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Autore: Illunis    18/01/2015    2 recensioni
"Ricordava ben poco di come era giunto a confessargli ogni cosa – centrava qualcosa con un articolato discorso sulla fiducia e sul fatto che Arthur, a detta dell’asino, non fosse stupido (certo) -, il punto focale della questione era che aveva smesso i suoi panni da innocente e non magico servitore (senza neppure ricevere un premio per la sua performance, tante grazie) con quel decerebrato del suo padrone.
Asino, lui preferiva definirlo asino."
[Merthur, What if? (e se Arthur venisse a sapere che Merlin è un mago?), post 3x05; serie di oneshot distaccate fra loro, ma correlate]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Beta: Skadi
Conteggio parole: 742 (fdp)
Prompt: #7 Dalia (Eleganza e dignità) della tabella Florigrafia I di think_fluff e #34 Sotto un albero per la Maritombola 6 di maridichallenge
Note: Uh, probabilmente la dignità l’ho persa da qualche parte mentre scrivevo (forse in qualche modo c’è, ma non posso garantire nulla) LOL non la mia ma quella del prompt (OMG spero di aver gestito dignitosamente i personaggi °A°) e, povero Arthur, credo di star sviluppando un insana – per lui – passione nel farlo ammattire.
 
 

Delicati raggi di luce gli accarezzavano il volto, pezzi di sole mossi dal vento e lasciati liberi di raggiungerlo dalle alte fronde, un silenzio piacevole lo lambiva e lo cullava nella quiete assieme al suo seguire con lo sguardo le dita lunghe, eleganti di Merlin.
Si raddrizzò contro il tronco della maestosa quercia e socchiuse le palpebre, una dolce pace a inebriargli le membra.
Col passare del tempo a seguito di Gaius Merlin doveva aver pur imparato qualcosa, e questo – forse – era proprio la scioltezza, la precisione e l’accuratezza con cui mescolava erbe e vari componenti (Arthur presumeva di non volerli conoscere, certe cose è meglio trangugiarle senza chiedere), il modo di sminuzzarle, di tagliarle, le movenze fine del polso nel amalgamare gli ingredienti, la profonda concentrazione in cui cadeva ogni qualvolta preparava un intruglio, come se ogni artefatto avesse la medesima importanza anche quando si trattava di un semplice brodo. Come questa volta.
Sbuffò, incredulo, facendo per sommergerlo di rimostranze per l’esagitata attenzione con cui stava cucinando, quando scorse il lieve piegarsi delle sue labbra, soffi lievi da cui lettere sussurrate stavano sfuggendo, erano morbide sulle parole, rosse e lucide quando la lingua le accarezzava ed erano maledettamente turgide, così piene da far desiderare di morderle, mangiarle come rosse e succose fragole di bosco.
Fece calare la notte sulle sue iridi e zittì il suo odioso senso estetico che l’aveva ammattito fino al punto d’arrivare a pensare che le labbra del suo servitore fossero belle. Sbattè il capo contro il legno, piano, cosicché la causa di tutti i suoi mali non facesse domande scomode. Ecco, probabilmente era stato tutta l’ansia per l’incolumità di quell’idiota a farlo impazzire, il suo cervello era talmente leggero e inconsistente che faticava a comprendere che non doveva praticare nessuna magia, neppure la più piccola e innocente, all’interno delle mura di Camelot.
E se quell’idiota stesse…
Sbarrò gli occhi e corse alle sue iridi, trovandole fastidiosamente similari al cielo come sempre.
« Cosa stai bisbigliando? » Se non un incanto?
« Uh? » alla risposta più arguta di tutto il regno seguì il tuffarsi del coniglio catturato dal principe nel brodo.
« Prima » seguì il stringersi delle sue dita attorno al coltello, le patate che perdevano la buccia « mentre aggiungevi erbe o quello che stavi facendo con il brodo… stavi dicendo qualcosa. »
« Ah, sì. Avete sentito qualcosa? » si bloccò, reclinando il capo con quella sua faccia da non credo d’aver capito bene. Faccia che vedeva fin troppo spesso su quell’idiota.
« No » si stiracchiò, la calma di quel luogo l’aveva sopraffatto relegandolo in una piacevole inerzia, e rispose con una smorfia al ghigno che stava nascendo sul suo volto.
« Allora come… mi stavate fissando la bocca? »
« Cosa? No! » incrociare le braccia al petto era segno di quanto fosse fermo su questo punto. Una cosa simile non era assolutamente accaduta. « Per quale assurdo motivo dovrei farlo? »
« Non saprei… » oh, si vedeva perfettamente la fatica con cui s’impediva di ridere « siete voi che lo stavate facendo. »
« Non stavo fissando alcunché, tanto meno la tua bocca… e poi è inguardabile! È così… così » lasciò che un braccio lasciasse il suo petto e si allungasse, muovendosi per aria alla ricerca d’un termine. Come poteva descrivere la bocca di Merlin? « È così… rossa! »
« E come dovrebbe essere? » orma le risa gli erano sfuggite, leggere si stavano poggiando fra di loro, nell’intima quiete sotto a quel magnifico albero che li custodiva.
« Non così! » Bene, da quanto Merlin stava ridendo ora sapeva che se in caso fallisse come cavaliere poteva divenire un ottimo giullare di corte. « Lasciamo perdere, va bene? »
« D’accordo. » Lo graziò Merlin dal cocente imbarazzo del dover ammettere che sì, l’aveva fatto. Di certo non per colpa sua, brontolò fra le sicure pareti della sua testa, guardare in faccia la gente era una normale prassi per poter iniziare una conversazione e le labbra rientrava nella definizione di faccia. Se poi queste si mettevano a muoversi senza far uscire una singola parola era normale rimanerne incantato – no, no, interessato, questo è il termine coretto – per cercare di capirne la causa scatenante. Null’altro.
Ora perché diamine Merlin perseguitava nel voler far mostra di quel stupido sorriso? E… oh, mio Dio, gli stavano brillando gli occhi! Cosa aveva da essere felice?
Stupido Merlin.



Na: questa credo che sia la mia preferita (di quelle che ho scritto fin ora), nel senso che adoro come finisce e, boh, spero che vi piaccia almeno la metà di quanto piaccia a me u.u
   
 
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