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Autore: DanielleNovak221    05/01/2015    2 recensioni
[AU!Destiel]
Dean e Castiel hanno entrambi nient'altro che dolore nel loro passato, ma se è vero che non tutto il male vien per nuocere, l'ultima di queste ha portato al loro primo incontro: Dean si sveglia in un ospedale, dopo un coma di due mesi, sa che la ripresa sarà una scalata piena di ostacoli, ma se Cas, il suo infermiere, gli starà vicino, allora sarà in grado di raggiungere la vetta sapendo di poterla condividere con qualcuno che merita davvero di avere un motivo per cui sorridere. Tuttavia, i fantasmi sono forti e sempre in agguato, non è mai troppo tardi perché possano decidere di attaccare trascinandoti giù per affogarti nei tuoi stessi ricordi...
{trigger warning per una sola scena di violenza, anche se non esplicitamente dettagliata}
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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ATTENZIONE 
il rating della storia cambia, anche ad avviso dei capitoli futuri: ARANCIONE (per il momento muaha)


Castiel sapeva perfettamente che quella di Dean era una pessima idea. Poteva capire la fame assassina, c'era passato anche lui, ma quel suo piano offriva più contro che pro: in primo luogo, se li avessero beccati, lui avrebbe perso il lavoro e lo avrebbero come minimo denunciato, ma quello era il male minore. Nell'incidente, il suo amico aveva subito un grave colpo che aveva causato la lacerazione dello stomaco. Era quasi morto, se l'equipe di chirurgi non fosse intervenuta rapidamente, ora non sarebbe stato lì, e se si fosse strafogato com'era chiaro che aveva intenzione di fare, poteva peggiorare quella che era una situazione ancora precaria.

Attese che Dean uscisse dal bagno, vestito solo di un paio di jeans, una maglietta ed una camicia che gli ricadevano leggermente abbondanti sul corpo dimagrito, ma Cass rimase un secondo in silenzio. Quella era l'immagine di Dean che più si avvicinava al ragazzo che era prima dell'incidente, forse stava facendo la cosa giusta.

– Non è affatto una buona idea. – sentenziò, cercando di impuntarsi.

– Già, ma lo sai no, che le brutte idee sono il mio forte. Pensi di uscire vestito così? Ti riconosceranno subito. – il suo tono non ammetteva repliche, anzi, lo stava incitando a diventare complice di quell'idiozia abissale contro la sua stessa volontà.

Castiel valutò le opzioni che aveva: rinchiuderlo a chiave li dentro gli avrebbe assicurato un'eternità di occhiatacce e di sicuro, aiutarlo sarebbe diventata una missione inattuabile, ma valutò lo stesso quel possibile scenario. Se non lo avesse tenuto d'occhio, sarebbe uscito di sua iniziativa, e se fosse accaduto qualcosa, era materialmente impossibile che lui potesse intervenire. La scelta più logica sembrava contemporaneamente quella più illogica.

– Okay, vado a cambiarmi. Ma sia chiaro, andiamo nel bar dall'altra parte della strada, alcolici assolutamente vietati, e qualsiasi cosa tu voglia mangiare dovrà essere approvata dal sottoscritto, intesi? – Non attese risposta ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

Tornò cinque minuti dopo, la divisa bianca da infermiere al suo posto coperta semplicemente da un lungo impermeabile beige.

Dean lo scrutò da capo a piedi, fingendosi a dir poco ammaliato. Si avvicinò e con fare teatrale lo abbracciò. – Questo meraviglioso trench solo per me? Amico mio, così mi commuovi! – e se la filò sgusciando fuori dalla porta, seguito da un imperturbabile Castiel.

 

Il primo passo del folle piano di Dean era evitare di farsi riconoscere e uscire senza notare da chiunque. Decisamente, l'ingresso principale era fuori discussione.

Optarono subito per le uscite di servizio, dove era meno probabile essere visti, ma dove era anche possibile trovare dei colleghi di Castiel.

Come, difatti, accadde.

Era un susseguirsi di corridoi secondari, dove a quell'ora il personale non c'era perché stavano tutti o prendendo un caffè, oppure facendo il cambio di turno con qualcun altro.

Non mancava molto, a detta dell'infermiere, ma quando incrociarono Meg lungo l'ultimo passaggio, il ragazzo sentì il mondo crollargli sulle spalle.

Fantastico, adesso chissà che razza di idee pervertite andrà a farsi.

