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Autore: Queen of Superficial    11/01/2015    2 recensioni
«La maglia dei Kasabian, le camere da letto comunicanti con il tubo dei pompieri, la terra sotto i nostri piedi che sembrava assecondare i nostri passi ogni volta che ci muovevamo per incontrarci. Vicini, eterni, imbattibili.
Poi, la vita.
La vita spesso ha un modo suo di rivelarti le cose. Non te le dispiega davanti come un elenco, una certezza, non te le sottolinea in rosso tre volte per fartele identificare come importanti. No. Le insinua. Silenziosamente. Inesorabilmente. Piccole biglie che si incollano l'una all'altra per creare un disegno, filtrare una luce. Ti rendono edotto di quale sia la realtà, e ti dicono che non importa se quelle che hai vissuto fossero solo illusioni, purché siano state belle.»

Sequel di "Niente virgolette nel titolo". Perché? Lo sa Dio.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Povera Ria Montague; tra tutti quanti
proprio a me dovevi capitare.

 

(Narratore esterno)

 

 

“Nell’esperienza del dolore esistono situazioni in cui
la certezza di un futuro sollievo spesso permette
una capacità di sopportazione sovrumana.”
- William Styron,
Un’oscurità trasparente

 

 

“Ripetimi ancora una volta come sono andate le cose. Sei andato a cena con Kate?”
“Sì, sono andato a cena con Kate.”
“E lei era d’accordo, no?”
“Certo che era d’accordo. Ha detto che era d’accordo.”
“E poi che è successo?”
Lui non rispose. Andrea O’Malley, Ann, piantò le mani sui fianchi e smise per un momento di fare su e giù per la stanza. Avvertiva l’improvviso, incontestabile impulso di tirare qualcosa contro il muro. Qualunque cosa. Perciò, lo fece; prese il portacenere di ebano che le aveva portato Ria dal Kenya e lo lanciò con tutta la forza che aveva contro la parete di fronte a lei. Lui non diede segno di essersene nemmeno accorto. Fissò il nulla, chiedendosi perché non era con Brian, o con Matt, o più probabilmente a casa, in California. Lontano.
Ann era furibonda. Con lui, con lei, con la vita che insisteva a metterla in quelle situazioni e con se stessa, per essere stata disposta a sopportare molto più di quanto riusciva in nome di quella fiamma mai spenta, mai sopita, che le ardeva nello stomaco ogni volta che l’odore di lui era nei paraggi, ogni volta che qualcuno ne pronunciava il nome o che le arrivava una fotografia sullo smartphone dove abbracciava una donna che non era lei.
Imprecò in gaelico, flettendo le ginocchia e prendendosi la testa tra le mani; poi si costrinse a calmarsi e lo fissò. Seduto sul divano, guardava a terra e una sigaretta dimenticata gli fumava tra le dita. Negli occhi non c’era niente, nemmeno la eco di un pensiero dolente. Nulla.
“Lo sai, perché me ne sono andata, quella sera, dopo che avevamo cercato di sabotare l’articolo al Sun? Lo sai? Perché mi sono improvvisamente accorta, con la chiarezza di un ictus, che avevo sopportato l’insopportabile per molto più tempo di quanto gradirei ricordare. Siete folli, e pericolosi, e mi fate paura.”
Ecco, l’aveva detto. Si lasciò andare sulla poltrona che faceva angolo con il divano, salvo poi saltare su appena si ricordò che anche quella poltrona era un regalo di lei. Era la preferita di Ann, nella casa della sua amica a Milano; quando si era trasferita, gliel’aveva fatta recapitare direttamente a Londra, con un biglietto che diceva yours, R.
Non aveva mai capito, Ann, se quell’yours si riferisse a un affettuoso saluto che sottolineava un’appartenenza, oppure alla poltrona. Cosa importava? Non era la prima né l’ultima cosa che apparteneva a Ria che Ann avesse voluto, né di certo la prima che si presentava senza preavviso a casa sua. Un’altra, ad esempio, era seduta in quel momento sul divano. Ann gli si inginocchiò davanti, cercando il suo sguardo che continuava a sfuggirle: “Jimmy.”, lo chiamò.
Lui si riscosse, e posò gli occhi dentro quelli di Ann: lei desiderò che non lo avesse mai fatto. Anche quando erano insieme, anche se non erano mai propriamente stati insieme, lui era lontano, ma non così irraggiungibile; allora, c’era una parte di lui che riservava solo a lei, e Ann se ne accorgeva. Ma non questa volta.
“Non è mai uscito, quell’articolo.”
“No.”
“Perché tu hai parlato con Kate.”
“Sì.”
Ann si rialzò in piedi e si guardò confusa intorno, alla ricerca di qualcosa da bere. C’era sempre della tequila, a casa sua; non si poteva mai sapere quale membro del disastrato clan Montague le sarebbe piombato a casa distrutto, devastato dalla vita e dall’altrui comportamento.
Cercò di ricordare dove l’avesse messa, quando, improvviso, un pensiero le punse un fianco, e si coprì la bocca con le mani.
“Sei stato a letto con Kate”, soffiò senza punteggiatura, un’idea così assurda che le fece bruciare gli occhi di lacrime.
“Ovviamente no.”
“E allora Ria è pazza.”
Inaspettatamente, inusitatamente, Jimmy sorrise al pavimento.
“Sì. Lo è sempre stata, e chi poteva saperlo meglio di me.”


