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Autore: Acinorev    30/12/2014    18 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo diciotto - Right in the middle
Se volete, qui c'è un nuovo missing moment di "Little girl".
Mi farebbe piacere un vostro parere!


 

Messaggio inviato: ore 11.06
A: Zayno

"È vero che Harry vuole tornare a Bristol?"

Un nuovo messaggio: ore 11.13
Da: Zayno

"Sì"



Emma non voleva esattamente fermarlo, né pregarlo di restare o di non lasciarla - lasciarla?: non era nella posizione adatta per farlo, non c'era nulla che potesse sostenere solidamente una tale pretesa, nessuna briciola d'orgoglio a permetterle anche solo di pensarci. E lui non se lo meritava.
Più che altro, voleva fargli capire quanto la sua intelligenza stesse diminuendo in proporzione al passare del tempo, tanto da rasentare un'assurda idiozia che la urtava oltre ogni limite.
Innanzitutto, la sua idea di partire per Bristol era inequivocabilmente insensata: se Harry non poteva permettersi ulteriori lavori nel nuovo appartamento, come poteva affrontare una vita parallela in un'altra città, per quanto temporanea? L'instabilità del progetto l'aveva più volte portata a dubitare della sua veridicità, ma persino Zayn era a conoscenza della sua imminente dipartita e c'erano ipotesi che potevano sostenerla: per esempio, questo fantomatico amico in grado di offrirgli un lavoro - e che Emma aveva davvero iniziato ad odiare - avrebbe potuto disporre di un posto in cui ospitarlo gratuitamente, che quindi gli avrebbe concesso di avere più guadagni che spese.
Non si era soffermata più del dovuto su interrogativi simili, comunque, perché non voleva ammettere di essere così disperata da aggrapparsi a qualsiasi possibilità avesse potuto cancellare la partenza di Harry.
Secondariamente, tralasciando la discutibilità di quel progetto, Emma non gli avrebbe permesso di andarsene senza prima aver compreso quanto in basso fosse caduto con il suo comportamento: a costo di calpestare la propria dignità, a costo di cercarlo dopo due giorni di un silenzio ancora pieno delle loro ultime grida, non glielo avrebbe permesso.
Emma non voleva fermarlo, né pregarlo di restare o di non lasciarla, ma non era una bugiarda, almeno non con se stessa: non poteva negare che se per caso Harry avesse deciso di cambiare idea, lei avrebbe potuto sorridere di sollievo, respirare senza dolore.



