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Autore: Illunis    11/01/2015    1 recensioni
"Ricordava ben poco di come era giunto a confessargli ogni cosa – centrava qualcosa con un articolato discorso sulla fiducia e sul fatto che Arthur, a detta dell’asino, non fosse stupido (certo) -, il punto focale della questione era che aveva smesso i suoi panni da innocente e non magico servitore (senza neppure ricevere un premio per la sua performance, tante grazie) con quel decerebrato del suo padrone.
Asino, lui preferiva definirlo asino."
[Merthur, What if? (e se Arthur venisse a sapere che Merlin è un mago?), post 3x05; serie di oneshot distaccate fra loro, ma correlate]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Beta: Skadi
Conteggio parole: 2583 (fdp)
Prompt: #4 Giglio scarlatto (aspirazioni di nobil animo) della tabella Florigrafia I di think_fluff
Disclaimer: I personaggi appartengono alle leggende arturiane alla BBC e VI ODIO BASTARDI DOVEVA FINIRE PROPRIO IN QUEL MODO?
Contesto: In un mondo idilliaco da qualche parte durante la terza stagione (circa dopo la 3x5 “La caverna di cristallo”), dove ogni futuro cavaliere di Arthur non viene immancabilmente esiliato da Uther #LOL
Note: Era da un bel po’ che desideravo scrivere qualcosa su di loro, li adoro (e Gwaine, oh, non è adorabile?), ma qualsiasi idea mi sfiorasse la mente quella rifuggiva dalla mia penna. Fino a quando non ho visto questo e questo.
Non sarà una vera e propia long, fin dall'inizio l'ho pensata come un insieme di storie - correlate fra loro più dal susseguirsi temporale che tematico -, un po' come se stessi riscrevendo la trama della terza stagione (non sarà così). Saranno tutte ispirate dai prompt della tabella di think_fluff (quindi saranno quindici), e se per ora non c'è il p0rn (come ha brontolato la mia beta arthuriana - quella ufficiale non conosce Merlin °A°) o baci e bacetti, più avanti capiterà sicuramente ù-ù (uno dei prompt è 'confessione d'amore').
 
Ps. Il titolo è alla cazzo preso da un verso d'una ballata di Guido Cavalcanti (e chi l'ha detto che aiutare i fratelli con i compiti non fosse utile?), e... sono un disastro nel sceglierli T-T

 


 
Ricordava ben poco di come era giunto a confessargli ogni cosa – centrava qualcosa con un articolato discorso sulla fiducia e sul fatto che Arthur, a detta dell’asino, non fosse stupido (certo) -, il punto focale della questione era che aveva smesso i suoi panni da innocente e non magico servitore (senza neppure ricevere un premio per la sua performance, tante grazie) con quel decerebrato del suo padrone.
Asino, lui preferiva definirlo asino.
Sarebbe stato tutto rose, uccellini cinguettanti e altre simili amenità se non fosse – come Merlin sosteneva dall’alba dei tempi – che Arthur Pendragon, legittimo erede al trono di Camelot, fosse un incredibile, incommensurabile idiota.
Regale, s’intende.
Merlin aveva temuto più d’ogni altra cosa la reazione di Arthur, ciò che avrebbe pensato, a quanto gli aveva mentito e se il possedere la magia l’avrebbe reso un aberrazione ai suoi occhi.
E quell’asino cosa aveva fatto quando glielo aveva detto?
Era scoppiato a ridere, in faccia. Poi il mago aveva fatto scaturire dalla sua mano una luminescente sfera e si era zittito, il sorriso divorato dalla luce sovrannaturale.
Avevano discusso, piuttosto veementemente, le urla sussurrate per evitare che le guardie li sentissero – e Merlin avrebbe dovuto capirlo da questo, era stato il principe ad abbassare il tono iracondo -, la delusione, il tradimento sul viso di Arthur e la paura, l’ansia nella voce ora libera di Merlin.
Quando fu congedato la luna era l’unica dominatrice della volta celeste, i guardiani del sonno del principe s’erano appisolati, e Merlin credette di non aver mai parlato così tanto, la gola riarsa.
Quella fu una di quelle mattine in cui sentì il primo canto del gallo.
 