*
 

Il cellulare risultava staccato. Ancora. Bliss abbassò l’iPhone e guardò piena di sconforto Fleur, che le restituì lo sguardo.
“Non è da lei.”, disse pensieroso Gregory Fleur, in tuta da ginnastica, assiso nella poltrona di Morgue Place con il suo solito atteggiamento di chi ha sbagliato secolo di almeno duecento anni.
“Vado nella city, ho dei bozzetti da consegnare.”, lo informò Bliss, infilandosi un lungo maglione nero, talmente lungo che le arrivava fin quasi alle ginocchia. Un maglione di Ria.
“A quest’ora?”
“Sì, il cliente c’è solo di sera. Tu non hai da lavorare?”, gli chiese, tanto per dire qualcosa. Da quando lei se n’era andata, le conversazioni languivano appiattite sul registro di chi cerca di mandare avanti comunque la vita, anche dopo che quella vita è uscita dalla porta insieme alla persona che la rendeva folle, terrificante, insensata. E familiare, accogliente. Vita.
“Ho lavorato abbastanza, oggi. Devo ancora revisionare un paio di recensioni, ma lo faccio domani.”
Bliss sospirò, avvolgendosi un foulard intorno al collo. Quello era suo, infatti aveva una discutibile fantasia tartan.
“Hai sentito Splinter?”, gli chiese ancora, cercando di suonare casuale.
“Sì, stamattina. Volevo parlartene un secondo. Dice che l’ha chiamata Nonna Willow, e che lei ha sentito Ria.”
Bliss lasciò cadere la cartelletta a terra, voltandosi di scatto: “Quando avevi intenzione di dirmelo? Cosa ha detto?”
“La nonna dice che sta bene.”
“Dov’è?”
“Non lo sappiamo.”
“Non l’ha detto alla nonna?”
“No, e se anche l’avesse fatto, la nonna non lo ha detto a noi.”
Sospirarono. “Beh, almeno qualcuno l’ha sentita.”, disse lei, raccogliendo il lavoro da terra.
“Io vado, allora.”
Uscendo, Bliss prese di nuovo in mano il biglietto che aveva trovato, settimane prima, sullo svuotatasche dell’ingresso.
Vado via. Starò bene. Ho una richiesta da farvi: abbiate pazienza con me, se potete. Abbiate pazienza anche questa volta. L’avete sempre avuta, e non so come ringraziarvi. Con amore, R.

 

*

 

