, dove un braccio armato dell'Ordine di Bisanzio controlla un piccolo villaggio. Ho scelto di fermarmi a Kaymakli per fare del trambusto della grande città la mia protezione, e se oggi sono in grado di scrivere la lettera che stai leggendo lo devo proprio a questo.

 

Sahkulu trascorre giorno e notte barricato in casa tra i suoi uomini, che invece circolano liberamente nel villaggio e anche fuori: una mattina ne ho seguiti due fino a un pozzo e dalle loro vane chiacchiere sono riuscito a cogliere indizi circa l'esistenza di un'altra grande città sotterranea in mano ai Bizantini, da qualche parte nel nord della regione. I magazzini di grano del villaggio sono inaccessibili, presidiati da molte guardie, e ogni notte una carovana lascia queste terre carica di armi. Un fabbro locale ha ricevuto l'ordine di forgiare una strana maschera ed è stato pagato in vecchie monete rovinate con un'aquila a due teste.

 

So che molti di questi dettagli ti parranno inutili, ma ho sentore che non lo siano. Ho seguito lo Sahkulu fin qui e di mia iniziativa, ma i miei occhi resteranno puntati su di lui finché tu vorrai, Maestro.

 

Salute e Pace,

Fadil

 

— Non avrai visto di nuovo il fantasma di Ishak, fratello. —

Yusuf si voltò di colpo, tradendo per la seconda volta una grande tensione che Serdar aveva già notato da lontano, dalla passerella del Covo. Yusuf lo guardò giusto un attimo, poi ebbe bisogno di rileggere qualche frase della lettera.

Quando fu al suo fianco, Serdar si esibì in un largo sorriso. — Dalla tua faccia, come minimo Ràhel si è trovata un amante in patria e spera che tu le perdoni la scapp…—

— È vivo. —

Quel sorriso morì improvvisamente, accartocciandosi. — Chi? —

L'altro era impassibile. — I ribelli sono stati sconfitti ed Ali Pasha è morto, ma lui è ancora vivo. Il bastardo è ancora vivo. —

Serdar fece spallucce, incredulo. — Impossibile. La notizia ufficiale è arrivata solo ieri: ribelli sconfitti e il loro capo ucciso. —

— Leggi. — Yusuf gli passò la lettera. — Poi raggiungetemi tutti e due nello studiolo. — disse avviandosi.

— Io e chi altri, scusa? — fece Serdar, scettico, ma poi si guardò le spalle, sperando con tutto se stesso di aver capito male o che quantomeno Yusuf avesse fatto il solito burlone…

 

 

 

Istanbul,

Rabî Ath-Thânî 917

(Luglio 1511)

 

 

Ràhel,

buone notizie, ma solo a metà: la rivolta in Anatolia è stata sedata, l'Impero ha trionfato, ma il loro capo è ancora vivo e siamo gli unici a conoscere questa verità.

Quasi contemporaneamente  ai dispacci di guerra ufficiali, abbiamo ricevuto un messaggio dall'Anatolia di un nostro informatore: diceva di aver pedinato Sahkulu dal campo di battaglia fin nel cuore della Cappadocia, dove si è rifugiato con la coda tra le gambe circondato di Bizantini. Il solito vigliacco.

Sono rimasto tutta la notte nello studiolo a parlare con Serdar. Sappiamo esattamente dove si trova è ed finalmente vulnerabile, ma allora perché non attaccare in forze? La risposta è così ovvia: gli uomini e le donne migliori li ho dati a te e Istvàn, e gli scontri coi Bizantini producono pericolose scintille che dobbiamo tenere sotto controllo con tutte le nostre forze. Sarei andato io stesso se Serdar non avesse affondato i denti, pur di farmi desistere…

 

— Amir non lo farebbe, — sbottò Serdar, battendo i pugni sul tavolo. — E sai perché, Yusuf?! Perché è un maledetto suicidio, ecco perché! E mi dispiace dirtelo, ma la tua vita non vale così poco, adesso. Non siamo più Apprendisti con la voglia di emergere, ma adulti, Maestri con delle responsabilità. Tu più di tutti. Ho ragione o no? —

— Hai ragione. —

— GRAZIE, AMIR, GRAZIE! — esultò Serdar alzando gli occhi al cielo. — Da solo non sarei mai riuscito a farglielo dire! —

— Dobbiamo fare qualcosa lo stesso, o non chiuderò più occhio. — sbottò Yusuf.