Dopo essersi presentata tramite il citofono gracchiante del vecchio appartamento di Harry, si appoggiò con la schiena ad una macchina lì parcheggiata ed incrociò le braccia al petto: continuava a torturarsi un labbro e a muovere nervosamente una gamba, imprecando contro il cielo scuro del tardo pomeriggio.
Lui comparve dopo un paio di minuti - troppo tardi, secondo l'irremovibile pazienza di Emma - e si limitò ad osservarla in silenzio, con una strana espressione a dipingergli il volto: indossava una tuta smessa e grigia, con un paio di sneakers allacciate male.
«La tua idea fa schifo», esordì lei, senza muoversi. I suoi occhi mangiavano avidamente la distanza che Harry continuava a rispettare, fermandosi con nervosismo nei suoi. Avrebbe voluto iniziare il discorso in un altro modo, con accuse ben più significative, ma era stata tradita dalla sua stessa smania di dire qualcosa. «Non ha senso tornare a Bristol e pagare una vita lì, quando non puoi nemmeno permetterti un appartamento qui».
Continuava a mantenere un tono solido, duro, esclusivamente per nascondere il reale problema.
«Sei venuta solo per darmi il tuo parere a riguardo?» domandò quindi Harry, con la voce ricca di snervante tranquillità. 
«Anche», rispose lei, facendo un passo avanti ed inasprendo lo sguardo. Stargli così vicino non faceva che ricordarle l'ultima volta che si erano visti, che si erano respirati e disprezzati. Aveva i brividi. «Ma più che altro sono venuta per dirti che anche tu fai piuttosto schifo», riprese, senza usare mezzi termini. Harry alzò un sopracciglio, ma non si scompose: il suo essere impassibile incentivava a dismisura la stizza di Emma. «Da quanto tempo avevi in mente di andare a Bristol, hm? Per quanto tempo me l'hai tenuto nascosto? E quando avevi intenzione di dirmelo? Magari mentre eri già in macchina, con uno dei tuoi soliti messaggi ad effetto? Mi è davvero difficile prendere sul serio tutte le cose che dici, tutto quello che fai, se ti smentisci in questo modo. Non riesco nemmeno a pensare alla possibilità che tu avessi già queste intenzioni quando abbiamo pitturato quel tuo maledetto salotto: non voglio credere di essere stata così stupida e non voglio credere che tu possa essere davvero così stronzo. E un po' lo sei di sicuro, questo è ovvio, perché altrimenti non mi avresti detto della tua partenza in quel modo, avresti avuto un minimo di tatto, un minimo di decenza».
Stranamente, la sua voce non si era alzata, né aveva tremato: quello che contava, però, era che si fosse impregnata di tutta la delusione che l'aveva tenuta sveglia nelle notti precedenti. Notti che aveva cercato di utilizzare per domare le proprie emozioni e limitarle ad un qualcosa di tollerabile, notti nelle quali aveva tentato di sopportare anche la verità schiacciante che l'aveva colpita con tutta la sua stroncante forza: per quanto si sforzasse di disprezzarlo, per quanto la gola le bruciasse ancora per le urla, non voleva che Harry partisse. 
Non di nuovo.
«Hai finito?» chiese lui dopo qualche istante.
Emma serrò la mascella e stese le braccia lungo i fianchi, incapace di contenere il fastidio dettato da tanta indifferenza. Non credeva di meritarsela e non l'avrebbe di certo accettata. «Sì, ho finito», replicò tagliente, sistemando meglio la cinghia della borsa e voltandosi per allontanarsi: si erano dati le spalle talmente tante volte, che il gesto aveva ormai perso di importanza, di significato.
«Non sto partendo».
Quelle parole la avvolsero con decisione, impedendole di compiere anche solo un altro passo. «Cosa?» domandò a bassa voce, tornando a guardarlo. Il cuore quasi fermo, come se si stesse sforzando di riservare dei battiti fondamentali ed utili per i momenti di bisogno, che sembravano terribilmente vicini.
Harry alzò le spalle e si inumidì le labbra. «Non vado a Bristol».
