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Autore: Elle Douglas    08/01/2015    1 recensioni
Cosa succederebbe se nella vita di Killian Jones, d’improvviso, tornasse il suo vero primo amore?
No, non Milah, ma qualcuno di ancora più profondo, celato, intimo e nascosto che sapeva fosse morto per sempre? Come reagirebbe Killian? Ed Emma, che ormai sembra aver trovato l’amore? Chi sceglierebbe arrivato a quel punto?
Come cambierà la storia? E quanto scopriremo di più su quest’uomo?
Scopriremo che c’è ben altro dietro Killian Jones, c’è un'altra storia nascosta e non ancora raccontata di un uomo che ha perso tutto e che più di tutti ha perso qualcosa di profondo che credeva irrecuperabile.
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‘I suoi occhi verdi, verdissimi come lo smeraldo sono dentro ai suoi, e per un attimo una lacrima gli scorre su quel viso etereo.
Quante volte aveva pianto credendola persa? Quante volte si era pentito di averle dato quella scelta? Quante volte avrebbe voluto tornare indietro e cercarla, salvarla?
Ed ora era lì davanti a lui.
Vera, viva ma prigioniera.’
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La storia inizia con gli avvenimenti della 3x17, tutto il resto è una mia idea.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I thought I'd lost you forever'
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CAPITOLO XIII

E rieccomi, scusate tanto l'attesa, ma contate che le feste mi hanno un tantino destabilizzato e mi sono persa un po'.
Spero come sempre che il capitolo vi piaccia, spero come sempre di avere pareri a riguardo, che siano buoni o meno poco importa, ma ditemi cosa ne pensate.
Ringrazio intanto chi già lo fa, e ringrazio chi mette 'Mi piace' attraverso i bottoni social qui sopra.
Io, come al solito ora vi lascio al capitolo. 
Fatemi sapere. 

Buona lettura. 


 
 
 
 
POV. KILLIAN
 
-
 
Erano passati tre giorni da quando non avevo più notizie di Esmeralda. Tre giorni in cui la pura agonia si prendeva cura di me stringendomi lo stomaco nella morsa dei ‘se’, e dei ‘ma’.
E se le fosse successo qualcosa? E se si fosse persa? E se l’avesse presa qualcuno?
Non avevo trovato nulla in quella stanza che desse una parvenza di questi pericoli, nessuna infrazione, nessun segno di lotta, c’era qualcosa dentro me che si convinceva che fosse scappata.
Scappata da cosa e soprattutto da chi se non da me?
Io che per primo l’avevo salvata e l’avevo rivoluta nella mia vita così ardentemente, ora l’avevo lasciata a sé stessa, nuovamente. Abbandonata.
L’avevo cercata in ogni dove negli anni, mi ingannavo nei miei ricordi di lei per sentirmi meno solo, e anche se non sembrava, mai una volta avevo smesso di pensarla perché mi era mancata, in ogni santissimo giorno di quella vita eterna. E come potevo farla ricredere su ciò che pensava se io stesso andavo contro a ciò che le avevo detto e le dicevo? Come potevo sperare che mi credesse se non avevo tempo per lei?
Mi aveva proposto di farla morire quando era il momento, ma come potevo? Mi si strinse di nuovo il respiro al pensiero di una simile soluzione. Lei sicura di aver intralciato la mia vita. Lei che inveiva contro di me urlandomi contro tutto ciò che per anni si era portata dentro.
Lei che aveva sperato in un incontro diverso e in un lieto fine con me e invece si era trovata davanti un'altra donna al suo posto.
Non facevo altro che chiedermi dove fosse, senza darlo a vedere per davvero a nessuno, tantomeno ad Emma. Ero agitato all’idea di saperla lì fuori. Agitato all’idea di saperla in un mondo del tutto nuovo, in cui persino io avevo fatto fatica all’inizio.