Dean la fissò attentamente, facendo passare lo sguardo da lei a Castiel, sperando che l'amico avesse una qualche soluzione, un asso nella manica, o che almeno conoscesse il karate.

Non era molto alta, gli arrivava appena alla spalla, aveva gli occhi castani ed i capelli biondi, e a prima vista, dallo sguardo furbo e malizioso, non sembrava qualcuno di cui ci si potesse fidare ciecamente.

– Ma tu guarda! Ti sei dato da fare, Cassie? – Castiel a quelle parole avvampò, e la trascinò lontano afferrandola per un gomito, facendo cenno a Dean di spettarli.

Una volta che non furono più a portata d'orecchio, all'interno di uno stanzino semivuoto (probabilmente il locale caldaia, ma dalla penombra non si capiva), attesero qualche secondo di silenzio prima di parlare.

– Davvero niente male. Accidenti, i più fighi li trovi tutti tu, sei il finocchio più fortunato del mondo. – commentò Meg, annuendo solennemente con fare scherzoso e birichino e dandogli un buffetto sulla guancia.

– Piantala, non è come sembra. – replicò il moro, ignorando l'ironia nelle sue parole.

– Sul serio? Perché a me sembra esattamente così, invece.

– Zitta e ascolta. È una storia lunga, e te la racconterò soltanto se non mi farai buttare fuori, okay? – disse Castiel, sull'orlo di una crisi di nervi.

Meg fece una faccia contrariata, incrociando le braccia all'altezza dello stomaco. – Se ci scoprono...

– Non succederà. Davvero, saranno solo quindici minuti.

La ragazza sbarrò gli occhi e trasse un profondo sospiro di sollievo, abbandonando la schiena contro al muro e ridendo sommessamente. – E io credevo aveste affittato una stanza in un qualche albergo! Ma sì, hai ragione anche tu, meglio un passo alla volta.

Castiel ebbe quasi un colpo. – Ma sei matta? Cosa ti fa pensare che io... che lui... ah, sai che c'è? Limitati a tenere la bocca chiusa. – e uscì con trasporto dalla stanza.

Dean fece appena in tempo a scansarsi di alcuni metri dalla porta ed accogliere Cass con un sorriso innocente. Senza una parola, si avviarono verso l'uscita, il silenzio era tale che Dean temesse che i battiti forsennati del suo cuore fossero udibili dall'esterno.

Insomma, aveva capito bene, o aveva solo frainteso?

 

A fine estate, precisamente a metà agosto, in quel periodo in cui l'afa generalmente veniva rimpiazzata dai primi profumi di vento che segnavano l'imminenza dell'autunno, il momento migliore era esattamente quello, le otto di sera.

C'era una brezza fresca, non come a luglio in cui anche col cielo mezzo oscurato era come ritrovarsi un phon acceso puntato sulla faccia. L'aria era respirabile, gli scivolava sul viso lasciandolo sereno e rilassato, regalandogli il piacere di una camminata senza doversi lamentare del caldo.

Dean si sentì immediatamente rinato. Anche Castiel sembrava essersi disteso i nervi, e quello che dava a vedere era nient'altro che finta ed esagerata disapprovazione.

– Hai un quarto d'ora Dean, fossi in te me lo godrei. – gli fece notare, aspettando che il semaforo diventasse bianco.

Attraversarono la strada spalla contro spalla e si infilarono nel primo bar che incrociarono lungo il marciapiede, a pochi passi dall'ospedale, e sedendosi ad un tavolo vicino alla finestra.

Non era per nulla affollato, la giusta quantità di persone che consentiva alla maggior parte dei posti di rimanere vuoti, e questo a Castiel andava benissimo. Più di una volta, fermandosi a fare colazione in quel locale, aveva incontrato alcuni colleghi che la mattina presto bevevano un caffè e leggevano il giornale, e se li avesse incrociati in quel momento, con quella che poi si era rivelata essere la star del reparto, lo avrebbero appeso ad un ventilatore per il resto dei suoi giorni.

Dean era estremamente soddisfatto, e sfogliava il menu con un sorriso sornione a stendergli le labbra. Si soffermò guardingo sulla pagina dei dolci, esaminando con occhio esperto la vasta gamma di torte che il bar offriva. Una volta deciso, piazzò il quadernetto aperto in mezzo a loro e puntò il dito sulla voce “meringata alla panna”.

