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Autore: littlemoonstar    06/01/2015    0 recensioni
Il mio nome è Cappuccetto Rosso, ma in questo nuovo mondo mi chiamano solo Red.
E in questo mondo un tempo fatato cerco di sopravvivere ora dopo ora, cercando di capire cosa lo abbia ridotto in questo stato pietoso e deprimente.
Io sono Red, e vivo in un mondo pericoloso, in cui il vissero felici e contenti non ha più senso di esistere.
Sono una sopravvissuta, e questa è la mia storia.
 
[Capitolo 18]
Ed ora era lì, quella bestia che sempre avevo temuto. Di fronte ai miei occhi, così feroce da paralizzarmi. Riusciva a risvegliare le paure più recondite, i ricordi più dolorosi e macabri della mia infanzia. Era la mia debolezza, il centro di tutta la mia paura.
Era il Lupo cattivo, ed era pronto a mangiarmi di nuovo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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20. Where everything begins.







Osservavo il suo volto spento, l'abito azzurro consumato e impolverato, i capelli color grano abbandonati sulle spalle: le lingue di energia la bramavano, tenendola imprigionata in quella gabbia senza uscita.
Wendy non aveva nessuna luce attorno, perché quell'energia che la teneva eccezionalmente in vita come vincolo non riusciva a rischiarare la stanza.
Forse perché non c'è luce nell'oscurità, neanche in un luogo come quello.
Ripensai alle parole di Peter, al dolore e alla disperazione che lo avevano accompagnato dopo l'Apocalisse, mentre tentava con le sue sole forse di proteggere l'Isola e i suoi bimbi sperduti senza la sua Wendy.
Che tutto quel dolore fosse stato invano non potevo dirlo: lei era lì, ma non sapevo ancora quale sarebbe stato il suo destino.
Di certo era viva, perché un corpo senza vita non sarebbe riuscito a sostenere tutta l'energia magica in transizione. Ma cosa potevo fare io adesso, se non distruggerla?
Lasciarla in vita avrebbe significato mantenere quel potere ancora attivo, e non saremmo mai giunti alla fine. Le parole del Cacciatore mi ritornarono alla mente, rimbombando nel vuoto di quella stanza silenziosa.
Distruggi il vincolo.
Distruggi il vincolo.
« Perché... » sibilai, senza più forse. La mia mente era piena di domande a cui non sapevo dare una risposta. E quello mi impediva di prendere una decisione, anche se non avevo molto tempo per starmene lì a riflettere.
Ma come potevo?
Conoscevo Wendy. E soprattutto volevo bene a Peter, e ucciderla sarebbe stato come uccidere lui.
Allora a cosa è servito?
Annuii tra me e me: quella domanda aveva un senso. Avevo viaggiato per trovare una risposta, un senso a ciò che ci era accaduto. Quel caos, quella distruzione, avevano assunto un nome e una forma.
Ora stava solo a me, e non potevo permettere alle mie emozioni di intralciarmi.