 
Come potevo biasimarla dopo l’atteggiamento che le avevo riservato quella sera? Quando non ero in me, quando quella costante paura di farle del male a causa di quella mano mi terrorizzava?
Le ultime immagini che avevo di lei erano quelle che avrei voluto cancellare, e avrei voluto fare altro.
Ritrovarsi un uomo del tutto cambiato e assente di fronte, un uomo che le aveva promesso qualcosa di nuovo, inevitabilmente distante come allora.
Cosa dovevo essergli sembrato? Non sei nemmeno tu aveva detto e comprendevo il suo disagio nel vedermi in quei nuovi panni, sentirmi così severo e duro nei suoi confronti non era stato facile.
Non mi vedeva da giorni come aveva detto e invece di darle spiegazioni le avevo quasi urlato contro, e lei era arretrata spaventata e delusa, di nuovo, non riconoscendomi.
L’avevo visto nei suoi occhi quanto fosse ferita e l’avevo sentita pronunciare quella frase mentre andavo via ma non avevo potuto fermarmi. Avrei dovuto tornare indietro e chiederle scusa, abbracciarla e spiegarle tutto, ma la paura di farle davvero male aveva preso il soppravvento su di me e scappai prima che potesse accadere qualcosa di peggio.
Continuavo a sbagliare e ne ero consapevole, ma volevo che sapesse che era per lei, per tenerla al sicuro da quella mano maledetta che l’avevo fatto, senza secondi fini.
Non mi ero pentito di averla salvata, nemmeno per un secondo. Poteva seriamente credere che non la volessi tra i piedi? Nella mia vita? Probabilmente sì.
Ripercorsi la scena nella mia mente, e mi convinsi di ciò che poteva aver pensato.
Ero uno stupido.
Stupido. Stupido. Stupido. Perché non riuscivo a mantenere una promessa con lei? Perché ogni cosa sembrava ancora di più deteriorarsi e spezzarsi? Maledizione! L’avevo ritrovata, era di nuovo davanti a me, non era morta, era viva e io non riuscivo a dimostrarle quanto fosse importante per me tutto questo, quanto quel salvarla fosse stato un gesto voluto e non indotto da nessun senso di colpa, nessun rimorso per come erano andate le cose, perché non credeva a quanto per me fosse stata importante lei?
Fu per questo che quella mattina mi recai al Granny’s .
Avevo intenzione di passare la giornata con lei, come le avevo promesso e come lei mi aveva fatto notare: mi avevi promesso che mi saresti stato vicino. Quelle parole continuavano ad assillarmi  e a vorticarmi in mente come un promemoria, perforandomi in pieno petto, non facevo altro che pensarci e molte volte ero stato anche assente con Emma per questo. La vedevo squadrarmi mentre cercava di capire cosa mi preoccupasse, mentre io prontamente la rassicuravo che non ci fosse nulla che non andasse. E lei con il suo sguardo indagatore ci credeva poco, ma si fidava. Era vero, gliel’avevo promesso e per altre circostanze che mi avevano trattenuto non l’avevo fatto, ma l’avrei fatto ora, le avrei spiegato tutto sul mio cambiamento, sul perché ero stato così assente e lontano in quei giorni, perché era giusto che sapesse, anche se era difficile spiegarle il motivo.
Come l’avrebbe presa quando le avrei detto che c’entrava Emma? Quando le avrei detto che avevo fatto tutto ciò per Emma e che ora mi trovavo ad aver fatto un passo falso con il Signore Oscuro? Per un appuntamento, per giunta. Come potevo sperare di non ferirla nuovamente?
Ogni mio gesto sotto quella luce sembravano fatto apposta, sembrava calcolato per scheggiarla e ai miei occhi lei era la cosa più fragile che ci fosse.