Rifletterono in silenzio per un minuto, poi Serdar, con l'ansia dipinta in faccia, prese parola: — Posso darti una coppia di Assassini-quasi-Maestri da mandare laggiù a guardare le spalle a quel poveraccio, ma sappi che così accorci la coperta, Yusuf, e questo inverno sarà freddo. Mooooolto freddo. — disse.

— Me la farò bastare, quella coperta. — borbottò il Maestro.

 

… e per questo, da quel giorno, se ne va in giro col sorriso stampato in faccia come se ci fosse nato. Dopo la morte di Amir, il ruolo di secondo in comando gli è ricaduto sulle spalle per via della sua sola anzianità e, te lo dissi, temevo che non avrebbe accettato. La cosa, al contrario, sembrava averlo riempito d'orgoglio, caricandolo come un ingranaggio. Oggi quasi mi commuove vederlo assolvere i suoi incarichi con tanto impegno. Il buffone del villaggio si è trasformato in un guerriero fiero e letale. Abile lo è sempre stato, ma non avevo mai visto all'opera il suo spirito di guida. La difesa dei Covi tiene tutte le mani dell'Ordine impegnate e mi ha offerto questo strano spettacolo.  

 

 

Istanbul,

Jumâda Al-Awwal 917

(Agosto 1511)

Mia cara Ràhel,

ho avuto modo di scoprire un altro dei talenti del Mentore Auditore: quello musicale! Ma lascia che ti spieghi. Dalle nostre informazioni sapevamo che i Bizantini organizzavano un attentato alla vita di Solimano e nessuna migliore occasione poteva esserci della Mostra Culturale organizzata dal Principe per ieri sera. Ezio non doveva essere della partita, ma si è prontamente inserito, dichiarando di voler indagare sulla Chiave ritrovata sotto il Palazzo. Come ti ho già detto, quell’uomo è diretto come uno dei tuoi quadrelli e a volte mi appare come la personificazione della seconda frase del principio fondamentale del nostro Credo: tutto è lecito.

Il piano in sé era semplice, sostituirci ai musici italiani assunti per allietare la Mostra e infiltrarci nel Palazzo. Non so quale sia il motivo, ma non ho potuto fare a meno di notare una certa bieca soddisfazione da parte  di Ezio nel dare una botta in testa a quei menestrelli allo scopo di rubar loro i vestiti... dovrò chiedergli lumi in proposito.

Stendo un velo pietoso su quanto fossimo tutti ridicoli con quegli abiti addosso e non mi permetto neanche di fare un paragone tra l’abilità di Ezio col liuto e quella di Serdar, che non ha pari in tutta la Confraternita, ma di certo non posso negare che il Mentore possieda una gran bella voce profonda e un dono naturale per l’improvvisazione. Ho avuto la netta impressione che inventasse le canzoni sul momento, ispirandosi alla sua esperienza. Di certo quell’uomo ha un sesto senso per identificare i sicari, ma i versi con cui me li indicava erano talmente esilaranti, che ho rischiato più di una volta di scoppiare a ridere dimenticandomi del tutto il motivo per cui mi trovavo lì! Abbiamo fatto sparire con discrezione un buon numero di bersagli prima di essere scoperti e la prontezza di Ezio nell’eliminare l’ultimo a un passo dal Principe, trasformando il suo strumento in un’arma letale, ha fatto sì che la situazione non si volgesse in un totale disastro.