“Io aspettavo notizie. Non so, sull’articolo, sulla vostra salute. Ho comprato il Sun tutti i giorni per settimane, per sapere se era andato tutto bene.”
C’era rimasta male anche per il fatto che nessuno era sembrato particolarmente interessato alla sua sparizione. Nessuno l’aveva chiamata, o le aveva scritto. Sembrava che non si fossero nemmeno accorti della sua assenza.
Jimmy non disse nulla, e lei capì che non era la giornata adatta per le rassicurazioni. Così, provò a chiedergli qualcos’altro.
“Com’è andata la cena con Kate, mi vuoi raccontare?”
“È andata bene.”
“Che vi siete detti?”
“Non ho molta voglia di parlarne.”
“D’accordo. Poi, cos’è successo?”
“Dovevo accorgermene. Prima della cena Ria mi aveva fatto tutto un discorso carico di dolore, c’erano le avvisaglie, c’erano e non le ho viste... Dovevo accorgermene.”
“Jimmy, per favore. Cosa è successo dopo la cena?”
“Sono tornato a casa, ho trovato Ria in terrazzo che fumava, al freddo, le ho detto entra, tesoro, e lei mi ha risposto che non era possibile che io fossi l’unica persona da cui tollerava essere chiamata tesoro. Poi mi ha detto che mi amava, ma che le si era spezzato qualcosa, all’altezza del cuore, e che ora non sapeva cosa farsene di un cuore così. Che, guardandosi indietro, anni di fotografie, di momenti, di videocassette, di ricordi le sembravano falsi come The Truman Show. Che le persone che aveva amato, che aveva considerato un guscio, una casa, contro tutto lo schifo che le era capitato nella vita, non facevano altro che recitare una parte. Che, in fin dei conti, eravamo tutti irrimediabilmente umani, egoisti e arroganti. Che le aveva spezzato il cuore lo sguardo di mia madre quando le aveva detto che mi amava, e che voleva stare con me. Uno sguardo rotto nel profondo, ha detto, come se le stessi dando una grande delusione. Ma io ti amavo, mi ha detto, che ci potevo fare? Sono solo una bambina. Lo sono sempre stata. L’anello debole, la ragazzina senza mamma, con il padre inaffidabile e crudele e nessuna radice, neanche una; quella di cui tutti si sentivano responsabili e a cui giuravano l’amore che si riserva a una figlia, a una sorella, alla cosa più importante del mondo. Mi ha guardato, Andrea, e mi ha detto tu, perfino tu mi hai mentito. Tutti mi avete nascosto che non eravate affatto quel che dicevate di essere, e lo sapevate, ma non è questa la cosa grave, sai? La cosa grave è che, quando poi è arrivato il momento di dimostrare quell’amore che tutti mi giuravano, nessuno di loro lo ha fatto. Tua madre mi ha guardata in quel modo... la zia Betsie a momenti moriva, quando le ho detto che ci sposavamo. E Joe... Oh, Dio. Nessuno ci guardava più allo stesso modo, quando siamo tornati in California da fidanzati. Nessuno. E io non avevo più niente. Io ti amo, così tanto che so per certo che non potrò mai amare altri che te, nella vita. Ha detto così. Me lo ricordo ancora. Parola per parola.”
Ann tacque.
“Io la capisco, sai, Ann. La capisco benissimo, perché la conosco. Scoprire che io sapevo già da tempo le ha fatto crollare il mondo in testa. Ho voluto credere alla sua reazione d’istinto, quella del genere non è successo niente di irreparabile, non è cambiato nulla, sai? Ci ho voluto credere perché era più comodo e di gran lunga più digeribile di quello che - dentro di me lo sapevo - sarebbe successo non appena quella notizia le fosse arrivata abbastanza in fondo da poterle far comprendere davvero cosa significava, e quanto in realtà la questione fosse così grande da non poter essere liquidata con una scrollata di spalle. Poteva sopravvivere intatta alla notizia che tutti gli altri - i miei, suo padre, i nostri parenti, forse perfino sua sorella, sapessero tutto da molto tempo. Ma non al fatto che lo sapessi io. Lei si è fidata di me, e solo di me, nella vita. E io sono stato uno stronzo incosciente.”
Sorrise di nuovo, amaro, passandosi una mano sul viso. Ann, in silenzio, gli porse un bicchiere di tequila. Anche lei aveva amato Ria. L’aveva amata di un amore incomprensibile, un po‘ strano: quello che si riserva alle cose che non riesci del tutto a capire, ma che ti irretiscono, ti catturano, come un incantesimo. Non te lo spieghi mai davvero come fai ad amare una persona di cui detesti certi atteggiamenti, disapprovi il modo di pensare e oltretutto trovi assurdo, francamente fantascientifico che invece tutti gli altri la idolatrino e la giustifichino in continuazione nonostante le sue evidenti falle, impossibili da non vedere anche armandosi delle più ferree tra le buone intenzioni; allo stesso tempo, però, non riesci a fare a meno di farlo anche tu. Di innalzarla, e giustificarla anche, e ti detesti per questo. Perché l’amore rende così incoerenti, imprecisi. Perché il fatto che tu veda i suoi difetti non riesce a renderti immune al fascino che esercita su di te, perché quel bel sorriso, quegli occhi grandi, quel calore umano che solo lei sembra saper dare, quelle parole dure e spietate ma cariche di un affetto così genuino che addolcisce perfino la più cruda tra le sue sentenze, quando ti critica, ferendoti, anche se lo sai che lo fa per il tuo bene - tutto questo non riesce a non fartela amare sempre, comunque. Qualunque cazzata faccia. Tipo questa.
“Sai cosa faceva Ria a undici anni?”, le chiese Jimmy, dopo un sorso particolarmente lungo.
Ann scosse la testa, e si sistemò meglio sul divano voltandosi un po‘ verso di lui per dargli l’impressione di essere un pubblico interessato. Così, magari, si tranquillizzava un po’.
“Leggeva Il Signore degli Anelli nella mia vasca da bagno vuota. Ci stava dentro delle ore. Nel bagno degli ospiti, fortunatamente, altrimenti in casa mia si sarebbe paralizzato il traffico. Comunque, c’è una frase che si porta dietro da sempre. L’ultima volta me l’ha ripetuta non molto tempo fa, non so a cosa pensava...”