Tenevo a lei quanto ad Emma, ed era difficile per me andare avanti in questa situazione e non volevo farla soffrire ulteriormente dopo ciò che aveva passato. Perché la sua sofferenza in qualche modo era la mia, e sapere per giunta che tutto quello che le era stato fatto era successo per un mio sbaglio mi faceva sentire ancora più responsabile, così dopo aver salutato Emma alla stazione di polizia decisi di recarmi al Bed and Breakfast da Granny’s, dove l’avevo lasciata un paio di giorni prima. Camminavo per le strade a testa bassa così da non incrociare nessuno sguardo che mi allontanasse dal pensiero di arrivare a lei.
Un'altra distrazione, un'altra missione in cerca di qualcosa e non me lo sarei perdonato.
Arrivato a quella bettola all’angolo, chiusi la porta alle mie spalle noncurante della delicatezza, e salì le scale velocemente fino alla sua porta.
Giunto alla sua camera bussai attendendo una risposta dall’altra parte. Nulla, nemmeno il minimo suono.
Che non rispondesse perché era arrabbiata con me? Era del tutto comprensibile, ponderai in quel momento.
‘Esm, sono io, Killian. Aprimi, ho bisogno di parlarti’, ordinai da dietro la porta con fare rassicurante per invogliarla e farle capire che ero lì con le migliori attenzioni, ma nemmeno un fiato.
Provai di nuovo, ma rimbombò solo il suono delle mie nocche sul legno.
Decisi di entrare ugualmente, ora leggermente più in ansia sul perché non rispondesse.
Forzai la serratura con l’uncino, e senza ulteriori sforzi la porta si aprii, lentamente.
‘Esm..?’, chiesi entrando. Nessuna traccia di lei era in quella stanza. Le lenzuola non erano nemmeno sgualcite, e tutto lì era troppo silenzioso.
La cercai in ogni angolo. Provai in bagno  aprendo lentamente la porta, ma il posto, come l’intera stanza alle mie spalle era del tutto immacolato. Quasi come se lei non fosse mai stata lì, quasi come se, per l’ennesima volta lei fosse frutto della mia immaginazione che infieriva su di me come in passato.
Che fosse uscita di nuovo come quella sera? Che fosse fuori? Che mi stesse cercando magari?
Mi allarmai ritornando con la memoria alla mattina in cui non la trovai più sulla Jolly Roger.
Cercai di respirare e di trovare la coerenza, il senso.. in tutto ciò che stava succedendo. Ma un senso apparentemente non ce l’aveva ma dentro di me lo conoscevo benissimo.
In quegli anni mi ero così tanto convinto che lei fosse fuori dalla mia vita per sempre, che non l’avrei mai più rivista, che fosse … morta, avevo creduto a Milah e ora.. ora mi sembrava di vivere un sogno e quasi non credevo di averla lì.  Subito dopo un’ondata di rabbia montò in me, bianca, ribollente, quasi traboccante, prima che riuscissi ad arginarla.
Era lì con me e nei giorni seguenti alla strega non avevo fatto altro che ferirla, ignorarla ed isolarla.
Come pretendevo mi credesse quando le parlavo?
 
Non conosceva nulla in quel mondo, dove sarebbe potuta andare?
Ma era sopravvissuta ad una vita ben peggiore, ragionai per calmarmi, non dovevo pensare al peggio. Si, ma quello non era un mondo a cui era abituata. Non ne conosceva le regole, non sapeva nulla, e se fosse finita sotto un auto? E se le fosse successa la stessa cosa che era successa a Marian e fosse chissà dove? E se avesse incontrato la Regina delle Nevi che imperversava in città?
Di certo non aveva attraversato il confine, ponderai, ora con quel muro di ghiaccio che circondava la città era del tutto impossibile e invalicabile. Quindi di certo era ancora a Storybrooke, ma dove? E in che condizioni? Era al sicuro o in pericolo?
Mille se bollirono nel mio cervello e tutti, inevitabilmente, convergevano in situazioni che mi facevano tremare, tutte confluivano al peggio.