Non capiva cosa stesse succedendo, ma se si fosse fermata a riflettere avrebbe sicuramente reso più debole il proprio scudo di protezione. «I tuoi cambi di programma non mi interessano, grazie dell'informazione», sbottò. E mentiva, certo, mentiva spudoratamente, ma perché avrebbe dovuto dargli la soddisfazione di vederla cedere? Senza contare il fatto che quell'ulteriore incuranza nei suoi confronti la feriva un po' di più: evidentemente Harry aveva davvero una bassa considerazione di lei, se credeva di poter entrare e uscire dalla sua vita così liberamente.
«Non è un cambio di programma», disse lui soltanto, facendo un passo nella sua direzione.
Emma indietreggiò spontaneamente, con la necessità di riempire i polmoni di aria e contegno. Avrebbe preferito non aver compreso il significato di quell'ammasso di sillabe dolorose, avrebbe preferito non sapere che Harry si era nuovamente impegnato a raggirarla e a prenderla in giro, dedito ai suoi scopi e sprezzante della sua sensibilità.
Se non era un cambio di programma, significava che non aveva mai avuto intenzione di lasciare la città, spingendo persino Zayn a mentirle. Che l'aveva detto solo per ripicca, in un momento di rabbia. Che l'aveva detto per ferirla. Per difendere il proprio orgoglio. Per uscire comunque vittorioso, a prescindere dalle conseguenze. 
«No, Harry», sussurrò lei, con la voce strozzata. «Questo è davvero troppo», continuò, con le forze che le venivano meno e la sua integrità che si arrendeva ai continui assalti dai quali tentava di difendersi.
Lui non rispose, serio nella sua immobilità: forse sapeva di aver commesso un grosso errore, forse non gli importava, forse non aveva il coraggio di dimostrare il contrario.
«Troppo», ripeté Emma in un sussurro. Strinse i pugni e fu tentata di scappare un'altra volta, di sfuggire ad emozioni che la torturavano e ad occhi che la perseguitavano, ma il suo istinto ripiegò su un'altra possibilità. Restare ed affrontarlo.
«Perché?» chiese Harry, marcando il suo sguardo di una sottile consapevolezza.
«Hai anche il coraggio di chiederlo?» ribatté incredula, corrugando la fronte.
«Io ti ho solo dato quello che cercavi», le ricordò, avvicinandosi ancora. «Non è la prima volta che dici di non volermi a Bradford, quindi-»
«Sai perfettamente che non intendevo questo!» lo interruppe: la prima volta aveva posto delle condizioni, quando ancora non erano riusciti a trovare un compromesso alla presenza di entrambi nella città; la seconda non era stato un invito ad andarsene.
«No, non lo so!» si alterò lui. «Hai detto che vorresti che io non fossi mai tornato, che diavolo avrei dovuto risponderti?! È facile puntare il dito contro gli altri, ma non pensi mai a quello che fai tu
Emma non aveva riflettuto su come potesse essersi sentito Harry nell'udire quelle parole, non le aveva soppesate e non aveva nemmeno programmato di pronunciarle.
«Allora dimmelo! Dimmi che ti ho fatto male, piuttosto dimmi che sono una stronza, ma non fare questi giochetti!» gli urlò contro: sembrava che tonalità simili fossero le uniche in grado di farli comunicare a dovere. «Non mentirmi, non dirmi che partirai di nuovo e non farmi credere che dovrò sopportare tutto come l'ultima volta!»
Gli occhi di entrambi furono attraversati da un lampo di disagio, sia per il ricordo di un momento risalente ormai a sei anni prima, sia per una disarmante sincerità non voluta.
«E tu chiedimi di non andarmene!» rincarò Harry, facendo un passo avanti. «Quando ti ho detto che sarei partito per Bristol non hai mosso un dito, cazzo! Secondo te cosa avrei dovuto pensare?!»
«Che ero incazzata! Che non potevo credere che lo stessi facendo di nuovo!»
Harry sospirò sonoramente e si passò una mano tra i capelli, forse masticando qualche imprecazione e distogliendo lo sguardo da lei: l'esasperazione era dipinta sul suo volto teso, spruzzata nell'aria che li circondava ed irritava. 
Vivevano di fraintendimenti, di cose provate e non dette, di sottintesi non colti e ferite più o meno intenzionali.
«Il punto è che hai ventisei anni, Harry», riprese Emma, tornando ad un tono più placido e massaggiandosi stancamente una tempia. «Ventisei. C'è davvero bisogno di comportarsi come un bambino dell'asilo? Ha portato a qualcosa?»
«Oh, andiamo, come se tu non avessi mai fatto lo stesso», rispose piccato. «Non fare la donna vissuta, adesso».