“Che frase?”
Come si fa a riprendere le fila di una vecchia vita? Come si fa ad andare avanti quando, nel cuore, cominci a capire che non si torna indietro? Ci sono cose che il tempo non può accomodare, ferite talmente profonde che lasciano un segno.”
Il silenzio calò tra loro come una volta usava fare tra le mura di casa Montague, quando erano tutti insieme e sembravano invincibili, eterni, impossibili da pensare separati e feriti, alla deriva.
“La prima volta che abbiamo fatto l’amore non ha smesso un attimo di tremare, e neanche io. È stato come se fosse sul serio la prima, per entrambi.”
Ann alzò una mano, e diede un sorso al bicchiere.
“Jimmy. Sono qui per ascoltarti, e lo faccio volentieri. Ma non posso sentire cose del genere. Spero tu capisca.”
Lui stornò lo sguardo su di lei, finalmente, e per un attimo parve tornare indietro dalle pieghe del tempo la parte di quell’uomo che, quando erano insieme, esisteva solo per lei.
“Hai ragione, scusami.”
Era un sorriso dolce, quello di Jimmy, ma Ann si mosse a disagio. Era umiliante sapere che lui sapeva benissimo quanto lei ancora lo amasse, e quanto forse lo avrebbe amato per sempre. Forse Ria avrebbe dovuto considerarlo, che era molto fortunata. Che non è detto che siano sempre una coppia, le persone che si amano per sempre. Che, forse ogni volta, c’è qualcuno che è rimasto fuori, e che conserverà quello stesso amore straziante e immenso per tutta la vita senza sapere bene cosa farsene, perché il destinatario è metà di una coppia ed ama l’altro componente, che magari è ammalato dello stesso folle amore di quello che è rimasto fuori ma almeno, beato lui, saprà dove metterlo e a chi darlo. E riceverà in cambio le braccia, e le mani, e gli occhi, quegli occhi che lo guardano come non hanno mai guardato né mai guarderanno nessun altro nella vita. Gli occhi di Jimmy che guardavano Ria. Ann scacciò il pensiero, chiedendosi per la prima vera volta dove stesse scritto che lei dovesse passare la vita a ricucire Jimmy e Ria quando era evidente che per lei, tra loro due, non c’era posto. Non il posto che avrebbe voluto, forse nemmeno quello che avrebbe meritato. Perché lei, se avesse avuto Jimmy, col cazzo che spariva in Nuova Zelanda con l’ex. Ma lei non ce l’aveva, Jimmy, perché, a quanto pare, è così che va il mondo.
“Devo essere onesto con te, Ann.”
“Non mi pare il caso, guarda.”
“Devo davvero.”
“Fidati, no.”
“Non c’è mai stata nessun altra donna, per me. Solo Ria, sempre Ria. Prima in un modo, poi in un altro - ma che differenza fa, poi? - Ria è stata la prima cosa a cui ho pensato ogni mattina e l’ultima ogni notte. Quando ho rischiato di-”
“Jimmy, no.”
“... l’ultima cosa a cui ho pensato prima che diventasse tutto buio è stata lei. Lei. I suoi occhi dentro i miei, la sua testa sulla mia schiena quando si addormentava addosso a me perché da sola in camera aveva gli incubi e allora si infilava nel mio letto, e io fingevo di non svegliarmi ma la sentivo, tutte le volte, quando veniva ad appoggiarsi su di me e cadeva in un sonno profondo e sereno. E ho pensato non posso togliergliela, sai?, ho pensato non posso toglierle una schiena a cui appoggiarsi quando è sola, ha paura e non riesce a chiudere gli occhi. Se ho lottato così tanto per restare, è stato perché non volevo lasciarla.”
Ann lo guardò in silenzio, e sorrise prima di decidere di farlo.
“Perché sei venuto da me?”, gli chiese, dolcemente.
“Perché avevo bisogno di te.”
“Dovrei ammazzarti.”
“Ne avresti il diritto.”
“Dovrei ammazzarvi tutti e due.”
Jimmy tacque, e prese un altro sorso di tequila.
“Perché dici che ti ha lasciato? Magari è solo andata via per un po’, magari aveva bisogno di pensare, di metabolizzare.”
Jimmy estrasse, lentamente, dalla tasca dei pantaloni un piccolo oggetto, e lo mostrò ad Ann senza guardarlo.
“È quello che credo che sia?”, gli chiese lei, osservando l’oggetto.
“Sì. È l’anello di fidanzamento che le ho regalato. Me lo ha lasciato prima di andarsene.”
“E non ti ha detto nulla?”
“Sì. Mi ha dato un bacio e mi ha detto: ti amerò sempre. È stato allora che ho notato il trolley accanto alla porta d’ingresso. Poi ha lasciato un biglietto sullo svuotatasche e se n’è andata.”
“Hai provato a chiamarla?”
“Certo. Dopo un po’.”
“E...?”
“Nulla. È staccato.”
Ann si fece pensierosa.
“Bliss, Fleur?”
“Lo stesso.”
“Splinter?”
“Lo stesso. Mi ha chiamato mia nonna, oggi, e mi ha detto che Ria le aveva telefonato per dirle che stava bene. Non mi ha detto dove fosse, né se lo sapeva. Ma non credo abbia provato a convincerla a tornare indietro e, se non l’ha fatto, vuol dire che le dà ragione, e che quindi la situazione è molto peggio di quello che tutti noi possiamo immaginare.”
Silenzio.
“La cosa che più mi tormenta è che mi ripeto che avrei dovuto chiederglielo. Tornerai? Così. Non solo non ho provato a fermarla, ma non le ho neanche chiesto tornerai? Anche se non mi avesse risposto, almeno avrebbe saputo che la rivolevo indietro. Non subito, quando fosse stata pronta. Ma che la rivolevo, e non ero disposto a vivere senza di lei.”
Gli si ruppe un po‘ la voce, e Ann sobbalzò leggermente. Non sapeva cosa fare.
“Lo sa benissimo che la rivuoi indietro.”, provò a dire.
“Certo che lo sa, ma ci sono cose che vanno dette. Lei non si è mai stancata di ripetermi che ci sono cose che vanno dette, per quanto uno possa saperle. Che è importante dire le cose.”
Silenzio, di nuovo, più forte di prima.
“E dunque, l’ho fatto.”, disse Jimmy.
Ann raccolse una punta di allarme in fondo all’anima: “Che hai fatto?”
“L’ho chiamato.”
“Chi hai chiamato?”
Jimmy si voltò a guardarla, carico di sottintesi.
“Ho chiamato Bellamy.”, disse.
Ann si coprì la bocca, senza fiato. 