Forse però sarebbe tornata, forse mi stavo preoccupando per nulla pensai. Magari sarebbe tornata, continuavo a ripetermi imperterrito cercando di calmare la rabbia e l’ansia che vivevano in me insieme. Mi sedetti su una di quelle poltrone e decisi di aspettarla per un po’ con lo stomaco e le membra che non facevano altro che arrovellarsi pensando ad una possibile situazione e ad un possibile luogo, ma quel giorno di lei non ci fu ombra, ne, tantomeno nei tre giorni a seguire in cui non feci altro che cercarla ovunque, senza risultato.
Sembrava essersi dissolta.
 
[…]
 
Ciao Ruby. Potresti servirmi il solito? Da portare via, ovviamente. Grazie.
Ero seduto al tavolo della locanda di Granny’s con Emma e David quando mi giunsero queste parole. Sulla cittadina di Storybrooke il sole stava appena sorgendo, tutto, ancora aveva quell’aria umida e fredda che la mattina donava ai suoi nuovi giorni.
La sua voce, pur essendo un flebile accenno fin dove mi trovavo mi pizzicò il cuore facendomi voltare, e il mio sorriso rivolto alla conversazione che stavamo avendo si trasformò in un ghigno indefinito e uno sguardo indagatore, il mio sguardo si posò, quasi senza volerlo, su quella ragazza che di spalle si sporgeva oltre il bancone dove era la cameriera. Una ragazza alta e slanciata era in piedi al bancone mentre aspettava ciò che aveva ordinato.
Possibile fosse lei?
Eppure era del tutto diversa. A partire dall’abbigliamento. Possibile che a forza di cercarla iniziassi a vederla in altre come era già successo? Mi alzai e mi avvicinai cautamente, quasi come se andandole vicino quell’immagine svanisse di colpo e si smaterializzasse di fronte alle mie aspettative.
Non me lo stavo immaginando, quella ragazza era lì.
Le toccai un braccio in maniera quasi impercettibile per farla voltare verso di me.
Quando i suoi occhi smeraldo incrociarono i miei, morì sul colpo ritrovandola. Era lei.
Era proprio lì, davanti i miei occhi, ed era… diversa.
Gli abiti usurati e vecchi che le avevo visto indosso l’ultima volta erano spariti lasciando posto ad abiti più moderni e non potei fare altro che comprendere ed immaginare lo shock quando fu lei a vedermi quella sera.
Indossava dei pantaloni di pelle nera aderenti e un maglione più grande di lei indosso.
La guardai esterrefatto.
“Esm..”
E per quelli che dovevano essere i successivi 30 secondi non dissi altro. Trenta secondi, trenta minuti, trent’anni.. che importanza avevano?
A quel punto non capivo più neppure la differenza. Era come se il tempo si fosse cristallizzato ruotando intorno al viso della donna che mi stava davanti e lo scorrere del tempo avesse perso ogni tipo di logica o senso.
‘Killian.’ Sembrava quasi che le parole le mancassero totalmente. Si guardò nervosamente attorno cercando di evitare il mio sguardo e posarlo altrove.
‘Sei completamente diversa’, le feci notare squadrandola ancora una volta.
‘Oh, ehm… in questo mi ha aiutato Belle. Ha detto che i miei abiti erano troppo logori e vecchi per continuare ad indossarli, e che qui a … Storybrooke? Questi abiti non si usano più, e mi ha proposto questi’. abbozzò un piccolo sorriso rimirandosi imbarazzata. ‘Ancora non sono del tutto abituata..’
Teneva i capelli sciolti che, sinuosamente, cadevano sulle sue spalle, lunghi e ricci come li aveva da sempre e sembrava.. sembrava sempre la stessa, e nonostante quel nuovo abito, quel nuovo trucco che le velava leggermente il viso a cui dovevo abituarmi, era stupenda. Era la solita dea di cui mi ero innamorato molto tempo prima.
Sorrisi a quella riscoperta.