Merlin era un mago.
Non nel senso che riusciva a compiere le proprie mansioni incredibilmente bene – questo non sarebbe mai avvenuto -, ma che era letteralmente un mago. Uno stregone, un incantatore, un essere magico, una fattucchiera uomo o qualsiasi fosse la declinazione maschile di fattucchiera.
Era uno stramaledettissimo praticante di incantesimi e formule e lui, principe ereditario di Camelot regno in cui chiunque starnutendo dicesse magia veniva bruciato - Impiccato se suo padre era di buon umore – non l’aveva preso di peso e sbattuto nelle segrete quanto glielo aveva confessato.
C’era una parte di lui – quella non asinara gli avrebbe detto Merlin – che aveva compreso fin dalla prima volta che aveva incrociato quei suoi occhi a palla (così maledettamente blu, luminosi) che c’era qualcosa di particolare, strano in quel ragazzino smilzo ed irrispettoso. S’era detto, fra l’incredulità e l’orgoglio pungolato, che era la sua indole priva d’alcun rispetto verso l’ordine sociale a destargli sospetto, senonché col passare dei giorni questo divenne abitudinario ai suoi occhi, ma la sensazione strisciante d’un segreto ben celato dietro a quei sorrisi non l’aveva mai abbandonato.
Ora stava prendendo a pugni un guanciale per accomodarlo, poiché ovunque poggiasse la testa pareva di dormire su sassi. Fu all’approssimarsi dell’ora seconda che riuscì a trovare il sassolino che l’angustiava: quell’idiota del suo servitore aveva lasciato le sue stanze prima che potesse assicurarlo che mai l’avrebbe portato al cospetto di Uther.
 
« Mer-- » Cosa ci stava facendo una scopa a spazzare il pavimento da sola? « Cosa stai facendo!? »
« Niente » Appena la spelacchiata, stupida testa di quell’idiota sbucò dalla camicia indossata poté vedere quanto gli mentiva.
« Ti rendi conto » portò i palmi sui fianchi, imponendo per bene la sua presenza al cospetto di quel… non sapeva neppure lui come definirlo « di cosa sarebbe accaduto se ad entrare non fossi stato io? »
« Beh-- »
« Zitto. » lo vide dal boccheggiare della sua bocca che fremeva dal voler renderlo partecipe delle castronerie che gli passavano per quell’inesistente cervello, ma l’aveva fatta grossa, davvero grossa. Stupido Merlin. « Non puoi andartene in giro per il castello e praticare magie »
« A dire la verit-- »
« Ti ho forse dato il permesso di parlare? » sorrise, il pazzo suicida, come se il farsi scoprire fosse la sua più grande gioia. « Non usare la magia » scandì, lentamente, cosicché gli entrasse per bene in quella zuccaccia.
« Nemmeno in camera mia? »
« No! » Quale parte della legge di Camelot non aveva compreso?
« Potrei chiudere la porta »
« Allora fallo, idiota! »
Athur propendeva per il metodo educativo del bastone e della carota. Tranne con Merlin. Con lui era meglio abbondare di bastone. Ad essere specifici sosteneva la punizione corporale del scappellotto.
 