Eppure in quel momento tutto quello che avevo attorno scomparve: o meglio, ciò che prima c'era sembrò abbandonarmi. La magia, l'incanto di quel mondo per un attimo si dissolse. E rimasi solo io, una ragazza umana con un braccio meccanico e nulla di magico se non la mia sola forza di volontà, che mi aveva spinta ad arrivare fino a lì nel tentativo di salvare il mio luogo d'origine e quel mondo, così grande e pieno di meraviglia, che ora sembrava un posto come tanti altri.
Mi sentivo tremendamente comune, una persona come le altre in un luogo abbandonato a se stesso, costretta a scegliere tra la patria e il cuore. E se non avesse funzionato?
Se rompendo quel legame avessi fatto peggio?
Questo non potevo saperlo. Fino a quel momento ero sempre stata convinta di poter trovare tutte le risposte alla fine del mio viaggio, ma solo in quel momento mi rendevo conto di avere ancora troppe domande, e che non ero sicura di un bel niente.
« Sai cosa penso? » sibilai, rivolta a quel corpo inerme. « Che sia una vera assurdità. Che non posso essere qui dopo aver affrontato...il mio più grande nemico! Dovrebbe essere tutto finito, e invece...quello era solo l'inizio. ».
Chiusi gli occhi.
La vera sfida non aveva messo alla prova la mia forza fisica, la mia resistenza o la capacità di difendermi. Era una questione di scelte, scelte che potevano portare ad un destino o ad un altro, e spettava a me.
La battaglia non era solo lì fuori, ma dentro.
C'è una speranza anche nella confusione.
Spalancai gli occhi, trattenendo il respiro. Le parole di Pocahontas sembravano sospese in aria, tanto erano reali. Eppure l'avevo incontrata tempo fa, nella sua grande foresta silenziosa.
Eppure quelle parole erano l'unica cosa di cui avevo bisogno in tutto quel caos, che si imponeva nella mia testa senza lasciarmi il tempo di riordinare i pensieri.
Guardai nuovamente Wendy, e in quel momento ricordai di quando avevo visto Peter per l'ultima volta, in quelle luride segrete che l'Originale aveva creato per noi: stanco, privo di quasi tutta la sua magia, e distrutto per la consapevolezza che non avrebbe rivisto mai più la sua Wendy. Ripensai a quel bacio, a quella sofferenza, e per un momento provai un po' di gelosia per quel ragazzo che conoscevo da sempre, e che aveva e avrebbe sempre avuto un posto nel mio cuore.
Respirai a fondo, leggermente agitata. In quel momento mi sembrò quasi di non avere più tempo.
Sapevo qual'era la cosa giusta da fare.
Mi voltai indietro, allontanandomi lentamente dalla sagoma fluttuante di quella dolce ragazza senza vita. La porta era sempre più vicina, e il formicolio alla mano sempre più intenso. Quasi mi sfuggì un gemito quando cominciò a diffondersi a tutto l'avambraccio, fino ad arrivare al gomito.
Raggiunsi la porta e la aprii, sfiorando il pomello invecchiato con delicatezza. Vederlo ora, con la consapevolezza di quella casa vuota e silenziosa, era un colpo al cuore.
Inspirai a fondo, mi voltai e sollevai il braccio, le cui parti meccaniche erano già quasi tutte formate.
Sparai.
E questa volta tenni gli occhi aperti.