‘Stai benissimo’, constatai sorridendole per rassicurarla. Lei nonostante la pelle scura arrossì e abbassò gli occhi, facendo sfoggio di quei gesti che tanto mi erano familiari e che tanto mi mancavano.
‘Ti vedo felice Killian, sono contenta di questo.’, disse lei prendendomi alla sprovvista con un piccolo sorriso che voleva far sembrare sincero.
Doveva avermi visto appena entrata, doveva avermi visto ridere con Emma.
‘Felice?’, cercai di proferire sgomento mentre la rabbia che avevo da giorni dentro stava per esplodere. ‘Felice dici? Come credi possa esserlo se non so dove sei. Ti ho cercata ovunque. Te ne sei andata senza dirmi nulla, e c’è una nuova minaccia che incombe in città, pensi che possa essere del tutto felice?’.
‘Mi dispiace Killian, ma non ce la facevo più a star lì ad aspettarti, specie dopo quella sera.’ Tremò sull’ultima parola. ‘Mi hai chiaramente fatto capire quanto non mi volessi intorno e ho agito di conseguenza, forse di impulso, credendo fosse il meglio per… entrambi.’
‘Beh, non lo è affatto. Quello che è successo l’altra sera non c’entra affatto con te.’ le dissi in un sussurro. Emma non ne sapeva nulla. ‘e non avrei voluto trattarti in quel modo, ma era ciò che dovevo fare. Io ci tengo a te lo sai, e non ti caccerei via così dopo che ti ho ritrovata.’ le feci intendere fissandola più intensamente.
Volevo che vedesse che fossi sincero in quelle parole, volevo che lei lo capisse.
Ecco a te. Interruppe Ruby passandole i sacchetti.
Grazie. Ricambiò Esm con cortesia e un gran sorriso recuperando la sua colazione dalle mani della cameriera.
‘Beh, non devi essere in debito con me a vita per ciò che mi è successo se è così che ti senti, perché probabilmente è questo che ti spinge verso me. Puoi anche cambiare idea, dici di tenere a me, ma i tuoi modi sembrano dire ben altro perciò lo accetto e basta, perché sono stufa di combattere, è da una vita che è così, e sentire la sconfitta in partenza, e ora che lo accetti anche tu, che lo dici a te stesso.’ La guardai torva, carpendo ciò che in realtà celava.  ‘Saprò cavarmela anche da sola, come ho sempre fatto. Non intralcerò ciò che hai costruito. Non lascerò che tu sia infelice per me e per questo ti chiedo di lasciarmi in pace’.
Era difficile per me non capire quando fingesse per stare bene, per starmi bene e per far sì che lo fossi, senza però sapere quando la cosa non mi alleviasse affatto. In quel momento indossava la sua maschera, per nascondersi e proteggersi da qualcosa che dentro la stava divorando e squarciando ma che non avrebbe ammesso.
Sentii una strana stretta al cuore a quelle parole. Non poteva dirle sul serio.
Perché quel pensiero sfiorava solo le sue labbra, ma non la sua mente. Non il suo cuore.
‘Puoi sentire da te che questo non è vero. Non puoi dire sul serio. Mi dispiace averti allontanata nuovamente, ma le cose non sono facili come credi qui…’
‘E tu hai dovuto far qualcosa per gli altri. Va benissimo’. la sua voce si spezzò mentre fingeva comprensione.
‘I tuoi… amici sembrano non toglierci gli occhi di dosso. Meglio che tu vada a riferire ciò che va tutto bene in modo da tranquillizzarli. Io vado… addio Killian’ balbettò sull’ultima parola congedandosi e uscendo.
Incrociai lo sguardo di Emma senza nemmeno accorgemene e ne uscì sincero.
Mi passai la lingua sulle labbra, cercando il coraggio e la forza di scegliere se uscire e rincorrerla o restare lì accanto ad Emma, che aveva assistito all’intera scena.