«Strano, credevo che questo lato di me ti mandasse fuori di testa», replicò spontaneamente: la sua era stata una difesa, un modo per restituirgli il colpo e metterlo a tacere.
Lui serrò la mascella, evidentemente disturbato da quel riferimento. «Posso sempre cambiare idea», sibilò, sfidandola.
Emma scosse il capo e si concentrò per un attimo su un passante al proprio fianco, scansandosi per lasciargli spazio: si era persino dimenticata di essere su un marciapiede, in mezzo ad una via nemmeno tanto isolata. 
Cosa stavano facendo?
«Sei tu a farmi comportare così», esordì lui, attirando di nuovo la sua attenzione.
Lei corrugò la fronte, confusa. «Io?»
«Sì, tu».
«Non incolpare me per i tuoi errori», lo rimproverò.
Harry si passò la lingua sulle labbra, distrattamente, e guardò per strada per un istante. «Peccato che io li commetta solo quando ci sei tu, intorno».
«Va bene, cosa dovrei dirti? È sempre e solo colpa mia, sono una persona orribile e ti porto sulla cattiva strada!» sbottò irritata: perché non si assumeva le sue responsabilità, al posto di puntare il dito contro di lei?
Harry sbuffò e si passò una mano dietro al collo, più nervoso. «Odio quando ti metti in testa una cosa e non capisci più un cazzo».
«Cosa dovrei capire?!» gli domandò, alterata dalla sua accusa.
«Niente», mormorò lui, fiero e capriccioso.
«Ed io odio quando fai tutto da solo», ribatté allora, incrociando le braccia al petto e rimuginando su ciò che era o non era accaduto.
Harry alzò un sopracciglio. «Certo che faccio tutto da solo, tu non... Ah, lascia perdere», sospirò, tastando le tasche della sua tuta forse alla ricerca delle sigarette: non le trovò, alzò gli occhi al cielo e sospirò di nuovo.
Lei si arrese, stanca di seguire i suoi ragionamenti incompleti.
Le era a nemmeno un metro di distanza, con i capelli disordinati e meno mossi, le spalle larghe e quel profumo maledetto. Lei si soffermò sulle sue labbra schiuse, rosee. «Emma?» la chiamò piano dopo una manciata di secondi. «Vuoi baciarmi?»
I suoi occhi saettarono in quelli verdi che evidentemente l'avevano colta in flagrante: le si seccò la gola e fece un passo indietro, mentre lui ne faceva uno in avanti. «Che stai dicendo?» tergiversò, tentando di mascherare l'improvvisa difficoltà.
«Puoi farlo, se vuoi», continuò lui: una nuova determinazione lo stava animando, dettata dalla crepa nell'imperscrutabilità di Emma. Era assurdo passare dall'urlarsi contro al parlare di baci in un così breve lasso di tempo.
«Non voglio», dettò secca, stringendo i pugni.
Bugiarda.
Ma non con se stessa.
«Sicura?» 
La voce di Harry era diventata quasi un sussurro, quasi sensuale. E la sua fonte era sempre più vicina.
«Harry, non potrebbe esserci cosa più sbagliata in questo momento», gli fece presente, poggiando una mano sul suo petto solo per impedirgli di farsi più vicino. «Abbiamo appena finito di discutere per l'ennesima volta, anzi, lo stiamo ancora facendo». Per quanto irrazionali potessero essere i propri istinti, non era ancora pronta a dar loro il libero arbitrio: cedere alla tentazione di accarezzare le pieghe di quelle labbra sarebbe stato deleterio, inappropriato. E avrebbe portato a delle conseguenze, imprevedibili come loro stessi e magari ancora più dolorose.
Harry chiuse una mano sulla sua. «Già», mormorò: le iridi che cadevano sulla sua bocca e risalivano lentiggine dopo lentiggine, fino ad incontrare quel blu tanto irriverente. «Non siamo mai stati bravi a corteggiarci», affermò, accennando un sorriso consapevole e divertito, in grado di smorzare l'atmosfera di irrequietezza.
Emma trattenne una debole risata, sforzandosi di rimanere salda nei propri propositi: se si soffermava su tutto ciò che aveva preceduto la loro storia, non poteva che dargli piena ragione. Non erano in grado di comportarsi come due persone normali, di starsi attorno senza esplodere e ricomporre i pezzi in vista di una nuova distruzione. Non erano capaci di fare le cose per bene. E quella prima volta il risultato era stato magnifico, a prescindere dal suo destino, ma avrebbe potuto esserlo anche la volta successiva?
