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Autore: Ella Rogers    10/01/2015    6 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Ultimatum

Anni prima

Era tutto così buio, così freddo, così silenzioso.
Non ricordava.
Possedeva un doloroso squarcio apertosi nella memoria, distorta da frammenti fugaci e incomprensibili che affioravano un istante, prima di inabissarsi di nuovo nell’oscurità dell’incoscienza.
L’ultimo ricordo nitido che possedeva era quello di un uomo che le applicava piccole ventose sulla fronte e le sussurrava parole vuote, schifosamente false e dannatamente inutili.




“Sentirai una piccola scossa, non farà male” le ripeteva il medico, sforzandosi di mantenere sul volto un sorriso simile ad una smorfia agghiacciante.
Era la prima volta che veniva sottoposta a quel tipo di test.
Era passato già un anno dal giorno in cui aveva disgraziatamente incontrato Adam Lewis e, da allora, la sua vita era stata un susseguirsi di esami su esami.
Prelievi giornalieri del sangue, test per stabilire la soglia del dolore, patimento della fame e della sete per osservare le reazioni del suo particolare organismo.
I più perseguiti erano gli studi sul cervello, sottoposto a ripetuti esercizi di telecinesi.

Ma quel giorno, seduta su una sedia di grigio metallo troppo grande per il suo corpo minuto, era consapevole che i suoi aguzzini avevano in serbo per lei ben altro. 
E aveva paura.
Mai come in quel momento si era sentita tanto terrorizzata.
Tutto in lei si agitava con ostentata frenesia.
“Siamo pronti” affermò l’uomo dal sorriso falso, allontanandosi da lei e prendendo posto vicino i computer di monitoraggio.
Un leva venne abbassata e l’elettricità le colpì il cervello come un pugnale, spedendola in uno stato di shock.
Tutto era diventato nero, poi bianco ed infine era sopraggiunto quel colore intenso e bellissimo. Tutto era divenuto cremisi.
Blackout.





Adesso era lì, rannicchiata in un angolino buio, da qualche parte nella base.
Stringeva con forza le gambe al petto e teneva la testolina china, poiché non aveva il coraggio di guardare.
L’odore del sangue era talmente intenso da farle venire la nausea. Il liquido denso e viscido le si era appiccicato ad ogni lembo di pelle lasciato scoperto dal leggero camice bianco, anch’esso ricoperto di scure macchie rosse.
Ma non era il suo sangue. Nemmeno una goccia le apparteneva.
Il vero problema non era il fatto che non ricordasse.
Anthea non voleva ricordare, perciò era lei stessa a ricacciare indietro ogni frammento di ricordo che tentava di affiorare.
Ma fu inutile, perché la consapevolezza delle sue azioni la raggiunse ugualmente, straziandole il cuoricino ancora impreparato a ricevere simili colpi.

Assassina.

Una bambina così piccola non dovrebbe nemmeno conoscere il significato di tale parola, eppure lei sapeva perfettamente cosa significasse e cosa implicasse.
Singhiozzò, evitando al contempo di versare lacrime inutili.

Lei non piangeva e mai avrebbe pianto. Per nessuno, neppure per sé stessa.

Con movimenti goffi si rialzò. Mosse qualche passo in avanti e i piedini nudi affondarono in pozze calde, appiccicose e viscide.
Le lampade al neon del corridoio lampeggiavano e l’oscurità si alternava sistematicamente alla luce. 
Nell’istante in cui tutto si illuminava, sulla retina oculare le si imprimevano immagini orrende, spaventose e rivoltanti.
Volti cinerei ed inespressivi. Occhi spalancati, da cui era fuggita la scintilla di vita, tranciata da una violenza tale da divellere ossa con facilità mostruosa.
Era lei il colpevole. Era lei l’assassina.
Si trascinò per i corridoi della base, divenuta una tomba silenziosa in poche terribili ore.
Nessuno era stato risparmiato.

“Non potranno più nuocerti, adesso.”

Quella era stata la prima volta in cui aveva sentito la sua voce, la voce della bestia mostruosa che albergava nel suo corpo e controllava la sua vita, più di quanto facesse lei.
Provava per quella parte oscura del suo essere sentimenti contrastanti.
Essa pareva volesse proteggerla e, al tempo stesso sembrava, volesse prendere il controllo, annullandola completamente.
Cosa le impediva ancora di acquisire il comando definitivamente? E perché si era presentata solo adesso?

Le lampade tornarono improvvisamente a funzionare e Anthea si ritrovò a contemplare le conseguenze dovute alla momentanea libertà del mostro.
Una strage che non contava sopravvissuti.
Il pavimento era cosparso di cadaveri e sangue, il quale disegnava orribili murales sulle pareti di metallo.
In ogni angolo della base si poteva assistere allo stesso macabro spettacolo.
Cadaveri e sangue. Morte.
Anthea rimaneva immobile. Lo sguardo perso e la mente riempita da una sola agghiacciante parola.
Assassina.
Le urla si erano cristallizzate nella gola, mentre dalle iridi cobalto traspariva l’orrore nella sua essenza più pura.

Un tocco freddo le carezzò la schiena con delicatezza.
La bambina si voltò di scatto, ritrovandosi di fronte ad una creatura la cui sola presenza provocava brividi lungo la schiena, gelava il sangue nelle vene, accelerava il battito cardiaco, bloccava il respiro.
Era alta e possente, coperta da una lunga mantella nera dotata di un largo cappuccio calato sul capo, in modo da oscurare il volto alieno.
Anthea si perse nel contemplare gli occhi rossi come il sangue della creatura, che la osservava con estrema cura e dedizione.
La bambina fece qualche passo indietro, impaurita.

“Hai superato ogni mia aspettativa. Ma sei ancora un’acerba crisalide.”
La voce della creatura era profonda, morbida ed armoniosa. La bambina si sentì improvvisamente attratta da quell’essere comparso dal nulla.
“Quando ti trasformerai in una splendida farfalla, io e te diventeremo una cosa sola. Questo è il tuo destino, ricordalo.”
Il demone le sfiorò il visetto incrostato di sangue.
“Siamo molto più simili di quanto mi aspettassi” le sussurrò prima di darle le spalle e raggiungere due uomini che aspettavano qualche metro più in là e che Anthea non aveva minimamente notato. Era stata ipnotizzata da quegli occhi color del sangue, i quali avevano completamente assorbito la sua attenzione.