Andai per avvicinarmi e spiegarle la situazione, ma quella mi anticipò passandomi davanti ed uscendo, dalla stessa porta di Esmeralda, con espressione decisa.
La segui non comprendendo le sue intenzioni.
Scese di poco le scale e segui Esm.
‘Senti… Esmeralda…’, parlò Emma andandole dietro e attirando la sua attenzione, mentre quella correva velocemente per lasciare quel locale. ‘lo so che tutto questo ti sembra strano e anche terrificante probabilmente, e lo so che non abbiamo avuto modo di presentarci da quando sei arrivata qui e probabilmente preferisci sia così data la situazione in cui ci troviamo entrambe. Non è facile contendersi un uomo’, cercò di scherzare per alleggerire la tensione che spirava tra loro. ‘Forse mi odierai per ciò che vedi in me. Per il fatto di Killian…’ azzardò indicando la porta alle sue spalle.
Esmeralda si voltò lentamente dandole attenzione. Prese coraggio e iniziò a parlare.
‘Tu sei Emma Swan, giusto? Ti conosco benissimo. Tutti qui non fanno altro che parlare di te, sei la salvatrice, no?’. Emma annui, rammaricata quasi. Lei le riservò un gran sorriso. ‘Non ho motivo di avercela con te. Tu in tutto questo non c’entri nulla, più che altro ce l’ho con gli eventi che mi hanno portata fin qui, ma non posso cambiarli, quindi è inutile rimuginarci per tutta la vita perdendo di vista me stessa.’, chiari, allargando le braccia in segno di rassegnazione a quel destino.
‘Senti, io so e comprendo ciò che hai passato, tutte le avversità in cui ti sei imbattuta negli anni, capisco quanto sia stata dura e so come ti senti in questo momento. Ti senti persa in questa nuova realtà, sola, e non sai come muoverti di fronte a tutto ciò che hai saputo e che in fondo, magari, in cuor tuo già sapevi. Ma non è finita, non devi pensarla in questo modo, ci sono tante opportunità per ritrovare la tua strada e percorrerla, devi solo crederci, farti forza e percorrerla. Solo così potrai trovare il tuo lieto fine, perché ce n’è ancora uno per te’. Rise nervosa a quelle parole Esmeralda, e da dietro Emma mi squadrò folgorandomi.
‘Ci risiamo.’, sussurrò a denti stretti in maniera impercettibile, e mi guardò nuovamente.
E sapevo benissimo a cosa si riferisse con quelle parole. Avevo raccontato tutto ad Emma così come avevo raccontato tutto a Milah e, in cuor suo, lei lo avvertì come l’ennesimo tradimento da parte mia. Aveva imparato a diffidare dalle persone nel tempo, dopo Milah ogni suo tentativo di fiducia andava frantumandosi soprattutto con le donne, che vedeva come rivali e su cui stava costantemente allerta.
‘Il mio lieto fine?’, sentenziò derisoria. ‘Il mio lieto fine pur avendolo di fronte potrei dire di averlo perso’, disse alterandosi e dedicandomi uno sguardo. Emma si voltò accorgendosi solo allora della mia presenza, poi ritornò su di lei, che le era dinanzi.
‘Quindi mi dispiace Emma Swan, io un lieto fine non ce l’ho più’, concluse abbassando lo sguardo e ogni speranza mentre cercava di andare via da quella situazione.
‘Killian tiene molto a te, e lo so che magari ti sembra che non sia così, ma è stato male per te. Ti ha cercata per quanto ha potuto, non ti avrebbe mai salvato solo per un senso di colpa. Ti ha salvato perché per lui sei importante per davvero. Non ci avrebbe perso tempo, non avrebbe mai rischiato la vita se non ti avesse considerata tale, e tu lo conosci anche meglio di me. Lo sai che è così in fondo, non lo ammetti a te stessa perché sai quanto ti farebbe male data la situazione’. Infierì Emma, dura, nei suoi confronti e lo sapevo che lo stava facendo per me, e che quelle parole erano la pura verità.