«Io non ti sto corteggiando», precisò Emma, per alleggerire i propri pensieri.
«Sì, che lo stai facendo», la corresse. «È solo che non te ne sei ancora accorta».
«Così come tu non ti sei accorto della tua sconfinata presunzione?»
«No, quella la conosco bene».
«È questo il problema».
«Ma ti piace, ammettilo».
«La odio».
«C'è differenza?»
«Harry».
«Visto? Stiamo già migliorando».
E anche i loro visi erano già più vicini, a respirarsi contro e a testare la propria resistenza. Emma sentiva la lucidità scivolare via, disperdersi un po' di più ad ogni impercettibile movimento del petto di Harry, sul quale erano ancora premute le loro mani.
Aveva paura, era terrorizzata e non voleva darlo a vedere.
Aveva paura perché averlo a quella scarsa distanza era così naturale, da farle credere che fosse troppo semplice: una trappola dentro la quale sarebbe caduta, che l'avrebbe rovinata ancora un po'.
«Non baciarmi», disse soltanto. 
Non gli chiese di allontanarsi, solo di non baciarla.
Poteva restare a quella vicinanza se voleva, poteva farle ricordare ciò che significava.
«Sto aspettando che lo faccia tu», la rincuorò lui: il suo tono era protettivo, quasi conscio della difficoltà che lei stava affrontando, ma allo stesso tempo era macchiato di provocazione, impazienza.
«Ma io non posso».
Vorrei.
«Anche Miles troverà qualcun altro, prima o poi», soffiò lui.
Emma sentiva il cuore vacillare, scosso ancor di più da quel nome e da quei ricordi.
«Non si tratta di questo», ammise, con gli occhi incollati ai suoi, con la fronte a sfiorare la sua. «È che si tratta di te. Di noi».
Il problema non era rifarsi una vita al fianco di un'altra persona, sentirsi in colpa per una relazione appena conclusa: l'intensità di Emma e di nuovi sentimenti avrebbe fatto impallidire e sbiadire tali esitazioni. Il problema era ciò a cui si andava incontro, il rapporto che lei ed Harry avrebbero potuto instaurare, il dolore che avrebbe potuto provocare, la debolezza che avrebbe potuto accentuare, le crepe che avrebbe potuto peggiorare.
Dove poteva trovare il coraggio di rischiare? 
Era ancora troppo fragile.
«Sì, si tratta di noi», ripeté lui lentamente, forse in un blando tentativo di convincerla, di ritorcerle contro una sua stessa motivazione.
«Siamo un disastro», precisò lei. In quel momento, avrebbe voluto che la ragazzina intravista da Harry uscisse fuori e le impedisse di essere così patetica, così riflessiva e spaventata: se avesse potuto, l'avrebbe pregata di fare qualcosa, di aiutarla e di spingerla verso qualcosa di incerto, ma attraente.
«Terribili», rincarò Harry, spostando l'altra mano sul suo fianco sinistro e stringendolo appena.
«Non prendermi in giro», sussurrò, chiudendo gli occhi per un istante. Sembrava che ad ogni inspirazione di Harry, un po' della propria energia venisse risucchiata via: lui se ne stava nutrendo, lei stava soccombendo.
«E tu baciami».
«No».
«Emma...»
Le accarezzò il naso con il proprio, avvicinandosi così tanto da farle temere un bacio, e le sfiorò una guancia con le labbra: percorse la sua pelle lentamente, mentre lei si sentiva costretta a chiudere gli occhi e a chiedere mentalmente pietà. Quando percepì il suo respiro tra i propri capelli, a farle rabbrividire il collo, deglutì a fatica.
«Ragazzina...»
Fu lui a chiamarla al suo posto: un sussurro al suo orecchio, poche lettere lasciate scivolare via per scuoterla oltre il consentito. Fu lui a reclamarla.
E quella ragazzina, che solo con lui era cresciuta e si era formata, non fu in grado di resistere ad un obbligo così sottile ed irremovibile. Strinse la mano intorno al tessuto della sua tuta, sfiorando con le dita il suo petto, e si tese fino a rappresentare un invito: Harry si sentì in diritto di tornare sul suo viso, di guardarla di nuovo negli occhi per scoprirvi un permesso agognato.
Emma schiuse le labbra e respirò profondamente, alzandosi sulle punte per raggiungere meglio la sua altezza e per distaccarsi da qualsiasi esitazione: non riusciva più a resistere, non poteva farlo. 
«Baciami», le ordinò ancora, stringendole il fianco con più intensità. «Avanti».
.