La bambina riconobbe Adam e al suo fianco si stagliava la figura di un ragazzo dagli occhi di ghiaccio e i capelli nerissimi.
“Padrone, non ci sono sopravvissuti” disse il moro, rivolto alla creatura, che si limitò ad annuire.
“Occupati di lei. Dottor Lewis, dobbiamo parlare.”
Adam era visibilmente agitato e piegò il capo con ostentata sottomissione.
Il Padrone ed il dottore lasciarono la base poco dopo.

Il ragazzo moro la raggiunse.
Indossava una divisa nera, abbastanza attillata da mettere in risalto il suo fisico slanciato e muscolato alla perfezione.
Il giovane si accovacciò, così da poter guardare direttamente negli occhi la bambina.
“Ehi piccola, hai combinato un bel casino eh?”
La sua voce era dolce e chiara.
“Non sono stata io” sussurrò lei, suscitando una scoppio di ilarità nel moro.
Anthea gonfiò le guanciotte, offesa. Perché lei non mentiva, ne era ancora incapace.
“Non è divertente” affermò con rabbia.
Il ragazzo le scompigliò i capelli color miele con una mano e le sorrise, facendola arrossire imbarazzata.
Aveva un sorriso dolce e luminoso.
“Io sarò il tuo maestro da oggi. Adesso, perché non ce ne andiamo da qui? C’è un tale fetore da far rivoltare lo stomaco.”
Anthea si lasciò prendere in braccio e nascose il visetto nell’incavo del collo del moro, aspirandone l’intenso odore di menta e crogiolandosi nel calore emanato dal suo corpo.

“Non mi hai detto qual è il tuo nome.”
“Nemmeno tu.”
“Anthea.”
Lo sentì ridacchiare.
“Io sono Wade. È un piacere conoscerti Anthea.”

E mentre si dirigevano fuori da quella che ormai poteva considerarsi una tomba, la bambina, cullata dai passi cadenzati di Wade, si assopì, stremata da tutto ciò che si stavano appena lasciando alle spalle.



                                                                 ***



Alcuni anni dopo

Evitò un dritto scostandosi appena di lato. Parò un gancio destro con l’avambraccio e approfittò dell’errore commesso dall’avversario, colpendolo con un calcio sul fianco sinistro rimasto scoperto.
L’uomo strinse i denti ed si riprese appena in tempo per bloccare un calcio rotante, afferrando la caviglia della ragazza, che si spinse in avanti per colpirlo con una testata sul naso.
L’uomo mollò la presa, mentre dal naso colava un rivolo di sangue.
Ma la giovane non gli lasciò tregua, colpendolo con un pugno all’addome, seguito da uno sul fianco destro.
L’uomo reagì, fiondandosi su di lei e prendendola per la vita sottile. La spinse a terra, si mise a cavalcioni su di lei e le bloccò i polsi ai lati del viso arrossato.

“Hai perso, ancora.”
“Sei odioso, Wade. E comunque hai rischiato di rimetterci il naso.”
L’uomo sorrise.
“Sarei rimasto ugualmente attraente.”
“Fottiti.”
“Ehi, hai solo sedici anni! Rispetta gli adulti, ragazzina!”
Wade la lasciò andare, non prima di averle stampato un bacio sulla fronte, facendola arrossire d’imbarazzo.

“Vorrei che il tempo dell’addestramento durasse di più” disse di punto in bianco la ragazza, mentre si sistemava la larga maglietta nera che le arrivava a metà coscia, coprendole del tutto gli attillati pantaloncini del medesimo colore.
“Mi dispiace, Anthea, ma sai bene che abbiamo solo una settimana al mese, non di più. Gli ordini del Padrone non si discutono.”
Wade, stretto nella sua solita divisa nera, la osservò liberare i lunghi capelli color miele dall’elastico che li teneva legati in una coda alta.
La tristezza della giovane era palpabile, così come la rassegnazione.
“Lo so” sussurrò solamente, scoccandogli un sorrisetto tirato.

Nella settimana dedicata all’addestramento venivano sospesi gli esperimenti e i test, la maggior parte dei quali causavano solo dolore e sofferenza.
Inoltre, Anthea poteva passare del tempo con il suo maestro, l’unico con cui possedeva un rapporto umano, un rapporto che sembrava diventare sempre più profondo.
Peccato che quei sette giorni volassero e l’orrore di quelli successivi venisse ad accoglierla troppo presto.

“Hai fatto enormi progressi. Diventi sempre più forte. Il Padrone ne sarà felice.”
“Perché sei così legato a lui?”
Wade la raggiunse e le posò le mani sulle spalle.
“Lui è il futuro, Anthea. E tu sei il diamante che gli permetterà di risplendere, ricordalo.”
“Io voglio che tutto questo finisca. Sono stufa di essere controllata.”
L’uomo l’ammonì con un solo sguardo.
“Lo hai sognato di nuovo, non è vero?”
Anthea arrossì, consapevole di essere stata scoperta.
“Come lo sai?”
“Diventi dannatamente ribelle quando lo sogni ed io potrei anche diventare geloso.”
La ragazza sbuffò, sottraendosi al suo tocco.
“È un gran bel biondo, ma rimane pur sempre un sogno, anche se …
“Cosa?”
“Nulla. Stanno arrivando i soldati.”
Wade alzò entrambe le sopracciglia, mostrando la propria perplessità, ma poi si limitò ad un alzata di spalle, consapevole di non poterla convincere a parlare contro la sua volontà.
Era testarda. Molto.

“Allora al prossimo mese, ragazzina. Vedi di comportarti bene.”

Anthea sbuffò, ma il respiro le si mozzò in gola quando Wade la strinse in un abbraccio, sussurrandole di tenere duro.
Poi se ne andò, come ogni volta, lasciandole addosso il suo odore di menta e nel cuore un doloroso gelo.

Non sarebbe più tornato dopo quel giorno.



                                                      ***



Presente

Era complicato. Troppo complicato.
Il nemico era anni luce davanti a loro e inesorabilmente possedeva il coltello dalla parte del manico. Poteva ferire, dilaniare, uccidere e nessuno sarebbe riuscito a bloccare l’inarrestabile avanzata verso lo scopo disegnato.
Opporsi diveniva sinonimo di suicidarsi.
I Demoni della Notte erano rimasti nell’ombra, indisturbati. Ma poi qualcuno aveva osato mettere in subbuglio i piani costruiti con calcolata perfezione, costringendoli a venire alla luce, animati da una ferocia degna delle bestie più pericolose.
Quel qualcuno l’avrebbe pagata.
L’avrebbe pagata soprattutto per aver sottratto loro il più bello e prezioso gioiello tenuto nascosto per anni al mondo.