 

*

 

“Yeah.”
“È successa una cosa.”
Matt coprì il ricevitore con una mano, e lanciò uno sguardo interrogativo a sua moglie, che lo fissava con aria diffidente dal divano sul quale, poco prima, stavano tentando di rinsaldare il loro rapporto in maniera piuttosto originale.
“È Jimmy Sullivan.”, le sussurrò. Kate rilassò i muscoli del viso. “Ah! Salutamelo tanto!”
Matt le fece cenno di attendere con un dito e uscì in balcone, chiudendosi l’anta alle spalle.
“Sono qui.”, disse infine a Jimmy, che aveva atteso pazientemente dall’altra parte.
“Ria se n’è andata.”
“Cosa? Dove! Come! Perché?”
“Non lo so. Non lo sappiamo. Senti, Bellamy.”
“Sento, Sullivan.”
“Tu non mi piaci, ed io non ti piaccio. Mi pare evidente perché.”
“Veramente no. Cioè, io non ho nulla contro di te. Davvero, l’ho superata ormai. Sei tu che non riesci a passare sopra al fatto che io abbia infilato il mio-”
“Attento a quello che dici.”, lo interruppe.
“-anello al dito di Ria prima di te, anche se poi è andata come è andata. Ma, a quanto pare, ora anche tu sei nella mia stessa situazione, quindi...”
Jimmy si sentì ribollire il sangue a sentire quanto quello gongolava. Gongolava perché Ria se n’era andata, perché, alla fine, aveva lasciato anche lui?
“Non è così, e lo sai benissimo. Qui comunque non si tratta di me, si tratta di lei. Sei in grado di concentrarti cinque minuti su di lei togliendo di mezzo la stima malriposta che nutri nei confronti di te stesso, inutile gnomo con la voce acuta?”
A Matt venne quasi da ridere, non fosse stato per quel piccolo groppo di preoccupazione per Ria che gli si andava formando in gola.
“Ti ascolto, Nosferatu.”, gli disse.
“È da quando sono andato a cena con tua moglie che è andata via. Cellulare staccato. Nessuna notizia.”
“Sei andato a cena con mia moglie?”
“Chi credi che l’abbia convinta a riconsiderarti come essere umano, imbecille?”
“A me ha detto solo che avevate parlato, non che eravate andati a cena.”
“E abbiamo parlato, infatti. Davanti a una bottiglia di vino, a lume di candela. Poi, abbiamo continuato a parlare sul tuo divano. E ti giuro, per quanto era bendisposta nei miei confronti me la sarei scopata fino a farla piangere, ma non l’ho fatto per amore di Ria.”
“Se lo avessi fatto, a questo punto saremmo stati pari.”
“Non proprio, visto che a quanto pare è
dopo essere state con te che le donne smaniano per farsi schiantare su un materasso da me.”
Matt rise, disturbato solo un poco. Rise anche Jimmy, chissà poi perché.
“Cosa posso fare, io?”, chiese poi Matt, appoggiandosi alla balaustra del balcone. Quella ragazza gli avrebbe fatto perdere la testa per sempre.
“Credo che lei abbia bisogno di tutti noi. Credo che abbia bisogno di sapere che, al di là di tutto, noi teniamo sul serio a lei. E credo sia per questo che se n’è andata. Perché le è sembrato tutto finto, costruito, falso e inutile. E non la biasimo.”
Gli spiegò in breve, e come meglio poteva, la situazione, forte del fatto che Matt già sapeva, perché Ria glielo aveva detto, che aveva scoperto che lui era a conoscenza già da tempo del fatto che tra loro non corresse alcun sangue in comune.
Matt ascoltò con attenzione, fumando una sigaretta.
“D’accordo.”, disse, infine, “Dimmi cosa devo fare.”
“Io sto andando da Andrea O’Malley. Ricordi dove abita?”
“Sì, ce l’ho scritto da qualche parte.”
“Vediamoci lì. Porta anche Kate, se credi.”
“Va bene, ci sarò.”