Lei dall’altra parte venne colpita da cotanta sincerità e restò tramortita, quasi in bilico sul da farsi.
‘Forse è vero, forse è così ma data la situazione, appunto, non si può fare altrimenti -‘, qualcosa, qualcuno sospese la conversazione entrando in scena in quel piccolo spiazzo. Mi avvicinai un po’ di più per scorgere chi fosse, chi, non curante della situazione che si era creata, si faceva avanti interrompendoci, ed era ancora lui. Ancora lo stesso uomo incontrato di fronte alla biblioteca comunale, che si dirigeva nella nostra direzione. Strinsi i pugni cercando di trattenere quell’insana voglia di piombare sul suo viso ed alzai gli occhi al cielo, stizzito, e serrando la mascella.
‘E’ da più di mezzora che aspetto questa colazione. Sto morendo di fame!’, disse avanzando e avvicinandosi ad Esm con fare familiare, quasi affettuoso.
Guardai la scena dal punto in cui ero, dietro Emma e di fronte al viso di Esmeralda. Nella mia testa la scena andava completandosi e aggiungendo trame inaspettate e che non volevo accettare.
‘Stavo arrivando, è che sono stata bloccata..’, disse indicando la situazione che si era creata come a spiegargliela, quello sembrava caduto dal pero, nel vedere la scena.
‘Il pirata ti infastidisce di nuovo?’, fece avanzando con aria di sfida. Esm lo bloccò mettendogli una mano sul petto e intercedendo il suo passo.
‘Va tutto bene’, aggiunse con gli occhi fissi su di me, poi abbassò lo sguardo incerta sul da farsi, diede i sacchetti che aveva in mano e sussurrò un ‘Arrivederci Killian’. E si congedò così senza darmi il tempo di replicare e di vedere chiaro in quella… relazione che avevo visto davanti ai miei occhi e che non mi andava giù. Non poteva essere vero, ripetevo dentro me incredulo a ciò che mi era stato appena propinato.
Era stato quell’uomo a portarmela via, a portarla dove poi? Non potevo sopportarlo, non davvero. Avrei dovuto essere sollevato nel vederla con un altro, felice del destino meno amaro e sofferente che avrebbe potuto avere a causa mia, avrei dovuto sorridere a quella visione ed essere felice perché c’era uno spiraglio di tranquillità per lei ora, ma non ce la facevo. Vederla con un altro, complice in un nuovo rapporto era qualcosa che non mi auguravo soprattutto per lei, non ne era entusiasta lo percepivo, e anche quell’egoismo che albergava in me a quel pensiero si faceva avanti.
Non avrei mai permesso che nessuno me la prendesse, che l’allontanasse da me e la conducesse altrove.
Ciò che avevo pensato sin da quando lei era sulla nave con me, non era cambiato: Lei era mia in qualche modo, era entrata nella mia vita, nelle mie paura, in ciò che ero stato. Era l’unica ad aver visto altro in me ed aver conosciuto il mio passato.
Eravamo legati in maniera indissolubile da mille fili ed era divenuta importante, lo era sempre stata sin dal primo momento in cui i miei occhi avevano incrociato i suoi, sin dal primo momento in cui la incontrai, e quella persona non era affatto adatta a ciò che era sempre stata: una ragazza fuori dal normale, una ragazza speciale che doveva avere di più dalla vita.
Inoltre da quell’incontro qualcosa mi suggeriva che l’avvicinamento di quell’uomo nei suoi confronti era una ripicca nei miei per il pugno che gli avevo riservato la sera in cui non ero in me. Doveva averla vista con me, doveva aver capito chi era e che ruolo aveva avuto nella mia vita e aveva agito di conseguenza. E la cosa vista in questi termini mi faceva esplodere ancora di più.