Steve cacciò un grido strozzato, quando la lama fredda di un coltello gli dilaniò la carne, conficcandosi brutalmente nel fianco destro.
L’uomo del ponte teneva il Capitano bloccato con le spalle al muro, stringendogli la gola livida con la mano destra, mentre la sinistra, armata di pugnale, era impegnata a disegnare squarci sulla sua pelle.
“Fa male, non è vero?”
Rogers strinse i denti e chiuse con forza le palpebre, sentendo il pugnale rigirarsi nella carne.
Quello sconosciuto aveva una forza fuori dal comune.
“Sai, sapevo che prima o poi l’avresti condotta sulla cattiva strada. Eri entrato nella sua testa e l’hai allontanata da me, giorno dopo giorno. Non è forse così, ragazzino?”
Da quegli occhi di ghiaccio traspariva rancore e voglia di vendetta.
Steve si fece forza, cercando di tenere gli occhi aperti e ignorando il dolore straziante al fianco leso.
“Non so di cosa stai parlando” si sforzò di dire con tono duro, ma il suo parve piuttosto un lamento.
Oltretutto, quella risposta gli costò un ulteriore affondo del coltello, proprio sopra il taglio appena aperto.
Gridò, sotto lo sguardo compiaciuto dello sconosciuto.
“Non prenderti gioco di me.”
I freddi occhi di ghiaccio dell’uomo si piantarono in quelli caldi e color del cielo del Capitano, intimandogli di confessare una verità che non esisteva.

Rogers era di nuovo succube di quell’uomo, le cui intenzioni erano trasparenti.
Lo voleva morto.
Anche se quell’accanimento contro di lui e la voglia di vederlo soffrire non riusciva a spiegarseli. Forse aveva solamente a che fare con un sadico e fanatico del sangue.
Ma, chiunque fosse, se pensava che si sarebbe lasciato torturare come una ragazzino indifeso, si sbagliava di grosso, perché Capitan America sarebbe morto solo lottando e sarebbe caduto solo quando le forze lo avrebbero abbandonato completamente, impedendogli di rimanere in piedi.
Finché anche solo un briciolo di energia fosse rimasta nel suo petto, avrebbe combattuto il nemico a testa alta.

Steve sussurrò qualcosa di incomprensibile, costringendo l’uomo ad avvicinare il volto al suo.
“Cosa vai blaterando, ragazzino? Stai delirando per la mancanza di ossigeno, non è così?” lo prese in giro il moro.
Rogers sorrise lievemente.
“Attento alla testa.”
L’uomo del ponte alzò le sopracciglia con ostentata perplessità e il Capitano gli rispose con una testata micidiale sulla fronte, stordendolo per alcuni secondi, sufficienti per spingerlo via e colpirlo con un pugno in pieno viso.
L’avversario si portò le mani al volto, ringhiando inferocito.
Rogers approfittò della momentanea tregua per riappropriarsi dello scudo giacente a terra, alla sua sinistra.

“Piccolo bastardo, giuro che ti ammazzo, seduta stante.”

Il moro si scagliò su di lui con violenza, brandendo il coltello, il quale incontrò il vibranio dello scudo di Capitan America, emettendo un fastidioso stridio.
Steve si accorse che alcuni soldati nemici lo stavano accerchiando, pronti a saltargli alla gola appena ne avessero avuta l’occasione.

“Non vi azzardate. Lui è mio.”

L’uomo del ponte bloccò l’iniziativa dei suoi alleati, i quali, senza protestare, si dileguarono immediatamente.
Lo sconosciuto doveva appartenere agli alti ranghi dell’organizzazione ed infatti emanava la sicurezza e la fierezza di un capo.
Lo scontro riprese e la violenza dei colpi scambiati dai due uomini era tale da attirare l’attenzione di diversi sguardi, anche nel bel mezzo di quella baraonda.



“E quello chi diavolo è?”
Iron Man si perse un attimo ad osservare Rogers combattere con estrema difficoltà contro quello sconosciuto uscito da chissà dove, evidentemente superiore a tutti i soldati nemici presenti nell’enorme sala di controllo.
Si apprestò a raggiungere il compagno, ma le ombre oscure, come se avessero captato le sue intenzioni, si accanirono contro di lui, afferrandolo per le caviglie e tirandolo giù con forza, a terra.
Stark azionò i propulsori alla massima potenza, scivolando di schiena sul pavimento ed evitando che le dita acuminate delle creature gli dilaniassero l’armatura.
Cercò, attraverso l’elmetto, la figura di Anthea, ma la trovò impegnata a tenere a bada quattro ombre tutte assieme.
La ragazza appariva affaticata, forse perché creare il fuoco le costava un alto dispendio di energia ed infatti era già da un po’ che si limitava al combattimento corpo a corpo, evitando il controllo dell’elemento.
Il miliardario attivò la comunicazione a distanza, mentre teneva lontane le ombre grazie ai fasci di energia emessi dai suoi guanti.

“Nick, mi ricevi?”
Dovette attendere qualche secondo, ma la risposta non venne a mancare.
“Ti ricevo Stark. Cosa succede?”
“Sei nella sezione armamenti, giusto?”
Altri secondi di attesa.
“Affermativo.Vai al punto Stark.”

I nemici avevano assaltato il centro di controllo, quello di decollo ed infine la sezione armamenti, rendendo palese quello che era il loro scopo, ovvero assumere il comando dell’Helicarrier, sottraendo allo SHIELD la possibilità di collegarsi con le basi di terra e quella di combattere, attraverso la distruzione dei jet e di tutte le armi detenute all’interno della struttura.

“Sempre il solito scorbutico. Devi dire ai tuoi uomini di armarsi di lanciafiamme, perché solo il fuoco può distruggere le ombre. Sono anche lì, vero?”
“Sì e non vogliono morire. Farò come dici.”
“Appena avrai messo mano alle armi, cerca di spedire i tuoi uomini anche al centro di controllo. Abbiamo bisogno di un piccolo aiuto.”
“Tenete duro, cercheremo di arrivare il prima possibile.”
La comunicazione si chiuse subito dopo.

Iron Man azionò i piccoli missili nascosti nelle spalle dell’armatura e disintegrò le ombre che stavano tentando di sopraffarlo.
“Datti una mossa Nick o qui finisce male.”
Stark lanciò un’occhiata in direzione del Capitano, preoccupato.
Rogers le stava prendendo, ma ancora rimaneva in piedi. Era testardo il ragazzo.
Le creature, intanto, si erano già rigenerate ed erano pronte ad attaccarlo di nuovo e non gli avrebbero dato tregua, fino a quando non lo avessero distrutto completamente e definitivamente.