Mentre ti scrivo, il nostro Menestrello è a colloquio con  Solimano. Forse gli starà chiedendo della Chiave e dei Bizantini, o forse lo starà deliziando con un concerto privato...

 

Yusuf posò la penna. Il lieve sorriso che aveva sulle labbra traspariva dalle parole vergate sulla carta, ma non riusciva ad allontanare dalla sua mente un giudizio un po’ severo nei confronti del Mentore italiano. Ezio Auditore era un lupo solitario, uno che aveva quasi sempre agito da solo, prendendo le sue decisioni senza interferenze e quando aveva avuto il supporto di una Confraternita, questa era stata ai suoi ordini. Per quanto fosse un uomo aperto e capace di ascoltare i consigli, di certo non sembrava pronto a piegare i suoi scopi alla situazione contingente, quanto piuttosto il contrario e malgrado la sua presenza in città avesse portato vantaggi innegabili agli Assassini, Yusuf non poteva fare a meno di sentirsi un po’ scavalcato e di domandarsi in quale misura la Confraternita Ottomana si sarebbe trovata a pagare quell’aiuto inaspettato.

 

 

 

Kaymaklı, Anatolia Centrale,

Jumâda Ath-Thânî 917

(Settembre 1511)

 

 

Orhan, questo il nome con cui Sahkulu è conosciuto tra i suoi uomini più fedeli, lascerà l'Anatolia nei prossimi giorni ma non so dove sarà diretto. Che la ribellione si stia solo spostando altrove? Non voglio fare congetture in questa lettera perché temo di non averne il tempo.

 

Lascio anch'io la città: sulla strada di ritorno dal villaggio ho avuto la sensazione di essere pedinato e gli uomini che hai mandato per proteggermi non si sono presentati alla mia porta. Temo di aver fatto il passo più lungo della gamba, Maestro, e per questo vorrei ritirarmi senza ulteriori rischi dall'Ordine che sono onorato di aver servito finché ho potuto.

 

Salute e Pace,

Fadil

 

Il messaggio finiva così e quando Yusuf alzò gli occhi dal rotolino di carta sbrindellata che aveva tra le mani, Kasim, dall'altra parte della scrivania, non tardò a chiedergli cosa dicesse.

Il Maestro fece un gesto con la mano come per allontanare un fetore e riarrotolò la lettera maneggiandola con attenzione.

— Un nostro informatore in Anatolia ha parlato chiaro: il capo della rivolta ha lasciato la regione diretto chissà dove e non abbiamo altre notizie di lui... — borbottò. — E forse non le avremo mai. — si corresse poi, ricordando che Kasim aveva detto di aver trovato il messaggio alla zampa di un piccione dal piumaggio incrostato di sangue secco. Perciò qualcosa gli diceva che la partenza dall'Anatolia si era svolta in gran fretta e che non avevano più occhi e orecchie, in quelle terre. L'immagine nella sua mente di Dönek che sventrava a morte Fadil, che non aveva mai conosciuto di persona ma sapeva avere moglie e figli ad Ankara, gli aveva seccato gli occhi.

Congedò Kasim, stupendosi di non averlo fatto a male parole come faceva negli ultimi tempi quasi con tutti, ma se ne pentì ugualmente quando si sentì attanagliare dal rimorso per aver lanciato in braccio al carnefice, in questo caso Dönek, altri tre uomini innocenti.

 

 

— C'era un tipo bello grosso con una maschera di metallo, all'Arsenale. — disse Serdar d'un tratto, comparendo sotto l'arco della biblioteca.

— Cosa? — fece Yusuf, distratto, distogliendo l'attenzione dalla piantina con la disposizione dei Covi ancora in mano ai Bizantini che stava studiando ormai da ore.