– Alt! Hai detto nulla che potesse mandarmi in cancrena il cratere che ho nello stomaco, ebbene eccoti servito! – disse, prima che Castiel potesse trovare una sola lamentela al riguardo.

– Stavo solo per dire che questa tua ossessione per le torte è quasi preoccupante. Pensavo avresti preso... che ne so, un triplo cheeseburger, o una cosa del genere. – si giustificò l'infermiere, togliendosi il trench e appallottolandolo sulla panca di fianco a lui.

Dean scrollò le spalle, indifferente.

– Oggi mi hai propinato quella che aveva tutta l'aria di essere carne frullata, penso che eviterò l'hamburger per un po'. Sono ancora in trauma alimentare. –

Cass annuì in segno di approvazione, passando a dare uno sguardo al menu.

Lui non aveva tanta fame, in realtà quando aveva appetito tendeva a mangiare abbastanza da rimanere pieno per una settimana, e visto che si era già strafogato almeno dieci giorni prima, ordinò un semplice caffè shakerato con ghiaccio.

Era un'abitudine che aveva preso sin da bambino, i giorni in cui era certo di essere affamato, mangiava il più possibile da non dover perdere tempo a farlo dopo. Se Castiel si sentiva sazio, la sensazione gli restava cucita addosso per un bel po' di tempo.

Rimasero in silenzio per qualche secondo, Dean era ancora un po' perplesso su quello che aveva sentito prima fra lui e Meg. Non gli dava fastidio che Cass fosse gay, se davvero la ragazza era stata sincera, ma non poteva chiedere a sé stesso di non guardarlo con occhi diversi, da quel momento in avanti. Ora non era più solo Castiel Novak, il suo migliore amico, era Castiel Novak, il ragazzo che forse, un giorno, si sarebbe potuto innamorare di lui. Non si stava dando delle arie, ma era così che spesso andava a finire nelle amicizie come la loro.

Dean non si era mai apertamente dichiarato etero, ma fino a quel momento era solo uscito con delle ragazze, e la disponibilità maschile intorno a lui non aveva mai avuto peso, ma se adesso ci pensava, e questo non vuol dire che pensasse proprio a lui, la cosa lo metteva tremendamente a disagio. E non perché il vedere sé stesso stare con un maschio lo disturbasse, ma perché istintivamente pensava a Cass, e Cass era il migliore amico che avesse mai avuto. Poteva sembrare presto per dire una cosa del genere, ma nonostante si conoscessero da poco più di due mesi, quattro se si contavano quelli del coma, era abbastanza certo dell'importanza del ragazzo seduto di fronte a lui. Se immaginava che il loro rapporto sarebbe cresciuto fino a quel punto, un giorno avrebbe dovuto respingerlo, e ciò significava fargli del male, perderlo. E il suo amico sembrava aver provato abbastanza dolore per una vita intera.

Mentre Dean si arrovellava sulla propria sessualità e su cosa sarebbe successo in futuro fra di loro, Castiel, inaspettatamente, ridacchiò fra sé e sé.

Per un attimo il biondo temette di aver pensato ad alta voce, e che stesse ridendo di lui.

– Cosa?

Cass si passò una mano sulla faccia, ridendo sommessamente con sguardo sognante.

– Scusami, ma mi era tornato in mente della serata speciale di Bobby e non potevo fare a meno di...

– Ehi, ma sei un pervertito! – lo interruppe subito, i loro porno mentali che gli tornavano alla memoria con suo sommo orrore. Quel pomeriggio si erano davvero lasciati prendere la mano, e per di più era stato uno spasso.

Ripercorsero sottovoce alcuni dei momenti clou, cercando di non dare nell'occhio e soprattutto zittendosi e sorridendo angelicamente quando la cameriera portò loro l'ordine, ammiccando in direzione di entrambi.

Dean afferrò il cucchiaio e vangò una discreta dose di quella nuvola di panna e meringhe, mettendosela tutta in bocca ed assaporando lentamente. Il gusto dolce dello zucchero gli esplose nella bocca, masticò gli spumini croccanti reclinando indietro il capo e mugolando soddisfatto.

E andiamo, cazzo, non puoi farmi questo! Pensò Castiel, cercando di non ridere per quell'insolita situazione ed escludendo categoricamente dalla sua testa i lampanti doppi sensi dei versi che Dean stava emettendo.