Arthur aveva abbracciato talmente tanto la causa ‘impediamo che Merlin venga trucidato in nome del insensato odio di Uther verso la magia’ da trasformarsi in una terrificante mamma chioccia, un orecchio sempre attento ad ogni bisbiglio – e in una corte ampia quanto quella di Camelot di sussurri ce n’erano a bizzeffe -, un occhio sulle sue iridi per scorgerne il bagliore dorato e la mente sempre fervente per inventare e memorizzare spiegazioni disparate e sempre più fantasiose sul perché il suo servitore fosse un mago con la testa ben attaccata al collo. E nemmeno un poco abbrustolito.
Questo, se all’inizio aveva divertito e intenerito Merlin, alla lunga l’aveva logorato: non gli concedeva neppure la libertà di adoperare qualche piccolo trucchetto per alleggerire il lavoro, neanche poteva accendere il fuoco, nonostante tutte le volte che l’aveva fatto senza che quel decerebrato se ne accorgesse!
Ecco quindi spiegato perché s’era chiuso nelle stanze di Arthur per poter svolgere i quotidiani compiti affidatogli al meglio delle sue capacità.
La motivazione per cui ora si ritrovava a carponi sopra a un mugugnante Arthur la si doveva ricercare unicamente sull’indecente foga con cui talvolta questi spalancava le porte – nonché sulla sua smania di proteggerlo -, non di certo su di lui.
Beh, anche nel fatto che questa volta la porta non si era spalancata.
« Arthur? » gli si chinò ancor più vicino al viso, scrutando quel poco che poteva vedergli del volto attraverso le mani da cui l’altro stava mugugnando « State bene? » Il suo cuore di certo no, con quel assordante tonfo aveva creduto che stessero cercando d’abbattere l’uscio con un ariete.
« Certo che no, deficiente! » Chissà se il suo volto s’era infiammato unicamente per l’astio o anche per la misera figura appena fatta davanti alle sue stesse guardie, fortunatamente mandate immediatamente a chiamare Gaius dall’impiastro.
« Se avreste controllato prima di » ridacchiò, coll’immagine ricreata degli eventi nella mente era difficile evitarlo « approcciarvi alla porta non sarebbe accaduto. »
« Se non avessi chiuso quella dannata porta-- » lo spintonò, facendo per alzarsi, ma Merlin premette gentilmente una mano sulla sua spalla e dovette riappoggiare la regale testa sul poco consolo pavimento.
« Aspettate, fatemi vedere cosa vi siete fatto »
« Cosa che puoi benissimo fare anche su una sedia. Non ho nessuna intenzione di rimanere a pulire il pavimento, Merlin » E ogni sua parola era legge, sacra per ogni suo suddito e servo… non per Merlin, ovviamente.
« Uh-uh » gli diede ragione, concentrato unicamente nel riuscire ad esaminargli il naso. Gli cinse i polsi, costandoli e separandogli le mani mostrando ai suoi attenti occhi il naso tumefatto, sanguinante. Fece per allungare le affusolate dita sul suo contorno, voleva tastarne la forma per potersi assicurare che non si fosse rotto, ma una presa ferrea lo bloccò.
« Non pensarci nemmeno. » Doveva fare un gran male se gli occhi gli si erano inumiditi.
« Ma-- »
« No. » Gli puntò contro il dito ammonitore - ormai per lui si chiamava così, l’indice non sapeva più cos’era – raccogliendo ogni grammo di rispetto e autorevolezza per apparire autoritario anche da sdraiato, malconcio e dolorante qual era.
« Come volete, sire. »
Per sottolineare quanto sì, lui era il suo signore, scattò in piedi scostando testardamente il mago, che lo scrutò - per nulla sorpreso da tutta quella asinarità – aspettandosi ciò che accadde poco dopo. Il forte e portentoso cavaliere barcollò e finì, la faccia smorta e bella quanto uno straccio con cui si ha pulito i pavimenti dell’intero castello, sulla sua spalla a vomitargli lungo la schiena.
« Quando imparerete a darmi retta? » borbottò colui che non doveva assolutamente pensare a cosa gli stava scivolando lungo la camicia.
Urgh.
 