Decisi di cercarlo perché non volevo convivere un attimo un più con quel dubbio e volevo avvertirlo di stargli lontano, per dirgli che non lo volevo accanto a lei per quei suoi sporchi mezzi e l’occasione non tardò ad arrivare. A tarda sera mi recai al Rabbit Hole, un locale lì a Storybrooke e lo trovai a sorseggiare il suo solito bicchiere di whisky completamente preso, mi guardai intorno prima di avvicinarmi definitivamente a lui, per constatare che lei non fosse presente. Mi era un po’ impossibile credere che si fosse recata in un posto simile.
‘Te lo dirò una volta sola amico, vedi di starle alla larga’, ruggì andandogli davanti. Quello ebbe un sobbalzo.
‘Non so di chi tu stia parlando, amico’, rispose quello in tutta tranquillità riprendendo a sorseggiare il suo liquore.
‘Oh invece sai benissimo di chi sto parlando. Il nome Esmeralda ti dice nulla?’, dissi cercando di mantenere la calma.
Quello sembrò rinvenire a quel nome. ‘Pare che tu non voglia smettere di torturarla. Ora capisco perché se ne sia andata’, serrai la mascella e strinsi i pugni per calmarmi. Presi fiato.
‘Tu non sai proprio niente di lei se non il suo nome e non ti permetterò di farle del male solo per una ritorsione nei miei confronti, perché questo è ciò che vuoi. Devi stare il più lontano possibile da lei!’, ringhiai a denti stretti rincarando la dose.
Ma quello non sembrava curarsi delle mie reazione, se ne restava lì impassibile a sorseggiare il suo drink quasi avesse una conversazione piacevole e quella spocchiosità non faceva altro che farmi andare il sangue al cervello. Stavo lì, teso, pronto a scattare ad ogni minima risposta.
‘E’ buffo come tu creda di sapere tutto. Minacci me perché non vuoi che le faccia del male quando in realtà sei tu il primo a farlo e o sei stolto o sei cieco nel non capirlo. L’hai salvata è vero, ma non è di tua proprietà.’ Disse rivolgendomi il suo sguardo e posando il bicchiere sul bancone. ‘So cosa credi di aver visto oggi, ma non è assolutamente ciò che sembra. Io ed Esmeralda ci siamo incontrati per caso, come qualche sera fa quando è avvenuto il nostro primo incontro, e no, non è una ritorsione nei tuoi confronti anche perché non sapevo avesse a che fare con te. E’ una ragazza troppo pura per far parte della tua vita, e speciale, e non ci avrei mai nemmeno pensato a prendermela con lei per qualcosa che hai fatto tu, non sono così miserabile. Sei troppo pieno di te, amico, per pensare che tutto ti ruoti intorno.’ Concluse ironico ignaro dell’ira che covavo dentro e della voglia assurda che avevo di menarlo. Poi ritornò calmo e continuò. ‘L’ho portata nel bosco con me in seguito al nostro incontro e a ciò che mi aveva raccontato e le ho offerto riparo solo per i primi due giorni, dopodiché si è allontanata dal nostro accampamento ed è andata a vivere più in là. Io sono solo un amico per lei, che cerca di aiutarla come può in un mondo in cui sembra essere sola, non ho alcuna pretesa su di lei. A volte mi è capitato di sentirla piangere per qualcuno, ha il vizio di parlare nel sonno tra l’altro. Sta fuggendo da te, amico, e lo sta facendo a causa tua perché il solo vederti le dà sofferenza anche se non lo dà a vedere in modo palese, perché si finge forte indossando una corazza che non le calza per niente, e tu dovresti conoscerla bene. Vederti in questa nuova vita le porta solo sofferenza, e anche se vuole darti a bere il contrario non è così. Sei sicuro, quindi, che il mostro che le sta facendo del male sia io e non tu?’.
Restai spiazzato, sgomento di fronte a quella constatazione perché non ci avevo realmente pensato, e non seppi rispondere. 

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