                                                           ***



Natasha combatteva come una furia, dotata però di estrema eleganza. I soldati nemici cadevano ai suoi piedi, uno dopo l’altro.

Clint continuava a tenerla d’occhio, cercando di nascondere la preoccupazione che gli stava ritorcendo lo stomaco.
Quanto tempo era passato dal momento in cui Loki le aveva occultato il dolore, permettendole di tornare a combattere? Mezz’ora? Un’ora? Un giorno?
Barton non lo sapeva, la cognizione del tempo gli era sfuggita di mano già dall’inizio di quel casino.
I Demoni della Notte stavano mettendo sottosopra l’Helicarrier, anche se il vero problema erano quelle creature oscure, praticamente immortali.
Non proprio immortali, dato che Stark gli aveva appena comunicato che potevano farle fuori arrostendole con il fuoco. Ma gli agenti dello SHIELD muniti di lanciafiamme ancora non si vedevano, perciò a tenere a bada quei mostri erano Thor e Hulk, i quali paradossalmente parevano divertirsi. I loro cervelli dovevano viaggiare sullo stesso binario.
Sfortunatamente, Occhio di Falco non aveva trovato un luogo abbastanza elevato da possedere una panoramica completa del centro di decollo, così si vedeva costretto a combattere a terra, alternando l’uso dell’arco al puro e semplice corpo a corpo.

La Romanoff gli scivolò di fianco, dopo aver steso un paio di nemici contemporaneamente.
“Clint concentrati. Sei distratto” lo rimproverò, prima saltare sulle spalle di un omone simile ad un armadio e stenderlo grazie ai morsi della Vedova.

Barton, con lo sguardo fisso sulla donna, scagliò una freccia alla sua sinistra, colpendo in pieno un soldato. Le sorrise malizioso.
“Mai stato più concentrato, come puoi vedere.”

Natasha gli scoccò un’occhiataccia che diceva chiaramente “smettila di fare lo scemo o vengo lì e ti prendo a pugni”.
Clint sembrò recepire il messaggio e mimò con la bocca un “Okay, la smetto”.
Se solo la rossa avesse saputo che la sua unica distrazione era lei e nient’altro che lei.
Barton non credeva in Dio, ma lo avrebbe pregato in ginocchio per evitare che le succedesse qualcosa di irreparabile. Loki aveva parlato chiaramente e le sue parole risuonavano come un cantilena agghiacciante nella sua testa.

“Ma sappi che la magia dura solo alcune ore, dopo le quali proverai un dolore talmente intenso, che potrebbe danneggiare le tue facoltà celebrali, oppure potrebbe non farlo.”

Quel maledetto ma era stato un chiaro avvertimento da parte di Loki, eppure Natasha aveva accettato lo stesso quella condizione che avrebbe potuto condurla alla rovina.

Barton rotolò di lato, sfuggendo alla carica di un nemico, poi balzò in piedi e cominciò a liberare la strada per raggiungere il dio dell’inganno, intento ad affrontare una delle ombre.
Quando lo raggiunse, Loki aveva appena congelato la creatura oscura, divenuta una raccapricciante statua di ghiaccio.
“Vengono uccise solo dal fuoco” gli fece presente Occhio di Falco.
“Lo so, sono anime di peccatori richiamate da qualche potente magia oscura. Sfortunatamente non sono un tipo molto caloroso, ma in questo modo rimarranno bloccate per un po’.”
Clint assimilò velocemente l’informazione riguardante l’entità delle ombre, archiviandola poi da qualche parte nel suo cervello. Ci avrebbe riflettuto dopo, se ci sarebbe stato un dopo.
“Quanto le manca?”
Il tono della voce era impregnato dell’ansia che si agitava nel suo stomaco e nel suo cuore.
“Non c’è un tempo prestabilito” gli rispose tranquillamente Loki, guardandolo negli occhi.
Barton scagliò tre frecce, due a destra e una a sinistra, ringhiando.
“Sapevi che lei avrebbe accettato.”
Gli occhi del dio brillarono, ma non sorrise. Si limitò a scuotere lievemente il capo, facendo oscillare i lunghi capelli nerissimi.
“Sarebbe un vero peccato se non sopravvivesse. È una donna interessante, ma dopotutto è stata lei ad accettare.”

Un boato fece tremare il pavimento.
Clint osservò Loki alzare gli occhi al cielo e mormorare un “solito esibizionista” diretto a Thor.
Il biondo aveva appena sfoderato l’artiglieria pesante, richiamando il potere del tuono grazie al Mjolnir.

“Che cosa ti trattiene dal rivoltarti contro di noi? L’occasione è quella giusta.”
Clint Barton aveva ancora una ferita aperta, sanguinante, causatagli proprio da quel dio desideroso di possedere un trono.
Ricordava il suo corpo muoversi contro la propria volontà e compiere il gesto che ancora animava i suoi incubi peggiori. Aveva cercato di uccidere Natasha, la sua Natalia.
Sognava di piantarle una freccia del petto, di vederla crollare a terra morta, con gli occhi verdi spalancati e nella gola una parola rimasta cristallizzata.
Perché?
Occhio di Falco scacciò via quell’orrenda immagine, tornando a concentrarsi su Loki, che decise di concedergli una risposta.
“Devo terminare una conversazione con una persona e lei è schierata dalla vostra parte.”
Anthea.
Barton doveva forse rivalutare quella ragazza.



Hulk afferrò due ombre e le fece scontrare, mandando in frantumi le loro teste. Ruggiva infuriato, ogni volta che vedeva le creature rigenerarsi.
Non era fuori controllo, perché sapeva bene chi era il nemico e quali, invece, erano i suoi amici.
La rabbia era stata scatenata proprio nel momento in cui quelle creature oscure avevano osato far del male a uno dei suoi compagni.
Il gigante verde era violento, brutale, un nervo scoperto di pura rabbia, ma incapace di tradire e capace di distinguere il Bene dal Male con una facilità disarmante. Hulk non era poi così diverso da Banner, solo più grosso, verde e non spiccava per il suo genio, ma nel petto batteva un cuore, un cuore buono, lo stesso cuore di Bruce.
Hulk era leale come pochi, si sarebbe sacrificato per coloro che lo avevano accettato e capito, senza pensarci un attimo.
Forse l’unica persona di quel gruppo di persone straordinarie che faticava ad accettare la sua presenza era proprio Bruce Banner, ma avrebbe cambiato idea, doveva solo togliere i paraocchi e rendersi conto di quella che era la verità.
Hulk è buono e verde, il colore della speranza.