 

*

 

Splinter stava praticando un buco nel pavimento del suo ufficio di New York. Fumava una sigaretta dopo l’altra, dando fugaci ordini a destra e a manca, e nel frattempo camminava senza posa perché non riusciva a smettere di pensare. Il telefono squillò una, due, tre volte prima che se ne accorgesse e si decidesse a rispondere.
“Pronto, cristo!”
“Vi?”
I lineamenti di Splinter si indurirono tutti insieme, e dal rossetto scarlatto le partì un suono minaccioso, furente: “O mi dici dove sei o giuro che faccio tracciare tutte le tue carte di credito dalla Venerabile e ti trovo da sola.”
Ria, all’altro capo della comunicazione, rise.
“È bello sentirti.”
“Allora? Dove cazzo sei?”
Ria alzò il ricevitore verso il cielo, e Splinter si attaccò allo smartphone per cercare di captare suoni familiari. Una linea bassa, costante di jazz le raggiunse un orecchio.
“Non ti viene in mente nulla?”, le chiese Ria dopo un po’.
“Cos’è, un quiz a premi?”, le rispose stizzita sua sorella.
Ria rise di nuovo.
“Ti do un indizio. Ci siamo state insieme.”
“Dimmelo e basta!”
“Non ci penso nemmeno. Volevo chiamare Jimmy, ma poi ho pensato che forse è arrabbiato con me, e probabilmente anche Bliss, quindi ho pensato di telefonare direttamente a te. Di te ero sicura che fossi arrabbiata. Almeno, non ho avuto sorprese. Anche se ci spero sempre, un po’.”
“In cosa?”
“Che mi sorprendiate. In meglio.”
Splinter sospirò. Non era mai stata particolarmente un asso a consolare la gente a comando. Era bravissima a farlo, sì, ma spontaneamente. Quando diceva lei. Il suo primo tutor le aveva detto che la chiave per essere felici nella vita è imparare a comportarsi come richiede la situazione, e doveva ammettere che quello, purtroppo, proprio non le riusciva.
“Chiama Jimmy.”, le disse soltanto.
Ria non disse nulla per un po’.
Poi “Sono stata seduta qui per giorni.”, disse, e a Splinter parve quasi di poterne vedere lo sguardo perso nel mondo che la circondava in quel momento, “Tutti i giorni, su questa panchina. Sono venuta a leggere, a scrivere, a pensare. Ho pensato a tante cose. Alla fiducia, all’amore. A quanto siano concetti disperatamente incompatibili eppure paradossalmente inscindibili l’uno dall’altro. A quanto falsi, imprevedibili e imperfetti siano gli esseri umani. Facciamo davvero schifo, come specie.”
“Sì, su questo siamo tutti d’accordo.”
“Ma non facciamo niente per cambiarlo. Egoisti, arroganti e martiri. Martiri di noi stessi, sempre. Arbitrari, sempre, e a caso. Decidiamo noi che tempo deve fare e poi ci lamentiamo della pioggia.”
“Ria, ma che diavolo ti succede? Sembri la sintesi di tutti i tuoi momenti no.”
“Lo sono, Splinter. Sto anche sperando che, per questo motivo, presto sarò finalmente la sintesi di tutti i miei momenti sì.”
Splinter, allora, sorrise.
“Tipico di te. Un inguaribile, malriposto ottimismo.”
“Grazie per l’incoraggiamento. Che ora è a Londra?”
“Penso circa mezzanotte. Che ora è, da te?”
“Non mi freghi, ragazzina. Saresti capacissima di fare i calcoli coi fusi orari per scoprire dove sono.”
Risero entrambe, soprattutto Splinter, perché era esattamente quello il motivo per cui aveva chiesto a Ria che ora fosse da lei.
“Mi sa che farò una telefonata.”, disse infine Ria.
“D’accordo. Ma l’esilio è finito?”
Ria giocherellò un po‘ con la copertina del libro che aveva in grembo. Toni Morrison, Casa.
“Ti voglio bene, Splinter.”
“Anche io, demente.”
Ria rise di nuovo, prima di attaccare e respirare a fondo l’aria salmastra e incontenibile che saliva dalla baia. 