Cominciò a bere il caffè senza zuccherarlo, come piaceva a lui, il sapore deciso ed amarissimo della bevanda fredda e leggermente schiumosa che gli scendeva in gola lo rilassò improvvisamente dallo stress accumulato nei venti minuti in cui avevano deciso (pardon, Dean aveva deciso) di marinare l'ospedale.

Nel giro di cinque minuti, il piattino di Dean era quasi vuoto, e il ragazzo sembrava stare bene: non accusava male all'addome e deglutire non gli provocava alcun fastidio. Optare per un dolce soffice e zuccherato era stata la scelta giusta.

– Cass, posso farti una domanda?

Tolse le labbra dalla cannuccia ed annuì, notando l'improvvisa serietà dell'amico.

– Mi ricordo che cosa mi hai detto quando ho avuto una delle mie ricadute, il primo giorno in cui siamo usciti nel parco. Dicevi di esserci passato anche tu. So che non vuoi parlarmene, e non voglio che tu lo faccia, ma la mia domanda è questa: adesso, in questo momento a prescindere dal passato e da tutte le sue carognate, stai bene? –

Castiel abbassò subito lo sguardo, entrambe le mani che si stringevano attorno al bicchiere di carta.

– Adesso adesso? Sì, Dean, sto bene. Davvero, forse è il distrarmi un po', ma davvero, in questo esatto momento io mi sento bene. –

Dean sorrise complice. – Non sono affari miei che cosa ti è successo, e se non sei tu a prendere l'iniziativa, io non voglio che tu me lo dica. Ma sappi che se hai bisogno di qualcosa senza dover fornire spiegazioni, il tuo amico torta-dipendente è nel solito posto.

Castiel riprese la cannuccia fra le labbra e si fece pensieroso, soffiando le bollicine con il caffè come quando era piccolo e lo faceva con i frullati alla fragola.

Poi, improvvisamente, strappò il cucchiaio dalle mani di Dean, si sporse sul tavolo e divise a metà il pezzo di dolce rimasto, cacciandone una parte nella bocca dell'amico.

Questi annaspò, colto di sorpresa, masticando in difficoltà con un'evidente sbaffo di panna sulla faccia, sul punto di mettersi a ridere.

– Non ho bisogno dei tuoi sentimentalismi, pappamolla con lo stomaco a buchi. Ma grazie lo stesso. – disse, piantando la posata sul cubetto di torta rimasto e alzandosi per pagare.

Finì velocemente il caffè e abbandonò il bicchiere sul tavolo, aspettando che Dean lo raggiungesse, ancora con gli occhi lucidi.

Aveva ancora una macchia bianca fin sullo zigomo ma non sembrava di essersene accorto. Castiel aspettò che fossero fuori, dove occhi indagatori non potessero vederli, per passargli il pollice sulla guancia e mettendosi in bocca quella traccia di panna, gustandosi sia il sapore dolce che la faccia interdetta di Dean.

– L'avrei mangiata io se mi avessi avvertito! – protestò, mentre attraversavano la strada.

Furono di nuovo dentro nel giro di pochi minuti, nessuno che sospettasse nulla, nessuno che si fosse accorto della loro assenza, nessuno che li fissasse stupefatti di vederli entrare vestiti quasi di tutto punto.

Castiel si fermò prima per mettere via il trench, mentre Dean lo aspettava facendo il palo fuori dalla porta, poi ripercorsero i corridoi di poco prima a ritroso.

Una volta nella stanza del biondo, anche lui nuovamente in quel buffo pigiama che gli ricadeva un po' abbondante sulle spalle, poterono trarre un sospiro di sollievo.

– Dobbiamo farlo più spesso. Mamma mia, quella torta era da visibilio. – disse Dean, stravaccandosi sul letto.

Castiel si sedette sulla sedia lì accanto, spostando indietro la testa e chiudendo gli occhi per un momento, sollevato. Fece scorrere i messaggi sul cellulare, trovandone uno di Meg in cima agli altri: Appena il tuo ragazzo dorme, torna qui al banco e VOGLIO. I. DETTAGLI.

Fece subito marcia indietro, sperando che Dean non avesse visto nulla, ma appena i suoi occhi tornarono a posarsi sul display, notò che aveva ancora le conversazioni di Gabe. Sentì una morsa stringerlo per intero, poteva distintamente udire le ossa scricchiolare, il cuore esplodere, la pressione polverizzarlo completamente.