Era sicura di esser rimasta lontana da quelle labbra per sei anni, allora perché, perché era come se non se ne fosse mai separata? Come se fossero sempre state sue, alla sua portata e a sua disposizione? Le toccava, le mordeva, ed il loro sapore era così familiare da farle girare la testa: erano giuste, in un contesto assolutamente instabile e disordinato, nonostante qualsiasi sua remora.
Gli portò le mani sul collo, accarezzandone la pelle e spostando le dita tra i suoi capelli: faceva male, faceva male lasciarsi andare tra le braccia di qualcun altro, ma non così tanto, se quel qualcuno sapeva come farla rabbrividire per una sola carezza, se conosceva a memoria le sue lentiggini e ci giocava con soddisfazione. Faceva un po' meno male, se Harry se la stringeva contro e la faceva sentire così viva, ardente.
Era smanioso. Forse era stata l'attesa, forse era merito di qualsiasi altra cosa covasse di nascosto, senza permettersi di lasciarla trasparire: la toccava con una tale brama da farle tremare le gambe, con una tale impazienza da farle desiderare di non essere nel mezzo di una strada, sotto gli occhi di qualunque passante.
Ed Emma aveva quasi dimenticato come ci si sentisse ad essere desiderata da Harry: perché un conto è saperlo, un conto è percepirlo tra le ossa ed in ogni movimento irrazionale. Aveva quasi dimenticato quanto fosse in grado di nutrirsi e trarre forza da una sensazione simile.
Quando le loro labbra si fecero più lente, gli respirò sulla bocca, con le sue mani sul proprio viso, e la baciò ancora una volta. Due, tre, innumerevoli volte, fino ad essere incapace di smettere: continuò lungo la sua mascella, mentre lui le passava le braccia dietro la schiena e se la premeva contro, e si fermò sul suo collo, dove vi nascose il volto.
«Ma che stiamo facendo?» mormorò Emma, improvvisamente inquieta all'idea di avere di nuovo qualcosa da perdere.
Harry le morse piano il lobo dell'orecchio. «Quello in cui siamo bravi».
Lo strinse un po' di più solo per reclamare serietà. «Sono seria», disse infatti.
Lui si allontanò quanto bastava per tornare a possedere i suoi occhi: la osservò con una tale spontaneità da essere disarmante. «È vero che vorresti che io non fossi mai tornato?» le chiese all'improvviso.
«A volte sì», rispose sinceramente: si sarebbe concentrata sulle sue mani, qualsiasi loro movimento avrebbe potuto darle un ulteriore indizio sulla reazione scatenata. «Quando litighiamo. Ma non vuol dire che io voglia che tu te ne vada».
«Quindi sei felice che io sia ancora qui?» domandò in conferma, sfidandola cautamente. I suoi occhi manifestavano quanto la precedente affermazione non fosse passata inosservata, mentre le sue mani premevano un po' di più sulla sua schiena.
«Io non voglio che tu te ne vada», ripeté, troppo orgogliosa per rispondere in modo troppo diretto.
«Lo prendo come un sì», mormorò Harry, appoggiando la fronte alla sua.
«Sono ancora arrabbiata con te», precisò Emma, decisa a ricordarsi la reale situazione: l'atmosfera poteva ingannarla, la loro vicinanza poteva stordirla, ma non doveva assolutamente perdere di vista i loro limiti. «Ci sono ancora cose di te che non... Che non sopporto».
«Emma, è stato solo un bacio», esclamò lui, lentamente e quasi con cautela.
Sei anni prima, quell'affermazione aveva e avrebbe scatenato l'ennesimo litigio: lei si sarebbe sentita sminuita e l'avrebbe accusato di essere un egoista, di prendere decisioni con troppa leggerezza. Ma in quel momento, tra le sue braccia e nelle proprie esperienze, quella semplice frase era in grado di rassicurarla: Harry voleva solo tranquillizzarla, ricordarle di non aver preso alcun impegno e di avere ancora una possibilità di fuga. In un certo senso la stava aiutando a metabolizzare qualcosa che non la lasciava libera di agire.
«Certe cose non cambiano mai, a quanto pare», commentò lei, abbozzando un sorriso nel ricordo di un passato da rivivere e modificare.
«Siamo di nuovo nel fantomatico mezzo», scherzò Harry.
«Oh, mio D-»
Ma le ultime lettere si persero nel bacio che lui le impose.