 

*

“Fammi capire, quindi aspettiamo Matt?”
“Sì, Ann.”
“E che hai intenzione di fare?”
“Non lo so. Proveremo a pensare a qualcosa. Insieme.”
Il cellulare di Jimmy suonò, facendoli sobbalzare.
“Pronto?”
“Jim? Dove sei?”
“Bliss! Sono... erm. Sono a casa di Ann.”
Bliss si raggelò all’improvviso, e il freddo evaporò dallo smartphone di Jimmy per colpirlo dritto in faccia.
“Cosa ci fai a casa di Andrea O’Malley?”
Prego?!, disse, scandalizzato e acuto, Fleur sullo sfondo. Jimmy sorrise.
“Sono venuto a parlarle di Ria.”
“Notizie?”, chiese speranzosa lei.
“Ancora nessuna. Però, ho ritenuto opportuno avvisare Bellamy.”
“Io riterrei opportuno farti ricoverare.”
“Lo so, ma...”
Bellamy? L’ultima cosa di cui tutti quanti abbiamo bisogno in questo momento è Bellamy.”
A Jimmy piaceva il modo in cui Bliss diceva Bellamy, sputandolo come se fosse un sorso amaro, carica di disprezzo.
“A dire il vero, sta venendo qui.”
Bliss tacque per un momento.
“Veniamo anche noi. Cri-cri, bagagli!”, urlò a Fleur, del quale si sentì chiaramente il balzo dalla sedia.
“Sono appena tornati anche Brian e Shadows.”, lo informò quindi Bliss, mentre trafficava con oggetti tintinnanti.
“Forse è il caso che ci spostiamo tutti a Morgue Place...”, azzardò Jimmy.
“No, meglio di no. Sembra assurdo convocare una mega riunione in questa casa senza Ria. Somiglia sempre di più a un obitorio, da quando lei non c’è.”
“L’intenzione non era quella? L’avete battezzata morgue place.”
“L’intenzione non è mai quella, Jimmy. Noi scherziamo sulla tragedia perché altrimenti quella ci travolge e ci ammazza. Abbiamo sempre fatto così.”
Jimmy sospirò.
“D’accordo”, disse, “vi aspettiamo.”
Chiuse la chiamata e avvertì Ann dell’arrivo di altre quattro persone.
“Sarà meglio che vada a prendere altri bicchieri, allora.”
Il cellulare squillò di nuovo.
“Hai dimenticato qualcosa?”, rispose Jimmy.
“Sì. Ho dimenticato di dirti che sarei tornata, perché non riesco neanche a pensare ad una vita lontana da te.”
Jimmy saltò in aria dal divano e per un lungo momento non seppe cosa dire. Incrociò lo sguardo di Ann, che usciva dalla cucina reggendo alcuni bicchieri, e lei ci mise meno di un secondo a capire chi fosse.
“Di‘ qualcosa.”, lo pregò Ria, dall’altra parte.
Silenzio.
“Ti prego, ho bisogno di sentire la tua voce. Di‘ qualcosa. Qualunque cosa.”
Jimmy scartava una possibilità dietro l’altra. Ho provato a chiamarti? No, non era quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Dove sei? No, non era importante in quel momento. Come cazzo ti è venuto in mente di sparire per settimane senza dare tue notizie ad anima viva e staccando tutti i telefoni? No, neanche quello. Sospirò, per farle capire che c’era ancora.
“JJ...”, sussurrò lei, dolcemente.
“Mi sei mancata, scarafaggio.”, disse infine.
Sentì la risata di Ria, una risata liberatoria e delicata, erompere dal bel mezzo di un pianto silenzioso. Solo allora lui si accorse di quel pianto, piccolo come un punto, profondo come l’oscurità e la luce.
“Mi sei mancato da morire anche tu.”
Ann era rimasta ferma, impalata tra la cucina e il salotto, coi bicchieri in mano.
