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Autore: Goran Zukic    14/01/2015    0 recensioni
"Più volte abbiamo chinato il capo, accettato la sconfitta, issato bandiera bianca, mentre i nostri nemici diventavano forti e prendevano il potere. Mai come oggi siamo stati così deboli, così umiliati, figli di un paese segnato dalla corruzione, dalla violenza e dalla dittatura. Ebbene sì siamo deboli, ma quando guardo quella bandiera bianca io non vedo un simbolo di resa, io vedo un simbolo di rivalsa. Siamo ancora qua! Siamo parte di questa grande e bella terra ed è nostro compito proteggerla dal nemico, proteggere le persone che amiamo e le generazione future da quello che potrebbe accadere. Ora sventola una bandiera bianca, ma ora io vi dico che ben presto si tingerà di sangue e allora...sarà l'inizio della rivoluzione" disse Nikolai quasi urlando davanti a tutti i superstiti.
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Nella Russia lacerata dalla fame, dall'ingiustizia e da una situazione politica delicata, si rinnova lo scontro secolare tra Assassini e Templari, sullo sfondo della rivoluzione più sanguinosa del XX secolo.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guerra e Pace

Ci si impiegava più o meno due o tre giorni, in treno, da Omsk a Mosca, ma la transiberiana era munita di tutto il necessario. Anche nelle cabine meno lussuose infatti c’erano disponibili letti e brande e il cibo non era mai negato a nessuno, ovviamente nei limiti dei costi.
La notte scese veloce in quel giorno di Dicembre, Nadia stava dormendo da un pezzo e anche Stalin, il cui russare si sentiva in tutto il vagone.
Boris non dormiva invece, non perché volesse stare sveglio, ma solamente perché non aveva sonno.
Leggeva un libro di Lev Tolstoj, Guerra e Pace, un romanzo storico ambientato durante le guerre napoleoniche, alla luce di una piccola candela.
Stava leggendo di Pierre Bezuchov, un giovane ragazzo che, ereditata una fortuna, si avventura nella vita della Russia ottocentesca.
All’improvviso sentì un rumore, lungo il corridoio e si mise in ascolto attento, allungò la mano verso il coltello, nascosto nello stivale, ma prima che potesse raggiungerlo sentì un rumore, molto vicino al suo orecchio, uno scatto di pistola. Intanto Pierre Bezuchov, nel romanzo, stava sconfiggendo in duello il principe Kuragin, del quale aveva preso in sposa la figlia.
Sentì una mano che raggiunse la sua spalla e, girandosi vide due uomini, che alla luce della candela si mostrarono nella loro interezza.
Erano due uomini, entrambi alti, uno vestito di nero con un cappello nero e un sigaro in bocca, l’altro era pelato, aveva un paio di occhiali sottili ed indossava un completo grigio.
Aveva davanti ai suoi occhi una pistola, che mirava il centro della sua fronte, il libro cadde a terra, lasciando Pierre Bezuchov, vincente nel duello, tra le braccia della moglie Helene.
I due uomini lo misero in piedi, tirandolo per la giacca e lo condussero in u altro scompartimento del treno, un magazzino chiuso dove nessuno poteva sentirli.
“Chiudi la porta Vitalyi” disse l’uomo pelato senza mai lasciare la pistola, puntata su Boris.
I due si guardarono, entrambi gli sguardi trasmettevano rabbia, rivalità, come una guerra a distanza combattuta nelle pupille scure di Boris e in quelle chiare dell’altro.
L’uomo arricciò il viso in un sorriso maligno e disse: “Mi dispiace di aver interrotto il tuo viaggio di piacere Klimenko”
Boris arricciò il naso e replicò: “Niente di personale Prokofiev. Sono solo rammaricato di non poter finire il mio libro”
“Penso tu sappia perché siamo qui, è la figlia di Izmailov quella?”
“Fatti gli affari tuo bastardo!” rispose secco Boris.
“Non credo tu sia nella posizione di insultarmi” disse Prokofiev sorridendo.
“Hanno davvero incaricato te di fare questo sporco lavoro, ripongono così tanta fiducia in un uomo così inutile” disse Boris.
Prokofiev bestemmiò e arrivò a toccare la fronte di Boris con la sua pistola.
“Un’altra parola e ti faccio saltare la testa, non mi importa se tutto il treno si sveglierà!”
Ma all’improvviso si sentì un tonfo e la porta di legno cadde a terra. Vitalyi si girò coltello in pugno, ma venne steso da un forte gancio destro.