Rimase bloccato, il cellulare in mano a leggere gli ultimi messaggi di suo fratello e la paura lo aggredì. Se lo fissava per troppo tempo, poteva cadere di nuovo nella trappola che lo seguiva ovunque andasse, ma non riusciva a smettere di far scorrere gli occhi sulle parole di Gabe.

– Cass, è tutto okay? – chiese Dean allarmato.

Silenzio per qualche secondo, poi: – avevo anche io un fratello, era più grande di me.

Il biondo rimase zitto, colpito da quella frase.

– Come si chiamava?

– Gabriel. Dean, poco fa hai detto che se io avessi voluto raccontartela, tu avresti ascoltato la mia storia. Eccola qui.

 

Sono nato a Pontiac, nel Michigan, e per quello che so, non ho mai avuto un padre. Voglio dire, non era il solito bastardo che lascia incinta la sua ragazza e poi svanisce nel nulla, ma io non credo di averlo mai visto, perché lavorava all'estero, l'unico contatto che avevamo era una telefonata ogni tanto. Io e Gabe eravamo rimasti soli con mamma, i nostri due fratelli erano tutti nella marina, quindi si vedevano poco in giro, e siamo cresciuti più o meno da soli. Gabriel era la mia famiglia, perché mia madre... insomma, mia madre era il genere di persona che rendeva ogni scusa buona per alzare un po' il gomito, lavorava abbastanza da mantenerci, ma come supporto psicologico non potevamo contare su di lei.

Lui era più grande di me di sei anni, quindi era già responsabile e prendersi cura di me lo rendeva felice, orgoglioso di sé stesso, e anche se eravamo praticamente orfani, stavamo bene. Non ci siamo mai spostati da Pontiac, ho frequentato lì le elementari, medie e i primi anni delle superiori.

Gabriel era un tipo un po' fuori di testa, ma trovava il modo di farmi ridere, sempre, mi ha insegnato un sacco e grazie a lui sono cresciuto più in fretta dei miei coetanei. Molte cose io imparavo a farle prima perché lui me le insegnava, continuava a ripetere che se un giorno saremmo dovuti andarcene, almeno in un'ipotetica nuova scuola non sarei rimasti indietro con il programma. Per i primi anni non capivo, poi ho cominciato ad avere una visione più chiara ed ampia quando, ai miei tredici anni, Gabe aveva cominciato a tornare a casa con Balthazar – sì, Dean, il fisioterapista. Ci credi che ogni tanto mi telefona? – . Okay, lo ammetto, all'inizio davvero, non ci saltavo fuori, ma quando ho capito che stavano insieme mi sono sentito sollevato, perché cominciavo a preoccuparmi per lui, e perché Balth lo rendeva anche più felice di quanto già non sembrasse.

I guai sono arrivati un anno dopo, quando sono cominciati i primi commenti, le occhiatacce, le voci, e poi i messaggi minatori. E quel che è peggio, minacciavano Gabriel di fare del male a me. Balthazar ha capito subito che tutta quella storia era nata da quando si era saputo della loro relazione, e si è trasferito da queste parti, sperando che tutto si placasse. Per qualche settimana è stato così, poi però sono ricominciati.

Ci odiavano a morte, Dean, immaginati con la società di adesso, due fratelli omosessuali – sì, entrambi, Dean... – , che cosa potevano scatenare inconsciamente.

Un paio di volte in cui mi trovavo fuori casa, sono stato picchiato. Ho ancora una cicatrice, mi hanno mandato all'ospedale, ma in qualche modo me la cavavo sempre, e cercavo di dimenticarmene, per non dover pontare rancore a persone che non meritavano nessun tipo di considerazione. Speravo che così mi avrebbero lasciato perdere. Quando hanno visto che non mi sfioravano minimamente, che non reagivo alle loro provocazioni però, si sono solo incazzati di più.

Quel loro odio irrazionale li ha spinti talmente oltre che mi fanno quasi pena, ovunque siano finiti adesso, erano solo dei coglioni, e per quanto mi riguarda potevano benissimo esserlo finché gli aggradava, bastava che lasciassero noi due in pace. Ovviamente, non fu così.