Un altro fulmine fece vibrare ogni millimetro della base.
Thor roteava il martello, rimanendo sospeso a mezz’aria. Sorrideva e gli occhi azzurri brillavano di luce propria, animati dall’esaltazione per la battaglia. Nelle vene percepiva scorrere il potere del Mjolnir, estensione del suo braccio e fulcro di un potere accessibile solo ai degni.
“Questi mostri non conoscono la morte” ringhiò, osservando un’ombra risorgere dalla pozza scura che era divenuta quando l’aveva colpita con il fulmine.
Le forze non erano infinite nemmeno per Thor e sembravano scemare anche troppo velocemente. La sua attenzione era divisa su due fronti: combattere le creature oscure e controllare Loki, che sorprendentemente li stava aiutando nello scontro e non sembrava voler approfittare della situazione propizia. Ciò rendeva Thor fiducioso di poter un giorno riavere indietro il fratello amato.
Non gli importava un accidente se era uno jotun, il suo affetto era rimasto immutato, anche se provato dai tradimenti che il dio dell’inganno gli aveva inferto.
Roteò ancora il martello, che venne circondato da scariche elettriche di un blu scintillante.
Poco dopo il rombo del tuono risuonò come un mostruoso ruggito.



                                                 ***



Okay, non stava andando poi così male. Riusciva più o meno a tenerlo a bada, anche se continuava ad indietreggiare, spinto dai poderosi colpi del nemico.
Parò l’ennesimo affondo del pugnale con lo scudo e rispose con gancio destro, che sfortunatamente venne intercettato e schivato.
L’uomo del ponte lo disarmò del cerchio in vibranio con un calcio e subito dopo ne assestò un altro dritto allo stomaco. Steve si piegò in avanti, tossendo, prima di essere afferrato per i capelli e trascinato fino alla collisione contro lo schermo di un computer, che emise tante piccole scintille. Barcollò intontito, tentando di rimanere in piedi, ma un calcio in pieno petto dotato di una forza poderosa lo spinse indietro, facendolo cadere sulla schiena e scivolare lungo il pavimento per alcuni metri.
Rogers si mise gattoni e scosse la testa per far sparire le lucine che continuava a vedere ogni qual volta cercasse di mettere a fuoco. A tentoni cercò un appoggio e le mani trovarono una superficie liscia e vetrosa. Quando gli fu concesso di riavere le proprie facoltà visive, si accorse di trovarsi davanti l’enorme vetrata, la quale offriva l’incantevole vista di un tramonto rosso come il fuoco.

Il Capitano sussultò quando il suo stesso scudo si piantò nello spesso vetro, a pochi centimetri dalla testa.

“Mancato.”

Il moro era alle sue spalle e gli assestò un calcio sul fianco leso, facendolo gemere.
Steve si tirò su e si appoggiò con la schiena all’enorme vetrata, usandola come sostegno.

“Devi sapere che il Padrone concede poteri straordinari a chi ritiene meritevole.”

Un ondata d’aria lo investì con la stessa potenza di un treno in corsa, facendogli mancare il respiro. Rogers si coprì il volto con le braccia ed un suono particolare catturò la sua attenzione.
Il vetro alle sue spalle si stava incrinando e, da un momento all’altro, avrebbe ceduto sotto la pressione di quel vento creatosi dal nulla.
Il moro, però, si bloccò prima che fosse troppo tardi.

“Sei sopravvissuto alla caduta dal ponte sospeso. Chissà se riuscirai a cavartela anche questa volta.”

Steve spalancò gli occhi, azzardando un tentativo di reazione, ma ogni movimento gli venne bloccato dalle mani del moro, che gli afferrò le braccia e prese a sbatterlo ripetutamente contro la porzione di vetro alle sue spalle, la quale ad ogni colpo si intesseva di nuove e più articolate incrinature, emettendo suoni davvero preoccupanti.
A nulla servì l’opposizione del Capitano. I troppi colpi in testa lo stavano praticamente annullando e se fosse sopravvissuto, sperava di ricordare almeno il proprio nome.
Una sferzata di aria gelida gli carezzò il volto, segno che il vetro aveva ceduto in qualche punto e che mancava poco che si infrangesse completamente, lasciandolo cadere nel vuoto.

“Wade! No!”

Steve osservò l’uomo sbiancare e perdere lucidità, nel momento in cui quella voce ormai familiare arrivò alle loro orecchie, superando il caos dilagato nel centro di controllo.
Approfittò della distrazione del nemico per liberarsi dalla sua presa e colpirlo con un pugno in pieno stomaco, scivolando poi lontano dalla vetrata.
Il moro si riprese velocemente e con la manica della divisa si pulì il rivolo di sangue colatogli da un angolo della bocca.
Subito dopo, il suo sguardo si fissò su un punto alle spalle del Capitano, che non ebbe la necessità di voltarsi, dato che sapeva perfettamente chi avesse attirato l’attenzione dell’uomo.

“Sono passati solo un paio d’anni dall’ultima volta che ci siamo visti, eppure sei cresciuta parecchio.”

Anthea raggiunse Rogers e rimase al suo fianco, mantenendo lo sguardo fisso sull’uomo dagli occhi di ghiaccio.
“Tu sei sempre lo stesso, invece. Non è così, Wade?”

Il moro rise, scuotendo il capo.
“Sai che tornerai con noi alla fine, è solo questione di tempo.”
La giovane contrasse la mascella e strinse i pugni.
“Io non voglio” affermò decisa, ignorando il sudore freddo lungo la schiena, dovuto a quell’incontro inaspettato e non desiderato.
“Peccato che tu non abbia il privilegio di imporre la tua volontà. Il tuo destino è uno ed uno soltanto, non possiedi altre strade.”
Anthea percepì un forte dolore nel petto, perché quelle parole facevano male, soprattutto quando ti erano state inculcate nella testa come una verità assoluta ed imprescindibile, al di fuori della quale esisteva il nulla.

“Siamo noi a creare il nostro destino. Lei avrà la vita che merita, con o senza la vostra approvazione.”
Steve le poggiò una mano sulla spalla. A quel tocco, Anthea sembrò riprendersi e finalmente cercò con lo sguardo quei bellissimi occhi chiari, in grado di placare le tempeste che si scatenavano nel suo animo fragile.

Steve Rogers trasmetteva sicurezza, fiducia e calore e pochi possedevano tale capacità.
Non era qualcosa che si poteva imparare o insegnare, ma era una qualità innata, preziosa e rara, la quale, coltivata nel modo giusto, avrebbe condotto alla grandezza d’animo.