« Come temevo… » Gaius aveva l’orrenda abitudine d’iniziare le frasi e lasciarne la fine unicamente per i suoi pensieri. O di mettersi a comunicare con Merlin a monosillabi, occhiate e sopracciglia.
« Cosa? » Ad Arthur pareva d’aver masticato un suo calzino o il stufato di ratto che l’idiota gli aveva rifilato – d’entrambi ne conosceva il sapore non per suo desiderio – e il sentore non voleva andarsene nonostante tutte le volte che aveva deglutito. Inoltre pareva che il farlo morire di sete fosse la nuova cura in voga.
« Non è nulla di grave, spero » Uther era giunto nelle sue stanze da poco, giusto in tempo per non sentirlo intimare di non rivelare come si erano svolti i fatti, sul volto quella apprensione ben celata che dava la fievole certezza al figlio che forse, in fondo, in qualche modo al padre importava di lui.
« Niente che un po’ di riposo possa curare; è solo un lieve trauma cranico e un naso rotto. Gli somministrerò un decotto a base di rosmarino per aiutare l’ematoma a defluire, per il resto ci vorrà solo un po’ di pazienza. » Lo fissò, il sopracciglio arcuato, saputo.
Merlin aveva fatto la spia.
« Bene. Ti assolvo da ogni tuo dovere quale erede. » fece per andarsene, ma si voltò e dimostrò di conoscere il figlio quando aggiunse « Non ti voglio vedere fuori da quel letto fino a quando Gaius darà il consenso. » Di per sé Arthur non era né pigro – amava poter passare ogni tanto un giorno nell’ozio e nel compiacere i suoi desideri – né irrequieto, ma se c’era qualcosa che lo rendeva smanioso pure nei suoi momenti più inclini al dolce far nulla erano la possibilità d’uno scontro, salvare damigelle e cavalieri (non si faceva mancare nulla) e addestrare le nuove reclute. Come poteva perdere l’occasione di rimarcare la sua superiorità fisica, tattica e di destrezza?
Arthur brontolò, piano, un sussurro, non era in grado di contrastare il padre in quello stato e sprofondò nelle coperte fin quasi al mento osservando malamente questi approcciare Merlin e invitarlo a controllare scrupolosamente il figlio affinché ubbidisse e non peggiorasse la situazione.
Come se lui non fosse presente e fosse sordo, nonché stupido.
 