Il contraccolpo fu durissimo.
Come se una scarica di vento si fosse improvvisamente diretta verso di me tutta insieme, senza lasciarmi il minimo tempo per reagire. Mi scaraventò oltre la porta, che fortunatamente avevo aperto prima di sparare il colpo, lasciandomi scivolare per metri sulla neve gelida del mio bosco.
Per un attimo mi mancò il respiro e non sentii più nulla, solo un fischio prolungato sembrava avessi messo piede su una mina nascosta nel terreno, o che fossi nel pieno di una guerra di trincea.
Del pulviscolo scuro, mischiato a schizzi di neve fredda, mi passò davanti agli occhi, senza che potessi muovere un muscolo per evitarlo.
Ero lì, bloccata su quel manto di neve, con i sensi paralizzati.
Così iniziai a contare i secondi: lo facevo sempre quando mi ritrovavo a terra dopo un brutto colpo e non riuscivo ad alzarmi, mi aiutava a rilassarmi e a tenere il conto del tempo che passava.
Superato un determinato lasso di tempo, probabilmente non riuscivo ad alzarmi per qualche tipo di paralisi.
O perché stavo morendo.
Fortunatamente non mi era mai successo di incorrere in questa quanto mai rara possibilità, benché adesso cominciassi a nutrire seri dubbi in proposito.
Poi, lentamente, ricominciai a sentire qualcosa. Era la neve fredda che mi dava fastidio alla schiena e alle gambe, e l'odore di bruciato e un fastidioso prurito agli occhi per via del pulviscolo. E poi qualche suono indistinto, perfettamente riconoscibile nel silenzio impeccabile di quel luogo. Neve che si scioglieva, qualcosa che cadeva a terra, legno che si sgretolava.
Ricominciai a muovere le dita delle mani e le gambe, e la testa smise di girare freneticamente. Deglutii, e senza mettermi fretta tentai di sollevare la testa, poi la schiena, e mettermi seduta.
Mi guardai attorno: la vista inizialmente era sfocata, ma pian piano ricominciai a distinguere i contorni, infine i dettagli.
C'era troppa confusione, e non riuscivo a capire se quel fumo derivasse dal colpo del mio cannone o fosse il risultato dell'impatto del proiettile contro Wendy. Un improvviso senso di nausea si impossessò di me, nel momento in cui mi resi conto di aver sparato contro la ragazzina dai riccioli biondi, che faceva così fatica a volare con la polvere di fata, preferendo rimanere con i piedi per terra.
A raccontare storie ai bimbi sperduti, e dare loro tutto l'amore di cui avevano bisogno.
Pensai a Peter. Non lo avevo più visto da quando eravamo stati rinchiusi in quella cella virtuale, che di vero aveva soltanto l'aria gelida e l'odore acre di ruggine e morte. Non sapevo se fosse vivo o meno.
Non sapevo niente. Ma avevo appena distrutto colei che stava cercando da quando quel mondo era caduto in rovina. E per un attimo sperai davvero di non dover affrontare quello che sarebbe venuto dopo.
La testa ricominciò a girarmi, questa volta molto più velocemente che in precedenza. La casa della nonna era ancora lì, abbandonata al suo destino e con il fumo che traspirava da quelle pareti lasciate a loro stesse.
La porta era divelta, e giaceva a terra come un vecchio ramo secco. C'erano dei vetri per terra, e alcuni di loro riflettevano la luce chiara del cielo grigio splendendo come piccoli e luminosi diamanti in mezzo alla neve.
La neve, mia unica compagna di vita in quell'inferno. Perenne, intatta, splendida.
Sentivo le forze abbandonarmi lentamente. Avevo la netta sensazione di non poter reggere ancora in quella posizione. Tenere dritta la schiena richiedeva tanta forza, e al momento non ne avevo neanche per riporre l'arma meccanica nel braccio.
Era impossibile guardare quel metallo freddo, così pesante sul suo giaciglio ghiacciato, tanto gravoso da trascinarmi con lui.
Così guardai la neve.
Bianca, luminosa e fresca.
La neve che...si stava sciogliendo.
Forse avevo le allucinazioni.
Fissai di fronte a me, cercando di mettere a fuoco le formazioni ghiacciate che scendevano minacciose dal tetto, quelle stalattiti di ghiaccio che da piccola rimiravo durante l'Inverno. Ricordavo come mia madre si infuriasse a morte, quando mi trovava lì sotto con lo sguardo rivolto all'insù. Mi trascinava via dicendomi che, se uno di quei ghiaccioli appuntiti fosse caduto, avrebbe potuto cavarmi un occhio.
Ma io non potevo fare a meno di rimanerne affascinata, e quando iniziava a fare più caldo tiravo fuori la lingua lasciando che l'acqua fresca gocciolasse dalle formazioni in via di scioglimento, tentando di prenderle.
Adesso quelle formazioni gelate, che mai erano andate via durante l'Inverno nucleare, si stavano sciogliendo. Ogni tanto una goccia cadeva giù, fino ad unirsi al manto di neve. Era un cambiamento impercettibile, le gocce cadevano di rado e un osservatore distratto non ci avrebbe fatto minimamente caso.
Ma quello era il mio bosco. Lo conoscevo come conoscevo me stessa.
E quelle sporadiche gocce volevano dire una sola cosa: avevo portato a termine la mia missione.
Non sapevo come, ne cosa stesse accadendo. Non avevo idea di cosa ci fosse in quel momento dentro la piccola casa di legno a pochi passi da me, o in qualsiasi altro posto.
In quel momento c'ero solo io: una ragazza stanca e ferita, in mezzo a tanta, tantissima neve.
Abbandonai la schiena di nuovo sul manto gelido, e chiusi gli occhi. C'era un che di liberatorio in quel gesto.
In quel momento c'ero solo io.
Ma questo, questo mi bastava.