“Ti amo, Jimmy. Ti amo da impazzire, così tanto che sembra che mi debba scoppiare il cuore, e da quando me ne sono andata non ho fatto altro che pensare a questo. A quanto ti amo, e a quanto questo giustifichi e in fin dei conti renda accettabile tutto il resto. Tutto il passato e anche tutto il futuro.     Quel minuscolo, infinitesimo istante in cui sei apparso nella mia vita per la prima vera volta ha cambiato per sempre ogni parte di me, e anche se fosse stata solo quella, la volta, e soltanto quello, il momento in cui mi fosse stata concessa l’incredibile grazia di guardarti e sentire che tu esisti, credo che mi sarebbe bastato ad ammettere a me stessa che il mondo è un posto straordinario e la vita un viaggio meraviglioso, indipendentemente da quanto fatiscenti, dolorosi e precari riescano ad essere certe volte. Anche spesso, sai?, si può fare i conti con il dolore anche spesso, quando si sa che tu esisti. Almeno, è così per me. E non mi interessa di quel che è stato, né di quel che sarà, perché adesso lo so, ne sono certa, che James Sullivan ha dato alle cose intorno a me un significato che non sarei mai stata in grado di immaginare, inventare o sperare in una vita. Vorrei essere la persona che tu meriti. Vorrei che questo fosse il mondo che tu meriti. Vorrei che le cose fossero andate in modo molto diverso, e che la vita ti fosse stata più lieve e, sopra tutto il resto, vorrei non essere stata così cieca.”
Jimmy non sapeva cosa dire.
“Torna qui.”, le disse quindi. “Torna da me.”
“No”, rispose lei, “Vienici tu, da me. Vienimi a prendere, come fai sempre, anche quando io non me ne accorgo. Vieni qui e stringimi.”
“Dimmi dove sei, almeno.”
“Lo sa Splinter. O almeno ci arriverà a breve, con un po‘ di buona volontà.”
Jimmy scoppiò a ridere. Si sentiva il cuore leggero, e qualcosa gli pungeva ai lati degli occhi per quel che lei gli aveva detto.
“E se non ci arriva?”
Rise anche lei.
“Se non ci arriva, dille: serpente.”
“Serpente?”
“Sì, serpente.”
“D’accordo. Ti amo, piccola.”
“Ti amo anche io.”
“Posso chiamarti su questo numero? Per avvisarti di quando partiamo, almeno.”
“Partite?”
“Non penserai che gli altri se ne siano stati qua ad andare avanti con la loro vita, vero? Stanno venendo tutti qui, incluso quel coglione.”
“Ah, hai sentito Matt?”
“Sì, ho sentito Matt. Gli ho chiesto di aiutarmi a trovarti. Lui non ha esitato un secondo.”
Gli pesava un po‘ dirlo, ma lo disse lo stesso.
Ria tacque, serena.
“Tienilo sempre acceso.”, disse lui infine.
“Lo farò. Ti amo, Jimmy.”
“Ho capito. Ti amo anche io.”
Gettò lo smartphone sul divano e guardò Ann, che gli restituì uno sguardo sereno e finalmente si decise a muoversi e appoggiare i bicchieri sul tavolino.
“Che ti ha detto?”, gli chiese, mentre li disponeva.
“Che mi ama.”
“Non mi sembra una sorpresa. Perché hai quell’espressione stordita e felice?”
Jimmy si passò una mano sugli occhi, senza riuscire a smettere di sorridere.
“È il modo in cui l’ha detto.”
“Ah, capisco. E a te è già passato tutto. Tutta l’ansia, la preoccupazione, l’angoscia.”
“Sì.”
Ann scosse la testa, sorridendo a sua volta.
“È incredibile la pazienza che hai con Ria, Jimmy. Dovrebbero farti santo.”
Jimmy si strinse nelle spalle. “Forse”, le disse, aprendo di più il sorriso.
Ann sospirò, con una punta di malinconia, e sedette accanto a lui sul divano riempiendo di nuovo i bicchieri.
“Allora, St. James, te lo fai un altro sorso prima che arrivi qui l’armata Brancaleone al gran completo?”
Jimmy sollevò il bicchiere e lo fece tintinnare contro quello di lei. “Agli incoscienti.”, disse.
“Ai santi.”, gli fece eco lei, e li vuotarono d’un sorso. 

 

Promise to hold you close and pray
watching the fantasies decay
Nothing will ever stay the same

-

Ti proteggerò dal male.


 

Allora.
I miei tentativi falliti di mettere a Ria un po‘ di sale in zucca.
Ria, che mi vortica sempre in testa, e il suo Jimmy, al quale non riesce mai a dire le cose come stanno. 






 

   
 
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