Wade ringhiò inferocito alla vista dell’intesa creatasi tra i due e stese le mani in avanti, spostando un enorme massa d’aria e creando una potente tromba d’aria che interessò chiunque si trovasse nella sala di controllo.

Steve si sentì tirare indietro dalla presa delicata di Anthea sul suo braccio. Corsero veloci per evitare di essere risucchiati dal vortice, che iniziò a crescere, inghiottendo al suo interno qualunque cosa o chiunque fosse troppo vicino, sia alleati sia nemici.

“Via di qui” gridò Capitan America, rivolto ai diversi agenti dello SHIELD, che obbedirono all’istante, dirigendosi verso l’uscita del centro.
Sfortunatamente, alcune ombre si piazzarono lì davanti e si fusero assieme, creando un muro impenetrabile.
Rogers prese a colpirlo con forza, ignorando il dolore alle nocche, ma riuscì solo a scalfirlo appena. Ciò non lo indusse a fermarsi. Continuò ad accanirsi contro di esso, usando anche gomiti e ginocchia.
“Dannazione!” gridò con rabbia, poggiando la fronte sulla parete fredda ed oscura. Respirava affannosamente, a causa dello sforzo risultato vano.
La tromba d’aria diveniva sempre più grande e come un magnete attira a sé il metallo, essa risucchiava persone e oggetti, spezzandoli con inaudita violenza.

“Stark!” chiamò il Capitano, tramite la ricetrasmittente.
Ma Iron Man non poteva rispondere in quel momento, troppo occupato a evitare di essere ucciso dal resto delle ombre e a tenersi lontano dal potente vortice.
Rogers si voltò a guardare Anthea, sperando nel suo aiuto, ma lo sguardo di lei non prometteva nulla di buono.
“Non ho energia a sufficienza, Steve. Mi dispiace.”
Non era esattamente la verità, ma non poteva toccare quel potere oscuro tanto grande quanto pericoloso, perché non era capace di gestirlo, non ancora, e non voleva rischiare di …

… strage.

Capitan America strinse i pugni, indietreggiò di qualche passo e caricò il muro, colpendolo con una spallata. Lo fece ancora, ancora e ancora.
La parete oscura vibrava ad ogni colpo e profonde crepe andavano segnando la sua superficie levigata.
Rogers si fermò un istante per riprendere fiato, poi riprese l’assalto. Il vento gli sferzava il viso con forza, segno che la potenza del vortice cresceva, facendosi più vicina. Strinse i denti quando la spalla prese a dolergli ad ogni impatto, ma non poteva fermarsi, c’erano delle vite in gioco.

“Capitano Rogers, la aiutiamo noi.”

Steve si bloccò e trovò al suo fianco un giovane soldato dello SHIELD insieme ad altri tre, visibilmente più maturi.

“Okay. Insieme.”

All’unisono colpirono la parete, mantenendo un ritmo elevato, e finalmente il muro cedette, crollando su se stesso e liquefacendosi subito dopo.

“Avanti, uscite prima che si rigeneri.”
Il Capitano avrebbe sempre posto davanti i suoi soldati ed il giovane che lo aveva aiutato gli rivolse uno sguardo colmo di rispetto e gratitudine.

“Tu non vai da nessuna parte!”
Il grido di Wade arrivò a Steve, superando l’ululato del vento.
“No, infatti.”
Rogers corse verso di lui e verso la tromba d’aria. Con tutta la forza che possedeva, il super soldato si oppose al vortice e vi passò nel mezzo, ignorando quella forza invisibile che tentava di spazzarlo via. Si lanciò sul moro, lo afferrò per la vita e lo gettò a terra, approfittando della sua incredulità. Si mise a cavalcioni su di lui e lo colpì ripetutamente in viso, guidato dalla rabbia.

La tromba d’aria, intanto, era sparita.

Wade era spiazzato e non riusciva a sottrarsi a quell’attacco dotato di una potenza mostruosa. Non capiva da dove il soldato tirasse fuori quella forza, dato che qualche minuto prima avrebbe potuto ucciderlo con estrema facilità.

Rogers lo afferrò per un braccio e lo scagliò contro la vetrata, che andò in frantumi, permettendo a un’ondata di aria fredda di entrare nella struttura.
Wade aveva rischiato di fare un bel volo, ma era riuscito ad aggrapparsi ai bordi della parete di vetro, ferendosi le mani e tirandosi dentro.
“Tu non puoi battermi” soffiò, mentre riprendeva fiato.
“A quanto pare posso” fu la risposta del Capitano, i cui occhi azzurri brillavano di una rinnovata luce.
Steve Rogers non era pienamente consapevole della propria forza e non ne conosceva i limiti. Questa forza, però, non tardava a venire fuori, di fronte a tali uomini spregevoli.

Wade tirò fuori una pistola, ma non fece nemmeno in tempo a puntarla sul ragazzo, che un fascio di energia azzurra lo colpì in petto, facendolo stramazzare a terra, privo di sensi.

Ehilà Cap” salutò Iron Man, facendo ciao ciao con la mano e atterrando al fianco del super soldato.
Steve sorrise.
“Tu non eri occupato, Stark?”
“Sono arrivati i rinforzi.”
La mano metallica dell’armatura batté una pacca sulla schiena del Capitano, facendolo gemere.
“Ops! Scusa, vecchio rottame.”
L’occhiata omicida di Rogers intimò a Stark di smettere di dire cretinate, ma la pace sarebbe durata troppo poco, come sempre.

Gli agenti dello SHIELD erano arrivati, armati di lanciafiamme. Le ombre lanciavano grida acute e stridule, mentre il fuoco le avvolgeva, trasformandole in cenere.

“Sezione armamenti in sicurezza.”
La voce di Fury risuonò nelle ricetrasmittenti dei Vendicatori.

La situazione si stava finalmente ribaltando e lo SHIELD stava prendendo il sopravvento sul nemico.
Gli Avengers avevano reso inoffensiva la maggior parte dei soldati appartenenti ai Demoni della Notte ed erano riusciti a tenere a bada le ombre, permettendo a Fury di organizzare una controffensiva, grazie anche alla preziosa informazione fornita da Anthea riguardante il punto debole delle creature oscure.
Insieme, anche disorganizzati o presi di sorpresa, i Vendicatori erano in grado di affrontare le situazioni più disperate e, aiutati dalla Buona Stella che pareva brillare dalla loro parte, riuscivano ad uscirne non proprio sani ma salvi, almeno.

Sfortunatamente, non era ancora finita. Era troppo presto per cantare vittoria.