Nonna, secondo te la neve arriverà in anticipo questa volta?
La neve mi piaceva. Quando faceva freddo, ed era difficile uscire di casa, la nonna trovava sempre il modo di rendere divertenti quei pomeriggi noiosi. Accendeva il fuoco, e riscaldava la casa. Mi cucinava i biscotti, e la torta di mele che sapevano fare tutti, ma nessuno come lei. Ci metteva la cannella, e la noce moscata. Mi aveva fatto promettere di non rivelare a nessuno la sua ricetta segreta, ed io mantenni la mia parola.
Ma perché lo dici a me, allora?
Perché tu sei la mia anima, gioia mia. Nulla è segreto, con la mia anima, mi rispondeva lei, con la tranquillità di chi possedeva una saggezza tanto grande, da poter essere comparata solo con la sua dolcezza.
Ecco perché amavo i pomeriggi d'Inverno.
Perché potevo essere l'anima di qualcuno, senza il minimo sforzo.
La neve era solo un pretesto.




Frittelle.
Ecco perché non potevo essere un eroe, dopotutto.
Perché nei momenti meno opportuni andavo a pensare alle cose più stupide.
Come in quel momento.
La mia mente poteva vagare tra mille scenari, pensare a tutt'altro e invece...frittelle.
In particolare, le frittelle di mele.
Era una ricetta semplice, che mia nonna adorava sfornare spesso durante l'anno: la casa si riempiva di quell'aroma caldo, un misto tra mele e spezie che associavo automaticamente all'aria di casa.
Quando ne avevo voglia, ci mettevamo in cucina e accendevamo il forno a legna infilando dei grossi ciocchi per la cottura. Mia nonna preparava le mele, tagliandole con il coltello, mentre io mi limitavo ad aiutarla nelle operazioni più semplici, o che almeno non rischiavano di uccidermi data la mia goffaggine.
Così preparavo la pastella unendo le uova, il latte e la farina. A quel punto di solito era lei ad occuparsi della cottura nell'olio bollente, dato che per una bambina poteva essere pericoloso.
A quel punto disponeva le frittelle su un piatto, e cospargendole di zucchero le lasciava freddare appena sul davanzale in modo che potessimo mangiare più in fretta.
Una volta le chiesi come mai accendessimo tutte le volte il forno, occupandoci minuziosamente della disposizione della legna e di manovrare il fuoco con il passare delle ore, compito che di solito era mio. Mi accorsi con il tempo che, una volta imparata la tecnica e assicuratasi che non fossi più un pericolo pubblico vicino ai tizzoni ardenti, la nonna mi lasciava da sola davanti al fuoco, ed io mi impegnavo seriamente per non farlo spegnere.
« Ma perché, se poi non lo usiamo? » le chiesi infine, senza riuscire a comprenderne la logica.
Lei mi guardò, sorrise e volse uno sguardo lontano oltre la finestra, verso la neve, gli alberi e l'orizzonte.
« Perché quando sarai grande dovrai essere in grado di accendere un fuoco, soprattutto in Inverno. Imparerai a fare le frittelle, mia cara, questo te lo prometto. Ma quando sarai grande e avrai una casa tutta tua, sarà più importante riscaldarla che preparare qualcosa da mangiare. ».
Io la ascoltai per tutto il tempo, senza mai perdere la concentrazione. Essendo ancora piccola, non capii subito il significato di quelle parole. Pensai ad una casa calda e con un bel forno ardente, ma senza l'odore di cannella e mele non sarebbe stato ugualmente bello. Con il tempo mi resi conto che aveva ragione.
Se dopo l'Apocalisse non fossi stata in grado di accendere un fuoco, o di distinguere le bacche velenose da quelle commestibili, probabilmente sarei morta. I suoi consigli mi avevano salvato la vita.
Lei c'era sempre stata per me, ma ancora di più era stata qualcosa che non potevo dimenticare.
La mia guida.
E adesso, in tutto quel trambusto in cui probabilmente ero morta o forse mi trovavo in qualche strano limbo a diretto contatto con i pensieri, c'era un motivo reale per cui pensavo a quelle dannate frittelle.
Pensavo a lei, e al fatto che il lupo l'aveva uccisa, e che l'avevo vendicata.
Pensavo che mi mancava, nonostante avessi ottenuto la mia vendetta.
E pensavo che mi sarebbe mancata sempre, qualsiasi cosa avessi fatto.



La luce sulla pelle mi riscaldava, e i raggi del sole mi davano quasi fastidio, impedendomi di aprire gli occhi.
Riuscivo quasi a vederli, tra le ciglia scure.
E questo probabilmente era un dato sufficiente a giustificare che non ero ancora passata a miglior vita.
Ma non si sa mai.
Aprii gli occhi gradualmente.
Mi trovavo ancora nel mio bosco, e tutto sembrava uguale. Eppure c'era qualcosa.
Qualcosa che solo la padrona di quel bosco avrebbe potuto notare.
Mi sollevai, sedendomi sul manto freddo. Attorno a me, era proprio vero, la neve si stava sciogliendo.
Goccia a goccia, con movimenti impercettibili.
Poi sollevai lo sguardo, spalancando improvvisamente gli occhi.
Raggi di sole.
Nel mio bosco c'era il sole.
Trattenni il respiro.
« Red... ».
Abbassai di nuovo la testa, con uno scatto, e dopo una piccola pausa sussultai.
Frittelle.
















Nb. Eccoci di nuovo qui, dopo le abbuffate natalizie e le feste per l'inizio di un nuovo anno. Spero abbiate passato nel migliore dei modi queste festività, e auguro a tutti voi un buon 2015 anche se con un pò di ritardo. Spero di aggiornare il prima possibile in modo da non lasciarvi con il fiato sospeso troppo a lungo, anche perché come avete visto oramai siamo agli sgoccioli! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, il seguente è già in revisione perciò non dovrei metterci molto ad aggiornare! 
Un abbraccio,

L.



  
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