Stalin fece irruzione nello stanzino.
Prokofiev si girò e Boris gli trafisse la caviglia con il coltello, per poi deviargli mano che sparò bucando la parete. Prokofiev emise un gemito di dolore, ma venne raggiunto da un pugno e cadde a terra privo di sensi.
“Un compagno, è sempre un compagno” disse Stalin.
Boris vide che dietro di lui c’era Nadia, nascosta dietro il cappotto dell’uomo.
“Dobbiamo andare via di qui” disse Boris.
“I realisti sono ovunque” esclamò Stalin.
I tre tornarono nel vagone e si chiusero la porta alle spalle, bloccandola con un asse di legno.
I due coniugi si erano svegliati e ora la moglie urlava di paura, a causa del colpo di pistola.
“Mi ha svegliato la ragazzina” disse Stalin a Boris “E sono subito corso in aiuto”
Boris ringraziò Stalin stringendogli la mano e poi guardò Nadia, vide che aveva paura, i suoi occhi marroni correvano in tutte le direzioni, ma vide anche in lei qualcosa di nuovo, la guardò e vide che nel suo sguardo, qualcosa di innaturale.
“Dobbiamo andare via di qui” disse lei.
All’improvviso si sentì un colpo violento e la porta del vagone cadde a terra scardinata. Vitalyi, dotato di una forte muscolatura, l’aveva abbattuta.
“Correte ci penso io” esclamò Stalin e Boris e Nadia corsero verso l’altro vagone.
Gli occhi di Stalin ora erano diversi, si leggeva nel suo sguardo il suo lato più incontrollabile, il suo odio, la sua tempra d’acciaio.
“Vieni qui, leccaculo dello zar. Fammi vedere come le tue palle reali combattono” disse Stalin prima che Nadia e Boris corressero via.
Superarono anche l’altro vagone correndo, ma prima che arrivassero alla porta sentirono uno sparo e un proiettile si conficcò sulla porta poco sopra la testa di Boris. Prokofiev correva verso di loro dalla parte opposta, zoppicando vistosamente, ma abbastanza veloce.
“Corri Nadia!!” urlò e tramite delle scale salirono sul tetto del treno.
Un terzo colpo mancò di nuovo il bersaglio. Corsero lungo il tetto del treno, con Boris che teneva in braccio Nadia, il vento era sferzante, ma Prokofiev era alle loro spalle.
“Fine dei giochi Klimenko, fatti ammazzare” disse lui, salito sul tetto.
Boris nascose Nadia dietro di sé e si girò.
“Dimmi Prokofiev, che ne farai di lei quando mi ucciderai?” chiese Boris.
“La missione era di uccidere te, ma lei ci porterà da Marat Izmailov, ci sarebbe molto utile” rispose Prokofiev e mirò Boris.
La neve cadeva sulle loro teste, il freddo era glaciale, Nadia tremava, un po’ per la paura un po’ per il freddo.
“Dasvidania…assassino” esclamò Prokofiev, ma proprio prima di colpire vide che il treno stava entrando in una galleria, la vide all’ultimo, ma riuscì ad abbassarsi in tempo, prima che venisse decapitato.
La galleria finì presto, ma davanti a sé non aveva nessuno, erano fuggiti.
“Niet!” urlò.
Nadia camminava a fianco di Boris tra i vagoni del treno, attenti a ogni singolo movimento, attenti a qualsiasi cosa potesse attirare la loro attenzione.
“Quelli erano quello per cui io e tuo padre abbiamo combattuto per tutta una vita” disse Boris a Nadia. “Sono templari, un ordine antico, malvagio, che semina zizzania per raccogliere potere, sempre più potere”
Nadia lo guardò attenta e chiese: “Loro sono quindi i cattivi?”
Boris annuì e le rispose: “Noi non combattiamo lo zar, combattiamo i templari che sono molto più pericolosi di decine di Nicola II”
Intorno a loro la gente spaventata si lamentava e urlava di paura, chiedendo aiuto. Alcuni uomini del personale avevano cercato di sedare il panico, ma senza molto successo.
Entrarono in un vagone e videro Stalin, era sciupato, stanco e ferito alla gamba da un colpo di pistola. I due accorsero da lui per aiutarlo.
“Era più tosto di quanto pensassi il bastardo” disse lui indicando il corpo di Vitalyi che giaceva a terra morto.
“Hai bisogno di un medico” gli disse Boris.
“Credi che una pallottola sporca di sangue blu, mi faccia male? Mi chiamano acciaio per un motivo” replicò Stalin e fece per alzarsi, ma venne fermato da Boris che lo invitò a stare seduto.