Un giorno vennero armati. Il loro capo aveva una pistola, infilata nella cintura dei pantaloni sotto alla felpa, e mi costrinsero ad andare con loro. So che l'aveva messa lì perché se l'era slacciata. Ho cercato di rimuovere tutto, Dean, ma dopo quasi sette anni, ho ancora gli incubi. Sono stato violentato dal primo omofobo sulla terra, e ti giuro che per concentrarmi su qualcosa che non fosse il dolore, o le sue mani che mi toccavano e che violavano il mio corpo, o le sue parole, il suo odore, la sua risata cercavo di capire quanto tutto ciò fosse insensato, perché era assolutamente illogico. Gabe è arrivato una mezz'oretta dopo, perché ero sparito da un po' e avevo il gps acceso.

è stato un colpo, Dean. Solo uno. Un solo sparo, e mio fratello è morto davanti ai miei occhi. E io non ho fatto nulla. Capisci? Non ho fatto assolutamente niente, potevo tentare di fermarlo, potevo mettermi in mezzo, potevo calciare lontano la pistola, e invece sono rimasto fermo a guardare.

Poi, non so perché, se ne sono andati, mi hanno lasciato lì in compagnia del cadavere di Gabriel. La polizia ha fatto irruzione nel granaio dove eravamo un'ora dopo.

Li per li pensai che forse il dolore sarebbe stato tale da annientarmi, ma mi sentivo stranamente vuoto. Mi sentivo privato della mia stessa umanità, e quegli echi della mia coscienza azzerata facevano un male tremendo così, tanto perché di idiozie non ne avevo già fatte abbastanza, mi sono rifugiato in un bar e ho cominciato a bere. Non ho idea di quanti litri io abbia scolato, ma furono abbastanza da mandarmi in coma etilico per un mese.

Poi, appena riabilitato, ho finito gli studi, come se nulla fosse, ho cominciato l'università, ed ora eccomi qui.

Mia mamma si è data una regolata, e da quando se n'è andato, è il genitore modello: ci siamo trasferiti vicino a queste parti, abbiamo ricominciato d'accapo. Mio padre non si è fatto vivo.

Ma ti assicuro, che due cose non sono mai cambiate:

la prima, è il mio compito di aiutare gli altri. Ho sempre avuto questa missione prefissata, aiutare il prossimo con tutte le mie forze. Con Gabe non ci sono riuscito, quindi devo recuperare, e il caso ha voluto che tu fossi la fortunata cavia.

La seconda, è la sensazione di vuoto, e il dolore che reca. Alla fine non mi ha mai annientato, perché di me non restava nulla da annientare. Ma fa sempre male.

 

 

Dean lo fissava rapito.

Non si era mai soffermato troppo a pensare al passato di Cass, ma ora che lo vedeva era certo di avere davanti la persona più forte e distrutta che conoscesse. Era lì, con un sorriso malinconico ad increspargli le labbra, i suoi pezzi che si tenevano su per miracolo, e andava avanti con il vuoto ed i fantasmi che gli sbarravano la strada, inerpicandosi lungo una via che poteva solo fargli altro male.

Non provava pena per lui, fra amici la pietà non deve esistere, ma sentiva che stava condividendo quel dolore, e di questo Dean si sentiva orgoglioso. Se fino a quel momento Castiel lo aveva aiutato, adesso anche lui aveva l'occasione di pareggiare i conti col suo strazio, e insegnargli che entrambi meritavano di stare lì, e di essere vivi.

Come al solito, quando il silenzio fra di loro giocava un ruolo più grande delle parole, rimasero zitti.

Dean gli cinse le spalle con un braccio, sfregando piano il palmo sulla pelle scoperta appena sotto alla manica, poi si chinò su di lui e gli sfiorò lo zigomo con le labbra. Fu un contatto dolce, casto, ma l'infermiere percepì il suo cuore perdere un battito, tentando di memorizzare il tocco morbido sul suo viso, il respiro che gli accarezzava la pelle, l'impellente bisogno di stringerlo ancora di più a sé.

Castiel si rilassò ed appoggiò la testa al fianco di Dean, mentre il suo braccio si serrava deciso e confortevole contro le sue scapole, sperando che l'amico non notasse le lacrime che gli rigavano il viso.

 

 

*Shippa Destiel con bandierine*

e niente, fatemi sapere cosa ne pensate, ma per piacere non uccidetemi, ci penso da sola. Lo so, sono perfida, e di questo mi vergogno un sacco.

L'ispirazione mi è venuta ascoltando Take Me To Church, come se di tristezza non ce ne fosse a sufficienza.

Recensite, è gratis e mi fa felice!!

Un bacione!!
scusate tanto per lo scorso capitolo tutto in corsivo, ma l'editor mi ha dato problemi...

   
 
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