« Non per dirvi ve l’avevo detto, ma-- »
« Come sta la tua camicia? »
Quanto desiderava prendere a schiaffi quel stupido sogghigno sodisfatto. Come se ci fosse qualcosa per cui essere fieri nell’aver imbrattato disgustamente un vestito.
« Meglio delle vostra faccia. » Si fece posto al suo fianco sul letto, una ciotola con un liquido strano (che guadagnò un occhiataccia da Arthur) in bilico su una mano.
« Cos’è quella roba? Dopo aver convenuto che farmi morire di sete impiegherà più del previsto avete deciso di avvelenarmi? »
« Magari… »
« Cosa? »
« Niente. » Checché se ne dicesse Merlin era ancora bravo a celare i fatti quando serviva realmente. Si posizionò meglio sul giaciglio, avvicinandosi cautamente col sedere al fianco e alla spalla del principe fissando il contenuto della ciotola che minacciava di suicidarsi sulle coperte regali.
« Che stai facendo? » Stava seguendo ogni sua mossa, coll’espressione di chi osserva un fenomeno di cui non capisce l’origine.
« Mi sto avvicinando »
« Hai intenzione di sederti sulla mia faccia? »
Arcuò un sopracciglio, mordendosi il morbido interno d’una guancia per evitare di ridacchiare, facendo il pensieroso, come se stesse valutando l’idea. « Uhm… no » lasciò libero il divertimento, facendogli ammantare quell’innocente intimità che li univa, vicini come non erano mai stati « credo che vi lascerò l’emozione d’avere il mio sedere sulla faccia per un'altra volta, se non vi dispiace. »
« Se non-- Nessuno vuole il tuo culo sulla faccia, Merlin! »
Merlin poteva vedere come gli fremevano le mani nel voler afferrare qualcosa e lanciarglielo contro. Per fortuna sua al regal babbeo pareva trovarsi in sella a un destriero imbizzarrito da quanto gli vorticava la testa.
« Mi sono messo qui » si protrasse verso il comodino e agguantando il cucchiaio ritornò a sghignazzare sulla faccia dell’asino « perché vi devo imboccare. »
« Che--? Non ho nessuna intenzione di farmi imboccare. Dammi qua. »
« No! » allontanò la ciotola dalle grinfie del principe, certo normalmente non l’avrebbe avuta vinta, ma il capogiro che abbatté il regale appena questi alzò il capo dai cuscini lo aiutò « dovete rimanere fermo nella posizione in cui vi ha messo Gaius almeno fino a domani, e bere piccoli sorsi, lentamente » spiegò così la presenza del cucchiaio con cui s’era armato.
« Non c’è un altro modo..? »
Merlin lo comprendeva, era mortificante la sola idea di dover dipendere fino al punto di potersi nutrire solo con l’aiuto di qualcun altro, sapeva che non stava rifiutando il suo aiuto, l’avrebbe fatto con chiunque; ricordava come anche lui fosse recalcitrante quando, una volta passata quell’età per cui lo si lasciava fare per cause di forza maggiore, sua mamma lo imboccava durante quel paio di brutte febbri che aveva passato.
« Uhm… potremmo fare una cosa che a Gaius non piacerà-- »
« E che non uscirà da questa stanza »
« Sì »
« Sarebbe? »
« Il trucco sta nel non spostare troppo i cuscini, così dopo ritornerete nella posizione giusta, e permettervi di alzarvi abbastanza da bere senza sporcarvi o soffocarvi » poggiò l’intruglio, e s’alzò, piegandosi per togliersi gli stivali « quindi mi metterò dietro di voi e vi appoggerete a me. »
« Cosa? Non ho nessuna intenzione di stare-- »
« Abbracciato? » ridacchiò il mago, alludendo a come aveva reagito quella volta all’idea.
« Sì! Non è-- »
« Su, non fatene un dramma. Vi assicuro che non andrò a dirlo in giro. »
« Non pensarlo nemmeno » Ed ecco ritornare il suo caro compare dito ammonitore.
« L’idea non mi ha nemmeno sfiorato. » Gattonò sulle coltri, finendo per mangiarsi un sogghigno accucciato al suo fianco. Intrufolò un palmo sotto alle sue spalle, lo sguardo attendo di Arthur che ne osserva i movimenti, e con l’altro gli sorresse la nuca. « D’accordo… alzatevi lentamente » Ne seguì le movenze, accompagnandolo con cura e appena reputò d’avere a disposizione abbastanza spazio si infilò fra la forte schiena di Arthur e i soffici cuscini.
« Bene » soffiò, cercando di non mangiare qualche bionda ciocca « siete comodo? »
« Per niente » si mosse guardingamente, non adorava particolarmente i capogiri e la nausea, finendo per scivolare contro il caldo petto di Merlin e per appoggiargli il capo sotto al collo. « Così è sopportabile. »
Merlin si accasciò sui guanciali, quell’asino pesava, e gli porse la ciotola, tenendolo ben fermo al suo petto, un’ampia mano sul suo cuore. Sorrise, le labbra a sfiorare quella chioma testarda, e silenziose lettere andarono a promettersi di ricordare con dovizia all’asino come in realtà s’erano abbracciati e al suo cuore come quel dolce calore si stava diffondendo da lì, dove stava raccogliendo a sé Arthur ad ogni parte del suo essere.
Arthur finì fino all’ultima goccia di quel disgustoso intruglio e, nel morire del sole, una dolce quiete scese su di loro, li abbracciò, cullandoli e li condusse nel sonno di chi è amato.
   
 
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