“Centro di controllo in sicurezza” comunicò Rogers, mentre osservava alcuni agenti SHIELD ammanettare e portare via Wade, ancora privo di sensi.

“Capitano” era la voce di Clint e pareva piuttosto agitata.
Brutto segno.
“Ti ricevo, Barton.”
“Raggiungeteci al centro di decollo, adesso. C’è qualcosa che dovete vedere. Assolutamente.”
“Arriviamo.”

Steve lanciò uno sguardo d’intesa a Tony, che aveva ascoltato la comunicazione attraverso l’elmetto dell’armatura.
I due Vendicatori si diressero all’uscita del centro di controllo, per immettersi poi nell’intricato labirinto di corridoi tanto odiato da Rogers e già perfettamente scannerizzato da Stark, grazie all’aiuto di JARVIS.

Anthea si costrinse a distogliere lo sguardo dal corpo inerme di Wade, trascinato malamente da alcuni agenti. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che lo aveva visto.
Lui l’aveva tradita, si era preso gioco di lei.
Lo avrebbero torturato per carpire informazioni sui Demoni della Notte e lui non avrebbe parlato, nemmeno se minacciato di morte.
Non avrebbe mai tradito il Padrone.
La ragazza si apprestò a seguire Steve, mentre si faceva largo in lei un senso di oppressione e agitazione. Aveva i brividi lungo tutto il corpo e sentiva freddo e caldo allo stesso tempo.
C’era solo un’entità che possedeva la capacità di farla sentire tanto scombussolata e vulnerabile.
Il Padrone.



                                                 ***



Anche tutte le ombre del centro di decollo erano state tramutate in polvere.
Natasha e Clint avevano steso gli ultimi nemici, mentre Thor ancora cercava di capire come del semplice fuoco avesse ucciso le creature oscure e Hulk, placata la rabbia, tornava ad assumere le sembianze del gentile dottor Banner, coperto solo da un paio di pantaloni stracciati e ormai da buttare.
Occhio di Falco stava per comunicare il buon esito dello scontro, quando qualcosa di incredibile e altrettanto spaventoso aveva monopolizzato l’attenzione di tutti coloro abbastanza vicini da poter assistere ad una scena tanto inquietante.
Un uomo morto aveva ripreso vita improvvisamente e adesso era sospeso a mezz’aria, con la testa penzolante sulla destra a causa del collo spezzato.
Blaterava parole incomprensibili, attraverso una voce demoniaca, profonda e brutale, dal tono alto e possente.
Barton teneva una freccia puntata su di lui, pronto a qualunque evenienza.
Ma come si uccideva un uomo già morto?

Steve e Tony, appena arrivati, ci misero qualche istante prima di metabolizzare ciò che si erano ritrovati ad osservare, rapiti ed increduli.

“Okay, questo è peggio dell’Esorcista.”
Stark rise all’occhiata interrogativa del Capitano.
“Giusto, tu non l’hai visto. Ma rimedieremo Rogers, tranquillo.”

Natasha li raggiunse, non nascondendo il nervosismo per quello strano fenomeno, preludio di altri guai.
“Che ne pensi, Capitano?”
Steve si grattò la nuca, sbuffando esasperato e cercando di afferrare il senso del monologo dell’uomo sospeso, senza risultati.
“Avviciniamoci. Raggiungiamo Barton.”
Si mossero tra la folla di agenti e a loro si aggregarono Thor, Bruce e Loki.
Anche il dio dell’inganno pareva essere stato rapito da quell’evento, degno dell’azione di un demonio.

“Non è una lingua appartenente a questo mondo” constatò Banner, incrociando le braccia sul petto nudo.
“Vero” confermò Tony.
Intanto l’uomo, a due metri da terra, continuava il proprio monologo, simile ad una cantilena agghiacciante senza capo né coda.

“È un richiamo.”
Tutti gli occhi saettarono sulla figura di Loki, che non si dilungò in spiegazioni, dato che non ne aveva voglia, senza contare che lei era arrivata.

Anthea camminò dritta, verso colui che richiedeva la sua presenza attraverso il guscio vuoto di un uomo senza vita.
La mano di Steve le strinse un braccio, nel tentativo di fermarla, ma lei si limitò a sorridergli e a scuotere il capo, invitandolo a lasciarla andare.
Steve mollò la presa, titubante, e Anthea tornò a rivolgere l’attenzione all’uomo sospeso.

“Sono qui.”

Il fantoccio spalancò gli occhi, tenuti chiusi fino a quel momento, rivelando il loro colore rosso come il sangue.
La ragazza tremò, consapevole di trovarsi davanti a Lui, o almeno al suo spirito. Se si manifestava in quel modo, significava che la situazione stava degenerando e che il tempo stringeva.

“Ti concedo tre giorni, dopo i quali verrò a prenderti io stesso.”

Quello era un ultimatum, il quale, non rispettato, avrebbe condotto tutti alla morte.
Dalla bocca del cadavere continuò a venire fuori la voce del Padrone, voce che Anthea conosceva fin troppo bene.

“Se ti opporrai ancora al mio volere, farò in modo che tu soffra come mai prima. Ti distruggerò dentro.”

La ragazza, che aveva patito le pene dell’inferno per anni, non riuscì nemmeno ad immaginare quale dolore avrebbe potuto infliggerle affinché soffrisse oltre ogni limite. Non capiva, inoltre, il significato delle ultime parole del demone.
Come una persona poteva essere distrutta dentro? C’era dolore peggiore di quello causato dalle torture che aveva subito?
E poi l’illuminazione.
Il pensiero si rivolse ad un determinato momento, vissuto nemmeno due giorni prima e ancora dannatamente nitido nella sua mente.
Steve che moriva a causa delle ferite infertegli dalla Bestia.

Le mani tremanti che premevano sul petto del ragazzo, nel tentativo di dare forza al suo cuore.
Le preghiere sussurrate affinché non la lasciasse.
L’isteria trattenuta a stento.
E il dolore lancinante a mangiarla dentro, a farle mancare il respiro, a farle desiderare di morire se solo non fosse riuscita a salvarlo.


Anthea allora capì che cosa il Padrone intendesse fare e ne ebbe paura.
Si chiuse nel suo guscio fatto di mutismo, ignorando gli sguardi di tutte le persone che la circondavano, ma percependo il peso degli occhi azzurri di colui che era inevitabilmente divenuto il suo punto più debole.

Intanto, l’uomo posseduto, caduto a terra con un tonfo, era tornato ad essere un freddo cadavere.
Un vortice oscuro, simile ad un buco nero, prese forma nel mezzo del centro di controllo e i Demoni della Notte vi saltarono dentro, battendo in ritirata.
Ecco spiegato come erano entrati nell’Helicarrier indisturbati.