Serdar si staccò dalla colonna e venne verso di lui alla luce delle fiaccole. Si tolse i guanti che mise sotto l'ascella e aprì i palmi sopra il braciere. — Ero con il Mentore italiano all'Arsenale, due sere fa, perché mi hai chiesto di fargli da spalla mentre è qui, se tu sei occupato. — riprese. — Ti sto riferendo solo ciò che ho visto e potrei sbagliarmi, ma credo che sia lo stesso uomo. —

Yusuf aggrottò la fronte. — Di che uomo parli? —

Dönek.

Serdar lesse che l'altro aveva capito nel suo sguardo e andò dritto al punto.

— Amir sapeva che quel bastardo avrebbe continuato la sua opera finché fosse stato ancora in vita, o non avrebbe mai corso un tale rischio pur di portare a termine la missione e farlo fuori. Ora è di nuovo al fianco dei Bizantini e noi abbiamo tutto il diritto di spaccargli la faccia a quel figlio di un… —

Quando Serdar iniziò la sua lunga lista di insulti, Yusuf era già in salvo, immerso nei pensieri.

Prima gli Assassini e poi neppure l'Impero era riuscito a ucciderlo. Forse Dönek era destinato a seminare caos per sempre, o forse il Destino aveva in serbo qualcosa di davvero orribile, per lui, e stava solo prendendo tempo… Il Maestro e la Confraternita tutta pendevano vertiginosamente per quest'ultima, ma nel frattempo nessuno se ne sarebbe stato con le mani in mano.

Yusuf puntò di colpo la passerella. — Serdar, alla Gilda dei Ladri! —

— Che vuoi fare? — chiese quello, seguendolo.

— Scagliare addosso a quel bastardo tutte le pietre roventi, i mastini affamati e i Diavoli che conosco! — gridò, sicuro che lo avessero sentito tutti fino alle camerate degli Apprendisti, ed era giusto così.

 

 

Istanbul,

Ramadan 917

(fine di Dicembre 1511)

 

Ràhel,

lui era qui.

Nella prima lettera dall'Anatolia, l'Informatore faceva menzione di una strana maschera… Ebbene, penso che Sahkulu se la sia fatta forgiare affinché non lo riconoscessimo una volta che fosse tornato ad Istanbul. Grosso errore, il suo, presumere che sarebbe bastato il metallo a celare il suo fetore di anima nera e marcia. È stato Serdar a capirlo: solo lui che era con noi quella notte in cui Amir morì, al mio fianco nel momento in cui ho letto il messaggio di Fadil, e con Ezio la notte in cui Sahkulu si trovava all'Arsenale avrebbe potuto capirlo. Da quel momento ci siamo mossi più rapidamente possibile, ma a Latif è bastato sguinzagliare uno dei suoi ragazzi poche ore nella città per scoprire che Sahkulu aveva già preso il largo, di nuovo...

Per un attimo mi sono illuso di poter infine compiere io stesso la nostra vendetta, ma si è trattato di un'illusione, appunto, alla quale vorrei non aver mai creduto… Ora sono di nuovo distratto e insofferente come lo sono stato molti anni fa, e forse te ne ricordi bene, con la differenza che adesso una parte di me teme che il passato sarà sempre in agguato dietro la porta e che non conoscerò mai più la pace. Vorrei che tu fossi qui, perché è in momenti come questi che vorrei raccontarti tutta la verità…

 

Yusuf fissò a lungo l'ultima frase che aveva scritto. La verità di cui parlava non osava neppure raccontarla a se stesso, perché sarebbe stato come raccontarsi da solo una storia terribile o un incubo. Nessun uomo sano di mente lo avrebbe fatto, tantomeno se di mezzo c'era la donna che amava, e Yusuf non voleva che Ràhel insistesse di saperlo una volta tornata da lui, rischiando di rovinare un caldo abbraccio o un bacio appassionato dopo tanto tempo che erano stati lontani…

Accartocciò il foglio e ricominciò tutto da capo.

  
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