Nadia guardava la scena in disparte, seduta su un sedile. Aveva freddo e tremava, ma non aveva paura. All’improvviso venne come scossa da un sussultò, sentì dei passi nella sua testa e poi i suoi occhi si chiusero. Vedeva Boris e Stalin, ma non erano loro che camminavano, era un rumore diverso, erano stivali, neri e venivano verso di lei. Nadia aprì gli occhi e sospirò affannosamente, le era successo di nuovo, un’altra volta e non si spiegava cosa fosse questa sensazione strana.
“Prokofiev” disse all’improvviso Nadia, ma Boris non fece in tempo a girarsi che Prokofiev era comparso da dietro la porta e aveva preso in ostaggio Nadia, puntandole la pistola addosso.
Aveva uno sguardo folle, quasi impossessato e guardava Boris con occhi di fuoco.
“Lasciala stare!!” urlò Stalin alzandosi, ma fu costretto a risedersi dal dolore.
“Taci tu! Comunista infame” disse Prokofiev “Allora Boris, cosa farai ora? Non vedo gallerie, come farai a sopravvivere, fai un passo e il suo cervello salterà come un petardo”
Gli occhi di Nadia e Boris si incrociarono, Nadia lo guardava intensamente, ma non aveva più paura, non tremava, guardava Boris, ma i suoi occhi erano fermi e risoluti.
Stalin guardava quell’uomo con disprezzo, quasi con disgusto, i suoi occhi erano fessure e sotto i baffi aveva un ghigno di guerra.
Boris era invece in piedi, dirimpetto all’avversario, davanti a Nadia, con in mano il coltello.
“Conosci guerra e pace Prokofiev?”
“Sì”
“Allora saprai che non c’è onore in quello che stai facendo, sono qui, duelliamo come fecero Bezechov e Kuragin, se vincerai guadagnerai l’onore oltre alla mia morte, dimostra di essere forte in un combattimento alla pari”
Prokofiev guardò il nemico e rimase scosso dalle sue parole, annuì e disse: “Va bene…duelliamo, sul buon nome di Tolstoj”
E detto questo gettò la pistola dal finestrino.
“Armi pari” aggiunse Prokofiev.
I due si avvicinarono ed entrambi sguainarono i coltelli.
Stalin e Nadia osservavano speranzosi, ma già erano pronti a fuggire in caso di sconfitta di Boris.
I due si studiarono per qualche secondo poi Prokofiev attaccò violentemente. Il suo coltello fendeva l’aria velocemente, ma mancò il bersaglio. I due iniziarono un feroce combattimento.
Prokofiev evitò il colpo di Boris e lo colpì di striscio al fianco, del sangue cominciò a macchiargli i vestiti.
Dopo uno scontro i coltelli volarono a terra e divenne un violento scontro corpo a corpo. Boris colpì Prokofiev al mento, ma egli lo colpì ripetutamente allo stomaco.
Gli occhiali di Prokofiev caddero e vennero calpestati dallo stesso, venne colpito sull’occhio, ma a sua volta colpì Boris sul naso e poi con un calcio nello sterno lo stese a terra.
“Avanti Bezechov! In piedi” esclamò Prokofiev che aveva il labbro tagliato.
Boris si rialzò dolorante, emise un gemito di dolore, aveva un taglio sull’occhio e il fianco gli doleva.
Prokofiev si gettò su di lui, ma rotolando a terra Boris evitò l’avversario.
Boris venne placcato a terra e uscirono dal vagone sfondando la porta. Prokofiev ora, tratteneva Boris a terra, cercando di fargli andare la testa nelle ruote del treno.
Prokofiev spinse più violentemente, ma Boris non mollava e riuscì a sbattere Prokofiev di lato, liberandosi dalla presa.
Erano nel piccolo spazio tra due carrozze, al freddo della notte, feriti, ma pronti a tutto pur di uccidersi l’uno con l’altro.
Boris si aggrappò ad una trave e colpì con un calcio in faccia l’avversario sbilanciandolo. Prokofiev stava cadendo a terra, ma riuscì ad aggrapparsi ad uno spuntone di ferro.
“Ti auguro un buon inverno Kuragin” disse Boris, mentre Prokofiev tentava di bilanciarsi.
“Inverno?” esclamò lui confuso.
Boris si avventò su di lui e lo colpì al volto facendolo volare giù dal treno.
Prokofiev cadde nella neve e scomparì dalla vista del treno.
   
 
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