“Quello deve essere una specie di portale” asserì Tony, avvicinandosi.
A pochi passi dal vortice venne respinto indietro da una forza invisibile e cadde a terra.
“E ci vuole anche un pass speciale per attraversarlo” affermò convinto Barton, osservando Iron Man rimettersi faticosamente in piedi.

Lasciarono che i nemici scappassero, dato che avevano già messo sotto chiave l’uomo più importante e forse l’unico che avrebbe potuto dare loro informazioni essenziali.
Gli altri erano tutti pesci piccoli e molto probabilmente non sapevano nulla dei reali piani del Padrone.
Quando il portale si richiuse, lo SHIELD poté finalmente tirare un sospiro di sollievo, poiché la battaglia era stata vinta.

Ma non la guerra.

I minuti successivi furono governati da un via vai di agenti, intenti a riprendere le postazioni e a rimediare ai danni causati dal nemico.
A coordinare le azioni era la Hill, mentre Coulson si occupava di scortare nelle celle il prigioniero per eccellenza.
Wade, stranamente, non sembrava opporre alcuna resistenza e si limitava a camminare a testa bassa, lasciando che lunghi ciuffi mori gli nascondessero lo sguardo di ghiaccio.

“Che ne dite di tornare alla Tower?”
La domanda del tutto inaspettata richiamò all’attenzione i Vendicatori, ancora fermi intorno al cadavere che era stato posseduto dal Padrone.
Stark inarcò il sopracciglio destro, nell’attesa che qualcuno dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Gli ultimi avvenimenti erano stati sconvolgenti, tanto da far passare in secondo piano la stessa presenza di Loki.

Tony stava per parlare ancora, quando un grido agghiacciante costrinse tutti a voltarsi verso Natasha.
La donna si teneva la testa tra le mani, gli occhi erano serrati con forza e violenti tremiti le scuotevano il corpo.
Clint fu subito da lei e la sorresse, evitando di farla crollare a terra.
“Nat cosa succede?”
La Romanoff non riusciva a trattenere le urla di dolore e ai lati degli occhi si affacciavano piccole lacrime.
“Loki, dimmi come si ferma tutto questo.”
Quello di Barton era un ordine e se non fosse stato impegnato a tenere tra le braccia il corpo tremante della compagna, avrebbe minacciato il dio, puntandogli una freccia in testa.
“L’avevo avvertita” si limitò a rispondere il diretto interessato.
“Di cosa state parlando?”
Non arrivò risposta alla domanda di Bruce ed intanto Natasha si contorceva, dilaniata dalla sofferenza.
“Portiamola in infermeria, veloci” fu l’ordine di Rogers.
“Non servirà a nulla. Il processo non può essere fermato.”
“Di cosa parli, piccolo cervo?”
“Quale oscura magia le hai inferto, fratello?”
“Lei ha accettato.”
“Loki, fai immediatamente qualcosa, o una freccia nel bulbo oculare non te la toglie nessuno questa volta.”

Tra le grida della rossa e l’agitazione dei Vendicatori, Anthea si fece avanti e raggiunse l’arciere.
“Lascia fare a me. Stendila a terra.”
Calò il silenzio e l’attenzione confluì sulla giovane.
Barton obbedì senza fiatare, ponendo il corpo della Romanoff sul pavimento.
Avrebbe fatto di tutto per stappare Natasha da quella tortura atroce, anche concedere a quella ragazzina una possibilità.

Anthea si inginocchiò al fianco di Natasha e le prese il viso tra le mani, mentre Clint cercava di tenerla ferma.
Gli occhi della ragazza assunsero il colore dell’oro e brillarono intensamente, mentre il corpo esile si tendeva all’inverosimile.
La Vedova Nera smise di contorcersi e le grida vennero sostituite da gemiti bassi e rauchi, i quali cessarono quando perse i sensi, stremata.

“Deve riposare. Sarà meglio che la portiate nella sua camera.”

Barton non se lo fece ripetere. Prese la donna in braccio e si incamminò verso i dormitori, seguito dagli altri.

Steve, però, rimase ad osservare Anthea, ancora in ginocchio.
La ragazza respirava a fatica, il viso era pallido e il corpo le tremava visibilmente, nonostante cercasse di nasconderlo.
“Ehi, è tutto okay?”
Rogers le tese la mano e lei l’afferrò, tirandosi su con uno sforzo esagerato e stringendo i denti, per ricacciare indietro le grida che le premevano sulla gola. Strinse forte la mano calda del Capitano, che istintivamente l’attirò a sé, facendole poggiare la fronte sul suo petto.

Steve ignorò il dolore di tutte le ferite che gli erano state inferte durante la battaglia. Doveva essere forte per lei, adesso, perché lei aveva bisogno di un capo saldo a cui aggrapparsi.

“Anthea, cos’hai? Rispondi, ti prego.”
La ragazza si accostò di più a lui, stringendolo per i fianchi.
“Scusami” balbettò incerta.
Voleva il suo perdono, voleva sentire di nuovo il legame tra loro, voleva spiegargli tutto, voleva che sapesse la verità.
Ma Steve non disse nulla. Si limitò a carezzarle i lunghi capelli color miele, ascoltando i tremori che le percorrevano il corpo.
“Mi dici cosa ti succede?” riprovò.

“Nulla si crea e nulla si distrugge, Steve Rogers.”
Loki, fermo sulla soglia dell’uscita del centro di decollo, osservava la scena con un certo divertimento.
Nonostante ciò, Steve non pensò nemmeno un istante di allontanare la ragazza.
“Cosa significa?”
“Non ci arrivi da solo? Lei non fa sì che il dolore svanisca, ma lo incorpora e soffre al posto della vittima che soccorre.”

Rogers spalancò gli occhi e la consapevolezza lo colpì come un getto di acqua gelata.
Tutte le volte che l’aveva guarito, Anthea aveva sofferto al posto suo, ospitando in sé il dolore che gli apparteneva.

“Tu ed io dobbiamo parlare.”
Era un ordine, ma Steve aveva pronunciato quelle parole con una certa dolcezza.

“Sì” sussurrò lei e lo strinse ancora.







Note
Eccoci arrivati alla fine di questo capitolo!
Grazie a tutti coloro che leggono e seguono questa storia, a cui mi affeziono sempre di più, capitolo dopo capitolo.
Cosa ne pensate, allora?
Anthea vi piace?
Spero di ritrovarvi anche ai prossimi capitoli.
Un abbraccio e alla prossima <3

Ella
   
 
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