 


Buonasera :)
Questo capitolo è stato un benedettissimo PARTO PLURIGEMELLARE! Santo cielo, che angoscia!!!!!! Infatti, è inutile dire che si sono delle parti che mi fanno piuttosto schifo ma che  comunque non riesco a modificare. Ma lasciamo stare le mie paranoie e passiamo al contenuto.
Emma va da Harry per fargli il caziatone, in poche parole, e non per fermarlo (ovviamente secondo la sua testolina): e voi, VOI lettrici, come avete fatto a non capire che Harry voleva solo ferirla dicendole di Bristol? Dovreste conoscerlo ormai, dovreste sapere che alla ferita di uno corrisponde una ferita dell'altra e viceversa! Emma non gli ha detto una cosa di poco conto alla mostra, gli ha detto che avrebbe preferito che non fosse tornato: ci sarei rimasta pure io di merda, figuriamoci un tipo come lui ahhaha POI, ovviamente ha sbagliato, per carità, ma chi dei due fa mai una cosa giusta? (AHIMÈ)
Insomma, discutono un po' di questa cosa, ma c'è un repentino cambio di argomento: bacio, non bacio? Harry è sempre stato un buon osservatore, motivo per cui non si è ancora arreso con Emma, infatti la becca subito: come lui stesso dice, non sono mai stati bravi a corteggiarsi e secondo me tutti questi litigi, tutte queste urla, non sono altro che preliminari nella loro storia. C'è chi si avvicina con coccole e bacini, loro si avvicinano scontrandosi fino all'ultimo sangue, svelando ogni punta di difetto che hanno in corpo e infine accettandosi: o almeno, così è successo in LG, chissà se avverrà la stessa cosa :)
Spero di aver reso bene la paura di Emma, così divisa tra i suoi istinti e la sua razionalità (a proposito di questo, spero anche che abbiate apprezzato l'uso di quel "ragazzina" :)): per quanto un bacio sia solo un bacio, è comunque di Harry che si parla, quindi una CATASTROFE. E anche se lui ha cercato di contenere un po' questa paura, Emma è ancora molto indecisa: l'attimo prima si stavano per uccidere, l'attimo dopo erano spalmati l'uno sull'altra! Ovviamente le loro difficoltà non sono cancellate, ma solo momentaneamente messe da parte: è come se entrambi avessero bisogno di una tregua, di un bacio che confermasse quel qualcosa che continuava a farli litigare! Credo che in questo capitolo siano uscite abbastanza differenze tra gli Harry ed Emma di HH e quelli di LG, con tanto di ruoli invertiti e comportamenti smorzati!
Vi prego di farmi sapere cosa ne pensate, perché io credo di aver fatto un disastro, quindi conto sulle vostre opinioni per conferme e/o smentite hahahah
Spero davvero di non avervi deluse e vi auguro di nuovo buone feste!!
Grazie di tutto!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
   
  

 
  
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